Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 19 maggio 2025 n. 13249
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di “restituzioni” all’esportazione come disciplinate dal Regolamento (Cee) n. 3665/87 della Commissione del 27 novembre 1987 la richiesta stragiudiziale di corresponsione del relativo sussidio economico, rivolta dal creditore esportatore nei confronti dell’Amministrazione finanziaria debitrice, costituisce atto idoneo a costituire in mora quest’ultima, anche agli effetti delle norme di contabilità di Stato, a decorrere dalla scadenza del termine ragionevole – nella specie definitivamente fissato dal giudice di merito – entro il quale l’Amministrazione medesima deve svolgere e completare il procedimento di verifica previsto dal Regolamento suddetto. Pertanto, conclusasi positivamente tale verifica e spirato quel termine senza l’avvenuto pagamento del menzionato sussidio, spettano al creditore esportatore gli interessi moratori sull’importo dello stesso e con l’indicata decorrenza.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’unico motivo, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219, 1182, 1224 e 1282 c.c., in relazione agli artt. 269 e ss. del r.d. n. 827/1924 ed al r.d. n. 2440/1923 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)», l’Agenzia ricorrente ascrive alla corte distrettuale di avere errato nel non considerare che, pur essendo integralmente regolata dal diritto comunitario la materia delle integrazioni di prezzo ai produttori agricoli esportatori verso Paesi UE, comunque rimangono applicabili le normative in tema di contabilità dello Stato e di debiti pecuniari della Pubblica Amministrazione. Pertanto, essendo l’obbligazione quérable, il ritardo non può concretizzarsi se non a seguito di una specifica intimazione di pagamento. . Né, al contempo, la domanda di pagamento del contributo può valere come intimazione ai sensi dell’art. 1219 cod. civ., atteso che essa è proposta prima del decorso del termine ragionevole previsto per la definizione del procedimento, cosicché, per altro verso, nessun ritardo può ancora ritenersi verificato prima della scadenza del predetto termine.
1.2. Da qui l’impossibilità, secondo l’assunto della medesima Agenzia, di poter configurare un diritto al pagamento di interessi e maggior danno, ex art. 1224 cod. civ., in assenza di una costituzione in mora diversa da quella costituita dalla notifica dell’atto di citazione effettuata […].
1.3. D’altra parte, la natura quérable dell’obbligazione e la incidenza della normativa in materia di contabilità dello Stato escluderebbero il decorso degli interessi corrispettivi dall’intervenuto decorso del termine ragionevole per la definizione del procedimento. […]
- L’ordinanza interlocutoria n. 32405 del 2023 e le questioni rimesse alle Sezioni Unite.
2.1. In quella sede, il Collegio, dopo aver descritto la concreta fattispecie sottoposta al suo esame ed aver richiamato il quadro normativo di riferimento (Regolamento CE n. 565/1980 e Regolamento CE n. 3665/1987, applicabili ratione temporis, che hanno disciplinato il pagamento, in favore dei produttori agricoli, di somme per il diritto alle restituzioni all’esportazione per i prodotti soggetti ad un regime di prezzi unici), ha ricordato, in primis, che, nell’odierna vicenda, sia il tribunale che la corte di appello hanno ritenuto che il termine per il versamento delle restituzioni dovesse desumersi dal sistema e l’hanno determinato in sessanta giorni, “dalla data del completamento della documentazione”, altresì ritenendo che tale termine, una volta decorso, non rendesse più ipotizzabile alcuna necessità di una ulteriore intimazione di pagamento e, dunque, che non fosse necessario un atto specifico di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 cod. civ. […].
2.2. L’ordinanza in esame ha rimarcato, poi, che le questioni poste dal motivo di ricorso non attengono alla verifica dell’esistenza, o non, all’interno dell’ordinamento, del termine entro il quale la domanda originariamente proposta dalla (omissis) in bonis doveva essere esitata al fine del riconoscimento delle invocate restituzioni all’esportazione (sul punto, infatti, si è formato il giudicato interno, non essendo stata specificamente impugnata la determinazione di quel termine come quantificata dal giudice di merito), ma riguardano i profili, rimasti ancora controversi, concernenti, rispettivamente:
- i) se, rispetto all’obbligazione di cui si discute, debba, o non, trovare applicazione la disciplina prevista per le obbligazioni di pagamento di denaro alle quali è tenuta la P.A.: disciplina che, in deroga agli artt. 1219, comma 2, n. 3, e 1182 cod. civ., prevede la necessità di un atto di costituzione in mora anche per le obbligazioni per le quali sia scaduto il termine, dovendo l’obbligazione dell’amministrazione essere adempiuta ed eseguita presso il domicilio del debitore;
- ii) se sia corretta la statuizione della corte partenopea che ha ritenuto essere insorta comunque l’obbligazione del pagamento di interessi corrispettivi a carico dell’Agenzia delle Dogane per effetto della scadenza del termine fissato per definire il procedimento di riconoscimento del diritto alla restituzioni ed al prefinanziamento in favore del produttore, anche a non volere considerare verificata la mora per effetto della scadenza del termine per la definizione del procedimento di verifica dell’esistenza del medesimo diritto alle restituzioni all’importazione.
- Ricordati, allora, i principi espressi da Cass., SU, n. 1561 del 1977, – in forza dei quali le “restituzioni”, benché disciplinate da regolamenti comunitari, per quanto attiene alle modalità e tempi del loro pagamento restano assoggettate alle norme di diritto interno (con la conseguenza che il credito dell’esportatore diviene liquido ed esigibile, e perciò produttivo di interessi compensativi, solo quando sia stata ordinata la spesa ed emesso il relativo ordinativo di pagamento, ai sensi dell’art. 270 del r.d. n. 827 del 1924) – il Collegio remittente ha sottolineato l’esigenza di verificarne la tenuta con la giurisprudenza successiva formatasi in tema di irrilevanza della definizione del procedimento di spesa per i debito pecuniari da ritardo della P.A.
- Questa Corte, infatti, – sebbene ferma nel ritenere che sui debiti delle Pubbliche Amministrazioni, per i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al principio di cui all’art. 1182, comma 3, cod. civ., che i pagamenti si effettuano presso gli uffici di tesoreria dell’Amministrazione debitrice, la natura quérable dell’obbligazione comporta che il ritardo nei pagamenti non determina automaticamente gli effetti della costituzione in mora ex re, ai sensi dell’art. 1219, comma 2, n. 3, cod. civ., occorrendo, invece, affinché sorga la responsabilità da tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori e di risarcimento dell’eventuale maggior danno, la costituzione in mora mediante intimazione scritta di cui allo stesso art. 1219, comma 1 (cfr., ex multis, Cass. nn. 29776 e 23823 del 2020; Cass. n. 19085 del 2015; Cass. n. 5066 del 2009; Cass. nn. 19320 e 10691 del 2005) – ha ulteriormente specificato che, ove vi sia un colpevole ritardo nell’espletamento della procedura di liquidazione, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere gli interessi moratori, a prescindere dall’emissione, o meno, del mandato di pagamento (così, ex aliis, Cass., SU, n. 2065 del 1980; Cass., SU, nn. 359 e 4351 del 1985; Cass. n. 3632 del 1980; Cass. n. 1759 del 1982; Cass. nn. 1673, 1674, 2264 e 6597 del 1983; Cass. nn. 406 e 3533 del 1985; Cass. n. 2675 del 1986, Cass. n. 16683 del 2002).
3.1. Pertanto, secondo questo indirizzo ermeneutico, in tema di mora in ordine ai contratti stipulati dalla P.A., le regole di diritto privato sull’esatto adempimento delle obbligazioni (artt. 1218 e 1224 cod. civ.) si applicano anche ai debiti della Pubblica Amministrazione medesima, sicché l’eventuale esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica non giustifica, in caso di colpevole ritardo nelle formalità di liquidazione, la deroga al principio, desumibile dall’art. 1218 cod. civ., della responsabilità del debitore per l’inesatto o tardivo adempimento della prestazione (responsabilità che si attua con la corresponsione degli interessi moratori come forma di risarcimento minimo), né a quello, posto dall’art. 1224, comma 1, cod. civ., che identifica la decorrenza degli interessi con il giorno della costituzione in mora.
3.2. L’ordinanza interlocutoria n. 32405/2023, dunque, si è interrogata sulla possibilità di ammettere una tutela differenziata tra le obbligazioni della P.A., disciplinate dal diritto comunitario e relative alle restituzioni alle esportazioni per prodotti soggetti ad un regime di prezzi unici (per le quali, come affermato dalle Sezioni Unite fin dal 1977, è necessario, pur in presenza di un ritardo nell’adempimento da parte dell’amministrazione, l’emissione di un titolo di spesa), e le altre obbligazioni della P.A. per le quali, invece, il colpevole ritardo determina l’insorgenza del diritto agli interessi moratori a prescindere dall’emissione di un mandato di pagamento.
