Corte d’Appello di Bari, Sez. I Civile, sentenza 30 settembre 2025 n. 1370
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va presupposta la consapevolezza della procreazione nel danno da deprivazione genitoriale conseguente al mancato riconoscimento del figlio.
La consapevolezza della procreazione, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre, ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio (Così Cass. 9.8.2021 n. 22496).
Inoltre, vanno applicate le seguenti coordinate ermeneutiche ai fini del risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori: occorre che quest’ultimo non abbia assolto ai propri doveri consapevolmente e intenzionalmente o anche solo ignorando per colpa l’esistenza del rapporto di filiazione.
La prova di ciò può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. 28.11.2022 n. 34950).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
– Con un primo (enucleabile) motivo di appello P1 ha lamentato l’erronea valutazione del Tribunale di Trani nella parte in cui ha rigettato la domanda di rimborso della quota di mantenimento che dovrebbe, invece, gravare su C1 per il solo difetto di prova puntuale delle spese da lei affrontate nel corso degli anni, chiedendo il riconoscimento, in via equitativa, del concorso paterno alla contribuzione economica sin dalla nascita del figlio, a tutela del diritto della genitrice ad essere “indennizzata” degli oneri sostenuti.
Inoltre, ha dedotto, richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto, l’irrilevanza del contributo fornito dai familiari, posto che tale circostanza non potrebbe, in alcun modo, esonerare il genitore dall’obbligo di provvedere al mantenimento del figlio, onde il pregiudizio patrimoniale subito dalla madre ammonterebbe a non meno di Euro 38.880,00 (Euro 180,00 x 216 mensilità).
– Con un secondo (enucleabile) motivo di appello P2 ha denunciato l’erronea valutazione operata dal Tribunale di Trani nella quantificazione del danno “endofamiliare” derivante dalla condotta omissiva del padre; in particolare, per aver ritenuto rilevante il momento in cui egli avrebbe scoperto l’identità del genitore, ossia intorno al quattordicesimo anno di età, limitando, consequenzialmente, la liquidazione del danno da tale breve periodo, senza, invece, farlo decorrere dal momento della nascita.
Inoltre, l’impugnante ha contestato i criteri di liquidazione del danno che il primo giudice avrebbe utilizzato sulla scorta di considerazioni personali inerenti al rapporto padre-figlio, in luogo delle tabelle elaborate dagli Uffici giudiziari di merito (ossia quelle del Tribunale di Milano per la perdita del genitore), come da prassi consolidata.
- – Con un terzo (enucleabile) motivo entrambi gli appellanti hanno censurato il capo della sentenza che ha disposto la ripartizione paritaria delle spese di ctu tra le parli e la compensazione integrale delle spese di lite, sostenendo che al l’accertamento genetico avrebbe dato causa, in via esclusiva, C1 e che gli attori hanno, comunque, ottenuto raccoglimento delle domande di riconoscimento della paternità e di risarcimento del danno “endofamiliare” (con ciò presumibilmente alludendo ad una prevalente soccombenza complessiva del convenuto).
- – Con l’appello incidentale C1 ha chiesto l’integrale rigetto della domanda di risarcimento del pregiudizio di natura non patrimoniale sul presupposto della mancanza di prova della consapevolezza della sua paternità e del deficit probatorio in ordine all’esistenza di un danno.
- – Il primo motivo dell’appello principale non può trovare accoglimento per quanto di seguito esposto.
5.1. – Il Tribunale di Trani ha incensurabilmente fondato il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale su due ordini di ragioni: da un lato, la totale assenza di documentazione idonea a comprovare gli effettivi esborsi da parte della madre; dall’altro lato, l’emersione, nel corso del giudizio, di clementi che hanno fatto ritenere come le esigenze economiche del minore fossero state soddisfatte adeguatamente attraverso il sostegno spontaneo offerto dal nuovo compagno della madre e dai suoi genitori.
5.2. – In proposito, appare utile rammentare che il diritto al rimborso delle spese anticipate da un genitore trova il suo fondamento in un’azione di regresso diretta a riequilibrare i rapporti interni tra i genitori stessi laddove, uno di essi, abbia sostenuto integralmente gli oneri che avrebbero dovuto gravare su entrambi (cfr. Cass. 4.11.2010 n. 22506; nel medesimo senso, cfr., a titolo esemplificativo, Cass. 22.11.2000 n. 15063. Cass. 26.5.2004 n. 10124 e, più recentemente, Cass. 30.5.2023 fi. 15098).
Ne deriva che al genitore spetta il diritto di agire in regresso per il recupero della quota relativa al genitore inadempiente, secondo le regole generali sul rapporto tra condebitori solidali ex art. 1299 cod. civ. (“il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi”).
5.3. – Orbene, l’azione di regresso è funzionale a garantire il rimborso esclusivamente a colui che abbia sopportato in proprio l’onere economico; essa non può estendersi a favore di chi non abbia personalmente sostenuto gli esborsi, né può fondarsi su presunzioni ove siano emersi in giudizio contributi spontanei provenienti da terzi; diversamente, si rischierebbe di attribuire un’indebita utilità patrimoniale in assenza di un reale pregiudizio subito.
5.4. – Nella specie, P1 non ha prodotto alcuna documentazione idonea a dimostrare, anche solo “indiziariamente”, le spese che afferma di aver sostenuto per il figlio e le fonti di provenienza delle relative ipotetiche risorse finanziarie impiegate.
Né può ammettersi che tali esborsi possano presumersi “in re ipsa”, posto che il mantenimento di un minore comporta si delle necessità oggettive ed un correlativo dispendio monetario, ma non per questo si può automaticamente ritenere che, nella vicenda in esame, dette necessità siano state soddisfatte con le risorse personali della madre.
Al contrario, proprio dalle dichiarazioni da lei rese nel corso dell’interrogatorio formale e dalle testimonianze assunte è emerso che il nuovo compagno/coniuge della madre ed i familiari di quest’ultima hanno provveduto, in via spontanea, al mantenimento del minore.
Ciò risolvendosi nel difetto di prova che gli oneri economici siano stati sopportati, in qualche misura, dalla madre che ne rivendica il rimborso “pro quota”, risultando, invece, ripartiti e condivisi da terzi estranei al rapporto di filiazione.
Di talché, l’insieme degli elementi sopra indicati consente di escludere l’esistenza di un sacrificio patrimoniale dimostratamente sopportato personalmente dalla genitrice appellante.
- – Il secondo motivo dell’impugnazione principale e l’appello incidentale vanno esaminati congiuntamente in ragione del loro rapporto d’interferenza in ordine alla comune questione che ne costituisce oggetto – ossia la spettanza a P2 del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale e la conseguente determinazione del relativo importo -, dalla cui soluzione dipende l’accoglimento dell’uno o dell’altro.
6.1. – Giova rammentare, al riguardo, che il Tribunale di Trani ha ritenuto la domanda risarcitoria parzialmente fondata nel “quantum”, riconoscendo la sussistenza dell’illecito “endofamiliare” in capo al padre inadempiente, per il disinteresse e la mancata assunzione delle responsabilità genitoriali nei confronti del figlio.
Tuttavia, il Collegio di primo grado, come sopra anticipato, ha precisato che la percezione effettiva del danno da parte dell’attore non è temporalmente coincisa con la nascita, bensì si è concretizzata soltanto intorno al quattordicesimo anno di età, allorché egli ha acquisito consapevolezza della vera identità del padre biologico.
In tale prospettiva valutativa, il Tribunale di Trani ha parametrato il danno all’arco temporale compreso tra il 2011 e il 2014, ossia sino al compimento della maggiore età (come, peraltro, era stato richiesto dall’attore), determinandone l’ammontare con un criterio equitativo, prendendo a riferimento la misura minima dell’assegno di mantenimento previsto in caso di crisi familiare, pari ad Euro 180,00 mensili, e riducendo tale importo del 25% in assenza di allegazioni e prove specifiche circa le concrete ricadute esistenziali subite dall’attore.
La liquidazione è stata, pertanto, pari alla somma già rivalutata di Euro 6.480,00. oltre interessi al tasso legale dalla pronunzia al saldo, con esclusione di ulteriori poste risarcitorie in quanto rimaste sfornite di prova.
6.2. – In termini più esplicativi può dirsi che alla predetta statuizione decisoria sia sotteso il seguente ragionamento: la privazione della figura paterna non si è manifestata sin dalla nascita, poiché P2 ha vissuto i primi quattordici anni di vita nella convinzione che il manto della madre fosse il proprio genitore, ricevendo da quest’ultimo cura, sostegno ed attenzioni tali da sopperire alla mancanza della presenza del padre biologico; ne consegue che l’incidenza concreta dell’illecito omissivo risulta attenuata, giacché la sofferenza derivante dalla scoperta della reale paternità si è collocata in una fase avanzata e più matura della vita dell’attore, dopo che il suo percorso di crescita aveva già trovato validi riferimenti affettivi ed educativi alternativi.
Ciò rende il danno percepito meno grave e “impattante” rispetto alle ipotesi in cui il minore cresca sin dalla nascita “orbato” della figura genitoriale; dunque, l’assenza del padre biologico non risulta essere stata immediatamente percepita da P2 né ha inciso in misura apprezzabilmente significativa fino all’età dell’adolescenza, essendo stato il danno concretamente avvertito solo al momento della scoperta della reale paternità; ne discende che la lesione, pur sussistente, risulta affievolita e perciò produttiva di effetti dannosi più contenuti.
Pertanto, il Tribunale di Trani, individuando quale arco temporale di riferimento quello intermedio tra il quattordicesimo anno e la maggiore età, ha proceduto ad una quantificazione equitativa del danno, reputata proporzionata alla concreta incidenza del comportamento omissivo del genitore sullo sviluppo personale ed emotivo del figlio.
6.3. – Invero, il Collegio del grado superiore non può condividere la suddetta impostazione argomentativa, con la quale il Tribunale di Trani, in realtà, mostra di aver trascurato l’indagine circa la sussistenza dell’illecito “endofamiliare” sotto l’imprescindibile profilo dell’elemento soggettivo della responsabilità “aquiliana”, da accertarsi in capo al genitore inadempiente, e, soprattutto, del momento della sua insorgenza.
In proposito, si è chiarito che il danno da deprivazione genitoriale conseguente al mancato riconoscimento del figlio “presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre, ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio” (Cass. 9.8.2021 n. 22496).
Inoltre, la Suprema Corte ha dettato, “in subiecta materia”, le seguenti coordinate ermeneutiche: “Ai fini del risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori, occorre che quest ultimo non abbia assolto ai propri doveri consapevolmente e intenzionalmente o anche solo ignorando per colpa l’esistenza del rapporto di filiazione.
La prova di ciò può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass. 28.11.2022 n. 34950).
6.4. – Nella specie, occorre precisare che l’appellato non risulta aver contestato la ricostruzione dei fatti sintetizzata a pag. 2 della sentenza impugnata (“…parte convenuta, dopo aver riconosciuto di aver avuto una relazione sentimentale con l’attrice, ha riferito che, all’indomani della notizia della gravidanza, le parti si erano determinate a sugellare il proprio rapporto con il matrimonio e che, tuttavia, tale progetto è naufragato a causa della confessionefatta dalla attrice, in ordine ad una concomitante frequentazione con altro uomo e conseguente dubbio circa l’effettiva paternità in capo a X1 “).
Dunque, quest’ultimo è stato reso pienamente edotto della gravidanza di P1 tanto da proporre alla stessa di contrarre matrimonio e costituire un nucleo familiare insieme al nascituro. Inoltre, la circostanza della concomitante frequentazione di un altro uomo, che gli sarebbe stata inopinatamente rivelata dalla “partner”, non ha, comunque, impedito a C1 di avere la consapevolezza circa il non affatto irrisorio grado di probabilità della sua paternità, ciò che lo avrebbe dovuto indurre al compimento di ogni azione finalizzata a dissipare, fin da sùbito, quel l’eventuale dubbio, come del resto affermato – invero, non senza contraddizione rispetto all’esito decisorio della causa – a pag. 6 della sentenza appellata, dove si legge, testualmente, che “…un elementare principio di responsabilità della paternità, desumibile proprio dall’art. 30 Cost., importa che un soggetto, ove consapevole di aver avuto un rapporto idoneo alla procreazione, ha il dovere di attivarsi per tutelare lo status di filiazione attraverso una serie di iniziative idonee a rimuovere ogni dubbio in relazione alla sussistenza del rapporto di paternità (cfr. Cass. Civ. n. 26250/2013)…” (in realtà, trattasi di Cass. n. 26205/2013).
