Consiglio di Stato, Sez. IV – sentenza 28.04.2025 n. 3572
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’adozione di una variante al piano regolatore generale costituisce espressione di un’attività pianificatoria di carattere generale, destinata a produrre effetti erga omnes. In quanto tale, essa non è soggetta all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti coinvolti e interessati, atteso che tale adempimento è escluso per gli atti normativi e generali. Tuttavia, tale principio conosce un’eccezione qualora la variante urbanistica abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su un’area specificamente individuata, ovvero incida in modo diretto, specifico e immediato sugli interessi giuridici di determinati soggetti, come nel caso di proprietari di immobili inclusi in aree interessate da un mutamento di destinazione urbanistica, nei cui confronti sorge l’obbligo di una comunicazione individualizzata.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
Con il contenzioso in esame sono impugnati gli atti del procedimento nonché il provvedimento finale (deliberazione Consiglio comunale n. 19 del 17 aprile 2021), con i quali sono stati riconfermati i vincoli preordinati all’esproprio contenuto nella variante sostanziale di adeguamento del P.R.G. al PTP del Comune di Valtournenche ed è stato chiesto l’accertamento della decadenza del vincolo funzionale all’asservimento del garage prevalentemente interrato sul quale vi sono attrezzature sportive e pertinenze del Condominio.
Il T.a.r. per la Valle d’Aosta rigettava il ricorso respingendo tutti i motivi e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso la sentenza di primo grado, l’attuale ricorrente affidava, con atto d’appello, al Supremo Consesso Amministrativo gli stessi motivi, rispetto ai quali, l’attuale commento si concentra sulla “Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 11, D.P.R. 327/01, dell’art. 7, legge 241/1990, dell’art. 12 legge regionale 19/2007 della Valle D’Aosta, nonché dei principi normativi e giurisprudenziali in materia di comunicazione di avvio del procedimento di reiterazione del vincolo”.
“b) Analogo ragionamento vale per la asserita violazione costituita dalla mancanza di avviso di avvio del procedimento.
Innanzitutto, va ribadito che ai sensi dell’art. 13 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve necessariamente essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200), a meno che la variante abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su di un’area ben individuata (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5229), ovvero sia direttamente incidente sugli interessi di singoli proprietari di immobili insistenti nella zone coinvolta dal mutamento di destinazione urbanistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 4281).
L’articolo 11 del Testo unico espropri DPR 327/2001, rubricato “La partecipazione degli interessati”, prevede espressamente che al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale (cfr. lett. a).
Diversamente, qualora l’opera pubblica e quindi il vincolo preordinato all’esproprio venga inserito nell’ambito di un provvedimento di pianificazione generale, tale onere non risulta previsto.
Nel caso di specie l’impugnata variante attiene ad una prima conferma in blocco di tutti i vincoli espropriativi introdotti con la variante generale del PRG e, dunque, si tratta chiaramente di un atto pianificatorio generale, poiché, trattandosi di reiterazione di tutte le previsioni vincolistiche già in atto, il vincolo in questione ha riguardato in modo omogeneo una generalità di beni, senza porsi quale imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per natura e scopo, sia di esclusiva appropriazione e fruizione collettiva”.
COMMENTO
Premessa:
La comunicazione di avvio del procedimento costituisce lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione del cittadino allo svolgimento dell’attività amministrativa, consentendo al soggetto coinvolto dall’agere amministrativo di avere conoscenza dell’avvio di un procedimento destinato a sfociare nell’emanazione di un provvedimento che produrrà effetti nei suoi confronti, cosi esercitando i diritti che gli sono riconosciuti dalla stessa L. 241 del 1990.
L’istituto della comunicazione risponde a due finalità ben precise, tra loro correlate:
- da un lato, assicura la trasparenza e la pubblicità dell’azione amministrativa, garantendo che questa si svolga secondo modalità che ne assicurino la conoscenza da parte degli interessati;
- dall’altro, è strumentale a consentirne la partecipazione, non solo a fini prettamente difensivi, ma anche collaborativi, posto che consente alla stessa Amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale.
L’art. 7 della L. 241/1990 e s.m.i. individua specificamente i destinatari della comunicazione di avvio del procedimento. Le categorie di destinatari individuate dalla norma sono:
- i soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ovverosia i titolari di interessi legittimi, di natura sia oppositiva che pretensiva (sono dunque esclusi dall’obbligo della comunicazione di avvio quei soggetti verso cui il provvedimento finale produce effetti solo in via mediata e indiretta);
- i soggetti che per legge devono intervenire al procedimento; si tratta soprattutto di soggetti o enti pubblici portatori di interessi differenti rispetto a quelli dell’amministrazione procedente;
- i soggetti, individuati o facilmente individuabili (con l’uso della normale diligenza, sin dal momento iniziale del procedimento e senza dover esperire alcuna minima indagine), che possono subire un pregiudizio dal provvedimento finale (nocumento, giuridicamente apprezzabile, con esclusione dei riflessi indiretti su interessi meramente economici. Il pregiudizio deve in ogni caso essere ravvisabile ex ante e in concreto).