3.3. Con specifico riferimento, poi, alla questione dell’incidenza, al fine del riconoscimento degli interessi corrispettivi a carico della P.A. in assenza di titolo di spesa, della idoneità, o non, della richiesta del contributo comunitario che apre il procedimento di verifica dei suoi presupposti e di eventuale loro erogazione (che, nella prospettiva esposta nel ricorso per cassazione, non può valere come intimazione ex art. 1219, comma 1, cod. civ. nei confronti della P.A., intervenendo prima del decorso del termine ragionevole e, quindi, in assenza di un ritardo. Tesi che si oppone a quella propugnata, invece, dalla difesa della controricorrente ed in parte fatta propria dalla corte di appello, volta a sostenere che l’istanza di restituzione riguarda un diritto già riconosciuto al produttore che, alla scadenza del termine finalizzato unicamente a mettere in campo le risorse finanziarie necessarie per l’erogazione del sussidio, dà luogo al riconoscimento degli interessi con decorrenza dall’originaria istanza), la medesima ordinanza interlocutoria ha ricordato che il consolidato orientamento della Suprema Corte, in forza del quale il credito pecuniario vantato nei confronti della P.A. non può ritenersi liquido ed esigibile fino a quando l’amministrazione non abbia emesso il titolo di spesa in conformità a quanto previsto dall’art. 270 del r.d. n. 827 del 1924 (cfr. ex plurimis, Cass., n. 19452 del 2012; Cass. n. 18377 del 2010; Cass. n. 17909 del 2004; Cass. n. 2071 del 2000), sembra essere stato in parte superato Cass., Sez. 1, n. 11655 del 2020, che ha ritenuto che i debiti dello Stato e degli altri enti pubblici diventano liquidi ed esigibili quando ne sia determinato l’ammontare a prescindere dal procedimento contabile di impegno e ordinazione della spesa.
3.4. Affermazione, quest’ultima, che, però, è stata apertamente disattesa dalla Cass., Sez. 1, n. 118 del 2023, tornata a posizionarsi sull’orientamento tradizionale.
- Così delineate le principali posizioni di questa Corte sul tema delle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione (con riferimento agli effetti del loro ritardato adempimento ed alla riconoscibilità degli interessi corrispettivi riguardanti un debito liquido ed esigibile in assenza di un titolo di spesa), nella ordinanza di rimessione de qua sono state illustrate in modo dettagliato le ragioni a sostegno della rimessione alle Sezioni Unite delle questioni controverse. In particolare, i plurimi temi dibattuti in relazione al motivo di ricorso, risolti in modo non sempre univoco dalla giurisprudenza di legittimità, sono stati così declinati dal Collegio remittente:
- a) natura ed effetti dell’istanza di restituzione all’importazione per prodotti soggetti ad un regime di prezzi unici e sua idoneità, o non, a costituire atto idoneo ex se a determinare il sorgere dell’obbligazione della P.A. alla scadenza del termine “ragionevole” entro il quale l’amministrazione deve definire il procedimento;
- b) efficacia delle disposizioni in tema di contabilità di Stato riguardo alle obbligazioni di restituzione alle importazioni azionate dalla società nei confronti dell’amministrazione pubblica;
- c) ammissibilità di una tutela differenziata tra le obbligazioni della P.A., disciplinate dal diritto comunitario e relative alle restituzioni alle esportazioni per prodotti soggetti ad un regime di prezzi unici (per le quali, come affermato dalle Sezioni Unite fin dal 1977, è necessario, pur in presenza di un ritardo nell’adempimento da parte dell’amministrazione, l’emissione di un titolo di spesa), e le altre obbligazioni della P.A. per le quali, invece, il colpevole ritardo determina l’insorgenza del diritto agli interessi moratori a prescindere dall’emissione di un mandato di pagamento;
- d) effetti della mancata emissione del titolo di spesa sugli interessi corrispettivi;
- e) coerenza dei principi affermati dalla Suprema Corte in tema di obbligazioni pecuniarie della P.A. a seconda che si verta in tema di interessi moratori o corrispettivi (atteso che la normativa contabile di rango secondario in tema di contabilità pubblica è stata ritenuta, a volte, idonea a modificare la regolamentazione di cui agli artt. 1182 e 1282 del codice civile, mentre, in altre occasioni, si è giunti a soluzioni opposte);
- f) necessità di risolvere la questione relativa alle conseguenze del mancato adempimento delle restituzioni all’esportazione in modo coerente con il diritto dell’Unione e nel rispetto dei principi generali di equivalenza ed effettività. Con riferimento a tale ultimo profilo, e, in particolare, quanto al principio di equivalenza (da cui discende che gli individui che fanno valere i diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione non devono essere svantaggiati rispetto a quelli che fanno valere diritti di natura meramente interna. Cfr. Corte giust., 7 marzo 2018, causa C-494/16, Santoro, § 39; Corte giust., 14 febbraio 2019, causa C-562/17, Nestrade, § 37), nell’ordinanza viene rimarcata l’esigenza di interrogarsi sulla compatibilità di un regime differenziato tra obbligazioni pecuniarie della P.A., sorte sulla base di un rapporto privatistico (per le quali non è richiesto un titolo di spesa), ed obbligazioni relative alle restituzioni all’esportazioni (per le quali, invece, è richiesto un mandato di pagamento), sottolineandosi, altresì, come la rilevanza delle norme di contabilità impedirebbe al creditore di avere un mezzo di tutela acceleratorio alla mancata emissione del titolo di spesa da parte della P.A. In merito al necessario rispetto del principio di effettività, infine, il Collegio remittente ha richiamato i principi affermati dalla Corte di Giustizia in tema di ritardo nel versamento delle restituzioni all’importazione (sentenze del 18 aprile 2013, Irimie, C-565/11, punti da 26 a 28, e del 23 aprile 2020, Sole-Mizo e Dalmandi Mezőgazdasági, C-13/18 e C-126/18, punti 43, 49 e 51) in forza dei quali determinate modalità di pagamento degli interessi non devono finire per privare l’interessato di un rimborso adeguato per la perdita causatagli, con conseguente contrarietà al diritto dell’Unione di un meccanismo giuridico che non consenta l’esercizio effettivo dei diritto al rimborso ed al pagamento degli interessi.
- Il tempo ed il luogo dell’adempimento nelle obbligazioni. Le questioni trattate nell’ordinanza interlocutoria rendono opportuno un breve esame della normativa codicistica riguardante il luogo ed il tempo dell’adempimento delle obbligazioni, atteso che proprio in relazione a questi aspetti si manifestano le peculiarità delle obbligazioni pecuniarie.
5.1. A seconda, infatti, che per l’esecuzione della prestazione sia stato fissato, o non, un termine ed in rapporto al luogo in cui deve essere eseguito il pagamento (domicilio del creditore, del debitore o di un terzo), anche il regime di decorrenza degli interessi viene ad esserne influenzato. Ove, poi, debitrice sia una Pubblica Amministrazione, occorre tenere conto anche di quanto sancito dalla legge sulla contabilità generale dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) e dal regolamento di cui al r.d. 23 maggio 1924, n. 827. 5.1.
5.2. La lettura dell’art. 1182, ultimo comma, cod. civ. evidenzia chiaramente che il modello al quale si è attenuto anche il nostro codice è quello delle obbligazioni che debbono essere adempiute al domicilio del debitore (obbligazioni “quérables”), per cui, nella generalità dei casi, è sufficiente che il debitore, al tempo della scadenza, appresti nel proprio domicilio la prestazione a disposizione del creditore, il quale avrà, pertanto, l’onere di recarsi presso il medesimo per esigere ed ottenere quanto gli spetta.
5.3. L’opposto criterio, invece, è seguito per le obbligazioni pecuniarie, laddove l’art. 1182, comma 3, cod. civ., innovando rispetto a quanto stabilito dal codice abrogato (all’art. 1249), dispone che le obbligazioni pecuniarie vadano adempiute “al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza” (obbligazioni portables).
5.4. Nella Relazione al libro delle obbligazioni l’abbandono del tradizionale criterio del favor debitoris viene giustificato con il riferimento al fatto che “con i mezzi di trasmissione del denaro oggi a disposizione di tutti, diviene più agevole per il debitore l’adempimento al domicilio del creditore che non a questi di ottenere il pagamento al domicilio del debitore”.
5.5. Tuttavia, come pure è stato osservato in dottrina, la valutazione complessiva della regola di cui all’art. 1182, comma 3, cod. civ. mostra come la norma sia particolarmente severa nei confronti del debitore: questi, infatti, a stretto rigore, va ritenuto inadempiente se la somma da lui dovuta, ove pure ne sia provato il tempestivo invio, non pervenga nella disponibilità del creditore nel termine stabilito, dovendo il debitore medesimo dimostrare che ciò non si è potuto verificare per causa a lui non imputabile.
5.6. Il fatto che tutte le obbligazioni pecuniarie siano portables assume rilevanza, poi, – per quanto di specifico interesse in relazione alle questioni oggi all’esame di queste Sezioni Unite – al fine dell’applicazione a tali obbligazioni del principio della mora ex re, ove l’obbligazione pecuniaria sia assistita da un termine per il pagamento (cfr. art. 1219, comma 2, n. 3, cod. civ.).
