Tribunale di Grosseto, Sezione Civile, sentenza 11 settembre 2025 n. 685
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va ricondotto il caso in cui si pattuisca una diversa prestazione in luogo di un adempimento inziale, e tale obbligazione venga in effetti eseguita, allo schema legale delineato dall’art. 1197 c.c. (prestazione in luogo di adempimento o datio in solutum), istituto che consente al debitore di liberarsi dal vincolo rendendo una prestazione diversa da quella dovuta, previo consenso del creditore che la ritenga egualmente idonea a soddisfare il proprio interesse.
In tal caso, la norma dispone che l’obbligazione si estingue con l’effettiva esecuzione della diversa prestazione, mentre l’inadempimento del debitore successivamente alla datio in solutum autorizza il creditore a chiedere la risoluzione del negozio solutorio e la conseguente reviviscenza dell’obbligazione originaria
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Con ricorso ex art. 281-decies c.p.c. e pedissequo decreto di fissazione di udienza, ritualmente notificati, E.C. e A.G., rispettivamente ex soci al 90% e al 10% della cancellata D. s.a.s. di C.E., hanno convenuto in giudizio la E. s.r.l., esponendo all’intestato Tribunale che: – la società D. avrebbe prestato attività di mediazione in una compravendita immobiliare stipulata dalla società E. a maggio 2023, e le parti avrebbe pattuito che la provvigione di Euro 12.000,00 (oltre IVA) non sarebbe stata pagata dall’odierna resistente qualora avesse conferito a D., e non revocato successivamente, mandato per la vendita in esclusiva di alcuni appartamenti;
– a seguito di una prima diffida, E. avrebbe affidato detto incarico nel mese di novembre 2023, epperò avrebbe omesso di fornire a D. la documentazione necessaria a portarlo avanti, talché in data 28.2.2024 D. avrebbe intimato la risoluzione dell’accordo con richiesta del pagamento dell’importo globale di Euro 14.640,00;
– nel mese di dicembre 2024, D. avrebbe cessato la propria attività e il credito, come riportato nell’atto di scioglimento, sarebbe stato trasmesso ai soci sigg. C. e G. in proporzione alle rispettive quote societarie.
Tanto premesso, i ricorrenti chiedevano al Tribunale di Grosseto dichiararsi la risoluzione dell’accordo stipulato il 12.5.2023 dalle società D. ed E. e, per l’effetto, condannarsi quest’ultima a pagargli la somma di Euro 14.640,00, in ragione delle rispettive quote, oltre interessi e con vittoria di spese di lite. All’esito dell’udienza cartolare del 10.9.2025, il Giudice dichiarava la contumacia di E. s.r.l. e incamerava la decisione ai sensi dell’art. 281-sexies, co. 3 c.p.c., ritenendo superfluo ogni altro accertamento.
Tanto premesso in fatto, si ritiene in diritto che le domande dei ricorrenti siano fondate e vadano accolte.
Come noto, secondo i noti principi in tema di riparto dell’onere probatorio nelle azioni contrattuali di adempimento, di risarcimento danni da inadempimento e di risoluzione (art. 1453 c.c.), incombe al creditore esclusivamente di dimostrare il titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, e di allegare il fatto d’inadempimento, incombendo poi al debitore convenuto di allegare e dimostrare dei fatti impeditivi, modificativi od estintivi idonei a paralizzare la domanda di controparte (cfr. ex plurimis Cass. n. 826/2015).
Nella fattispecie, i ricorrenti hanno assolto gli oneri di prova che gli incombevano ex art. 2697, co. 1 c.c., producendo in giudizio: il contratto di compravendita immobiliare del 12.5.2023, all’interno del quale la società E., nella sua veste di acquirente, si riconobbe debitrice della società D. della somma di Euro 14.640,00, a fronte della mediazione prestata nella conclusione dell’affare, dichiarando che, per accordo inter partes, l’importo non sarebbe stato pagato se avesse conferito a D., e non revocato successivamente, un mandato di vendita in esclusiva di alcuni appartamenti in costruzione (all. 1); l’atto di conferimento di siffatto incarico, siglato a novembre 2023, dopo un primo sollecito del creditore, in cui E. s’impegnò a consegnare all’agenzia tuttala documentazione atta a consentire l’espletamento del mandato, compresi gli elaborati tecnici, il capitolato d’appalto e il listino prezzi definitivo (all.ti 2 e 3); l e successive contestazioni mosse dalla mandataria agli inadempimenti di E. nel consentirle l’espletamento dell’incarico, con richiesta di pagamento della somma originaria di Euro 14.640,00 (all.ti 4 e 5).
Il congegno negoziale realizzato dai contraenti nel 2023 appare quindi riconducibile allo schema legale delineato dall’art. 1197 c.c. (prestazione in luogo di adempimento o datio in solutum), istituto che consente al debitore di liberarsi dal vincolo rendendo una prestazione diversa da quella dovuta, previo consenso del creditore che la ritenga egualmente idonea a soddisfare il proprio interesse.
In tal caso, la norma dispone che l’obbligazione si estingue con l’effettiva esecuzione della diversa prestazione, mentre l’inadempimento del debitore successivamente alla datio in solutum autorizza il creditore a chiedere la risoluzione del negozio solutorio e la conseguente reviviscenza dell’obbligazione originaria (Cass. n. 943/1978).
Nel caso in esame, benvero, le società D. ed E., in concomitanza con il rogito del (…), convennero di mutare l’oggetto dell’obbligazione, sostituendo la prestazione gravante su E., di pagamento della provvigione immobiliare, con il conferimento di un mandato a favore di D. per la vendita in esclusiva di alcuni immobili, e a garantirne naturalmente il corretto espletamento, tant’è che pure la successiva revoca dell’incarico avrebbe comportato la reviviscenza dell’obbligo di corrispondere la provvigione.
L’odierna resistente non è tuttavia rimasta fedele agli impegni assunti, avendo dapprima tergiversato nel conferimento del mandato, e poi omesso di collaborare affinché venisse efficacemente assolto da D., finendo con il rendersi irreperibile, come d’altronde testimoniato dalla contumacia in questo giudizio.
Non può allora che trovare accoglimento la domanda avanzata dai ricorrenti di risoluzione dell’accordo intercorso il 12.5.2023 fra D. ed E. per inadempimento di quest’ultima e di condanna della stessa a corrispondergli l’importo complessivo pari ad Euro 14.640,00,di cui Euro 13.176,00 a E.C. ed Euro 1.464,00 ad A.G., in virtù delle rispettive quote del 90% e del 10% che vantavano all’interno della società (all.ti 8 e 9).
Credito che, difatti, fu espressamente trasmesso ai due soci all’epoca dello scioglimento della società, e perciò non suscettibile di ritenersi estinto, anche alla luce del principio di diritto recentemente sancito dalla Suprema Corte:
“L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l’estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.
A tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell’avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall’ex-socio, o nei confronti del quale quest’ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l’estinzione del credito” (Cass. SS.UU. n. 19750/2025).
In conclusione, le domande spiegate vanno integralmente accolte. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, con esclusione della fase istruttoria e decisionale, non essendo stata espletata attività in tal senso.