6.5. – C2 – una volta richiamato il costante principio giurisprudenziale secondo cui gli obblighi genitoriali imposti dagli artt. 147 e 148 cod. civ. sorgono al momento della procreazione, in tal modo determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità “aquiliana” da illecito “endofamiliare” nel caso in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi connessi allo “status” di genitore (così, fra le pronunzie più recenti, Cass. 12.5.2022 n. 15148) deve rilevarsi che le emergenze processuali consentono di ritenere conclusivamente che C1 non ha dimostrato di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di percepire il (o, quantomeno, di acquisire la conoscibilità del) legame genitoriale con P2 in realtà presumibile in termini di qualificata verosimiglianza e plausibilità, e, conseguentemente, di evitare il comportamento abbandonico, fonte di responsabilità per lesione della sfera parentale, fin dal momento della sua nascita.
6.6. – Dunque, la mancata assunzione delle responsabilità genitoriali da parte di C1 in qualità di padre biologico ha indiscutibilmente determinato la lesione del diritto del figlio al riconoscimento e alla presenza paterna (diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti), che non può ritenersi insussistente, ancorché attenuata dalla figura “vicariante'” del compagno/coniuge della madre.
Ne consegue che s’impone il ristoro della sofferenza psicologica presuntivamente patita dal figlio, il cui pregiudizio esistenziale, sebbene mitigato dalla presenza della suddetta figura sostitutiva, è pur sempre sussistente alla luce della mancata costituzione del rapporto parentale, per fatto causalmente imputabile ad una condotta di non assolvimento degli obblighi connessi allo “status” di genitore (cfr., per tutte, Cass. 22.11.2013 n. 26205 e Cass. 12.5.2022 n. 15148).
Dai suesposti rilievi discende la reiezione dell’appello incidentale e, di contro, raccoglimento, per quanto di ragione, di quello principale esperito da P2
6.7. – Quanto al criterio di determinazione dell’entità del pregiudizio non patrimoniale, deve escludersi che quello di natura equitativa utilizzato in primo grado presenti profili di arbitrarietà (cfr., sul punto, Cass. 9.12.2024 n. 31552).
Infatti, non è censurabile la scelta del Tribunale di Trani di non applicare le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per la perdita del rapporto parentale.
Al riguardo, è verosimile supporre che il Collegio di prime cure abbia ritenuto che dette Tabelle trovino più appropriata applicazione in ipotesi differenti, nelle quali il danno deriva dalla morte o dalla perdita definitiva del genitore a seguito di condotta lesiva di un terzo, e concernano, quindi, il pregiudizio subito da vittime secondarie; in tal modo, ravvisando la diversità della fattispecie in esame, che riguarda la responsabilità “aquiliana” del genitore nei confronti del figlio per una condotta omissiva protratta nel tempo.
Di talché, il primo giudice ha incensurabilmente fatto applicazione di un criterio equitativo parametrato alla misura minima dell’assegno di mantenimento previsto in caso di separazione, reputato maggiormente idoneo a ristorare il pregiudizio derivante dalla privazione della figura paterna in conseguenza del mancato riconoscimento del figlio.
6.8. – Di conseguenza, non sussistendo valide ragioni, alla luce delle peculiari circostanze del caso concreto sopra esposte, per dissentire c discostarsi dal criterio determinativo del danno adoperato dal Collegio di primo grado, il credito risarcitorio va riconosciuto con decorrenza dal momento della nascita dell’appellante e fino al raggiungimento della sua maggiore età, in conformità al “petitum” attoreo. Pertanto, a P2 spetta la somma complessiva di Euro 29.160,00 (Euro 180,00 x 12 mesi = Euro 2.160,00 x 18 anni = Euro 38.880,00 – 25%), da intendersi già rivalutata all’attualità, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo.
- – Infine, come sopra detto, con il terzo motivo del gravame principale gli appellanti hanno censurato le statuizioni regolative degli oneri economici del processo di primo grado (costo della ctu e spese legali) attraverso la pronunzia interamente compensativa degli stessi fra le parti.
La disamina di tale doglianza si ricollega al potere del giudice del l’impugnazione di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali allorché si verifichi la riforma totale o parziale della sentenza gravata, in base al disposto dell’art. 336 c.p.c. che prevede il cd. effetto espansivo della riforma in appello, posto che il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite.
Sotto tale profilo il “decisum” finale scaturito dalla pronuncia emessa in sede impugnatoria mostra la reciproca soccombenza parziale dei contendenti, con la vittoria moderatamente prevalente degli appellanti nell’economia complessiva della decisione della causa.
Pertanto, appare rispondente ad un criterio di equità disporre la compensazione di due terzi delle spese del doppio grado del giudizio, con la condanna di C1 al pagamento del residuo terzo.
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