5.7. Una “deroga legale” al carattere portabile dei pagamenti di somme è quella relativa ai pagamenti dei debiti dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali, che, ai sensi della già ricordata normativa sulla contabilità generale dello Stato e di quella relativa agli enti locali, così come interpretata dalla giurisprudenza, prevede che i pagamenti delle spese vadano effettuati e riscossi presso il luogo in cui ha sede l’ufficio di tesoreria tenuto a procedere al relativo pagamento, a seguito dell’esibizione del mandato. Si tratta di un principio che esprime un antico privilegio “ispirato a criteri di ordine pubblico, in quanto dettato da esigenza di regolare e razionale svolgimento della gestione amministrativa e contabile delle pubbliche amministrazioni cui è affidata la soddisfazione di interessi collettivi” (cfr. Cass. n. 2556 del 1964).
- Con riguardo, invece, al “tempo” dell’adempimento, dalla disciplina contenuta nel codice civile (artt. 1183-1187 e 1218 e ss.) si ricavano, i seguenti principi: i) il debitore di una somma liquida ed esigibile è tenuto ad effettuare il pagamento alla scadenza dell’obbligazione; ii) il ritardo nell’adempimento, in quanto violazione della modalità temporale di esecuzione della prestazione, costituisce lesione del diritto del creditore e si pone quale fonte di un autonomo obbligo risarcitorio.
6.1. Questi principi sono stati ritenuti, da parte della dottrina, inapplicabili alle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, osservandosi, in proposito (come si vedrà, più esaustivamente, nel prosieguo di questa motivazione), che tali debiti pecuniari si possono considerare liquidi ed esigibili soltanto dopo che la relativa spesa sia stata ordinata dall’Amministrazione, con l’emissione del titolo, nelle forme prescritte dalle norme di contabilità. In questo modo si è affermata, anche con riguardo alla definizione della liquidità dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni, l’applicazione di una nozione particolare, venendosi a distinguere la liquidità ed esigibilità stabilità dal codice civile dalla liquidazione contabile, disciplinata dal regolamento di contabilità di Stato.
6.2. Proprio in ossequio alla tesi dell’inesigibilità contabile, allora, è stato sostenuto che “il diritto di credito pecuniario verso l’Erario, non diversamente dall’analogo diritto verso qualsiasi altro debitore, può essere considerato perfetto dal momento in cui il credito diventa liquido ed esigibile ai sensi del diritto comune, e cioè delle leggi civili; il diritto di pagamento di tale credito rimane, però, in stato di pendenza fin quando, a seguito degli altri adempimenti previsti dalla legislazione sulla contabilità di Stato, non sia stato emesso il titolo di spesa”.
6.3. In particolare, la costruzione di un’autonoma teoria delle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, caratterizzata da una disciplina specifica e da autonomi principi, è stata fondata sull’efficacia cd. esterna riconosciuta alle norme della contabilità di Stato, che, avendo forza di diritto oggettivo, avrebbero efficacia vincolante non soltanto all’interno, nei confronti dell’Amministrazione, ma anche all’esterno, nei confronti dei creditori statali.
6.4. Fin da ora, tuttavia, è doveroso rimarcare che la tesi dell’efficacia esterna delle norme di contabilità è costretta a confrontarsi con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 26 maggio 1981 n. 71, con la quale è stata riconosciuta all’art. 270 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, natura regolamentare, con la conseguenza che, come si legge in quella pronuncia, “con questa fonte non possono crearsi norme provviste dello stesso valore di legge”.
6.5. La teoria dell’inesigibilità contabile, poi, è stata fortemente avversata da gran parte della dottrina, essendosi sottolineato che le norme di contabilità sono norme di organizzazione “…indirizzate a disciplinare l’impiego e la destinazione delle risorse pubbliche in conformità delle leggi contabili e del bilancio, e, quindi, assolvono esclusivamente al compito del migliore perseguimento dell’interesse generale finanziario (…): il loro ambito oggettivo di operatività rimane necessariamente fermo alla regolamentazione di rapporti tra organi della Pubblica Amministrazione”.
6.6. È stato osservato, inoltre, che le norme di contabilità dello Stato regolano non rapporti intersoggettivi, ma soltanto rapporti interorganici, e, “disciplinando forme e modalità dell’azione amministrativa, non possono estendere a loro efficacia fino a condizionare o limitare la operatività delle norme comuni sui rapporti obbligatori”.
- Il ritardo nell’adempimento: natura ed effetti della costituzione in mora. Ai sensi dell’art. 1282, comma 1, cod. civ., laddove un credito sia liquido ed esigibile ed il debitore non adempia o ritardi nell’adempimento, sorge in capo al creditore il diritto di ottenere interessi (salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente). Nel prosieguo di questa motivazione si darò conto degli indirizzi ermeneutici di questa Corte circa l’applicazione della menzionata disposizione con riferimento alle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, fin da ora evidenziandosi, peraltro, che, come riconosciuto da tempo dalla dottrina, il principio espresso da quell’articolo è operante anche nei confronti dell’Amministrazione predetta, atteso che “i debiti pecuniari sono – di per sé e per chiunque – fruttiferi”. Giusta l’art. 1219, comma 1, cod. civ., poi, il debitore è costituito in mora per iniziativa del creditore, mediante intimazione o richiesta formale di adempimento.
7.1. Le questioni oggi all’attenzione delle Sezioni Unite rendono qui opportuna una sintetica riflessione circa la necessità, o non, di annoverare la costituzione in mora tra i presupposti del “ritardo” dell’adempimento (e, dunque, sulla necessità di una tale costituzione affinché sorgano le conseguenze giuridiche che la legge riconnette a questa situazione).
7.2. La mora del debitore (cd. mora solvendi o debendi), come è noto, presuppone un inadempimento (o adempimento inesatto) sotto il profilo cronologico: in altre parole, può configurarsi la mora solvendi quando il medesimo debitore è in ritardo nell’adempimento, in quanto è scaduto il termine entro il quale la prestazione doveva essere da lui eseguita e questa, tuttavia, sia ancora possibile. Ecco, dunque, che il ritardo nell’adempimento della prestazione produce due conseguenze principali: il risarcimento del danno (cfr. l’art. 1218 cod. civ. e l’art. 1224 cod. civ. per la specifica ipotesi del ritardo nelle obbligazioni pecuniarie) ed il passaggio, sul debitore, del rischio per la impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ove non dimostri che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore (cfr. l’art. 1221 cod. civ.).
7.3. La dottrina prevalente ha sottolineato come il legislatore esclude, senza possibilità di equivoci, la necessità della costituzione in mora per i casi esplicitamente elencati nell’art. 1219 cod. civ., i quali coprono la parte di gran lunga preponderante delle obbligazioni, atteso che, giusta il principio di cui all’art. 1182, comma 3, cod. civ., per il quale le obbligazioni pecuniarie si adempiono al domicilio del creditore, una larghissima parte delle obbligazioni viene ad essere compresa nella previsione dell’art. 1219, comma 2, n. 3, cod. civ.
7.3.1. Si è opinato, dunque, da un lato, che non è in alcun modo giustificato fondare la specifica qualifica della situazione di mora ed assegnarle una maggiore pienezza di effetti esclusivamente in base all’avvenuta intimazione o richiesta del creditore, quando, nella maggior parte dei casi, la legge non sembra richiedere alcuna attività del creditore per la messa in moto delle conseguenze del ritardo;
7.3.2. dall’altro, che, quando un termine (per l’adempimento) è fissato rigorosamente in rapporto al calendario, la costituzione in mora finisce con l’essere priva di qualsivoglia funzione stante il principio dies interpellat pro homine.
7.4. Di conseguenza, se una ratio può assegnarsi alla richiesta di costituzione in mora, essa deve ragionevolmente ricollegarsi agli inconvenienti cui può dar luogo, in relazione alle difficoltà di prova, il sistema dell’automaticità della mora in base alla semplice scadenza del termine. Pertanto, nelle ipotesi in cui il pagamento deve essere eseguito al domicilio del debitore ed il creditore, alla scadenza, non si presenta al detto domicilio, la semplice scadenza del termine non è sufficiente a far considerare moroso il debitore e, in questo caso, la costituzione in mora ha la funzione “di accertare la infruttuosa scadenza attraverso la prova che il creditore ha richiesto l’adempimento”.
7.5. Da una tale considerazione, allora, si è fatta derivare una tendenza ad attenuare il requisito della costituzione in mora: tendenza che, nel caso in cui il termine sia rigoroso, può trovare la sua giustificazione nel principio generale della buona fede, proprio in relazione alla individuata funzione della costituzione in mora medesima: se questa serve esclusivamente ad accertare la infruttuosa scadenza del termine, sarebbe contrario alla buona fede, dunque, richiederla quando tale scadenza risulti aliunde sicura.
7.6. Infine, anticipando quanto meglio si spiegherà più avanti, va qui evidenziato che la giurisprudenza di legittimità ritiene che, con riguardo ai debiti pecuniari delle Pubbliche Amministrazioni, per i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al principio di cui all’art. 1182, comma 3, cod. civ., che i pagamenti si effettuano presso gli uffici di tesoreria dell’amministrazione debitrice, la natura quérable dell’obbligazione comporta che il ritardo nel pagamento non determina automaticamente gli effetti della mora, ai sensi dell’art. 1219, comma 2, n. 3, cod. civ., occorrendo invece – affinché sorga la responsabilità da tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori e di risarcimento dell’eventuale maggior danno – la costituzione in mora mediante intimazione scritta di cui al primo comma dello stesso art. 1219 c.c. (cfr. ex aliis, Cass. n. 2478 del 2001; Cass. nn. 19320 e 19768 del 2005; Cass. n. 5066 del 2009; Cass. n. 19084 del 2015).
