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*Processo – Liquidazione compenso a Commissario straordinario, GA, GO e conflitto negativo di giurisdizione

by Giulio Bacosi - Avvocato dello Stato in Roma
22 Dicembre 2021
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 25 novembre 2021 n. 36592

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

Va preliminarmente ritenuta l’ammissibilità del ricorso nonostante sia stato proposto oltre il termine di 30 giorni ex art. 325 c.p.c. Le ricorrenti F. hanno proposto ricorso ex art. 362 c.p.c. per conflitto negativo di giurisdizione.

Al riguardo va ricordato che ogni voltavil giudice ordinario e il giudice amministrativo abbiano entrambi negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia si è in presenza non già di un conflitto virtuale di giurisdizione risolvibile con istanza di regolamento ex art. 41 c.p.c., ma di un conflitto reale negativo che, ai sensi dell’art. 362, comma 2 c.p.c., può essere denunziato alle Sezioni Unite della Suprema Corte – con atto soggetto agli stessi requisiti formali del ricorso per cassazione – in “ogni tempo” e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che una delle due pronunzie in contrasto, sia o meno passata in giudicato (cfr. tra le altre: Cass., Sez. Un., 3 maggio 2005 n. 9110; Cass., Sez. Un., 26 luglio 2002 n. 11102; Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2000 n. 14; Cass., Sez. Un., 16 dicembre 1997 n. 12727).

Passando al fondo del conflitto negativo di giurisdizione, con l’unico motivo le ricorrenti, nel chiedere la soluzione del conflitto sorto a seguito delle due pronunce, sottolineano che l’entità del compenso del loro dante causa era individuato con D.P.C.M. dell’8 febbraio 2011, per cui la posizione soggettiva vantata sarebbe di diritto soggettivo perfetto per essere interamente disciplinato dalla legge quanto ai criteri che presiedono alla sua quantificazione.

Insistono nel ribadire che la liquidazione del compenso de quo non avrebbe natura discrezionale in quanto dovuto al commissario per la natura sinallagnnatica del rapporto. Censurano, altresì, l’avvenuta condanna da parte del Tribunale al pagamento delle spese processuali delle controparti, nonostante la pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del TAR.

Orbene nella specie si tratta di stabilire se spetti ai giudice ordinario o al giudice amministrativo la giurisdizione sulla controversia insorta a seguito della liquidazione dei compensi in favore del Commissario straordinario F., il quale dopo avere pacificamente percepito due acconti nel corso dell’espletamento del mandato, depositava il conto di gestione chiedendo che venisse liquidato in suo favore il compenso ancora dovuto e non percepito.

Queste Sezioni Unite hanno già avuto occasione di affermare, con riferimento all’art. 15 d.lgs. n. 150 del 2011, che quello al compenso è un diritto soggettivo non degradabile ad interesse legittimo, per cui non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in assenza di una previsione espressa che riconosca la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. Cass., Sez. Un., n.26908 del 2016).

In quella medesima occasione le Sezioni Unite hanno chiarito che la norma invocata, nel prevedere che la proponibilità del ricorso al “capo dell’Ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento”, non ha inteso disciplinare una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, limitandosi ad introdurre una disciplina in tema di competenza che, in relazione all’indiscutibile natura di diritto soggettivo della pretesa del difensore, non può che rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario.

Ritengono le Sezioni Unite che l’orientamento appena ricordato debba essere confermato.

Se, infatti, va escluso che, nella specie, ricorra un caso di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non rientrando la questione dibattuta – quantificazione del compenso del Commissario straordinario da definirsi ai sensi del D.M. n. 570 del 1992 – in nessuna delle tassative ipotesi disciplinate dall’art. 133 c.p.a.; né la controversia potrebbe farsi rientrare nella giurisdizione generale di legittimità del g.a., non essendo in discussione l’esercizio di un potere amministrativo, secondo i ben noti principi espressi dalla Corte costituzionale con le sentenze n.204 del 2004 e 191 del 2006 e più volte recepiti ed attuati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., n. 28651 del 2018).

Conforta siffatta ricostruzione l’orientamento giurisprudenziale, che nell’ambito dell’architettura disegnata dalla Corte costituzionale, e in osservanza del principio di riparto, ha statuito la distinzione tra impugnazione diretta di atti di macro-organizzazione d’interesse generale, devoluta al giudice amministrativo, e tutela di posizione giuridiche individuali, devoluta al giudice ordinario, emersa anche in materia di pubblico impiego privatizzato (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011 n. 22733; Cass., Sez. Un., 31 maggio 2016 n. 11387) e nel contenzioso catastale (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2016 n. 7665), nonché, sia pure con accenti e ambiti differenti, riguardo all’albo degli psicologi (Cass., Sez. Un., 15 marzo 2017 n. 6821).

In sintesi, secondo la giurisprudenza di legittimità, il discrimen tra diritto soggettivo e interesse legittimo risiede nella discrezionalità in cui si articola il procedimento con cui la p.a. stabilisce se il compenso che remunera l’incarico pubblico da essa conferito sia dovuto e la sua misura. Con la conseguenza che nella specie va riconosciuto al Commissario straordinario di procedura concorsuale un diritto pieno ed intangibile a percepire il compenso e l’atto amministrativo impugnato costituisce espressione non già di un potere autoritativo, ma di una discrezionalità limitata, perché estesa alla sola determinazione del quantum, e non anche al profilo dell’an comunque previsto per legge, da compiersi in ossequio ai criteri predeterminati secondo una forbice, tra minimo e massimo, stabilita dallo stesso decreto ministeriale richiamato.

Nella fattispecie in esame va, dunque, sulla base delle superiori considerazioni, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e in particolare del Tribunale di Roma, di cui va cassata la pronunzia declinatoria, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P

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