Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 14 maggio 2025 n. 12905
PRINCIPIO DI DIRITTO
Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Preliminarmente ritiene la Corte, che non sia possibile accogliere la sollecitazione, formulata dal ricorrente principale nella memoria ex art. 378 c.p.c., a rilevare d’ufficio la nullità dell’impugnata ordinanza per vizio di costituzione del giudice, per essersi svolto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di compensi di avvocato per attività giudiziali e stragiudiziali connesse, introdotto con ricorso, e definito con l’ordinanza collegiale dal Tribunale di Milano del 9/15.4.2020, secondo il rito semplificato di cognizione speciale di cui all’art. 14 del D. Lgs. n.150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L.29.12.2022 n.197, davanti al giudice relatore fino alla precisazione delle conclusioni, alla discussione ed alla concessione del termine per memorie di replica, che hanno preceduto la riserva di decisione assunta da quel giudice.
La violazione delle disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla composizione monocratica, o collegiale, del Tribunale chiamato a decidere secondo l’art. 50 quater c.p.c., non si considera attinente alla costituzione del giudice, ed alla relativa nullità si applica l’art. 161 comma primo c.p.c., per cui può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello, o del ricorso per cassazione, ed anche ove non si ritenga applicabile l’art. 50 quater c.p.c. perché nella specie la collegialità deriva dalla previsione speciale dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n. 197, e non dall’art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art. 14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione, mentre nel caso in esame il suddetto vizio non è stato fatto valere col ricorso principale, né con quello incidentale, sicché non può essere rilevato d’ufficio.
1) Col primo motivo il ricorrente principale lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 641, 645 e 702 bis c.p.c., 28 L.n.794/1942, 3 e 14 del D.lgs. n. 150/2011.
Secondo il Galvagno, il Tribunale adito avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo in quanto, afferendo il decreto opposto anche a compensi per attività stragiudiziale non accessoria o complementare alle prestazioni di natura giudiziale civile, la Banca avrebbe dovuto proporre opposizione con citazione, anziché con ricorso ex art. 14 D.lgs. n. 150/2011, da notificarsi entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto, non potendosi fare riferimento alla data del deposito del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in opposizione, ed essendo intervenute la notifica di tale ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza nei suoi confronti quando il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo era già scaduto.
Il primo motivo è infondato per le ragioni che seguono.
La pronuncia impugnata, alle pagine 4 e 5, ha stabilito che il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento del compenso dell’avvocato Roberto Galvagno per attività giudiziali civili (tra le quali anche la domanda di ammissione al passivo del Fallimento della Palakarting SPA successiva all’ottenimento del decreto ingiuntivo) e stragiudiziali (nei confronti della Eurofidi garante del credito da recuperare nei confronti della Palakarting SPA) svolte a favore della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni, negando quindi che le attività stragiudiziali fossero scollegate e non funzionali rispetto a quelle giudiziali, ed ha sottolineato che lo stesso ricorrente aveva quantificato i compensi richiesti facendo riferimento all’art. 3 della convenzione di incarico del 16.12.1996, che regolava esclusivamente i compensi per prestazioni giudiziali, per cui ben poteva l’opponente confidare nell’applicabilità del rito semplificato di cognizione speciale dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n.149, come modificato dalla L.29.12.2022 n.197, sulla base delle stesse deduzioni di controparte e della qualificazione del titolo della pretesa (Cass. n. 7354/2025; Cass. n.7355/2025; Cass. n.8014/2009; Cass. n. 15720/2006; Cass. 10206/2001), ed avvalersi quindi del deposito del ricorso entro 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, anziché dell’atto di citazione notificato nello stesso termine ai fini dell’opposizione.
Perfino poi nell’ipotesi in cui il decreto ingiuntivo fosse stato chiesto dall’avvocato Roberto Galvagno anche per il pagamento di compensi per attività stragiudiziali svincolate dall’attività giudiziale civile a lui affidata dalla banca, come ipotizzato dal ricorrente, una volta scelto da quest’ultima, anche se erroneamente, il rito sommario di cognizione semplificato ex artt. 702 bis c.p.c. e 14 del D. Lgs. n. 150/2011 (previsto per le sole attività giudiziali civili e stragiudiziali connesse o complementari), con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo al Tribunale di Milano in composizione collegiale mediante ricorso con richiamo dell’art. 702 bis c.p.c. (vedi sull’ammissibilità dell’opposizione in tale forma avverso il decreto ingiuntivo per pagamento di compensi di avvocato giudiziali civili ma anche stragiudiziali non connessi Cass. 19.3.2025 n. 7355; Cass. 19.3.2025 n. 7354; Cass. 27.3.2024 n. 8325; Cass. n. 25543/2023; Cass. n. 34501/2022), la tempestività di quest’ultimo non poteva che essere valutata facendo riferimento alla data del suo deposito secondo le regole del rito scelto, e non a quella della notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, data l’irretroattività degli effetti del mutamento di rito eventualmente disposto ed anche a prescindere da tale mutamento.
La sentenza del 12.1.2022 n. 758 delle sezioni unite di questa Corte (e nello stesso senso Cass. n. 5659/2022), ha infatti enunciato il principio che “nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal D.lgs. n. 150/2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del D.lgs. n. 150/2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione”.
