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*Impiego pubblico – Polizia penitenziaria, mancata vaccinazione e legittima sospensione dal servizio e perdita della retribuzione

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
12 Dicembre 2024
in Diritto Civile
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Corte Costituzionale, sentenza 28 novembre 2024, n. 188

PRINCIPIO DI DIRITTO

Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 – ter, commi 1, lettera d) e 3 del D.L. 1 aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 2021, n. 76, come inserito dall’art. 2, comma 1, del D.L. 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella L. 21 gennaio 2022, n. 3.

Dette questioni sono state sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta, in merito alla sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque la mancata erogazione di un assegno alimentare a causa dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2 del personale della Polizia Penitenziaria.

PARTE RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.– Il TAR per il Lazio, sezione quinta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede per il personale della Polizia penitenziaria, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque la mancata erogazione di un assegno alimentare.

1.1.– Il giudice rimettente, pur non contestando la legittimità dell’obbligo vaccinale, censura le conseguenze che produce nella sfera del lavoratore la mancata ottemperanza al predetto obbligo.

In particolare, viene sostenuta la violazione degli artt. 2, 3, 32, secondo comma, Cost., in quanto le censurate disposizioni, nel precludere al personale della Polizia penitenziaria non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa, impediscono di fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle primarie esigenze proprie e del proprio nucleo familiare, non potendo il lavoratore fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporale particolarmente rilevante.

In tal modo si realizzerebbe un irragionevole bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, con conseguente detrimento del valore della dignità della persona, e si opererebbe di fatto una sorta di «coercizione indiretta» all’adempimento dell’obbligo vaccinale, con conseguente violazione della «libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria».

Il contrasto con l’art. 3 Cost. sarebbe, poi, ravvisabile anche sotto il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza e della irragionevolezza, in quanto le disposizioni censurate impongono la sospensione dal servizio con conseguente perdita della retribuzione a fronte di una condotta non integrante un illecito penale o disciplinare e precludono anche l’applicazione di quelle misure di sostegno che l’ordinamento riconosce in ipotesi di sospensione cautelare del lavoratore coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità.

2.– Le questioni non sono fondate.

3.– In base alla disciplina delineata dal legislatore per far fronte all’emergenza pandemica, la vaccinazione costituiva requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.

Conseguentemente, come già osservato da questa Corte, la sospensione del lavoratore che non avesse ottemperato all’obbligo vaccinale rappresentava per il datore di lavoro «l’adempimento di un obbligo nominato di sicurezza, inserito nel sinallagma contrattuale» (sentenza n. 15 del 2023).

Tale misura è, infatti, coerente con l’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile e dall’art. 18 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

Del pari, sul versante della posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 rientrava nel novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività.

Il datore di lavoro, dunque, era tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione del lavoratore dal momento dell’accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale e fino al suo assolvimento, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge.

La mancata sottoposizione a vaccinazione, determinando, nei termini suddetti, la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere le proprie mansioni, comportava il venire meno (sia pure temporaneo) del sinallagma funzionale del contratto.

In applicazione del principio generale di corrispettività, l’assenza della prestazione lavorativa rende la previsione sulla mancata corresponsione della retribuzione così come di ogni altro compenso o emolumento (sentenza n. 15 del 2023) non contrastante con gli invocati parametri.

4.– Né può giungersi a diverse conclusioni con specifico riferimento alla mancata erogazione dell’assegno alimentare.

Come già chiarito da questa Corte, l’effetto stabilito dalle disposizioni censurate, a norma delle quali al lavoratore inadempiente all’obbligo vaccinale non sono dovuti, nel periodo di sospensione, «la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», giustifica «anche la non erogazione al lavoratore sospeso di un assegno alimentare (in misura non superiore alla metà dello stipendio, come, ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957, e in altri casi dalla contrattazione collettiva), considerando che il lavoratore decide di non vaccinarsi per una libera scelta, in ogni momento rivedibile» (sentenza n. 15 del 2023).

Né possono ritenersi validi tertia comparationis le ipotesi – evocate dal giudice rimettente al fine di sostenere la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento – in cui sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, in base all’art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle diposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).

Oppure, in forza del contratto collettivo di comparto, come stabilito dall’art. 59 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e poi dall’art. 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

In questi casi, invero, la sospensione è una misura provvisoria, priva di carattere sanzionatorio e disposta cautelarmente nell’interesse pubblico, destinata ad essere travolta dall’esaurimento dei paralleli procedimenti; il che rende improponibile la comparazione svolta dal giudice a quo (sentenza n. 15 del 2023).

Come rimarcato da questa Corte nella suddetta sentenza, «la scelta del legislatore di equiparare quei determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva trova lì giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo del lavoratore per il tempo occorrente alla definizione dei relativi giudizi e alla verifica della sua effettiva responsabilità, ancora non accertata».

Nelle ipotesi in cui «il riconoscimento dell’assegno alimentare si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto».

Invece, nel caso in esame «è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile».

5.– Tali conclusioni – ha chiarito questa Corte nella medesima pronuncia – non vengono intaccate pur aderendo alla tesi della natura assistenziale, e non retributiva, dell’assegno alimentare, in quanto comunque non può considerarsi soluzione costituzionalmente obbligata l’accollo al datore di lavoro, in chiave solidaristica, di una provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti connessi al rapporto di lavoro, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia per ciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.

6.– Alla luce delle considerazioni svolte, devono quindi dichiararsi non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede per il personale della Polizia penitenziaria, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque non contempla l’erogazione di un assegno alimentare.

 

 

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