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*Obbligazioni e contratti Tutela del creditore- Responsabilità precontrattuale- Responsabilità civile – Onere della prova- Il recesso ingiustificato nelle trattative nella fase avanzata integra la responsabilità precontrattuale

by Dott.ssa Loredana Campanile
19 Maggio 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione Civile, Sez. II, Sentenza, (data ud. 23/04/2025) 13/05/2025, n. 12679

PRINCIPIO DI DIRITTO

 “Colui il quale, in pendenza delle trattative per  la stipula di un contratto di vendita, ottenga comunque dal  proprietario la detenzione dell’ immobile non  può  ritenersi detentore di buona fede nel  caso  in cui l’altra parte gli manifesti in  modo inequivoco la  volontà di  recedere dalle trattative  e  recuperare la detenzione dell’ immobile. Pertanto,  anche se  il recesso dalle trattative  sia  stato ingiustificato e  dia luogo  a  responsabilità precontrattuale, nella liquidazione del  danno conseguente il giudice di merito deve tenere conto del  periodo di tempo per  il quale l’ immobile è stato detenuto illegittimamente dalla parte avente diritto al risarcimento per  responsabilità precontrattuale”.

TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE 

  1. Sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7780/2020) proposto da:

A.A.  (Omissis),   in  proprio e  quale coerede di  B.B., nonché C.C. (Omissis)   e  D.D. (Omissis),  quali coeredi di B.B., elettivamente domiciliate in Roma, via Luigi Luciani n. 42, presso lo studio dell’Avv. Claudia  Cardenà, che le rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Gabriele Gusella, giusta procura in calce  alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata il 10 aprile 2025; ricorrenti, contro E.E. (Omissis),  F.F. (Omissis),  G.G. (Omissis)  e H.H. (Omissis),  rappresentati e difesi,  giusta procura in calce  al  controricorso, dall’Avv.  Maria  Giuseppina  Mariani,  elettivamente domiciliati in Roma,  via del Banco di Santo Spirito n. 48, presso lo studio dell’Avv. Augusto D’Ottavi; e PRISMA Soc. coop.  edilizia a r.l. (Omissis),  in persona del  suo  legale rappresentante pro  – tempore, rappresentata e  difesa,  giusta  procura  in  calce   al  controricorso,  dall’Avv. Aldo  Valentini,  con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore; controricorrenti, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 1202/2019, pubblicata il 18 luglio 2019;

udita la  relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  23  aprile 2025  dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;

viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P. M. ex art 378, primo comma, c.p.c., viste le conclusioni del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Rosa Maria Dell’Erba, che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;

lette le memorie illustrative nell’interesse delle ricorrenti e dei controricorrenti I.I. J.J., zi sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;

sentito, in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. Marco Straccia – per delega dell’Avv. Maria Giuseppina Mariani- per i controricorrenti I.I.- J.J.

  1. Svolgimento del processo.

2.1. Con atto di citazione notificato il 10 maggio 2010, B.B. e  A.A.  convenivano, davanti al  Tribunale di Pesaro,  F.F., E.E., G.G. e  H.H., chiedendo  che   i  convenuti fossero condannati  al  rilascio  dell’unità immobiliare sita in  Comune  di  P, località (Omissis),  occupata senza titolo,  oltre al  risarcimento del danno per  l’ indebita occupazione dell’ immobile, nella misura di Euro 70.000,00 o in quella maggiore o minore   accertanda, previa  compensazione  con   il  credito  dei   convenuti  di  Euro   90.000,00  per   i versamenti effettuati nel mese di marzo/aprile 2008, salvo  conguaglio.

Si costituivano in giudizio  F.F., E.E., G.G. e H.H., i quali  contestavano la fondatezza, in fatto e diritto, delle domande  avversarie,  chiedevano  la   chiamata  in   causa  della PRISMA  Soc.  coop.   edilizia  a  r.l.  e spiegavano   domanda   riconvenzionale,   concludendo per:  A)   l’accertamento   della   nullità  della compravendita in favore degli  attori del 6 agosto 2009,  in relazione alla  loro  perdita della qualità di soci, con l’accertamento del diritto dei convenuti E.E. e G.G. all’assegnazione dell’ immobile, quali  soci di fatto della Cooperativa; B) l’ordine alla  Cooperativa PRISMA del  trasferimento degli  immobili, previo pagamento del  prezzo dovuto; C) la condanna degli  attori al risarcimento dei  danni morali e materiali; D) in via subordinata, per  il caso  di mancato accoglimento della domanda di nullità e/o annullamento del   contratto  del   6  agosto  2009,   la  condanna degli   attori alla   restituzione  della  somma di  Euro 90.000,00, oltre interessi, nonché la condanna degli  attori e della PRISMA al risarcimento dei danni per  i costi sostenuti.

Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva anche la PRISMA Soc. coop.  edilizia a r.l., la quale instava per: 1) l’ inammissibilità e/o improcedibilità della domanda, in ragione della pendenza di altro giudizio identico tra le stesse parti, avente il medesimo oggetto; 2) in subordine, l’accoglimento dell’eccezione di  continenza  o  litispendenza, con  la  conseguente  riunione dei   giudizi;  3)  in  ulteriore subordine, l’estromissione della terza chiamata, in quanto estranea ai fatti di causa;  4) l’ inesistenza di qualsiasi inadempimento della PRISMA e la  sua  completa estraneità ai fatti, con  il conseguente rigetto di ogni domanda; 5) in via riconvenzionale, la richiesta di manleva nei confronti degli  attori, ai sensi dell’art. 6 del contratto di compravendita del 6 agosto 2009; 6) la condanna dei convenuti per  instaurazione di lite temeraria.

