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*Famiglia – Filiazione – Separazione – Ex coniuge malato e corresponsione dell’assegno di divorzio su base assistenziale

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
25 Settembre 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 18 settembre 2025 n. 25618

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va riconosciuto l’assegno di mantenimento nella sua componente assistenziale allorquando il coniuge più debole economicamente abbia un’assenza di mezzi oggettiva cioè non legata a comportamenti inerti o contrari al principio di autoresponsabilità da parte del coniuge divorziato; in tal caso l’assegno divorzile viene parametrato tendenzialmente sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c. pur dovendosi tenere conto della condizione delle parti e delle esigenze di vita del soggetto avente diritto, in relazione alla sua condizione personale, sociale ed economica.

Di conseguenza, non può essere riconosciuta la finalità compensativa dell’assegno divorzile, se il coniuge richiedente non abbia dato un contributo alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge.

Si deve, invece, tenere conto, nella stima dei beni dei coniugi, soltanto di quelli che sono nella loro effettiva titolarità e disponibilità ed inoltre che il possedere beni pro quota potrebbe anche non tradursi in una effettiva disponibilità di reddito, in particolare quando la quota sia di scarsa rilevanza, sicché il valore venale del bene in questi casi è un elemento poco indicativo al fine di valutare la effettiva consistenza dei mezzi di cui dispone la persona, poiché i mezzi devono anche essere adeguati, e cioè idonei a consentirle una vita libera e dignitosa.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione della disciplina del diritto di azione e del diritto al giusto processo per avere la Corte d’appello omesso di decidere sulla richiesta di indagini tributarie per l’accertamento del maggior reddito dell’ex coniuge rispetto a quello dichiarato.

La ricorrente rileva di avere depositato una serie di documenti attestanti la necessità di indagini di polizia tributaria sulla attività dell’ex coniuge, avvocato, e in particolare:

  1. a) i documenti che attestavano l’incarico di presidente dei revisori del teatro dell’Umbria con un compenso di 6.000 euro annue;
  2. b) il curriculum professionale, dal quale risultavano diversi prestigiosi incarichi
  3. c) le pubblicazioni in ordine agli incarichi conferiti dall'(OMISSIS) da dove emergeva che nel 2014 la sola società (OMISSIS) ha corrisposto all’avv. S.G. somme pari ad € 99.249,31,
  4. d) ruoli di udienze collegiali della Corte di Appello di Catanzaro al 2022;
  5. e) le diverse procedure dinanzi alla Corte di Cassazione nelle quali la controparte risulta domiciliatario presso il suo studio legale di (OMISSIS).

Deduce che la predetta documentazione è rilevante e atta a dimostrare la inverosimiglianza e inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi presentate dall’ex marito e ciononostante non è stata, immotivatamente, disposta alcuna indagine di polizia tributaria.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte disatteso la richiesta istruttoria di provare i reali maggiori redditi dell’ex coniuge, rispetto a quelli da questi dichiarati al fisco, anche mediante ordini di esibizione ad enti e società conferenti incarichi all’ex marito specificamente individuati dalla copiosa documentazione prodotta.

La ricorrente deduce che erroneamente la Corte d’appello ha disatteso la legittima richiesta istruttoria avanzata dalla difesa della N.M.N. di provare i reali maggiori redditi dell’ex coniuge rispetto a quelli da questi fiscalmente dichiarati con indagini di polizia tributaria e ordini di esibizione ad enti e società conferenti incarichi all’ex coniuge specificamente individuati dalla documentazione prodotta.

Deduce che la discrezionalità del giudice negli accertamenti dei redditi dei coniugi valendosi delle indagini di polizia tributaria, incontra un limite nel senso che il giudicante non può rigettare le richieste della parte relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali le richieste si basano, avendo in tal caso l’obbligo di disporre tali accertamenti.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 comma 6 l. div. per essere stata esclusa dalla Corte la componente compensativo-perequativa nella determinazione dell’assegno di divorzio.

La ricorrente deduce di avere sofferto nel corso della vita matrimoniale di varie patologie psichiatriche e di crisi depressive che le hanno impedito di dare un contributo alla vita matrimoniale, certamente non per sua responsabilità e quindi è stato ingiustamente privata della componente compensativo.

