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*Reato – Estorsione – Obbligare un imprenditore all’assunzione integra il reato di estorsione

by Filippo Barosio - Avvocato
25 Settembre 2025
in Diritto Penale
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Cassazione penale, sentenza 19 settembre 2025, n. 31302

            PRINCIPIO DI DIRITTO

         Si tratta di principi ormai pacifici che, in caso analogo a quello in esame, hanno portato a riconoscere che ricorre il reato di estorsione, e non già quello di violenza privata, nella condotta consistita nel costringere, mediante violenza o minaccia, un imprenditore ad effettuare una assunzione non necessaria, essendo ingiusto, in quanto connesso ad azione intimidatoria, il profitto per la persona indebitamente assunta e sussistendo altresì il danno per la vittima, costretta a versare la relativa retribuzione (Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, dep. 2006, Calabrese, Rv. 233837 – 01; conf. Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De, Rv. 266079 – 01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rg. Rv. 258168 – 01).

         TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. C.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 20/11/2023 con la quale la Corte d’appello di Bari ha confermato il giudizio di penale espresso nei suoi confronti dal Tribunale cittadino il 30/9/2022 in ordine al delitto di cui agli artt. 56– 629 c.p., parzialmente riformando la sentenza di primo grado solo in ordine al trattamento sanzionatorio.

A sostegno del ricorso, con unico motivo di impugnazione, ha dedotto la violazione di legge – con riferimento agli artt. 56 e 629 cod. pen. – ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata, assumendo che la condotta finalizzata a costringere un imprenditore ad assumere il lavoratore, quale quella oggetto di imputazione, non integrerebbe un atto estorsivo poiché la pretesa di un’assunzione lavorativa per ovviare alla disoccupazione non produrrebbe un ingiusto profitto né un danno ingiusto, in quanto il lavoratore svolge una prestazione di lavoro a fronte di una retribuzione.

A sostegno di tale tesi ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui si configura il delitto di violenza privata, e non quello di estorsione, nel caso in cui la minaccia posta in essere dall’agente abbia ad oggetto la richiesta di riassunzione presso un cantiere di lavoro dal quale lo stesso era stato precedentemente licenziato, atteso che tale minaccia, pur essendo diretta al conseguimento di un ingiusto profitto, non arreca alcun danno ingiusto alla vittima, che dovrebbe retribuire l’attività lavorativa che si intende effettivamente prestare, ma si limita a comprimerne l’autonomia contrattuale con l’imposizione di una posizione lavorativa regolare (Sez. 2, n. 27556 del 17/05/2019, Amico, Rv. 276118 – 01).

  1. Con memoria scritta il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Fabio Picuti, ha chiesto il rigetto del ricorso.
  2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

Le sentenze di merito, infatti, hanno dato adeguatamente conto degli elementi in base ai quali si è riconosciuto che il C.P. ebbe ad avanzare ripetutamente richieste alla persona offesa di assumerlo a tempo indeterminato come lavoratore dipendente della sua società di vendita all’ingrosso di cereali e sementi, fino a presentarsi al suo cospetto in compagnia dei coimputati, ed in tale occasione rinnovando la richiesta di assunzione con la minaccia di rompergli la testa, ed accentuandone il carattere minaccioso facendo riferimento anche alla disponibilità di un’arma e tentando di aggredire fisicamente la persona offesa, non riuscendo in tale ultimo intento solo grazie all’intervento di terzi che consentivano alla vittima di fuggire dal bar in cui il fatto era avvenuto (non prima di essere colpita da uno degli accompagnatori del C.P.).

Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, non contestata dal ricorrente nemmeno nel giudizio di merito, senza incorrere in vizio logico alcuno la Corte ha riconosciuto l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno – richiesto dall’alt. 629 cod. pen. – in quanto implicito nel fatto stesso che si sia tentato di costringere la vittima all’assunzione in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune. Ciò in coerenza con i principi generali secondo cui nel delitto di estorsione c.d. contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Pmt, Rv. 278998 – 01, fattispecie in cui la Corte ha evidenziato la compromissione dell’autonomia contrattuale della vittima, costretta ad assumere una persona non scelta da lei come “buttafuori” del locale di sua proprietà, senza la possibilità di valutarne le qualità personali, dì particolare importanza in ragione della delicatezza delle mansioni).

Si tratta di principi ormai pacifici che, in caso analogo a quello in esame, hanno portato a riconoscere che ricorre il reato di estorsione, e non già quello di violenza privata, nella condotta consistita nel costringere, mediante violenza o minaccia, un imprenditore ad effettuare una assunzione non necessaria, essendo ingiusto, in quanto connesso ad azione intimidatoria, il profitto per la persona indebitamente assunta e sussistendo altresì il danno per la vittima, costretta a versare la relativa retribuzione (Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, dep. 2006, Calabrese, Rv. 233837 – 01; conf. Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De, Rv. 266079 – 01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rg. Rv. 258168 – 01).

Peraltro, non giustificherebbe la qualificazione del fatto come mero tentativo di violenza privata nemmeno l’orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente, decisamente minoritario, secondo il quale integrerebbe tale delitto, e non quello di estorsione, la minaccia che abbia ad oggetto la richiesta di riassunzione presso un cantiere di lavoro dal quale lo stesso era stato precedentemente licenziato in quanto, pur essendo questa diretta al conseguimento di un ingiusto profitto, non arrecherebbe alcun danno ingiusto alla vittima, che dovrebbe retribuire l’attività lavorativa che si intende effettivamente prestare, ma si limita a comprimerne l’autonomia contrattuale con l’imposizione di una posizione lavorativa regolare (Sez. 2, n. 27556 del 17/05/2019, Amico, Rv. 276118 – 01): come ha evidenziato la sentenza impugnata (cfr. pag. 4), infatti, nel caso di specie, “il C.P. non essendo munito di patente C o E non possedeva i requisiti necessari per essere assunto “, sicché la sua assunzione avrebbe comunque comportato un innegabile danno economico per la persona offesa, costretta ad assumere e retribuire persona inidonea allo svolgimento dell’attività lavorativa.

  1. La declaratoria d’inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – apparendo evidente la proposizione del ricorso aver determinato la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità di questa – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria

 

 

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