2) Col secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., e degli articoli 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Il Tribunale di Milano avrebbe violato il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo n. 1395/2018, con cui il Tribunale di Monza aveva liquidato i compensi spettanti all’avv. Galvagno, per attività svolta in favore della Banca, in relazione ai parametri di cui al D.M. 55/2014, tenuto conto della vigenza inter partes della convenzione tariffaria stipulata nei primi anni ‘90 e rinnovata annualmente, fino alla revoca occorsa nel 2015.
Dalla formazione di giudicato deriverebbe l’inapplicabilità al caso di specie della pretesa convenzione tariffaria del 2013.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 cod. civ. ed il carattere meramente apparente della motivazione sul punto fornita dall’impugnata ordinanza.
Si sostiene che col decreto ingiuntivo non tempestivamente opposto n. 1395/2018, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza avrebbe ritenuto ancora operante tra le parti la convenzione tariffaria da esse sottoscritta il 16.12.1996, che prevedeva l’applicazione delle tariffe del D.M. n.55/2014 (nei minimi in ipotesi di mancato recupero del credito, o di recupero inferiore al 15%), della quale dovrebbe quindi farsi applicazione anche alle prestazioni oggetto della presente controversia, che invece sono state ritenute assoggettate all’accordo liquidatorio del 29.4.2015 per le attività svolte prima del 30.6.2014, anche se riferite ad incarichi non compresi nell’elenco allegato, ed alla convenzione tariffaria dell’11.4.2013 come modificata ed integrata dalla lettera del 12.6.2013 dell’avvocato Galvagno per le attività svolte dopo il 30.6.2014, in forza del richiamo ad essa dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente e la motivazione sul punto fornita dall’impugnata ordinanza integra il cosiddetto “minimo costituzionale”.
In forza della già convenzione tariffaria del 16.12.1996, solo parzialmente modificativa di quella del 1994, le parti avevano predeterminato il contenuto dei successivi incarichi professionali, ognuno dei quali, pur avendo un comune contenuto economico, era distintamente conferito, venendo a radicarsi in un titolo autonomo (vedi nel senso che le prestazioni professionali fondate su incarichi distinti, conferiti sulla base di una convenzione tariffaria, si inscrivono nell’ambito di un rapporto unitario in senso fattuale e storico/fenomenologico: Cass. n. 7355/2025; Cass. n. 7354/2025; Cass. 24657/2023; Cass. 24459/2023; Cass. 22094/2023).
Questa Corte ha affermato che il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass. 25180/2024; Cass. 22465/2018; Cass. 281318/2017; Cass. 11360/2010; Cass. 18791/2009; Cass. 18725/2008; Cass. 18725/2007; Cass. 6628/2006; Cass. sez. un. n. 4510/2006).
L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 16.12.1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non poteva ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo conferito dalla BCC all’avvocato Roberto Galvagno, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. n.7355/2025; Cass. n. 7354/2025; Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili).
L’impugnata ordinanza, a pagina 6, ha escluso la spendibilità nella presente causa del giudicato formatosi tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, tardivamente opposto, perché non attinente al pagamento degli stessi incarichi professionali oggetto del presente giudizio, che sono stati autonomamente conferiti, anche se in forza della medesima regolazione tariffaria convenzionale reiterata negli anni fino al raggiungimento dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, e sono quindi connotati da una diversità sia di petitum che di causa petendi.
L’ordinanza impugnata ha poi sottolineato all’ultimo capoverso di pagina 6 che, nel ricorso che aveva portato all’emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza tardivamente opposto, non era stata fatta menzione della convenzione che secondo la banca sarebbe stata conclusa nel 2013 (la convenzione dell’11.4.2013), né all’accordo effettivamente raggiunto dalle parti nel 2015 (l’accordo del 29.4.2015), per cui non si era formato alcun giudicato implicito in ordine alla vigenza, o meno di quegli accordi per gli incarichi oggetto della presente controversia, evidentemente invocabile, per il principio che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, solo per i distinti incarichi di cui al ricorso monitorio accolto dal Tribunale di Monza, e tale motivazione non può certo ritenersi meramente apparente.
La banca aveva richiamato la convenzione asseritamente conclusa dalle parti l’11.4.2013 e l’accordo del 29.4.2015 nell’opposizione tardiva proposta al Tribunale di Monza contro il decreto ingiuntivo n. 1395/2018, ma tale opposizione è stata ritenuta inammissibile con una pronuncia in rito, sicché non si è formato in quella sede alcun giudicato preclusivo circa l’inapplicabilità di quegli accordi asseriti, o effettivi, intercorsi tra le parti.
3) Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 4), il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e della nullità dell’ordinanza impugnata, in relazione all’art. 112 c.p.c.
Il Giudice dell’opposizione si sarebbe pronunciato oltre i limiti del petitum, affermando che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 riguardava tutte le posizioni dell’avv. Galvagno, comprese le pratiche non espressamente menzionate nell’elenco ad esso allegato, che l’attività svolta fino al 30.6.2014 era stata già oggetto di liquidazione e che quella successiva doveva quantificarsi secondo i parametri previsti dalla pretesa convenzione tariffaria dell’11.4.2013 ed applicando l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, al quale nessuna delle parti aveva fatto riferimento come parametro per la liquidazione dei compensi pretesi in causa dall’avvocato Roberto Galvagno.