Il legislatore si è preoccupato di fissare in modo tassativo anche il contenuto della comunicazione, che deve indicare: l’amministrazione competente; l’oggetto del procedimento; l’ufficio,il domicilio digitale dell’amministrazione e la persona responsabile del procedimento; le modalità con le quali, attraverso il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 o con altre modalità telematiche, è possibile prendere visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui all’articolo 41 dello stesso decreto legislativo n. 82 del 2005 ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla presente legge; l’ufficio dove è possibile prendere visione degli atti che non sono disponibili o accessibili con le modalità di cui sopra; nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; la data entro cui deve concludersi il procedimento; i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione.
Quanto alle implicazioni connesse all’inoltro di una comunicazione di avvio contenutisticamente carente, prevale in giurisprudenza la tesi secondo cui l’omissione di parte del contenuto della comunicazione non comporta necessariamente illegittimità del provvedimento finale, ben potendo verificarsi che l’interessato, abbia comunque conoscenza del procedimento, avendo acquisito altrimenti tutte le informazioni necessarie: si tratta di un’opzione interpretativa ispirata al principio del raggiungimento dello scopo. Diversamente deve ritenersi nel caso in cui non sia stato comunicato l’oggetto del procedimento, trattandosi di omissione in grado di precludere ogni partecipazione collaborativa del destinatario.
Quanto alle modalità della comunicazione, l’art. 8 prescrive che la comunicazione di avvio debba essere personale, rivolta cioè ad ogni singolo destinatario, con esclusione di qualsiasi comunicazione informale resa a terze persone. La comunicazione deve essere poi fatta necessariamente in forma scritta; nell’ottica di semplificazione e speditezza dell’azione amministrativa, l’art. 3 bis prescrive l’utilizzo di mezzi telematici e/o informatici. Diverso è il caso, espressamente previsto dallo stesso legislatore, in cui la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa per il numero dei destinatari. In tal caso, l’amministrazione può provvedere alla comunicazione “mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima”(cfr.Cons.St.,sez.IV,9 dicembre 2010,n.8688).
In ogni caso, la comunicazione di avvio del procedimento prevista dagli artt.7 ss.,l.n.241del 1990 ha esclusivamente carattere generale nell’ambito dell’azione amministrativa. È quindi ben possibile, come peraltro avviene soprattutto rispetto a specifiche norme di settore, che la stessa possa essere sostituita anche da forme alternative e diverse purché sempre idonee a garantire il raggiungimento degli scopi di informazione e partecipazione per gli interessati.
Quanto ai tempi della comunicazione, la l. n. 241 del 1990 non stabilisce esattamente quando l’amministrazione debba procedere alla comunicazione. Tuttavia, è certo che detta comunicazione debba essere inviata in tempo utile per presentare le proprie osservazioni fin dall’inizio del procedimento, così da poter spiegare una concreta incidenza sia sull’eventuale istruttoria da espletare che sull’individuazione degli interessi pubblici e privati coinvolti.
Venendo alle conseguenze dell’omessa comunicazione, il provvedimento che, al di fuori delle ipotesi eccezionali esaminate di seguito, non sia stato preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento è illegittimo per violazione di legge. Si tratta di un’ipotesi di invalidità relativa, l’art. 8 prevedendo espressamente che “l’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse è prevista”. Nell’esaminare il tema dell’invalidità dell’atto amministrativo per omessa comunicazione di avvio è necessario tener conto dell’art.21 octies,comma2, ai sensi del quale il provvedimento illegittimo perché non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento non può essere annullato ove l’amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato(in tal senso, Cons. St., sez. II, 24 ottobre 2019,n. 7216).
