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* Reato – Stalking – Molestie – Non sempre il voler far pace porta a buone conseguenze, chiamate e messaggi per riconciliarsi configurano il delitto di molestie

by Filippo Barosio - Avvocato
15 Ottobre 2025
in Diritto Penale
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Cassazione penale, I, ud. dep. 03.10.2025, n. 32770

PRINCIPIO DI DIRITTO

Non può, pertanto, darsi seguito a quanto statuito, peraltro in relazione alla diversa fattispecie della messaggistica telematica, da Sez. 1, n. 40033 del 06/06/2023, D., Rv. 285371 – 01, secondo cui «Non integra la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone l’invio di messaggi mediante le applicazioni (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui notifiche, in quanto disattivabili con i sistemi di alert o preview, dipendono da una scelta del destinatario, che può sottrarsi all’interazione immediata con il mittente», dovendosi – ribadendo il già illustrato principio di diritto – statuire che «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere la condotta illecita, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita, poiché l’eventuale interruzione dell’azione molesta o disturbatrice tenuta per petulanza o per biasimevole motivo non può che intervenire dopo che la stessa si è già realizzata. (Fattispecie relativa ad imputato che, dopo la fine di una relazione sentimentale, aveva nell’arco di circa venti giorni effettuato numerose chiamate vocali e inviato numerosi messaggi di testo alla persona offesa, al fine di riallacciare la relazione sentimentale)».

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso è inammissibile a cagione della manifesta infondatezza dei motivi che lo sostengono.
  2. La contravvenzione prevista dall’art. 660 cod. pen. mira a tutelare la tranquillità pubblica, che può essere turbata in conseguenza di fatti di disturbo o molestia che, posti in essere ai danni di un singolo individuo, possono determinare reazioni tali da causare disordini per l’ordine pubblico: in particolare, secondo Sez. 1, n. 11208 del 29/09/1994, Bolani, Rv. 199624 – 01, «Con la disposizione prevista dall’art. 660 cod. pen. il legislatore, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l’interesse privato, individuale, riceve una protezione soltanto riflessa, cosicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate»

L’elemento materiale del reato consiste nella molestia o nel disturbo, che devono essere realizzati in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con il mezzo del telefono.

Il disturbo è integrato da una condotta che altera le normali condizioni in cui si svolge l’occupazione delle persone; la molestia viene, invece, definita come ciò che altera dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, essendo irrilevante se si tratti di alterazione durevole o momentanea: tanto è stato confermato dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 172 del 7 maggio 2014, aderendo al significato che la parola assume secondo il senso comune, ha evidenziato che molestare significa «alterare in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona normale», essendo questo «il significato evocato dall’art. 660 cod. pen., in cui viene fatto riferimento alla molestia per definire il risultato di una condotta».

La giurisprudenza ha precisato che è necessaria «una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto» (Sez. F, n. 45315 del 07/08/2019, Manassero, Rv. 277291 – 01): a ciò consegue che, in presenza di un fatto oggettivamente molesto o che arreca disturbo, è irrilevante che la persona offesa non abbia percepito o subito alcun fastidio.

La norma incriminatrice richiede che la condotta molesta o disturbatrice sia tenuta «per petulanza o per altro biasimevole motivo» (sicché se ne è inferito che il reato non è configurabile in caso di molestie reciproche, quando, cioè, tra le stesse vi sia stato un rapporto di immediatezza o, comunque, un nesso di interdipendenza: cfr. Sez. 5, n. 11679 del 13/12/2022, dep. 2023, Gaudesi, Rv. 284250 – 01); questa Corte ha in proposito chiarito che «per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà» (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, dep. 2018, Girone, Rv. 272397 – 01): si è, ad esempio, statuito che «Integra il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà» (Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, P., Rv. 280495 – 01).

Secondo l’orientamento di legittimità venutosi oramai a consolidare, il reato «non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza» (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, dep. 2014, Moresco, Rv. 258260 – 01); in proposito, si è ulteriormente puntualizzato che «Il reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo necessariamente abituale, in quanto suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti indicati dall’art. 660 cod. pen., può in concreto assumere la forma dell’abitualità, incompatibile con la continuazione, allorché sia proprio la reiterazione delle condotte (nella specie, numerose telefonate notturne, spesso mute) a creare molestia o disturbo» (Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018, Papagni, Rv. 276309 – 01; in termini, più di recente, Sez. 1, n. 12703 del 17/01/2025, P., Rv. 287787 – 01).

Quando, come nel caso di specie, il reato venga commesso con il mezzo del telefono, ai fini della configurabilità del reato in oggetto «ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita; ne consegue che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi whatsapp». (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, D’Antoni, Rv. 282045 – 01).

