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*Patto di non concorrenza, recesso unilaterale del datore e nullità – Fattispecie

by Giacomo Morandini - Avvocato e Dottore di ricerca nell'università di Roma Tre
24 Ottobre 2021
in Diritto Civile
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In tema di patto di non concorrenza apposto al contratto di lavoro, deve ritenersi nulla per violazione della necessaria temporaneità dell’accordo di cui all’art. 2125 c.c., la clausola di recesso, ovvero di rinuncia, al predetto patto stipulata a favore di parte datoriale. Ed invero , attraverso la medesima, il lavoratore è posto in una situazione di precarietà con riferimento all’esercizio della propria libertà di reperire un’attività lavorativa ovvero esercitare un’iniziativa economica. 

Parimenti deve essere ritenuta nulla la concessione di un patto di opzione con la quale il lavoratore concedente, da un lato, si obbliga immediatamente a non esercitare attività concorrenziale e, dall’altro, il datore di lavoro prelazionario ha facoltà di avvalersi, entro un dato termine, dell’opzione dando così luogo a nullità anche per violazione della struttura tipica che l’art 1331 c.c. imprime al contratto preparatorio in argomento. 

 

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., dell’art. 1344c.c., dell’art. 1373 c.c., in ordine alla nullità della clausola di recesso unilaterale, nonché all’illegittimità del recesso intimatole da Adecco Italia spa. Deduce, in particolare, l’erroneità in punto di riconosciuta validità del recesso unilaterale dal patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, in palese contrasto e difformità dai principi normativi imperativi, anche univocamente richiamati nella giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità. 3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione nonché falsa applicazione dell’art. 1373 c.c., comma 3, dell’art. 1362c.c., dell’art. 2125 c.c., circa l’illegittimità del recesso intimato in corso di rapporto di lavoro. Si sostiene l’erroneità della sentenza in punto di riconosciuta validità del recesso unilaterale del patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, mediante un improprio richiamato principio di diritto, anche contrastante con una diversa previsione contrattuale specifica ovvero con la prevista forma scritta ex lege. 4. Il ricorso è fondato e va accolto in parte qua. 5. I due motivi, per la loro interferenza, devono essere scrutinati congiuntamente e in relazione ad essi vanno richiamati i precedenti di questa Corte di legittimità pronunciati in analoghe vicende (Cass. n. 10536 del 2020; Cass. n. 10535 del 2020; Cass. n. 3 del 2018), cui questo Collegio ritiene di dare seguito. 6. Invero, è stato affermato che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative; inoltre, è stato altresì precisato, sempre con la richiamata giurisprudenza di legittimità, che il fatto che, nella fattispecie, il recesso del patto di non concorrenza sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro non rileva, poiché i rispettivi obblighi si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto, il che impediva al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimeva la sua libertà; ma detta compressione, appunto ai sensi dell’art. 2125 c.c., non poteva avvenire senza l’obbligo di un corrispettivo da parte del datore: corrispettivo che, nella specie, finerebbe per essere escluso ove al datore stesso venisse concesso di liberarsi ex post dal vincolo (cfr. Cass. n. 3 del 2018). 7. Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale secondo cui, la circostanza che il recesso fosse avvenuto in costanza di rapporto di lavoro, addirittura diversi anni prima (oltre sei) dallo scioglimento dello stesso, non concretizzava alcuna compressione della libertà del lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo. 8. Pertanto, premesso che l’obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge, nella fattispecie, sin dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 8715 del 2017), tamquam non esset va considerata la successiva rinuncia al patto stesso appunto perché, mediante questa, si finisce per esercitare la clausola nulla, tramite cui la parte datoriale unilateralmente riteneva di potersi sciogliere dal patto, facendo cessare ex post gli effetti, invero già operativi, del patto stesso, in virtù di una condizione risolutiva affidata in effetti a mera discrezionalità di una sola parte contrattuale (Cass. n. 3 del 2018). 9. La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita. 10. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimità sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione.

Cass. civ., lavoro, ord., 01.09.2021, n. 23723

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