CEDU, Sez. III, sentenza 8 aprile 2025, n. 47600/17
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il diritto alla libertà di espressione degli avvocati (art. 10 CEDU), pur riconoscendo loro un margine di critica più ampio nell’esercizio della difesa, non è illimitato. Qualora le affermazioni rivolte a un giudice o a un tribunale assumano carattere di scherno, denigrazione personale o insinuino incompetenza e abuso di funzione, esse travalicano la critica legittima ed entrano nell’ambito dell’insulto. In tali casi, una sanzione pecuniaria, se proporzionata e sottoposta a controllo giudiziario effettivo, non viola l’art. 10, potendo essere considerata necessaria in una società democratica per salvaguardare l’autorità e l’imparzialità della giustizia.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
Denunciata violazione dell’articolo 10 della Convenzione
- Il ricorrente lamentava che la semplice imposizione dell’ammenda fosse già di per sé una violazione del suo diritto alla libertà di espressione, ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione, che recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo a frontiere. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinematografia o di televisione.
- L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto a talune formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni, previste dalla legge e che costituiscano misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o la pubblica sicurezza, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.”
- Ammissibilità
- Il Governo sosteneva che il ricorso fosse manifestamente infondato. Pur non contestando che l’ammenda inflitta al ricorrente avesse rappresentato un’ingerenza nel suo diritto alla libertà di espressione, ha affermato che essa fosse conforme alla legge, perseguisse uno scopo legittimo, fosse proporzionata e necessaria in una società democratica.
- Il ricorrente ha contestato la tesi del Governo.
- La Corte osserva che il ricorso non è né manifestamente infondato né inammissibile per altri motivi ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ammissibile.
- Merito
- Le osservazioni delle parti
(a) Il ricorrente
Il ricorrente ha contestato che le sue osservazioni davanti ai giudici nazionali fossero offensive, sostenendo che si trattasse solo di giudizi di valore, centrati sulla “cattiva conduzione” del procedimento da parte del giudice dell’esecuzione. Ha affermato di essersi limitato a esprimere la propria opinione sul cattivo funzionamento passato della magistratura e sulla necessità che essa funzionasse meglio in futuro. Ha sostenuto che la motivazione dei giudici interni fosse insufficiente e contraddittoria, e che non fossero soddisfatti i criteri della “necessità in una società democratica”. Infine, ha sottolineato che la decisione di infliggergli l’ammenda era stata presa dallo stesso giudice che si era sentito offeso dalle sue osservazioni.
(b) Il Governo
Il Governo ha ribadito che l’ingerenza era conforme alla legge, perseguiva uno scopo legittimo, era proporzionata e necessaria in una società democratica. Ha richiamato la ricca giurisprudenza nazionale in materia di libertà di espressione nelle aule giudiziarie, sottolineando che anche la Corte costituzionale aveva escluso la violazione.
Il Governo ha sostenuto che l’atto di opposizione del ricorrente contenesse numerose offese verso il tribunale e i giudici, colpendone il carattere, l’intelligenza e screditandone esperienza, conoscenze e lavoro. Ha ritenuto che il tono fosse sarcastico e minaccioso, e che lo stesso ricorrente non lo avesse negato. Ha sottolineato che la dichiarazione del ricorrente secondo cui i giudici avrebbero dovuto essere sostituiti – implicando quindi la perdita del loro incarico – fosse particolarmente preoccupante in considerazione della posizione politica del ricorrente, allora consigliere comunale e poi vice-ministro della giustizia. Tale affermazione, secondo il Governo, aveva avuto un effetto particolarmente dannoso sull’autorità e l’imparzialità dei tribunali.
Inoltre, il Governo ha rilevato che l’affermazione del ricorrente secondo cui le azioni e le decisioni del tribunale avessero “raggiunto assolutamente il livello di abuso d’ufficio” costituiva un’accusa diretta di responsabilità penale nei confronti del giudice, formulata senza alcuna prova, configurando così un attacco personale gratuito.
Infine, il Governo ha sostenuto che il ricorrente, in qualità di avvocato e rappresentante di altri individui oltre che di sé stesso, fosse soggetto a doveri particolari quando si rivolgeva ai giudici, e che la sua libertà di espressione in tale contesto fosse quindi più limitata rispetto a quella di una parte privata.
- Valutazione della Corte
(a) Esistenza di un’ingerenza
Il Governo non ha contestato che l’ammenda inflitta per le osservazioni contenute nell’atto di opposizione del ricorrente costituisse un’ingerenza nella libertà di espressione garantita dall’articolo 10 § 1. La Corte non vede ragioni per concludere diversamente.
(b) Giustificazione dell’ingerenza
L’ingerenza contrasterebbe con l’articolo 10 della Convenzione se non fosse “prevista dalla legge”, se non perseguisse uno degli scopi legittimi indicati al § 2 e se non fosse “necessaria in una società democratica”.
(i) “Prevista dalla legge”
La Corte osserva che l’ingerenza aveva una base legale, ossia l’articolo 46 della Costituzione e gli articoli 33 e 51 della Legge sull’esecuzione forzata. Essa era quindi prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 10 § 2 della Convenzione.
(ii) Scopo legittimo
La Corte rileva che l’ammenda inflitta al ricorrente a causa delle osservazioni rivolte ai giudici perseguiva lo scopo legittimo di salvaguardare l’autorità del potere giudiziario, ai sensi dell’articolo 10 § 2 della Convenzione.
(iii) “Necessaria in una società democratica”
(α) Principi pertinenti
I principi generali sull’accertamento della “necessità in una società democratica” sono consolidati nella giurisprudenza della Corte. In sintesi: la libertà di espressione è uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, … [segue esposizione completa dei principi generali riportati nella sentenza].
I principi generali specifici per i casi di oltraggio alla corte sono stati ribaditi nella causa Radobuljac c. Croazia. In particolare, il ruolo speciale degli avvocati … [segue richiamo completo ai principi, tra cui distinzione tra critica e insulto, margine di apprezzamento, necessità di tutela dell’autorità giudiziaria].
Applicazione dei principi al caso di specie
La Corte analizza nel dettaglio il caso concreto: riconosce che le espressioni usate avevano un carattere derisorio e personale, che potevano essere dirette al singolo giudice; sottolinea che non era necessario ricorrere a quel linguaggio per criticare la decisione; rileva che vi era stato un controllo giudiziario effettivo sul provvedimento sanzionatorio; evidenzia che l’ammenda, pari a circa 425 euro, era al limite inferiore della scala e non aveva inciso sulla possibilità del ricorrente di esercitare la professione.
Ne consegue che non vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione.