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Home Diritto Penale

*Famiglia – Maltrattamenti diretti e assistiti e distinzione infondata

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
22 Gennaio 2025
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza 17 gennaio 2025 n. 2079

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va configurato il delitto di maltrattamenti in famiglia anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985 – 01).

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati.
  2. […]
  3. Il motivo è infondato.

Il Tribunale del riesame ha rilevato che «se è vero che il giudice [per le indagini preliminari] ha escluso l’abitualità di condotte ingiuriose e minacciose direttamente in danno della figlia, non vi è dubbio che la bimba, di appena cinque anni d’età, abbia assistito nei suoi pochi anni di vita a gravi episodi di violenza fisica, respirando l’insano clima di sopraffazione posto in essere dal padre nei confronti della madre.

Non bisogna infatti sottacere che l’indagato, presente la figlia, ha, tra le altre cose, spinto la moglie in terra facendole urtare il capo contro il radiatore, lanciandole addosso una sigaretta e ha incitato la figlia a lanciare del cibo addosso alla madre, come fosse una pattumiera».

Il Tribunale, dunque, rilevando l’oggettiva gravità degli episodi di sopraffazione accertati, gli ultimi dei quali posti in essere dal ricorrente in epoca anche recente, e degli episodi di percosse ai danni dell’anziana madre, avvenuti sempre al cospetto della figlia, ha ritenuto di «mantenere in vita il blando presidio in corso di esecuzione».

Il Tribunale, dunque, non ha integrato illegittimamente la motivazione carente dell’ordinanza genetica, ma ha solo precisato che la figlia del ricorrente, pur solo sporadicamente vittima di violenze fisiche, ha sistematicamente assistito alle condotte di maltrattamenti poste in essere ai danni della madre.

  1. […]
  2. Il motivo è infondato.

Il ricorrente muove da un distinguo tra «vittima dei maltrattamenti» diretti e vittima dei «maltrattamenti assistiti», che è, tuttavia, privo di adeguato fondamento normativo; nella disciplina vigente, infatti, sia la moglie che la figlia del ricorrente sono, infatti, vittime di maltrattamenti in famiglia e, dunque, non certo illogicamente il Tribunale del riesame ha ritenuto concrete e attuali le esigenze cautelari in relazione ad entrambe.

Il delitto di maltrattamenti è, infatti, configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’Interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985 – 01).

Questa sentenza, in motivazione espressamente rileva che «secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile, i maltrattamenti inflitti da un coniuge all’altro in presenza dei figli possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, a norma dell’art. 330 cod. civ., per le inevitabili ripercussioni negative sull’equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell’ambiente familiare e poiché, ancora, denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita la potestà parentale».

Infondato è, inoltre, il rilievo formulato dal difensore in ordine alla idoneità della misura coercitiva applicata a ledere il rapporto tra padre e figlia, in quanto non si confronta con la necessità prioritaria di preservare l’equilibrio psicofisico della minorenne in ottemperanza al principio dell’interesse preminente del minore.

Questo principio, sancito da una pluralità di strumenti normativi internazionali e dell’Unione europea e dagli artt. 30 e 31 Cost., impone che in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (o dell’interesse superiore”) del minore (C. cost., sentenza n. 102 del 2020).

La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, ritenuto, in tema di maltrattamenti in famiglia, che è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell’indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali (Sez. 6, n. 20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478 – 01).

  1. […]
  2. Il motivo è infondato.

Il Tribunale non ha argomentato espressamente in ordine al divieto di comunicazione tra l’indagato e le persone offese, ma dal complessivo tenore della motivazione del provvedimento impugnato risulta che l’obiettiva gravità degli episodi accertati e l’esigenza di tutelare la minore è stata ritenuta – peraltro non certo illogicamente – allo stato incompatibile con la permanenza delle comunicazioni tra l’indagato e la figlia.

  1. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

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