Deduce che il giudice del rinvio, illegittimamente, pur dando atto dell’impossibilità oggettiva per essa ricorrente di procurarsi un reddito, non ha tenuto conto delle ragioni della suddetta impossibilità determinata dalla depressione grave dalla quale la donna era affetta, già in costanza di matrimonio.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c., avendo la Corte ritenuto inapplicabile la componente perequativo-compensativa nella determinazione dell’assegno divorzile, avendo applicato la sola componente assistenziale, senza dare rilievo alle prove documentali offerte da essa ricorrente.

La ricorrente lamenta che la Corte si è limitata ad effettuare una mera liquidazione in misura assistenziale, senza considerare le prove offerte attestanti la patologia depressiva grave dalla quale ella era affetta, già in costanza di matrimonio, e della quale la ricorrente non aveva alcuna colpa.

La suddetta patologia ha rivestito un ruolo eziologico fondamentale nella mancata occupazione e nel mancato raggiungimento di una posizione professionale.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta ex art 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, nella quantificazione dell’assegno divorzile, consistente nell’effettivo reddito della controparte superiore a quello fiscalmente dichiarato.

La ricorrente deduce che tramite la documentazione prodotta aveva dato prova di fatti e circostanze specifiche e concrete indicative della percezione da parte dell’ex coniuge di redditi cospicui derivanti dall’attività professionale di avvocato e da ulteriori incarichi remunerativi, compensi di gran lunga superiori alle inattendibili dichiarazioni fiscali.

6.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta il travisamento della prova documentale e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativo al patrimonio immobiliare ereditato da essa ricorrente; la ricorrente deduce che la Corte non ha tenuto conto di sentenze di usucapione da essa prodotte che dimostravano come alcuni di questi immobili erano stati usucapiti da terzi e pertanto essa era di fatto proprietaria soltanto in quota per 4/24 di un immobile ubicato in Catanzaro, non produttivo di reddito e necessitante di opere di manutenzione.

7.- Con il settimo motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per non avere la Corte effettuato alcuna valutazione del patrimonio immobiliare degli ex coniugi anche in violazione del principio conformativo derivante dalla rescindente ordinanza della Corte di Cassazione emessa nel 2022.

La ricorrente deduce che la Corte di appello di Catanzaro ha ritenuto nella propria decisione che essa fosse proprietaria di diversi terreni agricoli e di ben quattro immobili per successione alla madre, senza considerare la documentazione probatoria sulle effettive proprietà di essa ricorrente e che la stima degli immobili è stata unilateralmente effettuata con una relazione di parte non giurata che non assurge a prova ma è qualificabile come una mera allegazione difensiva di parte, per di più contestata dalla ricorrente.

8.- I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono parzialmente fondati.

Le censure della parte si concentrano essenzialmente su tre punti.

8.1.- Andando in ordine logico, il primo punto è il denunciato errore della Corte d’appello nel riconoscere l’assegno di divorzio nella sua sola componente assistenziale e non anche nella componente perequativo compensativa, in quanto la circostanza che ella non abbia svolto alcuna attività durante la vita matrimoniale è dovuta ad una patologia psichiatrica ed è quindi incolpevole.

8.2.- Il secondo punto è il denunciato errore della Corte d’appello nello stimare la posizione economica del suo ex coniuge, avvocato, negando le indagini di polizia tributaria nonostante ella abbia depositato copiosa documentazione dalla quale si evince che l’ex coniuge svolge attività professionale non solo a (OMISSIS) ma anche a (OMISSIS) e che ha rilevanti incarichi da parte di diverse società ed enti.

8.3.- Il terzo punto è il denunciato errore della Corte d’appello nel non tenere conto di alcuni documenti e segnatamente le sentenze di usucapione che attestavano come il suo patrimonio immobiliare fosse inferiore a quello stimato, peraltro sulla base di un atto di parte e cioè di una perizia giurata.

9.- Il primo rilievo è infondato.

L’assegno di divorzio, avente funzione assistenziale e anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. n. 26520 del 11/10/2024).

L’assegno può quindi riconoscersi solo nella sua componente assistenziale sempre che si tratti di un’assenza di mezzi oggettiva cioè non legata a comportamenti inerti o contrari al principio di autoresponsabilità da parte del coniuge divorziato; in tal caso l’assegno divorzile viene parametrato tendenzialmente sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c. pur dovendosi tenere conto della condizione delle parti e delle esigenze di vita del soggetto avente diritto, in relazione alla sua condizione personale, sociale ed economica (Cass. 19306/2023; Cass. 13420/2023; Cass. n. 5055/2021).