7.7. Da tempo, inoltre, è stato precisato che la costituzione in mora è elemento costitutivo della pretesa nei confronti di una Pubblica Amministrazione avente ad oggetto la corresponsione degli interessi e dell’eventuale maggior danno da svalutazione monetaria (cfr. Cass. n. 21340 del 2013; Cass. n. 10058 del 2010). Peraltro, proprio con riguardo al principio di buona fede, giova ricordare che, nel 2020, il legislatore, intervenendo sulla formulazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, ha espressamente previsto che “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.
7.8. Costituisce, da ultimo, principio consolidato che, al fine della costituzione in mora, l’intimazione al debitore non esige l’uso di formule solenni, ritenendosi sufficiente che il creditore manifesti a quest’ultimo l’intenzione di non tollerare ritardi.
- Tipologie di interessi – Giova qui un breve cenno alla distinzione tra le varie categorie di interessi.
8.1. Secondo una distinzione ormai acquisita dall’elaborazione dogmatica, gli interessi moratori si distinguono da quelli corrispettivi, ovvero dagli interessi che assolvono alla funzione di corrispettivo del denaro altrui, perché costituiscono una forma di risarcimento del danno cagionato al creditore per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
8.1.1. L’utilità di tale distinzione, tuttavia, è stata svalutata da una parte della dottrina, la quale ha ritenuto che, in presenza di un credito esigibile, la decorrenza degli interessi costituisca una conseguenza automatica del ritardo subito dal creditore nel godimento della somma dovutagli, prescindendo del tutto dalla prova del danno.
8.1.2 Un più recente approccio interpretativo muove dalla “regola dell’allineamento del tasso degli interessi moratori a quello convenzionale degli interessi corrispettivi”, espressa dall’art. 1224, comma 1, cod. civ., in forza della quale agli interessi moratori deve essere riconosciuta una (concorrente) funzione remunerativa, nella misura in cui compensano il creditore “della mancata percezione di quei frutti che la somma attesa per sua natura è in grado di produrre per il tempo ulteriore rispetto alla scadenza del termine che il debitore impone al primo col suo inadempimento”, per affermare che anche dopo la scadenza del termine vi sia un prolungamento del rapporto di corrispettività.
8.1.3 Secondo altra impostazione, a differenza degli interessi corrispettivi, quelli moratori postulano l’imputabilità (a titolo di dolo o colpa) del ritardo nell’adempimento.
8.1.4.. Non è mancato, peraltro, chi ha ritenuto che gli artt. 1224 e 1282 cod. civ. si integrino reciprocamente, nel senso che, ove il debitore versi in una situazione di ritardo non imputabile, ciò non lo esonererebbe dall’obbligo di corrispondere gli interessi ex art. 1282 cod. civ., sempre che abbia comunque goduto della disponibilità della somma.
8.2. In giurisprudenza, la diversità di funzione degli interessi corrispettivi e moratori è stata evidenziata, sotto il profilo processuale, con riferimento alla specificità della domanda, da Cass. n. 20868 del 2015, la quale ha affermato che «La domanda di corresponsione degli interessi non accompagnata da alcuna particolare qualificazione va intesa come rivolta al conseguimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, sono dovuti indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l’ipotesi della mora del creditore, atteso che la funzione primaria degli interessi nelle obbligazioni pecuniarie è quella corrispettiva, collegata alla loro natura di frutti civili della somma dovuta, mentre, nei contratti di scambio, caratterizzati dalla contemporaneità delle reciproche prestazioni, è quella compensativa, dovendosi invece riconoscere carattere secondario alla funzione risarcitoria, propria degli interessi di mora, che presuppone l’accertamento del colpevole ritardo o la costituzione in mora “ex lege” del debitore, e quindi la proposizione di un’espressa domanda, distinta da quella del pagamento del capitale».
8.2.1. Già in precedenza, peraltro, Cass. n. 1377 del 2008 aveva affermato che «La richiesta di corresponsione degli interessi, non seguita da alcuna particolare qualificazione, deve essere intesa come rivolta all’ottenimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l’ipotesi della mora del creditore» (In particolare, si trattava di fattispecie in cui gli interessi sulla somma rivendicata dal promittente venditore a titolo di prezzo nei confronti del promissario acquirente, vennero qualificati come corrispettivi e fatti decorrere dalla data in cui il credito era divenuto liquido ed esigibile).
- L’evoluzione giurisprudenziale in materia di ritardo della Pubblica Amministrazione nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie. Muovendo dal rilievo che l’ordinanza interlocutoria ha ritenuto che nella decisione impugnata sono individuabili due rationes decidendi (una riguardante la debenza, o non, degli interessi moratori, ex art. 1224, comma 1, cod. civ.; l’altra, concernente la eventuale spettanza, comunque, di quelli corrispettivi ex art. 1282 cod. civ.), si rivela opportuna, a questo punto, una ricognizione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di ritardo della Pubblica Amministrazione nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
9.1. La Corte di cassazione è stata più volte chiamata a risolvere la questione dell’incidenza esplicata sulla posizione giuridica del creditore dalla sottoposizione delle spese degli enti pubblici al procedimento contabile disciplinato dalla legge sulla contabilità generale dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) e dal regolamento di cui al r.d. 23 maggio 1924, n. 827, in forza del quale l’effettivo pagamento è preceduto da una fase di impegno di spesa, all’esito della quale una determinata somma viene vincolata ad una destinazione nell’ambito di un capitolo di bilancio, da una fase di liquidazione della spesa, consistente in una serie di accertamenti diretti a determinare l’effettivo ammontare del credito, e da una fase di ordinazione della spesa diretta agli uffici pubblici di tesoreria (cd. titolo di spesa).
9.2. Secondo un primo orientamento (cfr. Cass., SU, n. 1561 del 1977; Cass. n. 4140 del 1982), rimasto a lungo consolidato, la procedura di spesa impedisce l’applicazione della disciplina codicistica sugli interessi corrispettivi e moratori perché il carattere discrezionale della distribuzione delle spese e degli ordinativi di pagamento esclude la configurabilità di un diritto del creditore alla sollecita definizione del procedimento contabile e rende insindacabile il mancato rispetto, da parte dell’ente, del termine legale o negoziale di pagamento. In quest’ottica, l’efficacia esterna attribuita alle norme sulla contabilità pubblica condiziona la stessa liquidità ed esigibilità dei crediti e rende, di conseguenza, inconfigurabile la “mora debendi” della P.A., impedendo la decorrenza degli stessi interessi corrispettivi. Tale approccio ermeneutico ha condotto all’enunciazione del principio secondo il quale prima dell’emissione del titolo di spesa sui debiti pecuniari della Pubblica Amministrazione non decorrono interessi moratori, né corrispettivi.
9.3. Alla luce delle osservazioni della dottrina maggioritaria, incentrate sull’inidoneità delle norme sulla contabilità di Stato a derogare alle norme codicistiche in ragione della loro portata meramente interna e della destinazione alla disciplina dei rapporti interorganici tra gli uffici della Pubblica Amministrazione, e non di quelli intersoggettivi tra quest’ultima e i terzi, la Suprema Corte ha intrapreso un nuovo percorso interpretativo recependo, tuttavia, soltanto in parte i rilievi critici svolti dagli studiosi.
9.3.1. In particolare, la stessa, per un verso, ha condiviso l’assunto secondo il quale il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto al pagamento alla scadenza contrattuale (cfr. Cass., SU, n. 3071 del 1983) ed il ritardo nell’espletamento del procedimento di spesa non impedisce che l’ente pubblico sia condannato al pagamento previa costituzione in mora, ma, per altro verso, ha confermato il principio per il quale i debiti pecuniari nei confronti della P.A. sono “quérables” in quanto, alla stregua della disciplina contabile, devono essere eseguiti presso il domicilio del debitore, dovendo il “locus solutionis” identificarsi con gli uffici di tesoreria della Pubblica Amministrazione.
9.3.2. Si è, inoltre, precisato che l’Amministrazione, a seguito di costituzione in mora, è tenuta alla corresponsione degli interessi moratori, a prescindere dall’emissione di un titolo di spesa, ma tale titolo costituisce presupposto indefettibile per la decorrenza degli interessi corrispettivi, divenendo i crediti nei suoi confronti liquidi ed esigibili, ai sensi dell’art. 1282 cod. civ., solo allorquando la relativa spesa sia stata ordinata.
9.4. Un integrale superamento dell’indirizzo tradizionale si è avuto soltanto con Cass., SU, n. 3451 del 1985, con cui è stata affermata, per la prima volta, la piena ed incondizionata applicabilità delle norme codicistiche e, in particolare, degli artt. 1282 e 1224 cod. civ. ai contratti con la P.A.