Nel corso del giudizio  era  richiesto dagli  attori, in via d’urgenza exart. 700c.p.c.,  il rilascio dell’ immobile conteso.  Con  ordinanza depositata  il  17 agosto 2010, l’ invocata misura cautelare  anticipatoria  era disattesa. All’esito di reclamo, con ordinanza depositata il 14 dicembre 2010, era  ordinato agli occupanti dell’ immobile il rilascio in favore degli  attori, subordinato alla  condizione del  pagamento della somma di  Euro  90.000,00, maggiorata  di  rivalutazione monetaria  e  interessi,  nonché del   deposito di  una cauzione  di  Euro  100.000,00,  provvedimento  cui  si  dava   seguito con  l’esecuzione dello sgombero avvenuta il 21 febbraio 2011.

Ancora, erano assunte le prove costituende ammesse.

Quindi,  il Tribunale adito, con  sentenza n. 723/2014, depositata il 24 luglio  2014: A) accoglieva in parte qua  le domande attoree e, per  l’effetto, condannava i convenuti al rilascio dell’ immobile sito in Pesaro via  Paciotti n. 19, in favore degli  attori; B) accoglieva in parte qua  le  domande riconvenzionali e, per l’effetto,  condannava gli attori, in solido, al pagamento, in favore dei  convenuti, della somma di Euro 90.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma annullamente rivalutata, nonché al risarcimento dei  danni liquidati in Euro 18.794,55; C) confermava il provvedimento cautelare anticipatorio di rilascio; D) rigettava ogni altra domanda; E) compensava per  intero tra le parti le spese del giudizio.

2.2. Con  atto di  citazione notificato  il  23  ottobre 2014,  B.B. e  A.A.  proponevano  appello avverso la pronuncia  di   primo  grado,   lamentando: 1) l’ indebita esclusione  dell’ illegittimitàdel   possesso dell’ immobile oggetto  di  causa,  con  il  conseguente erroneo rigetto della domanda  risarcitoria per occupazione  senza  titolo;  2)  l’erroneo accoglimento della domanda  risarcitoria  per   responsabilità precontrattuale, correlata all’ interruzione delle trattative volte al trasferimento del  bene, in mancanza di  alcuna dimostrazione dell’ imminenza della conclusione del  contratto di  vendita e  del  ragionevole affidamento circa  la  prossima  conclusione dell’affare  nonché dell’ imputabilità dell’ interruzioneagli appellanti;  3) l’ ingiusto riconoscimento, sulla  somma oggetto di  restituzione di  Euro  90.000,00, della rivalutazione monetaria,  perché non   dovuta, nonché degli interessi per  il  periodo  successivo al  24 marzo 2009, data dell’intervenuta offerta di pagamento banco iudicis,  ingiustificatamente rifiutata.

Resistevano all’ impugnazione E.E., F.F., G.G. e H.H., i quali  concludevano per  il rigetto dell’appello, con la conferma della sentenza impugnata.

Si  costituiva  in  appello  anche  la   PRISMA Soc. coop. edilizia  a   r.l., la quale chiedeva il  rigetto dell’ impugnazione  e, in via incidentale condizionata, l’estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione, l’accertamento  dell’ insussistenza  di  qualsiasi suo   inadempimento,  il  suo   diritto ad essere tenuta indenne dagli  appellanti.