Eccezionalità e deroghe all’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento
La comunicazione di avvio non è sempre obbligatoria. Conformemente a quanto stabilito anche dall’art 12 della L. Regionale della Valle d’Aosta n. 19/2007, l’art.7, comma 1 esonera la P.A. procedente dal comunicare l’avvio del procedimento quando “sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”. Il comma 2 della norma fa poi salva “la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima dell’effettuazione delle comunicazioni, provvedimenti cautelari”. La L. n. 241 del 1990 individua, pertanto,due specifiche ipotesi in cui la comunicazione non è necessaria:
- a) i procedimenti cautelari, nei quali a ben vedere l’invio di una comunicazione non è omesso in radice, ma soltanto posticipato alla successiva fase di merito;
- b) i procedimenti per i quali sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso; si tratta delle ipotesi di esercizio dei cc.dd. poteri d’urgenza, in cui la P.A. è chiamata ad intervenire in via immediata e tempestiva a fronte di situazioni contingenti e imprevedibili, a tutela di beni della collettività (l’esempio più immediato è quello delle ordinanze di necessità ed urgenza emesse dal Sindaco, quale ufficiale del Governo, ai sensi degli artt.50 e 54,d.lgs.n.267 del 2000.). Si deve però trattare di un’urgenza qualificata, cioè tale da non consentire la comunicazione senza che ne risulti compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico cui il provvedimento finale è rivolto (in tal senso,Tar Lazio.Roma,sez.Il,12 maggio 2014,n.4898). La sussistenza delle particolari esigenze di celerità che giustificano l’esclusione della comunicazione deve inoltre essere congruamente documentata nella motivazione (cfr.Cons.St.,sez.III,09 aprile 2018,n.2148).
L’art. 13, inoltre, esclude dall’ambito di applicazione delle disposizioni sulla partecipazione al procedimento amministrativo i procedimenti amministrativi volti all’emanazione di:
- atti normativi;
- amministrativi generali;
- di pianificazione e programmazione.
La disposizione contenuta nell’art. 13 della legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilisce un principio generale di esclusione della comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati e coinvoli nei procedimenti che hanno ad oggetto atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione, tra cui rientra a pieno titolo l’adozione di una variante al piano regolatore generale (PRG). L’esclusione degli atti di pianificazione e programmazione, come il PRG, dall’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo risponde a una precisa ratio giuridica e funzionale. Tali atti, infatti, hanno una natura generale e programmatoria, essendo destinati a incidere non su singoli soggetti, ma sull’intera collettività o su interi settori della vita economica, sociale e territoriale del Comune. La comunicazione individuale ad ogni potenziale interessato sarebbe tecnicamente impossibile, oltre che contraria alla logica dell’interesse pubblico generale che informa questo tipo di provvedimenti. Non si tratta, infatti, di procedimenti che mirano a incidere e/o decidere su singole posizioni giuridiche soggettive (come un’autorizzazione edilizia o una concessione amministrativa), ma piuttosto di atti a contenuto plurimo, generale e astratto, che orientano l’azione amministrativa futura, delinenando assetti territoriali complessivi.
Inoltre, la tutela della partecipazione nei procedimenti di pianificazione è comunque garantita attraverso forme diverse, più coerenti con la natura collettiva e programmatoria di tali atti: si pensi alla pubblicazione degli strumenti urbanistici adottati, all’apertura del periodo per le osservazioni, ai pareri degli enti coinvolti, nonché ed anche alle consultazioni pubbliche che possono essere attivate. Queste forme sostituiscono in modo più efficace la comunicazione individuale, assicurando un bilanciamento tra esigenze di partecipazione democratica e funzionalità amministrativa. La ratio dell’esclusione, quindi, si fonda sull’esigenza di evitare un’irragionevole complicazione procedimentale, garantendo al contempo trasparenza e confronto pubblico, pur senza vincolare la PA procedente a notifiche che sarebbero incompatibili con la struttura e la finalità degli atti di pianificazione. In sintesi, si privilegia una partecipazione diffusa e pubblica, anziché individuale, in quanto ciò risponde meglio alla natura e alla funzione degli strumenti pianificatori.
La giurisprudenza amministrativa – pur riconoscendo la validità di questo principio – ha individuato importanti eccezioni, in presenza delle quali la comunicazione di avvio del procedimento diventa invece necessaria. Queste eccezioni si verificano allorquando l’atto urbanistico perde il suo carattere generale, incidendo in maniera diretta, concreta e specifica su situazioni giuridiche soggettive ben individuabili.
La prima ipotesi di deroga è quella in cui la variante urbanistica abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su un’area ben determinata. In tale circostanza, l’intervento pianificatorio non assume più le caratteristiche dell’astrattezza e generalità tipiche dei piani regolatori, ma si configura come un atto puntuale, destinato a produrre effetti diretti su un ambito territoriale circoscritto e su soggetti chiaramente individuabili. In questo caso, pertanto, la tutela partecipativa dei soggetti interessati deve essere garantita, in via anticipata, (come altresì disposto ai sensi dell’art 11 D.P.R. 327/2001) attraverso la comunicazione di avvio del procedimento, in quanto l’incidenza del provvedimento si avvicina a quella di un atto amministrativo “particolare”.