9.5. La nuova impostazione delineata dalle Sezioni Unite è stata recepita dalla sola giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 maggio 1998, n. 876), mentre la giurisprudenza della Cassazione, ad eccezione di pochissime pronunce (quali, ad esempio, Cass., SU, n. 2263 del 1985), ha continuato ad applicare il principio secondo il quale i debiti della P.A. divengono liquidi ed esigibili e, dunque, producono interessi corrispettivi, solo a far data dall’emissione del mandato di pagamento e gli interessi di mora sono dovuti dal momento della formale costituzione in mora dell’ente pubblico (cfr., ex aliis, Cass. n. 690 del 1987; Cass., SU, n. 3469 del 1988; Cass. n. 5342 del 1989; Cass. n. 6447 del 1990).
9.6. Successivamente la Suprema Corte è tornata ad affermare i principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 1985 (cfr., ex multis, 6627 del 1997; Cass. n. 1871 del 1999; Cass. n. 6032 del 2001), per poi attestarsi nuovamente, in tempi più recenti, sull’orientamento tradizionale caratterizzato dalla distinzione del regime giuridico applicabile alle conseguenze del ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie della P.A. e, segnatamente, dal condizionamento degli interessi corrispettivi all’emissione del titolo di spesa e degli interessi moratori alla sola costituzione in mora, a prescindere dall’esaurimento del procedimento contabile (cfr., ad esempio, Cass. n. 2071 del 2000; Cass. n. 13859 del 2002; Cass. n. 17909 del 2004; Cass. n. 9369 del 2005; Cass. n. 18377 del 2010).
9.7. È andato consolidandosi, così, il principio secondo cui, poiché le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al principio di cui all’art. 1182, comma 3, cod. civ., che i pagamenti si effettuano presso gli uffici di tesoreria dell’amministrazione debitrice, la natura “quérable” dell’obbligazione comporta che il ritardo nel pagamento non determina automaticamente gli effetti della mora, ai sensi dell’art. 1219, comma 2, n. 3, cod. civ., occorrendo, invece, affinché sorga la responsabilità da tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori e di risarcimento dell’eventuale maggior danno, la costituzione in mora mediante intimazione scritta di cui al comma 1 dello stesso art. 1219 cod. civ. (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19320 del 2005; Cass. n. 5066 del 2009; Cass. n. 19084 del 2015).
9.8. La ricostruzione fin qui descritta ha subito una drastica riduzione applicativa a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, di “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, il quale trova applicazione con riferimento ai pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo nelle “transazioni commerciali”, ivi comprese quelle in cui sia parte la Pubblica Amministrazione, ed introduce in via generalizzata l’automatismo della “mora ex re” e l’applicazione di un tasso di interesse di mora significativamente più elevato rispetto a quello legale.
9.8.1. Ne consegue che lo speciale statuto dei debiti della P.A. delineato attraverso la sintetizzata evoluzione giurisprudenziale continua a trovare applicazione nelle sole ipotesi in cui l’obbligazione pecuniaria sia stata assunta dall’Amministrazione al di fuori di un contratto sussumibile nella nozione eurounitaria di “transazione commerciale” delineata dall’art. 2, comma 1, lett. a, del citato decreto legislativo. Tale situazione viene a configurarsi in tutti i casi in cui la fonte negoziale dell’obbligazione della P.A. sia connotata in senso pubblicistico perché significativamente conformata dalla disciplina eteronoma e funzionalizzata alla cura dell’interesse generale.
9.8.2. Questa Corte, inoltre, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 270 r.d. n. 827 del 1924, in quanto interpretato nel senso che i debiti pecuniari dello Stato diventano liquidi ed esigibili solo dopo l’ordinativo di spesa e l’emissione del relativo titolo, evidenziando che la differenza di trattamento normativo tra debitore privato e Stato è giustificata dalla circostanza che quest’ultimo persegue, anche nell’attuazione di rapporti obbligatori, interessi generali (cfr. Cass. n. 1749 del 2008).
9.9. In continuità con i principi affermati dalle Sezioni Unite nel 1985, poi, ma in consapevole contrasto con il suesposto orientamento tradizionale, si è posta, recentemente, la pronuncia resa da Cass. n. 11655 del 2020 (diffusamente richiamata nell’ordinanza di rimessione), che ha sottolineato come il credito pecuniario verso la Pubblica Amministrazione divenga liquido ed esigibile, come ogni altro credito verso soggetti privati, in conformità alle norme comuni del codice civile, quando ne sia determinato l’ammontare e se ne possa ottenere, alla scadenza, il puntuale adempimento.
9.9.1. In particolare, nella decisione in esame, tre sono i principali argomenti che hanno reso evidente la necessità di un superamento dell’orientamento consolidato:
- i) in primo luogo, la Corte ha rilevato che il principio di automatica decorrenza degli interessi corrispettivi non ammette deroghe, se non espresse, posto che l’art. 1282, comma 1, cod. civ. prevede che i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producano interessi di pieno diritto «salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente». Considerato, pertanto, che l’art. 270 r.d. n. 827 del 1924 non ha forza di legge, bensì di atto regolamentare “come rilevato dalla Corte costituzionale (n. 75 del 1987 e n. 71 del 1981) e indirettamente desumibile dall’art. 88 del r.d. n. 2440 del 1923” e che la normativa contabile non può interferire su quella civilistica, operando su piani diversi, la stessa Corte ha escluso che le disposizioni regolamentari possano produrre effetti derogatori della menzionata disciplina legale prevista dal codice civile;
- ii) in secondo luogo, è stato evidenziato che la liquidazione della spesa costituisce oggetto di un procedimento contabile che, da un lato, è interno all’Amministrazione e, dall’altro, è esterno alla fattispecie costitutiva dell’obbligazione, atteso che presuppone l’esistenza di un debito già perfezionato, liquido ed esigibile. Nella pronuncia, infatti, si legge che “essa presuppone l’esistenza di un debito già perfezionato, liquido ed esigibile, come si desume dal fatto che «la liquidazione delle spese deve essere appoggiata a titoli e documenti comprovanti il diritto acquisito dai creditori dello Stato» (art. 277 del r.d. n. 827 del 1924), che gli «impegni sugli stanziamenti di competenza [hanno ad oggetto] le sole somme dovute dallo Stato a seguito di obbligazioni giuridicamente perfezionate» (art. 34 della legge n. 169 del 31 dicembre 2009), che l’impegno di spesa costituisce una fase del procedimento di spesa «a seguito di obbligazione giuridicamente perfezionata» (art. 183 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267)”;
iii) in terzo luogo, la Corte ha ritenuto che l’orientamento maggioritario si rivela anche contraddittorio laddove afferma che l’esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica non giustifica, in caso di colpevole ritardo nelle formalità di liquidazione del credito, la deroga al principio di cui agli artt. 1218 e 1224 cod. civ. senza chiarire, poi, per quale ragione l’impossibilità di derogare alla disciplina civilistica dovrebbe valere solo per gli interessi moratori e non per quelli corrispettivi, tenuto conto che, peraltro, la decorrenza degli interessi moratori presuppone anch’essa un credito esigibile.
9.10. La successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 118 del 2023) ha ritenuto “più convincente e appropriato l’orientamento maggioritario attestato sulla differenza, per gli effetti che ne conseguono a proposito del debito da interessi, dei fini del debitore pubblico rispetto a quello privato; differenza alla quale sono funzionali le più complesse procedure di verifica della inerenza e della effettiva corrispondenza della prestazione alle previsioni di spesa alle quali è funzionale il procedimento afferente”.
9.10.1. In particolare, nella pronuncia da ultimo citata è stato sottolineato che “ove venga in questione il rapporto con la pubblica amministrazione, la nozione di “liquidità” del credito va intesa in un’accezione peculiare, essendo effetto del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione, lontana, dunque, dalla nozione comune desumibile dall’art. 1282 c.c.”.
9.11. Occorre dare conto, infine, dell’indirizzo ermeneutico cui è pervenuta questa Corte esaminando i casi in cui l’Amministrazione debitrice colposamente ritardi l’attivazione dei procedimenti necessari a che i crediti verso lo Stato divengano esigibili: in proposito, costituisce orientamento ormai consolidato che le disposizioni del già più volte citato r.d. del 1924 non escludono che la P.A. sia tenuta, in tal caso, al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento dei danni (cfr. Cass., SU, n. 359 del 1985; Cass., SU, n. 1446 del 1995, la quale ha precisato che, con riguardo ai contratti stipulati dalla P.A., le regole di diritto privato sull’esatto adempimento delle obbligazioni si applicano anche ai debiti dell’amministrazione medesima e, in caso di colpevole ritardo nella loro liquidazione, l’eventuale esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica non giustifica la deroga né al principio della responsabilità del debitore per l’inesatto o tardivo adempimento della prestazione – responsabilità che si attua con la corresponsione degli interessi moratori come forma di risarcimento minimo – né a quello che identifica la decorrenza degli interessi con il giorno della costituzione in mora).