Decidendo sul  gravame interposto, la  Corte d’Appello di  Ancona, con  la  sentenza di cui  in  epigrafe, accoglieva per  quanto di  ragione l’ impugnazione e,  per  l’effetto, in  parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava che  sulla  somma oggetto di  restituzione di  Euro  90.000,00 non  era  dovuta la rivalutazione  monetaria   mentre il  calcolo  degli   interessi  legali   doveva  decorrere  dall’effettuato pagamento della somma di Euro 50.000,00 – il 20 marzo 2008  – e di Euro 40.000,00 – il 18 aprile 2008 – sino  alla  data del 24 marzo 2009, con la conseguente disposizione della ripetizione delle somme pagate in eccedenza, in esecuzione della sentenza impugnata.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per  quanto di interesse in questa sede: a)  che  doveva essere confermata l’esclusione dell’ illegittimità del possesso dell’ immobile oggetto d causa in favore degli  appellati I.I.-J.J., attesa l’esistenza di serie ed avanzate trattative tra le parti, volte all’acquisto del  bene, dell’ incontestato versamento, a conferma della serietà delle predette trattative della  complessiva  somma  di  Euro  90.000,00,  a  titolo  di  acconto,  della  messa  in  contatto con   il Presidente  della  Cooperativa per il compimento di alcune attività  inerenti all’ immobile,  dello svolgimento di un’ apposita riunione volta alla  definizione dei passaggi necessari per  poter provvedere all’ intestazione dell’ immobile in  favore dei I.I.-J.J.,  il che  induceva ad  escludere che l’ immissione in possesso fosse avvenuta contro la volontà dei  B.B.-A.A., come  confermato dal  teste K.K., secondo cui le chiavi dell’appartamento erano state consegnate al I.I. dal Presidente della Cooperativa con la ratifica e il consenso dei B.B.-A.A.; b) che la qualificazione della responsabilità precontrattuale in questione come ipotesi  di   responsabilità  contrattuale  determinava, sotto  il  profilo  della  distribuzione  dell’onere probatorio, che  il danneggiato dovesse allegare e  provare il danno nonché l’avvenuta lesione della propria buona fede,  in una  prospettiva di bilanciamento dei  diritti delle parti coinvolte nella vicenda precontrattuale, spettando,  invece, all’asserito  danneggiante la  prova della sussistenza di una  giusta causa, che  lo avesse portato ad interrompere le trattative; c) che  erano pacifici  l’esistenza di trattative tra le parti e l’affidamento riposto nella conclusione del  contratto di trasferimento del  bene da  parte dei I.I.-J.J., né era  in dubbio che  tale affidamento fosse giustificato, in quanto ingenerato dalla condotta di  controparte, trovandosi le  trattative  in  stadio  molto avanzato, come  suffragato dalle circostanze innanzi esposte; d) che  gli  appellanti,  pur  avendo sostenuto  di  essere receduti dalle trattative  per divergenze  sul  prezzo e  sulle   modalità di  pagamento,  non   avevano provato che   dette divergenze esistessero e che fossero dipese da circostanze non riferibili alla loro condotta, stante che il teste K. K. Aveva attestato che, oltre all’acconto versato, gli appellati avevano offerto il pagamento residuo tramite un mutuo e tramitr il pagamento di un’ulteriore somma in contanti per Euro 170.000,00, che rappresentava la difesa tra l’importo erogabile con il mutuo e il preaao dell’appartamento, sicchè detti appellanti non avevano offerto la prova della sussistenza di una causa di giustificicativa dell’interruzione delle trattative; e) che ad identica soluzione si sarebbe giunti anche ove si fosse aderito all’orientamento giurisprudenziale che considera la responsabilità precontrattuale come ipotesi di responsabilità di natura acquiliana, con il conseguente onere, a carico della parte non recedente, di dimostrare che il recesso dell’altra parte era stato attuato in violazione dei limiti di buona fede e correttezza, posto che, per gli argomenti già specificati, risultava comunque che gli attori in riconvenzionale avevano provato che il recesso degli appellanti era avvennuto in violazione del canone di buona fede; f) che sulla somma dovuta a titolo restitutorio spettavano i soli interessi legali e non la rivalutazione monetaria, in mancanza della prova del maggior danno, interessi dovuti dal momento del pagamento sino al momento dell’offerta di restituzione rifiutata ingiustamente.

2.3. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per  cassazione, affidato a nove  motivi, A.A., in proprio e quale coerede di B.B., nonché L.L. e B.B., quali  coeredi di B.B. Hanno  resistito, con controricorso, E.E., F.F., G.G. e H.H.

Ha resistito, altresì, con ulteriore controricorso, l’intimata PRISMA Soc. coop.  edilizia a r.l.

Il Pubblico Ministero ha  depositato  memoria exart. 378, primo comma, c.p.c.,  in cui  ha  rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.

All’esito, le ricorrenti e i controricorrenti I.I.-J.J. hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.

Motivi della decisione

  1. Innanzitutto, deve escludersi che assuma alcuna rilevanza ai fini della prosecuzione del giudizio  e della decisione della causa il fatto addotto dalla controricorrente PRISMA Soc. coop.  edilizia a r.l. circa la    sua    intervenuta    cancellazione   d’ufficio dal    registro   delle   imprese,  ai   sensi  dell’art. 223- septiesdecies disp. att. c.c., in data 24 maggio 2024, come  da visura prodotta dal  suo  difensore, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (deposito in via telematica del 6 febbraio 2025 reso, dunque, noto alle controparti).

Ora,  la  cancellazione della società dal  registro delle imprese, se  avvenuta dopo la proposizione del ricorso per  cassazione (come  nel  caso   di  specie), non  è  causa di interruzione del  processo, benché comunicata dal  difensore,  atteso che  nel  giudizio  di  cassazione, dominato dall’ impulso d’ufficio, non sono applicabili le  comuni cause interruttive previste dalla legge  (Cass.  Sez. 5, Sentenza n. 26452  del 10/10/2024; Sez. 1, Sentenza n. 2625 del 02/02/2018; Sez. L, Sentenza n. 3323 del 13/02/2014).

  1. Tanto premesso, con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.,   per   avere  la   Corte  di   merito  accolto  la   domanda  di risarcimento  danni,  avanzata  in  via riconvenzionale dai  convenuti I.I.-J.J., per  responsabilità precontrattuale causata dall’ interruzione delle trattative  volte al  trasferimento del  bene,  ritenendo che  l’ iter formativo del  contratto,  destinato a trasferimento dell’ immobile sito in via Paciotti n. 29 in Pesaro, fosse giunto ad  uno  stadio tale da  far insorgere, nei confronti di costoro, un affidamento ragionevole sulla  conclusione del contratto stesso.

Obiettano gli istanti che  non  vi sarebbe stata alcuna motivazione in ordine alla  trattativa affidante, per mancanza di alcun riferimento in concreto al  raggiungimento di un’ intesa, sia  pure di massima, sugli elementi   essenziali   dell’operazione,   non    essendovi   alcun cenno,  non    solo    ad   un’ intesa  sullo scioglimento del  rapporto sociale da  parte del socio,  al fine  di consentire l’ iscrizione del  subentrante nel rapporto sociale e mutualistico, ma soprattutto ad un’intesa, sia pure approssimativa, sull’entità del prezzo che i I.I. e J.J avrebbero dovuto pagare per l’intestazione dell’immobile.

Essi,  infatti, avrebbero  manifestato  unicamente  la  disponibilità a  pagare il prezzo dell’ immobile, in parte, in contanti per  Euro 170.000,00  e, per  quanto mancava, mediante l’accensione di un mutuo, senza però determinare l’entità complessiva del prezzo.

  1. Con il secondo motivo le ricorrenti censurano, ai  sensi dell’ art.  360,  primo comma, n. 3, c.p.c.,  la violazione o  falsa applicazione dell’art. 1337c.c., per  avere la  Corte territoriale  accolto la  domanda risarcitoria per  responsabilità precontrattuale, in violazione del consolidato principio giurisprudenziale a  mente del  quale il contraente può  confidare ragionevolmente nella conclusione del  contratto solo quando sia  raggiunta un’ intesa di massima sui punti essenziali dell’affare, dovendosi ancora definire i dettagli  di  minore  importanza,  o  quando  l’accordo  sia   completamente raggiunto, ma  rimanga  da tradurlo nella forma scritta necessaria per  la validità del contratto.

Per  converso, ad  avviso   degli   istanti,  nella fattispecie  non   sarebbe stato accertato, in  concreto, il raggiungimento, a  cura  delle parti,  oltre che  della Cooperativa  (che all’epoca aveva la  disponibilità dell’ immobile), di intese, sia  pure di massima, sugli elementi essenziali dell’operazione, poiché l’unico riferimento ad  un’offerta dei I.I.-J.J. sulle  modalità di pagamento del  prezzo, non  determinato nella sua entità complessiva, ma  solo  con  riguardo al  “contante” da  versare,  non  avrebbe giustificato siffatta conclusione.

3.1. Con il secondo motivo le  ricorrenti censurano,  ai  sensi dell’ art.  360,  primo comma, n. 3, c.p.c.,  la violazione o  falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., per  avere la  Corte territoriale  accolto la  domanda risarcitoria per  responsabilità precontrattuale, in violazione del consolidato principio giurisprudenziale a  mente del  quale il contraente può  confidare ragionevolmente nella conclusione del  contratto solo quando sia  raggiunta un’ intesa di massima sui punti essenziali dell’affare, dovendosi ancora definire i dettagli  di  minore  importanza,  o  quando  l’accordo  sia   completamente raggiunto, ma  rimanga  da tradurlo nella forma scritta necessaria per  la validità del contratto.

Per  converso, ad  avviso   degli   istanti,  nella fattispecie  non   sarebbe stato accertato, in  concreto, il raggiungimento, a  cura  delle parti,  oltre che  della Cooperativa  (che all’epoca aveva la  disponibilità dell’ immobile), di intese, sia  pure di massima, sugli elementi essenziali dell’operazione, poiché l’unico riferimento ad  un’offerta dei I.I.-J.J. sulle  modalità di pagamento del  prezzo, non  determinato nella sua entità complessiva, ma  solo  con  riguardo al  “contante” da  versare,  non  avrebbe giustificato siffatta conclusione.

  1. Con il terzo motivo le ricorrenti contestano, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto  decisivo per   il  giudizio,  oggetto di  discussione tra le  parti,  per   avere la  Corte d’Appello  in  tesi tralasciato di  valutare che,  nell’unica riunione svolta alla  presenza delle parti,  non sarebbe stata raggiunta alcuna intesa ed anzi vi sarebbero state divergenze tra le parti circa  l’entità, sia pure approssimativa, del  prezzo per  l’ intestazione dell’ immobile e sullemodalità di pagamento, di cui i I.I.-J.J. avrebbero inteso effettuare un  elevato esborso in contanti, come  da  inequivoche dichiarazioni rilasciate dal  teste K.K., che  avrebbe appunto negato che,  in occasione di quell’ incontro, vi fosse stato alcun accordo, né sulle  modalità di pagamento, né sulle  cifre.

Sicché,  a  fronte della mera offerta di  pagamento,  in parte,  con  un  mutuo e,  in parte, con  un’elevata somma da versare in contanti (per  sottrarla alla  fiscalità), benché il B.B. avesse richiesto un prezzo che il I.I. non  intendeva corrispondere,  nessun accordo avrebbe potuto ritenersi raggiunto tra le parti sui termini quantitativi del corrispettivo, neanche in via orientativa.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti, nella fattispecie non  può  avere seguito il richiamo al motivo di critica di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., essendo stata integrata un’ ipotesi di “doppia conforme” per  le medesime rationes decidendi, rispetto  alla  quale è  precluso avvalersi di  tale mezzo  di  ricorso ai  sensi dell’art.  348-ter, ultimo comma, c.p.c.  vigente ratione temporis, a  fronte di  un  giudizio  d’appello instaurato dopo l’11 settembre 2012 (la citazione introduttiva del gravame è stata notificata il 23 ottobre 2014).

Ricorre,  in proposito, il presupposto  affinché trovi applicazione la disposizione di cui al citato art.  348- ter,  ultimo comma, c.p.c.  –  secondo cui  non  sono impugnabili per   omesso esame di  fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme -, appunto perché nei due  gradi  di merito le “questioni di fatto” sono state decise in base alle  “stesse ragioni ” e ripercorrendo il medesimo iter logico-argomentativo in  relazione ai  fatti principali oggetto della causa (Cass.  Sez.  6-2,  Ordinanza n. 7724 del  09/03/2022 ; Sez.  6-3,  Ordinanza n.  2506  del  27/01/2022;  Sez.  6-2,  Ordinanza n.  33483  del11/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 29222 del  12/11/2019; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del  22/12/2016; Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).