Il terzo motivo è inerente all’ultrapetizione o extrapetizione nella quale sarebbe incorsa l’impugnata ordinanza, per avere ritenuto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 riferibile a tutti gli incarichi conferiti dalla banca all’avv. Roberto Galvagno, e non solo alle attività svolte prima del 30.6.2014 per i soli incarichi riportati nell’elenco allegato, e già pagati perché ricompresi nell’importo forfettario di € 599.828,22 da ridurre del 25%, ed alle attività successive al 30.6.2014 da compensare applicando, a prescindere dalla loro riferibilità all’elenco allegato, la convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera dell’avv. Galvagno del 12.6.2003, pervenendo così a compensare solo alcune delle pratiche per le quali egli aveva chiesto il pagamento del compenso anziché sulla base della convenzione tariffaria del 1994, modificata nel 1996, come da lui richiesto nel ricorso per decreto ingiuntivo, o secondo la convenzione tariffaria dell’11.4.2013 o in subordine secondo le tariffe forensi del D.M. n.55/2014, come richiesto dalla banca.
La violazione dell’art. 112 c.p.c. non è ravvisabile, in quanto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, pacificamente sottoscritto da entrambe le parti e prodotto nel corso del giudizio di opposizione, è stato fatto oggetto di contrapposte interpretazioni delle parti.
Il Tribunale di Milano, per le pratiche non ricomprese nell’importo forfettario spettante all’avvocato Roberto Galvagno in forza di quell’accordo, ha applicato le condizioni tariffarie della convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera del professionista del 12.6.2013. E ciò ha fatto non perché quella convenzione fosse stata sottoscritta da entrambe le parti, che sul punto si erano scambiate una serie di controproposte mai pervenute ad un’accettazione conforme di un unico testo contrattuale, ma perché essa era stata richiamata dall’accordo del 29.4.2015 per la disciplina delle attività svolte dopo il 30.6.2014, in tal modo pervenendo comunque per tali pratiche all’applicazione della convenzione tariffaria del 12.6.2013, che era stata invocata dalla banca, ed al rigetto della richiesta dell’avv. Galvagno di vedere applicata alle pratiche indicate nel ricorso per decreto ingiuntivo la per lui più favorevole convenzione tariffaria del 1994, modificata nel 1996, in quanto superata dall’accordo liquidatorio di contenuto anche transattivo del 29.4.2015.
4) Col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.
Il Tribunale di Milano avrebbe erroneamente interpretato l’accordo di liquidazione dei compensi del 29.4.2015, estendendone l’applicazione anche alle pratiche non espressamente menzionate nell’elenco allegatovi, ritenendo che le stesse non fossero state ivi indicate per una mera svista.
Di converso, assume il ricorrente che le parti avrebbero stabilito che per le posizioni non ricomprese nell’allegato, ed esclusivamente per le attività svolte successivamente al 30.6.2014, l’avv. Galvagno avrebbe applicato la riduzione tariffaria prevista dalla convenzione dell’11.4.2013, integrata dalla lettera del 12.6.2013.
5) Col quinto motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. e 115 c.p.c. Il Tribunale adito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile a tutte le pratiche l’accordo del 29.4.2015, sulla base di considerazioni personali apertamente contrastanti con le dichiarazioni confessorie rese dalla Banca e con la documentazione versata in atti.
6) Col sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. e 112 e 115 c.p.c. Il Giudice dell’opposizione avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la convenzione tariffaria dell’11.4.2013, richiamata dall’accordo liquidatorio del 29.4.2015, non tenendo conto della deroga contenuta nella lettera del 12.6.2013, in virtù della quale tutte le pratiche affidate antecedentemente alla stipula del 2015 erano da intendersi escluse da qualsivoglia accordo tra le parti; ciò in spregio al tenore letterale della pattuizione dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, alle dichiarazioni rese dalla Banca, alla documentazione prodotta dal Galvagno, attestante che l’avvocato aveva continuato a fatturare come da tariffario anche in seguito alla pretesa stipula, nonché alla stessa documentazione allegata dalla Banca, comprovante l’irretroattività della predetta convenzione per le pratiche già assegnate e non ancora ultimate.
Il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, tutti inerenti all’interpretazione data dall’impugnata ordinanza all’accordo liquidatorio del 29.4.2015, congiuntamente e sono infondati. Possono essere esaminati.
L’ordinanza impugnata ha ricostruito la comune intenzione delle parti basandosi sul tenore letterale dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, e ritenendo contraria a buona fede l’interpretazione proposta dall’avvocato Galvagno, volta a limitare l’applicabilità di quell’accordo alle sole pratiche elencate nell’allegato all’accordo, dato che in esso era espressamente indicato che “l’avv. Galvagno per l’attività svolta successivamente al 30.6.2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell’11.4.2013 con avvocati fiduciari B.C.C. di Sesto San Giovanni predisposta da B.C.C. Gestione Crediti s.p.a. e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013”, e valorizzando anche il comportamento tenuto dalle parti prima della sottoscrizione dell’accordo liquidatorio.
Per le attività svolte dall’avv. Galvagno in data anteriore al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha invece tenuto conto che nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 era indicato che “Facendo seguito all’incontro del 09.07.14 e successivi, ove è stato concordato l’ammontare residuo pari ad €836.833,32 dei compensi spettanti all’Avv. Roberto Galvagno per l’attività svolta fino al 30/06/2014 per le pratiche affidate dalla B.C.C. e che riguardano tutte le posizioni che non sono disciplinate dalla convenzione e di cui allegato elenco – le parti reciprocamente stabiliscono le seguenti condizioni” e che le condizioni pattuite nell’accordo liquidatorio del 2015 erano che: “La B.C.C. si impegna a pagare all’avv. Roberto Galvagno, in tre anni, l’ammontare residuo dei compensi per l’attività svolta fino al 30/06/2014 indicati nell’elenco allegato ed aggiornato al 30/03/2015 (per) un residuo pari ad € 599.828,22 salvo errori e omissioni. L’Avv. Roberto Galvagno all’atto della fatturazione… si impegna ad effettuare una riduzione del 25% sull’ammontare indicato nell’elenco allegato per l’attività svolta fino al 30/06/2014. Si dà atto che nel periodo compreso tra l’1.7.2014 e il 30.3.2015 come convenuto tra le parti si è già provveduto alla riduzione del 25% dei compensi”.
Nel contrasto esistente, nel dato testuale dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, tra il riferimento a tutte le attività prestate dall’avv. Galvagno prima del 30.6.2014, non soggette alla nuova convenzione, che erano state oggetto di precedente verifica, ed il riferimento alle sole attività anteriori al 30.6.2014 riferibili agli incarichi di cui all’elenco allegato, l’ordinanza impugnata ha privilegiato il primo dato testuale del riferimento a tutte le attività prestate dal professionista per la B.C.C. prima del 30.6.2014, anche se per errore non riportate nell’elenco degli incarichi allegato, in quanto le parti hanno usato in relazione all’importo riportato nell’elenco allegato di € 599.828,22, da ridurre in sede di fatturazione del 25%, le parole “salvo errori o omissioni”, intendendo considerare vincolante ed omnicomprensivo il suddetto importo frutto delle verifiche compiute e non gli incarichi riportati nell’elenco, non essendo stata formalizzata alcuna riserva per attività anteriori al 30.6.2014 non ricollegate ad incarichi ricompresi nell’elenco.
Ulteriormente l’ordinanza impugnata ha trovato conferma nell’interpretazione data della ricomprensione nell’importo di €599.828,22 (da ridurre del 25% in sede di fatturazione, e da pagare in tre anni) di tutte le attività poste in essere dall’avv. Galvagno per la BCC prima del 30.6.2014, indipendentemente dal loro collegamento con gli incarichi elencati, e nel fatto che l’accordo liquidatorio non è stato predisposto unilateralmente dalla banca, essendo redatto su carta intestata dello studio Galvagno con conseguente predisposizione da parte dello stesso professionista, che certamente conosceva l’attività da lui svolta per la BCC ed il suo complessivo credito residuo alla data del 30.6.2014, oggetto di apposite verifiche preventive, e ne aveva certamente tenuto conto nel predisporre il contenuto dell’accordo liquidatorio.
Quanto alla deroga del punto 5.2 alla convenzione dell’11.4.2013, prevista nella lettera dell’avv. Galvagno del 12.6.2013, (quella che prevedeva l’applicazione della convenzione solo alle pratiche nuove), richiamate entrambe per i parametri tariffari applicabili alle attività del professionista successive al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha chiarito a pagina 13, che a differenza delle altre deroghe della lettera del 12.6.2013, quella del punto 5.2 è risultata superata per incompatibilità dalla disciplina dettata nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 per tutte le attività svolte dal professionista prima del 30.6.2014.
L’ordinanza impugnata ha quindi correttamente applicato l’art. 1362 cod. civ. sia in relazione al testo letterale, che al comportamento precedente delle parti, nonché l’art. 1366 cod. civ.
L’interpretazione data è quindi plausibile e conforme ai canoni ermeneutici degli articoli 1362 e 1366 cod. civ., e ad essa il ricorrente vorrebbe contrapporre inammissibilmente la propria diversa interpretazione, valorizzando una serie di altri elementi di prova per sostenere la persistente liquidabilità in suo favore di compensi per attività giudiziali e stragiudiziali svolte prima del 30.6.2014 (le posizioni n. 1 BCC/F.S.-Bossi-Messa; n. 5 e 6 BCC/Castelli-Signorini e n. 10 BCC/Parati Rodano) sulla base della convenzione del 1994 modificata nel 1996, compensi invece già coperti dall’importo forfettario pattuito con l’accordo liquidatorio transattivo del 29.4.2015 con previsione di un pagamento triennale.
Occorre del resto precisare che “in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l’accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati.
Infatti, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata” (Cass. ord. 31.12.2024 n.35277; Cass. n. 18214/2024; Cass. n. 99461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 16254/2012; Cass. 24539/2009).
Ulteriormente va rammentato che “in materia di interpretazione dei contratti, non si può affermare che vi sia una violazione delle regole legali di ermeneutica solo perché il testo dell’accordo potrebbe teoricamente consentire interpretazioni diverse da quella adottata dalla sentenza impugnata. L’interpretazione del negozio giuridico scelta dal giudice di merito può portare alla cassazione della sentenza solo quando sia palesemente scorretta dal punto di vista grammaticale, sistematico o logico. Tuttavia, se l’interpretazione adottata è plausibile, anche in presenza di altre interpretazioni ugualmente plausibili, non vi sono motivi per cassare la sentenza. La Corte di cassazione non può interviene per sostituire un’interpretazione plausibile con un’altra altrettanto plausibile, ma solo per correggere interpretazioni manifestamente errate” (Cass. ord. 27.9.2024 n. 25836; Cass. 10.5.2018 n. 11254; Cass. 28.11.2017 n. 28319; Cass. 15.11.2017 n. 27136) e l’interpretazione sopra riportata fornita dal Tribunale di Milano è certamente plausibile, pur non essendo l’unica che potesse essere data dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015. 7)
Col settimo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, e comunque la nullità della pronuncia, in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Secondo il ricorrente, il Tribunale di Milano sarebbe incorso nel vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, per non aver applicato, anche all’accordo del 2015, l’iter argomentativo seguito con riguardo al contratto di consulenza stipulato tra le parti nel 1996 e la convenzione tariffaria dell’11.4.2013.
Il settimo motivo è inammissibile perché, dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è più sindacabile la motivazione contraddittoria, o illogica e non è certamente configurabile, né risulta lamentata la mancanza, o mera apparenza della motivazione, o una contraddittorietà della stessa di tale gravità da non consentire di comprendere le effettive ragioni della decisione adottata.
8) Con l’ottavo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., del D.M. 55/2014 e del D.M. 127/2004, dell’art. 13 bis della L.P.F., come introdotto dal D.L. n. 148/2017 (Decreto fiscale 2018 istitutivo del cosiddetto “equo compenso”), nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost. per avere l’ordinanza impugnata respinto l’eccezione di nullità dell’accordo liquidatorio del 2015 nella parte in cui richiamava le tariffe della convenzione dell’11.4.2013, sollevata dal ricorrente, per violazione dell’art. 13 bis della L.P.F., come introdotto dal D.L. n.148/2017.
9) Col nono motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2233 cod. civ.
Il Tribunale di Milano avrebbe travisato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la L. n. 247/2012 sull’equo compenso trova applicazione anche per l’attività professionale conclusa prima della sua entrata in vigore, purché il professionista non abbia ancora ricevuto il compenso pattuito con il cliente.
Nel caso di specie, per alcune pratiche la Banca non aveva versato alcunché, neanche a titolo di acconto, mentre per altre attività l’avvocato aveva ricevuto un versamento a titolo di acconto, cui sarebbe poi dovuto seguire un conguaglio.
Inoltre, il Tribunale di Milano, liquidando una somma nettamente inferiore ai minimi tabellari e non consona al decoro della professione forense, avrebbe violato l’art. 2233, comma 2° cod. civ.
L’ottavo ed il nono motivo, esaminabili congiuntamente perché volti ad ottenere l’applicazione della normativa sull’equo compenso ed il rispetto del decoro della professione, sono infondati.
L’art. 13 bis della L.P.F. non è compreso tra le disposizioni adottate con il D.L. n. 148/2017, essendo stato introdotto dall’art. 19quaterdecies della legge di conversione n. 148/2017, con effetti dall’1.1.2018, e non avendo la norma valore interpretativo e retroattivo, non era applicabile alle prestazioni effettuate prima dell’1.1.2018, non potendosi sindacare e disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni (Cass. n. 7355/2025; Cass. n. 7354/2025; Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020) e nella specie quelle dell’accordo liquidatorio del 2015 nella parte in cui richiamava le tariffe della convenzione dell’11.4.2013.
Ne deriva che correttamente l’impugnata ordinanza, a pagina 15 della motivazione, ha escluso l’applicabilità ai rapporti professionali di causa dell’art. 13 bis della L.P.F., essendo intervenuta la rinuncia agli incarichi professionali dell’avvocato Roberto Galvagno in data 16.11.2017, e quindi in data anteriore all’1.1.2018.
A ciò va aggiunto che trattandosi nella specie di tariffe concordate dalle parti nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, il Tribunale non ne avrebbe potuto disapplicare il contenuto economico, in quanto la pattuizione negoziale costituisce il criterio di determinazione del compenso privilegiato anche se difforme dalla tariffa forense (Cass. n. 7354/2025; Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
Nuova ed inammissibile è poi la deduzione del ricorrente, che alla data dell’1.1.2018 egli non sarebbe stato ancora pagato per le prestazioni professionali oggetto di causa, per cui sarebbe risultato dovuto l’equo compenso, o almeno il minimo tariffario, fermo restando il principio che il compenso dell’avvocato va parametrato alle condizioni tariffarie esistenti alla cessazione della sua attività, senza impropri riferimenti al successivo momento del pagamento.
10) Col decimo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonché l’omessa motivazione, in relazione agli artt. 2697 cod. civ., 112 c.p.c. e 2233 cod. civ.
Il Tribunale di Milano, in violazione del principio dell’onere probatorio, avrebbe erroneamente ritenuto che all’avv. Galvagno non spettasse alcun compenso per l’attività professionale svolta prima del 30.6.2014, malgrado l’insussistenza di qualsivoglia prova di pagamento da parte della Banca. Inoltre, anche laddove la B.C.C. avesse dimostrato l’avvenuto versamento di una qualche somma, il Tribunale avrebbe dovuto comunque liquidare il quantum spettante al professionista, ed eventualmente ritenerlo versato.
Tale motivo è inammissibile, anzitutto perché da un lato con esso si lamentano violazioni di legge ex art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. che presupporrebbero una compiuta e condivisa ricostruzione del fatto, e dall’altro ci si duole ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. della mancata considerazione di determinati documenti che dimostrerebbero il protrarsi di alcune attività professionali dell’avv. Galvagno in data successiva al 30.6.2014, in tal modo rimettendo a questa Corte la selezione dei motivi da esaminare anziché la mera valutazione della loro fondatezza (vedi ex plurimis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. ord. 28.3.2025 n. 8176; Cass. n. 16448/2024; Cass. n. 4979/2024; Cass. n. 35782/2023; Cass. n. 30878/2023).
In ogni caso non vi è stata violazione della regola dell’onere probatorio dell’art. 2697 cod. civ., come ipotizzato nelle sue conclusioni dalla Procura Generale, in quanto per le prestazioni svolte in data anteriore al 30.6.2014 l’avv. Roberto Galvagno ha richiesto il pagamento sulla base della convenzione tariffaria del 1994, modificata nel 1996, mentre il Tribunale di Milano ne ha riconosciuta l’inapplicabilità per effetto del distinto accordo transattivo contenuto nell’accordo liquidatorio inter partes del 29.4.2015, con previsione di pagamento dell’importo forfettario concordato entro tre anni, titolo quest’ultimo che non è stato posto a base della richiesta di decreto ingiuntivo da parte del professionista e che è certamente distinto dal diverso titolo convenzionale invocato.
11) Con l’undicesimo motivo, subordinato ai precedenti, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ., 1372 e 2233 cod. civ., 112 e 115 c.p.c.
Il Tribunale adito avrebbe violato l’accordo liquidatorio stipulato inter partes il 29.4.2015, come integrato e modificato dalla lettera dell’avv. Galvagno del 12.6.2013, omettendo di applicare le condizioni pattuite tra il professionista e la Banca e, in specie, l’integrazione secondo la quale, al recupero del credito da parte di BCC, l’avvocato Galvagno avrebbe ricevuto i compensi come da tariffario e/o parametri ministeriali.
Inoltre, il Giudice dell’opposizione avrebbe fornito una motivazione meramente apparente in ordine ad alcune pratiche, la cui documentazione, versata in atti, non sarebbe stata esaminata.
L’undicesimo motivo è inammissibile perché meritale, essendo volto ad ottenere in sede di legittimità il riconoscimento di compensi ulteriori per pratiche affidate al Galvagno dalla BCC per le quali egli avrebbe fornito prova del recupero dei crediti da parte della BCC mediante transazioni, o procedure esecutive, con conseguente diritto alla maggiorazione del compenso secondo la previsione del punto 3.4 della lettera del 12.6.2013 dell’avv. Galvagno indicata dell’11.4.2013 come integrativa della convenzione.
12) Col dodicesimo motivo, subordinato ai precedenti, si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 1372 cod. civ., del D.M. 55/2014, degli artt. 112 e 115 c.p.c.
Il Tribunale di Milano avrebbe liquidato i compensi spettanti all’avv. Galvagno per alcune delle pratiche indicate nell’allegato all’accordo del 2015, integrato dalla lettera del 12.6.2013, disattendendo la volontà delle parti emergente dalla pattuizione ed omettendo di esaminare la documentazione prodotta, anche in violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.
Il motivo è inammissibile, perché sia pure richiamando asserite violazioni di legge, tende in realtà ad ottenere una diversa ricostruzione della volontà delle parti attraverso una differente valutazione del materiale istruttorio, il che non è consentito in sede di legittimità.
13) Col tredicesimo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., il ricorrente principale si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 112 e 115 c.p.c.
Il Tribunale adito avrebbe liquidato in favore del Galvagno somme irrisorie, non adeguate al decoro della professione forense e ingiustificatamente inferiori ai minimi tabellari di cui al D.M. 55/2014.
Il tredicesimo motivo, in disparte la considerazione che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 è stato liberamente pattuito dalle parti e non è quindi modificabile dal giudice per adeguarlo al decoro professionale, in quanto le tariffe forensi sono stabilite a tutela dell’interesse del decoro e della dignità della categoria professionale e non dell’interesse generale della collettività (Cass. n.14293/2018; Cass. n. 1900/2017; Cass. n. 21235/2013; Cass. 22.11.1995 n. 12095), è inammissibile per difetto di specificità, in quanto non individua i compensi irrisori che sarebbero stati liquidati, né illustra la difformità rispetto ai minimi previsti dalla tabella forense del D.M. n. 55/2014.
14) Col quattordicesimo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., si lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione, in relazione agli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 1364, 1372 e 1374 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 2697 cod. civ., 112 e 115 c.p.c., del D.L. n. 1/2012, dell’art. 24 L. n. 794/1942.
Nella liquidazione di alcune delle pratiche svolte dall’avvocato, il Tribunale di Milano, in violazione della normativa in rubrica, avrebbe omesso di considerare gli accordi intercorrenti tra le parti, i minimi inderogabili, le somme versate a titolo di acconto, il valore dell’opera prestata e i risultati raggiunti in ragione della stessa, rapportati alla particolarità delle questioni trattate, ai sensi del D.M. 55/2014.
Tale motivo è inammissibile perché meritale, essendo volto ad ottenere una rivalutazione del materiale istruttorio, degli accordi delle parti e della complessità degli incarichi svolti, che conduca al riconoscimento di compensi maggiori di quelli liquidati in favore dell’avvocato Galvagno, ma è evidente che non può essere richiesto un nuovo giudizio di fatto in sede di legittimità.
15) Col quindicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente censura l’ordinanza gravata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 2 del D.M. 55/2014 e 112 c.p.c.
Il Giudice dell’opposizione avrebbe erroneamente omesso di liquidare il rimborso forfettario per spese generali, in quanto non contemplato dall’accordo tariffario del 2013, in tal modo violando l’art. 2 del D.M. 55/2014, secondo il quale tale rifusione, ulteriore rispetto al compenso e al rimborso delle singole opere, è dovuta al professionista anche nelle ipotesi di determinazione contrattuale del compenso.