9.11.1. La Corte, inoltre, ha ripetutamente sancito che, ove vi sia un colpevole ritardo nell’espletamento della procedura di liquidazione, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere gli interessi moratori, a prescindere dall’emissione o meno del mandato di pagamento (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2065 del 29/03/1980; Cass., SU, nn. 359 e 4351 del 1985; Cass. n. 1759 del 1982; Cass. nn. 1673-1674 del 1983; Cass. n. 406 del 1985; Cass. n. 2675 del 1986; Cass. n. 16683 del 2002. Più recentemente, vedasi Cass. n. 13763 del 2021).
9.12. Neppure può sottacersi, da ultimo, quanto già affermato da questa Corte in materia di obbligazioni pecuniarie dello Stato derivanti da regolamenti comunitari.
9.12.1. In particolare, pronunciandosi proprio su fattispecie analoghe a quella oggetto della vicenda interessata dalla questione oggi all’attenzione di queste Sezioni Unite, Cass., SU, n. 1561 del 1977 (richiamata anche nell’ordinanza di rimessione) ha statuito che le “restituzioni”, ossia le integrazioni sui prezzi mondiali dei prodotti agricoli, che l’amministrazione finanziaria italiana deve corrispondere agli esportatori, sono disciplinate dai regolamenti comunitari (n. 120/67, 139/67 e 1041/67) per quanto attiene alle loro condizioni ed al loro ammontare, ma restano disciplinate dal diritto interno italiano quanto alle modalità e tempi del loro pagamento, con la conseguenza che il credito dell’esportatore diviene liquido ed esigibile, e perciò produttivo di interessi compensativi, solo quando sia stata ordinata la spesa ed emesso il relativo ordinativo di pagamento, ai sensi dell’art. 270 della legge sulla contabilità di Stato.
9.12.2. La giurisprudenza successiva, chiamata a pronunciarsi sui regolamenti comunitari che accordano un’integrazione di prezzo ai produttore di olio di oliva (n. 136/66, 754/67 e successivi), ha affermato che tale disciplina, pur escludendo ogni margine di discrezionalità per i competenti organi degli Stati membri, tenuti a porre in essere un’attività di mero accertamento delle condizioni richieste per la delimitazione quantitativa dello intervento a favore dei produttori, e pur avendo compiutamente individuato il corrispondente rapporto obbligatorio che si instaura tra lo Stato debitore ed i produttori creditori, non ha previsto il termine di adempimento dell’obbligo di corrispondere le somme dovute al predetto titolo. Si è precisato, dunque, che: i) laddove il legislatore comunitario ha inteso stabilire (direttamente) anche il termine dell’adempimento lo ha esplicitamente fatto, come dimostrano i casi in cui la disciplina regolamentare comprende anche il termine entro cui l’obbligo (comunitario) va adempiuto (cfr., ad esempio i Regolamenti CEE n. 1975/69 e n. 2195/69 secondo cui il pagamento del premio di macellazione deve avvenire entro due mesi della presentazione della prova della avvenuta macellazione); ii) ove manca il termine, il legislatore comunitario ha volutamente omesso di fissarlo non già per disinteresse, incompatibile con la natura stessa della materia disciplinata, ma in quanto ne ha rimesso la disciplina al diritto interno, sul presupposto che negli ordinamenti degli Stati membri il termine dell’adempimento delle obbligazioni trova la sua specifica disciplina. Si è ritenuto, pertanto, per la presunzione di completezza della disciplina comunitaria ed in mancanza di diversi criteri desumibili dallo stesso regolamento, che l’interesse comunitario insito nella corrispondente disciplina si sia esaurito nella predisposizione del meccanismo che ha assicurato la costituzione del rapporto obbligatorio (Stato – produttore) ed il suo contenuto (integrazione del prezzo), e che, per quanto riguarda la sua attuazione, il legislatore comunitario, omettendo la fissazione diretta del termine, abbia considerato idoneo a garantire l’interesse comunitario il richiamo implicito degli ordinamenti interni, sul presupposto che in quegli ordinamenti il termine dell’adempimento delle obbligazioni trova la sua specifica disciplina: “e così per l’ordinamento italiano la norma dell’art. 1183 c.c. che nel caso, con l’immediata esigibilità del credito, realizza il massimo della sua tutela, salva però l’applicabilità di principi che le norme sulla contabilità di Stato dettano in materia di debiti pecuniari della pubblica amministrazione, per cui la stessa può essere considerata in mora, e tenuta a corrispondere i relativi interessi, solo quando, dopo l’espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti, ritardi ingiustificatamente di versare al creditore le somme a costui spettanti” (cfr. Cass. n. 6738 del 1983; Cass. n. 2762 del 1978; Cass., SU, n. 1561 del 1977; Cass., SU, n. 1060 del 1977). Particolarmente significativa, peraltro, si rivela proprio l’appena citata Cass. n. 6738 del 1983 nella parte in cui ha precisato che, nel caso del pagamento dei premi ai produttori d’olio d’oliva, la relativa disciplina comunitaria è ispirata all’interesse di fronteggiare la concorrenza dei Paesi terzi e, quindi, “a tutelare il generale interesse della Comunità oltre alla protezione degli interessi dei produttori d’olio d’oliva dei singoli Stati membri” per cui “l’esigenza di un termine ultimo per il versamento dell’integrazione è alla base del sistema stesso, costituendo l’obiettivo prefissosi dal legislatore comunitario nel prevedere tale forma di aiuto alla produzione”.
- Le “restituzioni” alla esportazione. Venendo, ora, alla concreta fattispecie oggetto dell’odierno giudizio, è utile ricordare che, nel contesto della politica agricola comune, la Comunità Europea, attraverso le “restituzioni”, “rimborsava” agli esportatori verso Paesi extra-UE una parte del prezzo di vendita del prodotto agricolo, così da rendere quest’ultimo competitivo sui mercati esteri, annullando la differenza tra il prezzo comunitario e quello mondiale. La misura dell’intervento è sempre stata variabile, rapportata, in linea di principio, alla differenza tra i prezzi dei prodotti agricoli regolamentati in sede comunitaria ed i prezzi praticati sul mercato mondiale, nella misura necessaria per agevolare le esportazioni.
10.2. Circa le domande di pagamento di queste “restituzioni” concernenti le annualità comprese tra il 1990 ed il 1997, formulate dalla (omissis) e, dopo il suo fallimento, dalla sua Curatela, la disciplina utilizzabile ratione temporis era quella di cui ai Reg. CE nn. 565/198045 e 3665/1987.
10.3. In particolare, per quanto di specifico interesse in questa sede, nel Reg. CE n. 565/1980, all’art. 4 era stabilito che: “a richiesta dell’interessato, viene pagato un importo pari alla restituzione all’esportazione non appena i prodotti di base sono posti sotto controllo doganale che garantisca che i prodotti trasformati o le merci saranno esportati entro un determinato termine” (termine che non era compiutamente individuato).
10.4. Nel successivo Regolamento 3665/1987 era stata prevista una disciplina di dettaglio più articolata. In primo luogo, nel penultimo considerando (con espressioni che verranno poi riprese anche nel sessantesimo considerando del successivo Regolamento n. 800/1999), era stato indicato che “ai fini di una buona gestione amministrativa, occorre esigere che la domanda e tutti gli altri documenti necessari al pagamento della restituzione vengano presentati entro un ragionevole termine, salvo caso di forza maggiore, in particolare quando non è stato possibile rispettare il termine a causa di ritardi amministrativi non imputabili all’esportatore”.
10.5. Gli artt. 4 e 5, poi, subordinavano il diritto al pagamento della “restituzione” alla presentazione della prova che i prodotti per i quali era stata accettata la dichiarazione di accettazione avessero lasciato il territorio doganale della Comunità e fossero stati importati in un Paese terzo, entro dodici mesi dalla data di accettazione di detta dichiarazione.
10.6. L’appena descritta disciplina normativa qui applicabile non prevedeva, invece, la fissazione di un termine per il pagamento. Con riferimento a tale aspetto, tuttavia, deve ricordarsi che, come sottolineato nell’ordinanza interlocutoria n. 32405 del 2023, nella specifica vicenda in esame la determinazione del termine “ragionevole” in 60 giorni (nel silenzio della norma comunitaria), da parte del giudice di merito, è ormai passata in giudicato.
10.7. Esigenze di completezza, infine, impongono di precisare che il successivo Regolamento n. 800/1999 (qui, però, inutilizzabile ratione temporis), prendendo atto del fatto che “il termine per l’esecuzione del pagamento delle restituzioni all’esportazione varia da uno Stato membro all’altro” e dell’opportunità di stabilire un “termine finale uniforme per il pagamento delle restituzioni all’esportazione da parte degli organismi pagatori” per evitare distorsioni della concorrenza (considerando 61), nel titolo IV (“procedura di versamento della restituzione”), all’art. 49 ha previsto che le autorità competenti eseguano il versamento entro il termine di tre mesi “a decorrere dal giorno in cui dispongono di tutti gli elementi idonei all’evasione della pratica”.
10.8. I casi in cui il termine di tre mesi può essere superato sono specificamente indicati: “a) forza maggiore, b) una specifica indagine amministrativa concernente il diritto alla restituzione; c) per applicare la compensazione di cui all’articolo 52, paragrafo 2, secondo comma”.