D’altronde, è onere del  ricorrente indicare, allo  scopo di escludere la declaratoria di inammissibilità, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello,  dimostrando  che   esse  sono tra loro   eterogenee (Cass.  Sez.  3,  Ordinanza  n.  5947  del 28/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 8320 del 15/03/2022; Sez. L, Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del  22/12/2016), specificazione di cui, nel  corpo dell’atto introduttivo del  giudizio  di legittimità, non vi è traccia.

  1. Con il quarto motivo le  ricorrenti adducono, ai  sensi dell’ art.  360,  primo comma, n.  3, c.p.c.,  la violazione o falsa applicazione degliartt. 1337, 2043 e 2697 c.c.,  per  avere la Corte distrettuale qualificato la  responsabilità precontrattuale, conseguente all’ interruzione delle trattative  volte al  trasferimento del  cespite, come  ipotesi di responsabilità da  contatto sociale, addossando così  ai ricorrenti l’onere di dimostrare il giustificato motivo dell’ interruzione, rappresentato dalla divergenza sul  prezzo e  sulle modalità di pagamento.

Osservano gli istanti che  la sentenza  impugnata sarebbe  incorsa nell’errore  giuridico di qualificazione della  responsabilità  precontrattuale  come   fattispecie  enucleabile nell’ambito  della  responsabilità contrattuale,   con    le   correlate   ripercussioni  che tale  qualificazione avrebbe  determinato  sulla distribuzione dell’onere  probatorio, facendosi ricadere sui  danneggianti l’onere di  dimostrare che  il proprio comportamento corrispondesse ai canoni di buona fede oggettiva e correttezza, benché – alla luce della giurisprudenza di  legittimità – la  configurazione della responsabilità precontrattuale come forma di responsabilità extracontrattuale avrebbe implicato, nel  caso  di recesso ingiustificato di una parte,  non   già  che  gravasse sul  recedente la  prova del  proprio comportamento corrispondente  ai canoni di buona fede e correttezza, ma che incombesse, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso altrui esulava dai limiti della buona fede e correttezza.

Senonché le prove offerte dai  I.I.-J.J. non  avrebbero affatto dimostrato che  il recesso unilaterale fosse avvenuto nonostante  l’ intesa  di   massima tra  le   parti  sull’entità del   prezzo  e  sulle   modalità  di pagamento, con il conseguente ripensamento degli  aspiranti alienanti.

5.1. Il motivo è infondato.

Ad   avviso    della  pronuncia  impugnata,  la   qualificazione  della  responsabilità   precontrattuale in questione  come   ipotesi  di  responsabilità  contrattuale  avrebbe determinato,  sotto il  profilo  della distribuzione dell’onere probatorio, che  il danneggiato dovesse allegare e  provare il danno nonché l’avvenuta lesione della propria buona fede, in una  prospettiva di bilanciamento dei  diritti delle parti coinvolte  nella  vicenda  precontrattuale, spettando,  invece, all’asserito  danneggiante  recedente  la prova della sussistenza di una  giusta causa, che  lo avesse portato ad  interrompere le trattative, prova nel caso  in disputa non fornita.

Senonché, secondo la  giurisprudenza prevalente di  questa Corte,  la  responsabilità precontrattuale è riconducibile  alla   responsabilità  aquiliana (Cass.  Sez.  3,  Ordinanza  n.  1397 del  20/01/2025 ;  Sez.  3, Ordinanza n. 27102 del 18/10/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 15643 del 04/06/2024;  Sez. 3, Ordinanza n. 27262 del  25/09/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 27577 del  21/09/2022;  Sez. 3, Sentenza n. 21255 del  17/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 477 del 10/01/2013; Sez. 3, Sentenza n. 16735 del 29/07/2011; Sez. 1, Sentenza n. 13164 del 18/06/2005; Sez. L, Sentenza n. 8723 del 07/05/2004; Sez. 3, Sentenza n. 15172 del 10/10/2003; Sez. 3, Sentenza n. 3103 del  04/03/2002; Sez. U, Sentenza n. 9645 del  16/07/2001;  Sez. 1, Sentenza n. 4299 del 29/04/1999; Sez. 1, Sentenza n. 9157 del 30/08/1995; Sez. 2, Sentenza n. 1163 del 01/02/1995).

Ne segue che vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova; pertanto, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimotrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postuli dalla norma de qua (Cass. Sez. 3, Ordinanza n.27262 del 25/09/2023; Sez. 2, Sentenza n. 24738 del 03/10/2019; Sez. 3, Sentenza n. 16735 del 29/07/2011; Sez. 3, n. 15040 del 05/08/2004).

Minoritaria è, per  contro, la tesi che  riconduce la figura  alla  responsabilità contrattuale, secondo cui la parte che  agisce in giudizio  per  il risarcimento del  danno subito ha l’onere di allegare, ed  occorrendo provare, oltre al danno, l’avvenuta lesione della sua  buona fede, ma  non  anche l’elemento soggettivo dell’autore  dell’ illecito,  versandosi –  come   nel   caso   di  responsabilità  da   contatto  sociale,  di  cui costituisce una  figura  normativamente qualificata – in una  delle ipotesi previste dall’art.  1173, con  la conseguente applicazione del  termine di  prescrizione ordinaria decennale (Cass.  Sez.  1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016; Sez. 1, Sentenza n. 27648 del 20/12/2011).