Il quindicesimo motivo è fondato, in quanto l’ordinanza impugnata, all’ultimo capoverso di pagina 19, ha negato il rimborso spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato Galvagno, pari ad € 9.290,00, perché non previsto nella convenzione del 2013, ma in realtà il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (pur facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. Galvagno del 12.6.2013) e non la convenzione dell’11.4.2013, e quando è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, posto a base delle prestazioni liquidate, era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
Ne deriva che tale motivo va accolto, cassando sul punto l’ordinanza impugnata.
XVI) Col sedicesimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui al D.M. 238/1992.
Il Tribunale di Milano avrebbe erroneamente condannato l’opponente BCC al pagamento degli interessi moratori ex D.M. 238/1992 a decorrere dalla data di deposito dell’ordinanza, anziché dalla data di costituzione in mora o, quantomeno, dalla data del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.
Il motivo è fondato e merita accoglimento, in quanto secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte – a cui va dato seguito – nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611).
Ancorché poi non possa trovare applicazione la disposizione del D.M. n. 238/1992, che prevedeva la spettanza degli interessi ex D. Lgs. n. 231/2002 e della rivalutazione monetaria dalla scadenza del termine di tre mesi dall’invio della parcella da parte del professionista, trattandosi di norma regolamentare non abilitata a modificare la disciplina codicistica dell’art. 1224 cod. civ., nel caso in esame, essendo stato notificato il decreto ingiuntivo opposto il 27.11.2018, doveva trovare applicazione l’art. 1224 comma 4° cod. civ., introdotto dal D.L. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, che dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002), manifestando in tal modo il chiaro intento di contrastare, anche con la maggiorazione degli interessi di mora, pratiche dilatorie ovvero ostruzionistiche del debitore, e volendo in ogni caso assicurare che la durata del processo non possa andare a danno del creditore, principio questo già ritenuto applicabile anche ai compensi degli avvocati (Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611).
Ne deriva che l’ordinanza impugnata, che aveva riconosciuto gli interessi ex D.lgs. n. 231/2002, ma solo a decorrere dalla liquidazione del compenso con l’ordinanza stessa, aderendo ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità ormai superato, dev’essere cassata sul punto, dovendo il giudice di rinvio far decorrere gli interessi ex D. Lgs. 231/2002, che erano stati richiesti già in fase monitoria, dalla data della domanda giudiziale, da individuarsi in quella del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo dell’avv. Roberto Galvagno.
- A) Passando ora all’esame del ricorso incidentale, col primo motivo la BCC lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Il Giudice dell’opposizione avrebbe erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di BCC di inammissibilità della domanda articolata dal Galvagno in sede monitoria, omettendo di rilevare che l’avvocato aveva avviato plurime azioni legali contro la B.C.C., innanzi ai Tribunali di Monza e di Milano, volte all’accertamento di un credito nascente dal medesimo rapporto professionale, configurandosi asseritamente per tale via un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, in violazione dei principi di correttezza e di buona fede contrattuale.
Il primo motivo del ricorso incidentale deve ritenersi infondato.
L’impugnata ordinanza ha escluso che ricorra un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, sottolineando che si tratta in realtà di una pluralità di crediti discendenti da incarichi professionali distinti conferiti nel corso degli anni dalla BCC all’avvocato Roberto Galvagno, ancorché regolati da convenzioni tariffarie, e quindi non di crediti derivanti da un unico rapporto obbligatorio, sottolineando che la stessa BCC, per contrastare l’avversa eccezione di giudicato esterno del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza, emesso a favore del professionista, e tardivamente opposto dalla BCC, abbia sottolineato la diversità dei crediti fatti valere in quella sede, rispetto a quelli oggetto di questo giudizio, ed ha richiamato sul punto un precedente di questa Corte (Cass. ord. n.19898/2018).
Già l’ordinanza di questa Corte n. 7354/2025 pronunciata tra le stesse parti per altri incarichi professionali ha ricordato che “non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. sez. un. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata” (Cass. n. 6591/2019; Cass. n. 17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017), ed ha puntualizzato che è ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
Il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all’illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità, o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017).
Ne deriva che poiché nel caso in esame il Tribunale di Milano ha accertato l’esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall’avvocato Roberto Galvagno, ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la BCC, non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca.
- B) Col secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., la ricorrente incidentale lamenta la nullità della pronuncia impugnata in relazione agli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost.
L’ordinanza gravata sarebbe affetta dal vizio di contraddittorietà della motivazione, per avere il Giudice dell’opposizione ritenuto, da un lato, che non si fosse perfezionata la convenzione tariffaria del 2013 proposta da B.C.C. Gestione Crediti anche quale mandataria della Banca di Credito Cooperativo di Milano – Società Cooperativa, dall’altro che le fatture per le prestazioni professionali dell’avv. Galvagno, conformi al tariffario di cui alla predetta convenzione, fossero state emesse in esecuzione di tale rapporto contrattuale.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. operata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 134, non è più censurabile la contraddittorietà della motivazione, peraltro nella specie basata dalla BCC sul richiamo in motivazione da parte dell’ordinanza impugnata di un’altra ordinanza del Tribunale di Milano.
In ogni caso l’ordinanza impugnata ha chiaramente ed autonomamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non accettata mediante sottoscrizione di un unico testo ad opera delle parti la convenzione del 2013, alla quale semplicemente ha fatto rinvio l’accordo liquidatorio del 2015 nei termini già precisati, e non può ammettersi la rivalutazione in questa sede del materiale istruttorio rappresentato dalle fatture emesse dall’avvocato Roberto Galvagno allo scopo di desumerne, in contrasto con quanto deciso dal giudice di merito competente per la ricostruzione dei fatti, la conclusione della convenzione del 2013.