- I principi di equivalenza ed effettività nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. L’ordinanza interlocutoria n. 32405 del 2023 sottolinea, infine, che le questioni poste all’attenzione delle Sezioni Unite attengono anche a possibili violazioni del diritto dell’Unione, sulle quali si è pronunciata più volte la Corte di Giustizia. Ancor prima di procedere ad una sintetica ricognizione delle decisioni di quest’ultima di effettivo interesse in questa sede, però, è doveroso ricordare che la Corte EDU ha da tempo affermato che un credito certo ed esigibile è considerato un bene ai sensi dell’art. 1, Protocollo 1, CEDU e che un organe de l’Etat non può utilizzare le proprie difficoltà finanziarie come giustificazione per il mancato pagamento dei propri debiti certi ed esigibili.
11.1. Fermo quanto precede, va osservato che, con specifico riferimento alle questioni oggi all’attenzione di queste Sezioni Unite, la Corte di Giustizia, nella sentenza del 28 aprile 2022, cause riunite C-415/2056, C-419/20 e C427/20, Gräfendorfer Geflügel- und Tiefkühlfeinkost Produktions GmbH e a., ha affermato che, nel caso in cui “siano state pagate in ritardo restituzioni all’esportazione ad un interessato, in violazione del diritto dell’Unione, quest’ultimo ha il diritto di ottenere il pagamento di interessi volti a compensare l’indisponibilità dell’importo di denaro corrispondente” (§ 58).
11.2. Secondo la costante giurisprudenza della medesima Corte, peraltro, in mancanza di una normativa dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità in base alle quali gli interessi devono essere pagati in caso di rimborso di importi di denaro riscossi in violazione del diritto dell’Unione. Tuttavia, si aggiunge, tali modalità devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività, requisito che implica, in particolare, che esse non siano congegnate in modo da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio del diritto al pagamento degli interessi garantito dal diritto dell’Unione (cfr. sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punti 27 e 28, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C-69/14, punti 26 e 27).
11.3. Del resto, proprio il principio di effettività, come sottolineato da attenta dottrina, è stato da tempo utilizzato dalla Corte di cassazione e dalla Corte di Giustizia come un principio funzionale ad eliminare le restrizioni nazionali nella protezione dei diritti, potenziare la funzione ermeneutica ed individuare i rimedi più adeguati alla lesione. Il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che gli amministrati traggono dal diritto dell’Unione, per come riconosciuto dalla Corte di Giustizia è un principio generale, discendente dal dovere generale di leale collaborazione in capo agli Stati membri, il quale investe anche le autorità giurisdizionali nazionali, nel senso che queste ultime devono assicurare sempre e in ogni caso una protezione giudiziaria effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.
11.4. Non va dimenticato, peraltro, proprio con riferimento al principio di effettività ed alla rilevanza delle norme di contabilità, che, come rimarcato nell’ordinanza interlocutoria (cfr. § 13.23), tanto per gli interessi corrispettivi che per quelli moratori (nonché per quelli relativi al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione nascente dalle restituzioni alle importazioni) il creditore non potrebbe disporre di un mezzo di tutela acceleratorio rispetto alla mancata emissione del titolo di spesa da parte della P.A. La Corte costituzionale, invece, fin dalla sentenza n. 190 del 1985, ha più volte sottolineato il riconoscimento del significato costituzionale della tutela cautelare come necessario ed essenziale corollario del più generale principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. In particolare, il giudice delle leggi ha precisato come la tutela cautelare eserciti una “funzione strumentale all’effettività della stessa tutela giurisdizionale”. Con riferimento, invece, al principio di equivalenza, la Corte di Giustizia ha da tempo affermato che il rispetto dello stesso presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi oggetto e causa analoghi. Al fine di verificare se tale principio sia stato rispettato, spetta al giudice nazionale accertare se le modalità procedurali volte a garantire, nel diritto interno, la tutela dei diritti derivanti ai singoli dal diritto dell’Unione siano conformi a detto principio ed esaminare tanto l’oggetto quanto gli elementi essenziali dei pretesi analoghi ricorsi di natura interna. A tal titolo, il giudice nazionale deve verificare l’analogia dei ricorsi di cui trattasi sotto il profilo del loro oggetto, della loro causa e dei loro elementi essenziali (cfr., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2009, Pontin, C-63/08, Racc. pag. I-10467, punto 45 e giurisprudenza citata; sentenza 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punto 31).
- La soluzione delle questioni poste dalla ordinanza di rimessione. […]
12.1. Il primo dei profili concerne il se, rispetto all’obbligazione di cui si discute, debba, o non, trovare applicazione la disciplina prevista per le obbligazioni di pagamento di denaro alle quali è tenuta la P.A.: disciplina che, come si è già spiegato, in deroga agli artt. 1219, comma 2, n. 3, e 1182 cod. civ., prevede la necessità di un atto di costituzione in mora anche per le obbligazioni per le quali sia scaduto il termine, dovendo l’obbligazione dell’amministrazione essere adempiuta ed eseguita presso il domicilio del debitore. […]
12.2. Ritengono le Sezioni Unite che le “restituzioni” alle esportazioni oggetto di causa sono riconosciute in forza di una normativa di fonte comunitaria, il Regolamento (CEE) n. 3665/87 della Commissione del 27 novembre 1987 (qui utilizzabile ratione temporis) recante “modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli”. Trattasi, dunque, di una disciplina direttamente applicabile nell’ordinamento italiano, da cui originano, da un lato, il diritto soggettivo dell’esportatore a tali rimborsi e, dall’altro, il corrispondente obbligo per le autorità competenti di procedere ai versamenti.
12.3. Tanto ha trovato conferma già nella decisione resa da Cass., SU, n. 9129 del 1991, in cui si legge, tra l’altro, che «[…], questa Corte ha riconosciuto (S.U. n. 1561-1977; n. 4107-81) consistenza di diritto soggettivo alle posizioni degli operatori in tema di restituzioni all’esportazione di prodotti agricoli previste dall’ordinamento comunitario. Le c.d. restituzioni, ossia le integrazioni sui prezzi mondiali dei prodotti agricoli rispetto a quelli in effetti poi realizzati, soggette a riconoscimento all’esito dell’operazione effettuata con l’esportazione verso paesi terzi in regime di prefinanziamento, costituiscono, per gli enti competenti in materia dei singoli Stati membri, un preciso obbligo – cui corrisponde un diritto soggettivo dell’operatore – quando concorrono le condizioni previste dall’ordinamento comunitario direttamente applicabili all’interno dello Stato. Le controversie in ordine al pagamento di dette restituzioni non possono pertanto che essere devolute alla cognizione del giudice ordinario […]. Il Regolamento suddetto attribuisce all’impresa esportatrice il diritto di ottenere, mediante la formulazione di un’istanza, la “restituzione” (o l’attribuzione definitiva, conseguente ad una restituzione anticipata o ad un prefinanziamento) a condizione che le merci, per le quali sia stata accettata la dichiarazione di esportazione, siano state effettivamente esportate nei termini prescritti (e non siano reimportate).
12.4. Detto altrimenti: il titolo costitutivo del rapporto obbligatorio che lega l’impresa esportatrice e la Pubblica Amministrazione (o, se si preferisce, la fonte dell’obbligazione pecuniaria della Pubblica Amministrazione) non va rinvenuto nell’istanza di pagamento che l’impresa rivolge alla Pubblica Amministrazione, bensì nella norma di legge (il già citato Regolamento) che attribuisce all’impresa esportatrice il diritto di ottenere le “restituzioni”.
12.5. Quest’ultima, infatti, quando chiede la “restituzione” o l’attribuzione definitiva è già astrattamente titolare del diritto di credito, in relazione al quale deve esserne soltanto concretamente accertata la legittimità della corrispondente richiesta di pagamento, mediante la verifica che le merci per le quali sia stata accettata la dichiarazione di esportazione siano state tempestivamente esportate e non reimportate, con il conseguente apprestamento, poi, dei mezzi per adempiere.
- Nell’odierna vicenda, […] stante la presunzione di completezza della disciplina comunitaria applicabile ratione temporis ed in mancanza di diversi criteri desumibili dal relativo (e già descritto) Regolamento, l’interesse comunitario insito nella corrispondente disciplina delle “restituzioni” all’esportazione si è esaurito nella predisposizione del meccanismo che ha assicurato la costituzione del rapporto obbligatorio (Stato-produttore) ed il suo contenuto (integrazione del prezzo), mentre, per quanto riguarda la sua attuazione, il legislatore comunitario, omettendo la fissazione diretta del termine, ha considerato idoneo a garantire l’interesse comunitario il richiamo implicito degli ordinamenti interni, sul presupposto che in quegli ordinamenti il termine dell’adempimento delle obbligazioni trova la sua specifica disciplina.
13.1. Per quanto concerne l’ordinamento italiano, esiste la norma dell’art. 1183 cod. civ., ma la relativa disciplina deve tenere conto dell’applicabilità dei principi che le norme sulla contabilità di Stato dettano in materia di debiti pecuniari della Pubblica Amministrazione, per cui la stessa può essere considerata in mora, e tenuta a corrispondere i relativi interessi, solo quando, dopo l’espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti, ritardi ingiustificatamente di versare al creditore le somme a costui spettanti.