Nondimeno, sebbene la  pronuncia impugnata abbia aderito  alla  tesi secondo cui  la  responsabilità precontrattuale integrerebbe un’ ipotesi di responsabilità contrattuale, con le conseguenti ripercussioni sul   piano  della  distribuzione dell’onere  probatorio,  essa ha   altresì puntualizzato che   ad   identica soluzione si sarebbe giunti anche ove si fosse aderito all’orientamento giurisprudenziale che  considera la responsabilità precontrattuale come  ipotesi di responsabilità di natura aquiliana, con il conseguente onere, a carico della parte non  recedente, di dimostrare che il recesso dell’altra parte era  stato attuato in violazione dei limiti di buona fede e correttezza.

E tanto posto che, per  gli argomenti già specificati, risultava comunque che gli attori in riconvenzionale avevano provato che il recesso degli  appellanti era  avvenuto in violazione del canone di buona fede.

Sicché  stabilire la natura aquiliana o contrattuale della responsabilità precontrattuale non  assume, in concreto, una  portata decisiva nel presente giudizio.

Ed  invero, a  fronte della raggiunta prova dell’ integrazione del  recesso  ingiustificato dei  potenziali alienanti in spregio al canone di correttezza, perde ogni rilevanza il tema della distribuzione dell’onere probatorio, ai sensi dell’art. 2697c.c., quale regola residuale di giudizio  che  assume un peso dirimente solo  in caso  di mancanza di prova, ai fini dell’ individuazione della parte su cui ricadono le conseguenze di tale carenza probatoria (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 23286 del 28/08/2024 ; Sez. 3, Sentenza n. 9863 del 13/04/2023;  Sez. 1, Sentenza n. 4126 del  21/03/2003;  Sez. 3, Sentenza n. 11911 del  07/08/2002;  Sez. L, Sentenza n. 4133 del 04/04/2000; Sez. 3, Sentenza n. 5980 del 16/06/1998).

  1. Con il quinto motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,  oggetto di discussione tra le parti, per  avere la Corte del gravame  –  nel   reputare che,  quand’anche la  responsabilità precontrattuale fosse stata  inquadrata nell’alveo della responsabilità aquiliana, vi era  stata prova del recesso avvenuto, a cura  dei B.B.-A.A., in violazione del canone di buona fede – mancato di considerare che, nel corso dell’unica riunione svoltasi alla   presenza delle parti,  non   solo   non   sarebbe stata  raggiunta alcuna intesa sull’entità,  sia  pure approssimativa, del prezzo per  l’ intestazione dell’ immobile in questione e sulle  modalità di pagamento ma inoltre gli stessi I.I.-J.J. avrebbero rifiutato le richieste di prezzo rivolte loro dal B.B..

Per   l’effetto,  espongono gli  istanti che,   ove  si  fosse tenuto  conto delle circostanze trascurate,  si sarebbe dovuto affermare il recesso giustificato dei  B.B.-A.A., perché determinato dal  comportamento dei I.I.-J.J., con la conseguente esclusione della responsabilità precontrattuale del recedente.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti,  per   le  ragioni  già  esposte,  ai  sensi dell’ art.  348-ter,  ultimo  comma, c.p.c.  vigente  ratione temporis,  è  preclusa la  facoltà di  far  valere il vizio  di  omesso esame di  fatto  decisivo, oggetto  di discussione tra le parti, in caso  di “doppia conforme”, come  nella specie.

  1. Con il sesto motivo le ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112c.p.c., per assenza di alcuna pronuncia sul motivo di gravame atto a  censurare il rigetto,  da  parte del  Tribunale,  della domanda risarcitoria per illegittima occupazione dell’immobile a cura  dei I.I.-J.J.

Segnatamente la pronuncia in sede di gravame non  avrebbe dato alcuna risposta alla  doglianza con cui si  lamentava  l’erroneità  e   la   violazione  ovvero  la   falsa  applicazione degliartt.   832 e 2043 c.c.,  con riferimento all’assunto secondo cui  l’occupazione dell’ immobile in  discorso “sarebbe stata tutt’altro che   illegittima”, posto  che   –  fallita  la  trattativa  per  il  trasferimento dell’ immobile  per   il  mancato accordo sul  prezzo e  sulle   modalità di  pagamento –  i I.I.-J.J.  non  avrebbero potuto più  disporre del cespite almeno a partire dalle lettere raccomandate inviate dalla Cooperativa del  4 novembre 2008  e del 20 novembre 2008 ovvero dall’atto di assegnazione del 6 agosto 2009 o, in subordine, dalla notifica della  citazione davanti al  Tribunale  di  Pesaro del   10  maggio  2010, con  cui  era   stata  chiaramente manifestata la volontà dei B.B.-A.A. di non voler  più continuare la trattativa.

Deducono  gli istanti che,  quand’anche la  detenzione iniziale fosse stata  giustificata in  ragione delle trattative per  la vendita, comunque non  era  stato concluso alcun contratto a causa dell’ interruzione d dette trattative,  sicché l’ immobile avrebbe dovuto essere  restituito ai  ricorrenti legittimi proprietari quantomeno dalla missiva del 20/22 novembre 2008, mentre, in realtà, solo  il 21 febbraio 2011 l’ufficiale giudiziario aveva  immesso  i  ricorrenti  nel   possesso  dell’ immobile,  a  seguito  dell’attuazione  della misura cautelare anticipatoria di rilascio exart. 700c.p.c.