- C) Col terzo motivo la ricorrente incidentale si duole, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ.
Il Tribunale di Milano, violando il criterio dell’interpretazione letterale, non avrebbe correttamente applicato le modifiche alla convenzione del 2013 punto 3.4 contenute nella lettera del 12.6.2013 dell’avv. Galvagno, richiamate nell’accordo liquidatorio del 2015, ritenendo sufficiente l’avvenuta liquidazione del compenso per il decreto ingiuntivo n. 7042/2014 del Tribunale di Monza del 5.11.2014 emesso a favore della BCC patrocinata dall’avvocato Roberto Galvagno a carico della Palakarting SPA, al fine di attribuirne la spettanza al professionista (punto 7 del ricorso per decreto ingiuntivo), omettendo di accertare l’effettivo recupero da parte della B.C.C. della relativa somma, oltre rimborso forfettario e accessori di legge, a titolo di spese legali, che invece era espressamente richiesto dalla suddetta lettera di modifica della convenzione del 2013 accettata, per attribuire i maggiori compensi liquidati giudizialmente, anziché i compensi stabiliti secondo i parametri di tale convenzione come modificata.
- D) Col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., si denuncia la nullità della pronuncia impugnata in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 Cost.
La ricorrente ripropone la medesima censura di cui al precedente motivo, sotto l’ulteriore profilo della nullità del provvedimento impugnato per carenza assoluta di motivazione in ordine alla circostanza dell’effettivo recupero, da parte della Banca, della somma liquidata a suo favore ed a carico della Palakarting SPA.
Il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente perché inerenti al medesimo compenso, sono fondati, in quanto l’impugnata ordinanza ha violato il canone interpretativo dell’art. 1362 cod. civ. attribuendo all’avv. Roberto Galvagno il compenso liquidato dal Tribunale di Monza nel decreto ingiuntivo n.7042/2014 a favore della BCC ed a carico della Palakarting SPA, poi fallita, senza accertare se la BCC avesse effettivamente recuperato quella somma dalla debitrice e senza nulla motivare sul punto (vedi pagina 19 secondo capoverso), ancorché tale recupero costituisse condizione per l’attribuzione all’avv. Roberto Galvagno di quel compenso, secondo la modifica, da lui stesso richiesta, nella lettera del 12.6.2013, alla convenzione del 2013, come accettato dalle parti con la sottoscrizione dell’accordo liquidatorio del 2015.
L’art. 3.4 della convenzione del 2013 prima delle modifiche chieste dal professionista indicava che “il precedente art. 31 trova applicazione anche qualora il corrispettivo determinato ai sensi dei parametri riportati negli allegati risulti inferiore a quelli liquidati dagli organi giurisdizionali nelle sedi competenti, valendo ad ogni effetto, la sottoscrizione della Convenzione, quale rinuncia espressa alle spese giudiziali come giudizialmente liquidate. Fermo quanto precede al Legale potranno comunque essere riconosciuti i maggiori importi liquidati giudizialmente ove integralmente posti a carico della controparte soccombente o di terzi ed integralmente recuperati presso la controparte soccombente o terzi”.
Nella lettera del 12.6.2013 l’avv. Galvagno in relazione al suddetto punto 3.4 della convenzione del 2013 ha chiesto le suddette modifiche: 1) l’eliminazione dell’inciso “il precedente art. 31 trova applicazione anche qualora il corrispettivo determinato ai sensi dei parametri riportati negli allegati risulti inferiore a quelli liquidati dagli organi giurisdizionali nelle sedi competenti, valendo ad ogni effetto, la sottoscrizione della Convenzione, quale rinuncia espressa alle spese giudiziali come giudizialmente liquidate”; 2) la sostituzione dell’ultima parte del punto 3.4 con le parole “Al Legale dovranno essere riconosciuti i maggiori importi che saranno recuperati dalla controparte”.
Ne deriva che con le modifiche così apportate alla convenzione del 2013, si ricorda mai sottoscritta dalle parti, ma applicabile in virtù di quanto pattuito dalle parti nell’accordo liquidatorio del 2015, da un lato è stato eliminato il principio che con la sottoscrizione della convenzione l’avv. Roberto Galvagno avrebbe automaticamente rinunciato a vedersi corrisposti i compensi nella misura liquidata giudizialmente anche se superiori a quelli calcolati secondo la convenzione del 2013 come modificata dalla sua lettera del 12.6.2013 (e di tale modifica l’ordinanza impugnata ha tenuto conto); e dall’altro si è agganciata la possibilità per il professionista, di ottenere il pagamento degli importi liquidati dall’autorità giudiziaria, superiori a quelli determinati secondo la convenzione del 2013 come modificata con la lettera citata, alla condizione del recupero effettivo da parte della BCC, dalla parte debitrice, delle spese liquidate giudizialmente, ma sul verificarsi di tale condizione, da provare da parte del professionista asserito creditore, l’impugnata ordinanza non ha effettuato alcun accertamento e non ha reso alcuna motivazione, per cui va cassata sul punto affinché il giudice di rinvio, attenendosi alla lettera della convenzione come modificata, accerti se la BCC abbia recuperato dalla Palakarting SPA i compensi liquidati a suo favore dal Tribunale di Monza nel decreto ingiuntivo n.7042/2014.