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Home Diritto Civile

Diritti fondamentali – Dipendente che accede abusivamente ai dati dei clienti, violazione della privacy e licenziamento legittimo

by Dott. Alessio Alfieri
4 Marzo 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. lavoro, ordinanza 25 febbraio 2025 n.4945

PRINCIPIO DI DIRITTO

In tema di licenziamento disciplinare, l’assenza di effettive conseguenze pregiudizievoli per il datore di lavoro o per terzi, ovvero di concreti vantaggi a favore proprio del lavoratore o di terzi, così come l’eventuale comportamento successivo volto ad eliderne gli effetti dannosi, non valgono di per sé ad escludere la rilevanza disciplinare del fatto, potendo piuttosto concorrere, unitamente ad ogni altro fattore oggettivo e soggettivo palesato dal caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l’idoneità della condotta a giustificare la sanzione espulsiva.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2106, 2119 e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancata deduzione di danni conseguenziali all’illecita consultazione dei rapporti bancari di decine di clienti avrebbe escluso la giusta causa di licenziamento.

 Il motivo è fondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che affermato che in tema di licenziamento disciplinare, l’assenza di effettive conseguenze pregiudizievoli per il datore di lavoro o per terzi, ovvero di concreti vantaggi a favore proprio del lavoratore o di terzi, così come l’eventuale comportamento successivo volto ad eliderne gli effetti dannosi, non valgono di per sé ad escludere la rilevanza disciplinare del fatto, potendo piuttosto concorrere, unitamente ad ogni altro fattore oggettivo e soggettivo palesato dal caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l’idoneità della condotta a giustificare la sanzione espulsiva.

 In questa prospettiva è stato altresì precisato che in tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro (Cass. ord. n. 23318/2024; Cass. 8816/2017; Cass. 19674/2014).

La sentenza impugnata non ha fatto quindi corretta applicazione dei consolidati principi di questa Corte. Peraltro, la stessa Corte territoriale, dopo aver disatteso la valutazione del Tribunale in termini di tardività di quella contestazione disciplinare – profilo sul quale, in mancanza di ricorso incidentale del A.A., si è formato il giudicato interno – ha evidenziato la gravità di quelle condotte, laddove ha ricordato la severità ed il rigore con cui il Garante della privacy ha trattato la materia (v. sentenza impugnata, p. 5).

 La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio per la rivalutazione di quelle condotte secondo il parametro di gravità desumibile dall’art. 2119 c.c.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 7 L. n. 300/1970, 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto insufficienti gli indebiti accessi alle schede clienti a legittimare il recesso datoriale e quindi per aver ritenuto necessario procedere anche alla disamina degli addebiti comportamentali ai fini di una valutazione complessiva.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.

3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2119 c.c., 18, co. 4, L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto che essa banca non avesse assolto l’onere probatorio relativo agli addebiti comportamentali. Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 420, 112, 115, 116 c.p.c., 24, co. 2, e 111 Cost. per non avere la Corte territoriale dato corso alla prosecuzione della prova orali richiesta da essa banca.

 Entrambi i motivi sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.

4.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 per avere la Corte ritenuto applicabile la tutela reale depotenziata pur in presenza della prova del fatto contestato, sulla base soltanto della ritenuta sproporzione del licenziamento rispetto a quel fatto.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.

5.- Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 18, co. 4, L. n. 300/1970, 1227 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte territoriale considerato e deciso le eccezioni di aliunde perceptum e di aliunde percipiendum pur da essa sollevate sin dalla fase sommaria del primo grado di giudizio e poi riproposte in grado di reclamo Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.

Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.

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