Corretto appare quindi, nella specie, il riconoscimento della componente assistenziale dal momento che si tratta di una donna non più giovane e che ha delle serie patologie con invalidità al 75% e che – come appare pacifico tra le parti – non possiede competenze spendibili sul mercato del lavoro; ma non può riconoscersi la finalità compensativa dell’assegno divorzile, poiché questa presuppone oggettivamente che sia stato dato un contributo alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge.

La ricorrente non contesta di non avere dato alcun contributo alla vita coniugale (peraltro dal matrimonio non sono nati figli) e alla formazione del patrimonio comune o del coniuge, ma assume che ciò non dipendeva da accordi assunti bensì dal suo stato di salute ragione delle sue patologie.

Tuttavia la circostanza che il mancato contributo alla vita coniugale e alla formazione del patrimonio familiare sia incolpevole nulla toglie che in tali casi non si può riconoscere la componente compensativa perché oggettivamente non vi è stato alcun contributo e si discute -appunto- solo della componente assistenziale; la circostanza che l’avente diritto soffra di patologie può incidere sul quantum della componente assistenziale, che può essere elevato tenendo conto di questa peculiare condizione e delle necessità ad essa connesse.

  1. – Le censure colgono invece nel segno là dove lamentano che la Corte d’appello di Catanzaro non abbia correttamente e compiutamente ricostruito la condizione economico patrimoniale del soggetto obbligato e che non abbia disposto indagini di polizia tributaria. La Corte di merito si è limitata all’esame delle dichiarazioni dei redditi verificandone il decremento e non ha tenuto conto dei molteplici elementi indicativi dello svolgimento di attività professionale remunerativa.

Deve qui ricordarsi l’orientamento di questa Corte, secondo il quale il giudice del merito pur non essendo obbligato disporre le indagini di polizia tributaria non può tuttavia respingere la domanda deducendo che la parte non ha offerto prova, specie ove questa abbia offerto elementi indicativi della incompletezza o inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell’assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini. (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

Deve rilevarsi che la ricorrente non ha chiesto indagini esplorative, ma ha indicato specificamente gli enti che hanno conferito incarichi al suo ex coniuge così come le attività svolte (i ruoli di udienze, le procedure) il che consente il cd. controllo incrociato.

Inoltre, nel provvedimento della Corte, non si evincono le ragioni per le quali non sono state ammesse le richieste istruttorie di esibizione e documenti sugli incarichi conferiti al controricorrente e sulle relative retribuzioni, considerando che sul punto la ricorrente aveva già fornito un principio di prova.

Ugualmente coglie nel segno la censura relativa alla stima delle condizioni economiche della ricorrente, dal momento che si deve tenere conto, in primo luogo, soltanto dei beni che sono nella sua effettiva titolarità e disponibilità (escludendo quindi quelli usucapiti da terzi) ed inoltre che il possedere beni pro quota potrebbe anche non tradursi in una effettiva disponibilità di reddito, in particolare quando la quota sia di scarsa rilevanza, sicché il valore venale del bene in questi casi è un elemento poco indicativo al fine di valutare la effettiva consistenza dei mezzi di cui dispone la persona, poiché i mezzi devono anche essere adeguati, e cioè idonei a consentirle una vita libera e dignitosa.

E’ poi non agevolmente comprensibile la ragione per la quale la Corte ha ritenuto di stimare il valore della quota di beni immobili della ex moglie (pur cadendo negli errori di cui si è detto) e non abbia accertato il valore degli immobili di proprietà dell’ex marito limitandosi a dare atto che egli è proprietario «degli immobili già adibiti a casa coniugale ed a studio professionale».

In sintesi, può dirsi che è mancato, nel provvedimento della Corte d’appello, un effettivo e puntuale accertamento delle reali condizioni economico patrimoniali delle parti, anche tramite indagini di polizia tributaria sui punti indicati dalla ricorrente, e di quali siano le effettive esigenze della richiedente, in particolare se ella è o meno in grado di fare fronte -in tutto o in parte- a dette esigenze con i mezzi che ha realmente a disposizione, considerate le sue condizioni personali e di salute.

Ne consegue, in accoglimento per quanto di ragione dei motivi primo, secondo quinto, sesto e settimo respinti il terzo e il quarto, la cassazione sul punto del provvedimento impugnato e il rinvio al giudice di merito per un nuovo esame, nei termini indicati al punto 10; trattandosi della terza cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Catanzaro il processo va rinviato al giudice di altro distretto, che si individua nella Corte d’appello di Reggio Calabria.

 

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