La seconda eccezione riguarda l’ipotesi in cui la variante incida direttamente sugli interessi di singoli proprietari di immobili situati nelle aree oggetto del mutamento di destinazione urbanistica. Anche in questo caso, sebbene formalmente l’atto conservi la struttura del provvedimento di pianificazione, nella sostanza esso produce effetti mirati e determinabili su specifici soggetti, determinando ad esempio una dequalificazione urbanistica (da edificabile ad agricola, o da residenziale a verde pubblico) che può incidere negativamente sul valore economico e sulla fruibilità del bene. In queste ipotesi, dunque, la giurisprudenza ritiene doverosa la comunicazione individuale agli interessati, al fine di consentire loro una partecipazione effettiva e la possibilità di far valere le proprie osservazioni prima dell’adozione del provvedimento. Se è pacifico, dunque, che il principio generale dell’art. 13 consente all’amministrazione di procedere alla pianificazione senza obblighi comunicativi individuali, è altrettanto vero che, laddove la pianificazione si concretizzi in un intervento localizzato o comporti effetti specifici e pregiudizievoli su posizioni giuridiche soggettive determinate, l’obbligo di comunicazione ex art. 7 della legge 241/1990 torna ad applicarsi. Tale lettura giurisprudenziale rappresenta un bilanciamento tra le esigenze di efficienza e semplificazione amministrativa e i principi di garanzia procedimentale e di tutela dell’affidamento dei cittadini, in linea con i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
La ratio del suesposto principio, e quindi della decisione del Consiglio di Stato oggetto del presente commento, fonda sull’equilibrio tra l’efficienza dell’azione amministrativa nei procedimenti di pianificazione generale e la tutela delle posizioni giuridiche soggettive eventualmente incise da atti di pianificazione. In particolare, la pianificazione urbanistica — come l’adozione o la variante di un piano regolatore — ha natura generale e astratta, poiché riguarda una pluralità di beni e soggetti in modo non individualizzato. In questi casi, imporre all’amministrazione l’onere di inviare una comunicazione individuale di avvio del procedimento a tutti i potenziali interessati (cioè a tutti i proprietari coinvolti) renderebbe la procedura gravosa, inefficiente e difficilmente gestibile, senza apportare un effettivo valore aggiunto in termini di partecipazione.
Tuttavia, quando la variante non si limita alla disciplina generale del territorio, ma incide direttamente su beni specificamente individuati (ad esempio per la realizzazione puntuale di un’opera pubblica), si entra in una sfera più prossima all’interesse legittimo individuale, e quindi si giustifica l’applicazione delle garanzie partecipative previste dalla legge n. 241/1990, tra cui l’obbligo di comunicazione individuale.
Nel caso della reiterazione generalizzata di vincoli espropriativi, come quello oggetto della sentenza in esame, non si è in presenza di un provvedimento che introduca un nuovo vincolo espropriativo in funzione della localizzazione puntuale e concreta di una determinata opera pubblica su beni specificamente individuati. Al contrario, si tratta della semplice conferma di previsioni già contenute nella variante generale del Piano Regolatore (rispetto alla quale si deve presumere che i vincoli originari, ivi posti e imposti, non andassero a incidere su posizioni giuridiche soggettive o su beni determinati), applicate in modo uniforme e indistinto a una molteplicità di aree del territorio comunale, senza che emerga un collegamento diretto e selettivo con la posizione giuridica di singoli soggetti. In tal senso, la reiterazione si configura come una misura di carattere generale, espressione della discrezionalità pianificatoria dell’Amministrazione, finalizzata a mantenere l’impianto urbanistico esistente e non a determinare effetti immediati e specifici su diritti soggettivi o interessi legittimi individualizzati.
Di conseguenza, la natura dell’atto resta quella propria dei provvedimenti generali di pianificazione, per i quali l’ordinamento esclude l’applicazione delle garanzie partecipative tipiche dei procedimenti amministrativi a contenuto particolare, come previsto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 241/1990. Tale norma, infatti, sottrae all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento tutti gli atti normativi e generali, in ragione della loro funzione ordinatrice e dell’impossibilità di individuare preventivamente i destinatari in modo determinato. La legittimità dell’omessa comunicazione risiede, quindi, nella riconducibilità della reiterazione ad un’attività pianificatoria generale, che si rivolge a una platea indifferenziata di soggetti e che non determina modificazioni specifiche e puntuali dello status giuridico dei singoli beni interessati.