7.1. Il motivo è infondato.

La  sentenza impugnata ha,  infatti, affrontato espressamente tale censura,  confermando l’esclusione tout court dell’illegittimità del possesso dell’immobile oggetto di causa in favore degli  appellati I.I.-J.J.

E ciò facendo leva  sull’esistenza di serie ed  avanzate trattative tra le parti, volte all’acquisto del  bene, sull’ incontestato versamento,  a  conferma della serietà  delle predette trattative,  della complessiva somma  di   Euro   90.000,00,  a   titolo  di   acconto, sulla   messa  in  contatto  con   il  Presidente  della Cooperativa per  il compimento di alcune attività inerenti all’ immobile, sullo  svolgimento di un’apposita riunione    volta    alla definizione   dei    passaggi  necessari   per    poter   provvedere  all’ intestazione dell’immobile in favore dei I.I.-J.J.

Il che  ha  indotto ad  escludere che  l’ immissione in possesso fosse avvenuta contro la volontà dei  B.B.- A.A., come  suffragato dalla deposizione del  teste K.K., secondo cui  le  chiavi  dell’appartamento erano state consegnate al I.I. dal Presidente della Cooperativa con la ratifica e il consenso dei B.B.-A.A.

Esclusa l’ illegittimità della detenzione, è stata conseguentemente negata la spettanza del  risarcimento per  l’occupazione abusiva, con la conseguente pronuncia sul motivo di gravame spiegato.

  1. Con il settimo motivo le ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di secondo grado escluso l’ illegittimità dell’occupazione dell’ immobile alla  stregua degli argomenti addotti, mentre – una volta fallita la trattativa per  la vendita, in ragione del mancato accordo sul  prezzo e  sulle  modalità di  pagamento,  ossia a  partire dalla lettera a.r.  del  20/22  novembre 2008 ovvero dal  momento del  rogito di assegnazione del  6 agosto 2009 o ancora dalla citazione introduttiva del   giudizio   notificata  il  10  maggio  2010  –  l’occupazione  avrebbe dovuto  ritenersi  illegittima, in correlazione  con   la  manifestata  volontà dei   B.B.-A.A., divenuti  assegnatari,  di  non   recedere  dalla Cooperativa e di esercitare il godimento sull’immobile.

In conseguenza, la consapevolezza dei  I.I.-J.J. che  alcun contratto di vendita si sarebbe concluso e che essi  non  sarebbero subentrati nella qualità di soci  della Cooperativa, con  l’ intestazione dell’ immobile occupato,  avrebbe   determinato,   pure  a   fronte  di   un’ iniziale giustificazione  dell’occupazione,  la sopravvenuta   illegittimità  di   tale   occupazione, conseguente  alla   richiesta  di  liberazione,  con   la correlata spettanza del diritto risarcitorio.

Sul   punto,   la   motivazione  della  Corte   d’Appello   sarebbe  stata   apparente  ovvero perplessa o incomprensibile,  poiché  non   avrebbe  affatto  argomentato  sulle   menzionate  ragioni sopravvenute dell’occupazionesenza titolo.

  1. Con l’ottavo motivo le  ricorrenti assumono,  ai  sensi dell’ art.  360,  primo comma, n.  3,  c.p.c.,  la violazione degliartt.  832, 948, 1337, 2043 e 2055 c.c.,  per   avere la  Corte  d’Appello  rigettato la  domanda risarcitoria per  occupazione illegittima dell’ immobile, escludendo  che  l’ immissione in possesso fosse avvenuta contro  la  volontà dei   proprietari  assegnatari,  benché tale  occupazione si  fosse rivelata quantomeno ex post illegittima, con  lesione del  diritto di proprietà,  avendo la  Cooperativa chiesto il rilascio del  bene,  dapprima,  con  missiva del  20/22  novembre 2008,  poi  con  l’assegnazione mediante rogito del 6 agosto 2009 e, quindi, con la richiesta di rilascio dei ricorrenti di cui alla  citazione notificata il 10 maggio 2010.

Evidenziano   gli  istanti  che   l’occupazione  dell’ immobile  sarebbe   stata   illegittima quantomeno  dal momento dell’ interruzione della trattativa per  la vendita e sino  al momento dell’effettivo recupero del bene  mediante  ufficiale giudiziario, in  attuazione della misura cautelare exart.  700c.p.c.,  sgombero avvenuto il 21 febbraio 2011.

Dunque,   ad   avviso    delle  ricorrenti,  la   sentenza  impugnata  avrebbe  disconosciuto  il diritto  al risarcimento,  nonostante   la  continuazione  del   godimento  a  cura   dei   I.I.-J.J. fosse  avvenuta nella consapevolezza della fine delle trattative e dell’intenzione degli  assegnatari di goderne liberamente.

  1. Il nono motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto  di  discussione tra le  parti,  con  riferimento alla  mancata disamina delle missive a.r. inviate dalla Cooperativa, quale proprietaria prima dell’assegnazione, e delle richieste dei ricorrenti, dopo  l’assegnazione  in  proprietà  dell’ immobile, sfociate  nella  citazione  notificata il  10 maggio 2010.

Illustrano gli istanti che  sarebbe stato trascurato altresì che, con l’atto di assegnazione, gli assegnatari si  erano  riservati  di   agire  nei   confronti  dei   terzi  occupanti  senza titolo,  sia   per   la   liberazione dell’immobile, sia per  il risarcimento dei danni e quant’altro dalla legge  consentito.