Pur trattandosi di una contravvenzione, per l’integrazione del reato in esame occorre il dolo; difatti, sulla base della formulazione della fattispecie incriminatrice, il fatto che reca disturbo o molestia deve essere commesso per lo specifico motivo della petulanza o per altro biasimevole motivo: si è conseguentemente statuito che «In tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto» (Sez. 1, n. 50381 del 07/06/2018, Vidoni, Rv. 274537 – 01).

  1. Alla luce di queste consolidate coordinate ermeneutiche, deve rivelarsi la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.

La prima parte del motivo è del tutto inconferente, poiché, come si è visto, la condanna è intervenuta per le chiamate vocali ed i messaggi di testo che il ricorrente inviò alla persona offesa tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), e non per l’episodio del (OMISSIS) verificatosi sul pianerottolo dell’abitazione della persona offesa, che neppure è stato menzionato nella motivazione dell’impugnata sentenza.

Quanto alle residue doglianze, si chiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda, non potendosi ritenere illogiche o frutto di un travisamento delle prove le conclusioni alle quali la sentenza impugnata è pervenuta all’esito della disamina della deposizione della persona offesa e della documentazione in atti, tanto in punto di attendibilità della persona offesa (che il ricorrente neppure mette in discussione), quanto in punto di idoneità delle condotte oggetto di contestazione ad integrare il reato di cui all’art. 660 cod. pen.

Si tratta di conclusioni perfettamente coerenti con la illustrata giurisprudenza di legittimità, poiché, come si è visto, la condotta può essere ritenuta molesta se provoca «una intrusione nell’altrui sfera personale connotata da una significativa estensione temporale» (così Sez. 5, n. 52585 del 27/10/2017, Gullo, Rv. 271634 – 01), ed altresì se è ispirata da petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri: elementi che, a ragione, sono stati ritenuti sussistenti nel caso di specie, a fronte di decine di telefonate effettuate e di messaggi inviati dal ricorrente alla persona offesa nel periodo compreso tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), così da interferire in maniera sgradevole nell’altrui vita privata; ineccepibili, ed ancora una volta perfettamente coerenti con la giurisprudenza di questa Corte, sono le considerazioni del giudice di merito circa l’irrilevanza delle ragioni che hanno spinto il ricorrente ad agire, essendo sufficiente la coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo; rimane, infine, del tutto irrilevante che la persona offesa – come enfatizzato dal ricorrente – non abbia inteso attivare sul proprio apparecchio cellulare alcun sistema di blocco dei messaggi provenienti dall’utenza dell’imputato, poiché la condotta, per essere molesta, deve essere prima avvertita come tale, con la conseguenza che la possibilità di interrompere l’azione perturbatrice non può che sorgere dopo che la molestia si è già realizzata (cfr. Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, D’Antoni, Rv. 282045 – 01, secondo cui «ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita»; in termini, ancor più di recente, Sez. 1, n. 15256 del 19/02/2025, R., n.m.).

Non può, pertanto, darsi seguito a quanto statuito, peraltro in relazione alla diversa fattispecie della messaggistica telematica, da Sez. 1, n. 40033 del 06/06/2023, D., Rv. 285371 – 01, secondo cui «Non integra la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone l’invio di messaggi mediante le applicazioni (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui notifiche, in quanto disattivabili con i sistemi di alert o preview, dipendono da una scelta del destinatario, che può sottrarsi all’interazione immediata con il mittente», dovendosi – ribadendo il già illustrato principio di diritto – statuire che «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere la condotta illecita, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita, poiché l’eventuale interruzione dell’azione molesta o disturbatrice tenuta per petulanza o per biasimevole motivo non può che intervenire dopo che la stessa si è già realizzata. (Fattispecie relativa ad imputato che, dopo la fine di una relazione sentimentale, aveva nell’arco di circa venti giorni effettuato numerose chiamate vocali e inviato numerosi messaggi di testo alla persona offesa, al fine di riallacciare la relazione sentimentale)».

  1. Manifestamente infondato è anche il motivo relativo alla omessa risposta del giudice alla richiesta di proscioglimento formulata ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., dovendosi dare continuità al principio in base al quale «La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen.nel caso di reiterazione della condotta tipica […] senza necessità di esplicita motivazione sul punto» (Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794 – 01).

Si tratta, peraltro, di doglianza non proponibile in questa sede, poiché la relativa richiesta non risulta essere mai stata formulata al giudice di merito, come si evince dalla lettura del verbale dell’ultima udienza dibattimentale, nel quale è indicato che la difesa ha chiesto «assoluzione perché il fatto non sussiste o con la formula ritenuta di giustizia; in subordine minimo della pena e benefici di legge».

  1. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000.

Deve, infine, disporsi che, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, la cancelleria rediga, in calce o a margine del presente provvedimento, opportuna annotazione recante la prescrizione che, in caso di sua diffusione, siano obliterati nella riproduzione le generalità e i dati identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.

 

 

 

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