Circostanze   che    sarebbero   state   decisive  ai    fini    di    dedurre   la    sopravvenuta   illegittimità dell’occupazione all’esito della cessazione delle trattative.

10.1. L’ultimo motivo è inammissibile.

Esso,  infatti, per  quanto anzidetto con  riguardo alle  medesime censure svolte ai  sensi dell’art.  360, primo comma, n. 5, c.p.c., viola il principio secondo cui, in caso  di “doppia conforme”, è inibito far valere l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti.

10.2. I   restanti   motivi  che    precedono   (settimo  e   ottavo)  –   che    possono  essere   affrontati congiuntamente, in quanto connessi – sono, per  converso, fondati nei termini che seguono.

Sul  punto,  la  sentenza  impugnata ha  affermato che   l’occupazione sarebbe  stata  legittima, con   la conseguente  esclusione  della  spettanza   del   diritto  al   risarcimento,  alla    stregua del   consenso manifestato alla  detenzione del  bene in  attesa che  si  perfezionasse la trattativa per  la  sua  vendita, consenso corroborato dalla condotta della Cooperativa prima che il cespite fosse assegnato ai B.B.-A.A. e  dal  contegno assunto dalle stesse parti assegnatarie, anche in  ragione dello stato avanzato delle trattative, suffragato dal versamento di acconti per  il complessivo importo di Euro 90.000,00.

Non  è  stata,  però,  considerata l’ incidenza  dell’ interruzione delle  trattative,  all’esitodel recesso – seppure   ingiustificato  –   esercitato   dai    proprietari   possibili  alienanti sulla    legittimità  di   tale occupazione, persistita anche dopo l’inoltro delle richieste di rilascio del cespite.

Orbene, colui  il quale,  in pendenza delle trattative  per  la  stipula di  un  contratto di  vendita, ottenga comunque dal  proprietario la detenzione dell’ immobile non  può ritenersi detentore di buona fede nel caso   in  cui  l’altra parte gli  manifesti in  modo inequivoco la  volontà di  recedere dalle trattative e recuperare  la   detenzione  dell’ immobile. Pertanto,   anche  se   il  recesso  dalle  trattative   sia   stato ingiustificato e dia luogo a responsabilità precontrattuale, nella liquidazione del danno conseguente il giudice di merito deve tenere conto del periodo di tempo per il quale l’immobile è stato detenuto illeggittimamente dalla parte avente diritto al risarcimento per responsabilità precontrattuale (con riferimento alle trattative per la stipula di un contratto di locazione Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4382 del 20/03/2012).

E ciò in considerazione della richiesta di rilascio del  bene del  20/22 novembre 2008  (effettuata dalla Cooperativa per  conto degli  assegnatari destinatari del  bene B.B.-A.A., divenuti tali con  il rogito del  6 agosto  2009,   richiesta  richiamata  negli   atti  processuali e  nel   ricorso introduttivo  del   giudizio   di legittimità), sino  all’effettivo rilascio, come  da verbale di sgombero del 21 febbraio 2011.

Sicché   dal  momento dell’assegnazione,  la  mancanza della  disponibilità del   cespite in  favore degli assegnatari, e sino  all’effettivo rilascio, avrebbe dovuto essere ponderata ai fini della tutela risarcitoria per  occupazione illegittima.

Pertanto, nella fattispecie all’originaria legittimità della detenzione assentita (ad  immagine del  diritto personale di  godimento conseguente all’ integrazione di  una fattispecie  negoziale assimilabile ad  un comodato) è subentrata l’ illegittimità (ex post) della persistenza della detenzione, all’esito del  recesso dalle trattative e della manifestata volontà di recuperare il cespite.

Ossia l’illegittimità è sopravvenuta.

In conseguenza della ricezione della raccomandata a.r.,  si è rotto,  dunque,  il nesso tra affidamento – buona fede e disponibilità dell’appartamento, dovendosi ragionevolmente ritenere che,  proprio perché a   conoscenza  del   recesso  unilaterale  dei   potenziali  venditori, la   continuazione  del   godimento dell’ immobile a  cura  dei  potenziali acquirenti non poteva non  significare che  occupazione sine  titulo dello stesso.

Spetta al giudice del rinvio individuare i criteri per  la liquidazione di detto nocumento.

  1. In conseguenza delle considerazioni esposte, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso devono essere accolti, nei sensi di cui in motivazione, mentre i restanti motivi vanno disattesi.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente ai motivi accolti, con  rinvio della causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, che  deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla  pronuncia sulle  spese del giudizio  di cassazione.

“Colui il quale, in pendenza delle trattative per  la stipula di un contratto di vendita, ottenga comunque dal  proprietario la detenzione dell’ immobile non  può  ritenersi detentore di buona fede nel  caso  in cui l’altra parte gli manifesti in  modo inequivoco la  volontà di  recedere dalle trattative  e  recuperare la detenzione dell’ immobile. Pertanto,  anche se  il recesso dalle trattative  sia  stato ingiustificato e  dia luogo  a  responsabilità precontrattuale, nella liquidazione del  danno conseguente il giudice di merito deve tenere conto del  periodo di tempo per  il quale l’ immobile è stato detenuto illegittimamente dalla parte avente diritto al risarcimento per  responsabilità precontrattuale”.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei  sensi di  cui  in  motivazione, il settimo e  l’ottavo motivo del  ricorso, rigetta  i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia  la causa alla  Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per  la pronuncia sulle  spese del giudizio  di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 23 aprile 2025. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2025.

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