13.2. Ecco, allora, che, nella concreta vicenda oggi all’attenzione di queste Sezioni Unite, una volta definitivamente individuato dai giudici di merito il “termine ragionevole” entro il quale avrebbe dovuto evadere le richieste rivoltele da (omissis) al fine di ottenere le “restituzioni” alle esportazioni per gli anni dal 1990 al 1997, proprio in quel termine l’Agenzia delle Dogane avrebbe dovuto completare (ma ciò pacificamente non è accaduto, con le relative conseguenze di cui si è già detto), nell’ipotesi di esito positiva della verifica impostale dal regolamento predetto, anche il procedimento per adempiere la sua prestazione (pagamento, appunto, delle “restituzione” predette). In termini ancora più espliciti, dunque, deve ritenersi che se al debitore è necessario un periodo di tempo per l’approntamento della prestazione dovuta, egli sarà tenuto a dare l’avvio alla corrispondente attività in tempo utile perché la prestazione stessa possa essere effettuata al momento in cui viene a scadenza il suo termine di adempimento: pertanto, nelle obbligazioni pecuniarie dello Stato, ove l’approntamento delle prestazioni richiede l’iter procedimentale previsto dalla sua normativa di contabilità (cfr. il due r.d. n. 2440 del 2023 e gli artt. 269 e ss. del r.d. n. 827 del 1924), l’avvio delle formalità di pagamento deve essere previsto in tempo utile perché il denaro possa essere consegnato al creditore alla scadenza del termine fissato. Se ciò non accade, non si ha soltanto, in concreto, la maturazione del diritto di credito e l’acquisto di un diritto al pagamento già astrattamente previsto dalla legge (nella specie un Regolamento comunitario), bensì un vero e proprio inadempimento, che apre la strada a qualsiasi forma di reazione contro di esso prevista dall’ordinamento.
- Occorre interrogarsi, a questo punto, sulla possibilità, […] di considerare, nella concreta fattispecie, le richieste di pagamento delle “restituzioni” alla esportazione relative agli anni 1990-1997, inoltrate […] anteriormente alla instaurazione (anche) nei suoi confronti, con citazione del 15 dicembre 1997, del corrispondente giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, come implicita costituzione in mora.
14.1. La risposta deve essere positiva. Si è già spiegato che dette “restituzioni” sono riconosciute in forza di una normativa di fonte comunitaria, il Regolamento (CEE) n. 3665/87 della Commissione del 27 novembre 1987 (applicabile ratione temporis), da cui originano, da un lato, il diritto soggettivo dell’esportatore a tali rimborsi e, dall’altro, il corrispondente obbligo per le autorità competenti di procedere ai versamenti. Quel Regolamento riconosce all’impresa esportatrice il diritto di ottenere, mediante la formulazione di un’istanza, la “restituzione” (o l’attribuzione definitiva, conseguente ad una restituzione anticipata o ad un prefinanziamento) a condizione che le merci, per le quali sia stata accettata la dichiarazione di esportazione, siano state effettivamente esportate nei termini prescritti (e non siano reimportate). L’impresa, dunque, quando chiede la “restituzione” o l’attribuzione definitiva è già astrattamente titolare del diritto di credito, in relazione al quale deve esserne soltanto concretamente accertata la legittimità della corrispondente richiesta di pagamento, mediante la verifica che le merci per le quali sia stata accettata la dichiarazione di esportazione siano state tempestivamente esportate e non reimportate, con il conseguente apprestamento, poi, dei mezzi per adempiere[…].
14.2. È ragionevole, allora, che la medesima esigenza assicurata da una costituzione in mora – ossia il consentire al debitore di apprestare i mezzi per adempiere, fissando il dies a quo a decorrere dal quale l’inadempimento non è più giustificato e si costituisce in capo al debitore l’obbligo di corrispondere gli interessi moratori – sia stata assolta, nel caso di specie, proprio dalle istanze predette, essendo le stesse da valutarsi in relazione proprio a quel termine di adempimento ragionevole come concretamente individuato da entrambi i giudici di merito e trascorso il quale un ulteriore atto di messa in mora del debitore, con assegnazione di un termine per adempiere si sarebbe rivelato un autentico nonsenso.
14.3. […] anche questa Corte ha già riconosciuto che l’efficacia di una inequivoca richiesta di pagamento che il creditore abbia inviato al proprio debitore prima della scadenza del termine del debito di quest’ultimo, ben può essere evidentemente differita al momento della intervenuta scadenza di quel termine (cfr. sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 6549 del 2016, – resa, peraltro, in fattispecie di obbligazione quérable di una P.A. – a tenore della quale «L’atto di costituzione in mora non richiede l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti, sicché l’invio di una fattura commerciale – sebbene, di per sé, insufficiente ai fini ed agli affetti di cui all’art. 1219, comma 1, c.c. – può risultare idoneo a tale scopo allorché l’emissione del documento di natura fiscale sia intervenuta in relazione all’esecuzione di un contratto che preveda pagamenti ripetuti a scadenze predeterminate e purché lo stesso risulti corredato dall’indicazione di un termine per il pagamento e dall’avviso che, se lo stesso non interverrà prima della scadenza, il debitore dovrà ritenersi costituito in mora»). Del resto, sarebbe ragionevolmente privo di senso l’art. 1219, comma 2, n. 2, cod. civ. (secondo cui “Non è necessaria la costituzione in mora… quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l’obbligazione”) ove non si postulasse, sul piano logico, anche una richiesta di pagamento anteriore al termine di scadenza del relativo debito.
14.4. Nella specie, quindi, le richieste di pagamento suddette, inoltrate dopo le intervenute regolari esportazioni (le quali, come si è già ripetutamente puntualizzato, costituiscono il fatto generatore del rapporto obbligatorio), possono considerarsi come pienamente idonee a determinare la mora del debitore a decorrere dalla scadenza del termine ritenuto come ragionevole per l’adempimento della sua prestazione. […]. Diversamente, si riconoscerebbe alla Pubblica Amministrazione un irragionevole privilegio, considerato che, al tempo necessario per adempiere (fissato dai giudici di merito in sessanta giorni, in deroga all’art. 1183 cod. civ. e, dunque, alla regola dell’immediata esigibilità del credito), si aggiungerebbe l’ulteriore periodo di tempo che il creditore, con l’atto di costituzione in mora, dovrebbe concedere al debitore/Pubblica Amministrazione, senza dimenticare, peraltro, che il creditore nemmeno potrebbe disporre di un mezzo di tutela acceleratorio rispetto alla mancata emissione del titolo di spesa da parte della P.A.
14.5. Deve considerarsi, inoltre, che se l’obbligazione deve adempiersi al domicilio del debitore (come, appunto, accade per le obbligazioni pecuniarie della P.A., da adempiersi presso gli uffici di tesoreria di quest’ultima) ed il creditore ivi non si reca, potrebbe generarsi incertezza circa la effettiva infruttuosa scadenza del termine di adempimento dell’obbligazione previsto, ma se una tale incertezza risulta esclusa aliunde perché c’è già stata una richiesta di pagamento, sebbene anteriore alla scadenza di detto termine […], non ha senso, anche in nome del principio di buona fede, pretenderne un’altra.
14.6. In altre parole, in una fattispecie affatto peculiare – in ragione della sua concreta disciplina come dettata dal già menzionato Regolamento comunitario qui applicabile ratione temporis – come quella oggi all’attenzione di queste Sezioni Unite risulta affatto ragionevole un’attenuazione del requisito della costituzione in mora laddove un termine di adempimento (o, se si preferisce, di evasione della richiesta di pagamento delle “restituzioni” de quibus) già sia stato definitivamente stabilito giudizialmente, tanto potendo trovare la sua giustificazione nel principio generale della buona fede valutato in relazione alla suddetta individuata funzione (unitamente ad altre) della costituzione in mora. Se questa serve anche o esclusivamente ad accertare la infruttuosa scadenza del termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione, sarebbe contrario alla buona fede (ricordandosi pure che, nel 2020, il legislatore, intervenendo sulla formulazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, ha espressamente previsto che “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”) richiederla quando tale scadenza risulti aliunde sicura.
14.7. Resta solo da aggiungere che, per il tenore dell’intimazione volta a richiedere l’adempimento di un’obbligazione, non si esige l’uso di formule solenni, ritenendosi sufficiente che il creditore manifesti al debitore l’intenzione di non tollerare ritardi. È un atto giuridico in senso stretto, a carattere recettizio, sulla cui concreta possibilità a valere come messa in mora la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che trattasi di valutazione rimessa al giudice di merito.
- Si impongono, infine, alcune precisazioni.
15.1. Innanzitutto, le appena descritte soluzioni consentono agevolmente di conciliare quanto stabilito da Cass., SU, n. 1561/1977 (che, in una fattispecie in cui, diversamente da quella oggi in esame, non era stato giudizialmente individuato alcun termine per l’evasione della corrispondente pratica da parte della P.A., ha avuto modo di chiarire, con riferimento ad altra tipologia di provvidenze riconosciute a livello comunitario in favore di produttori agricoli, peraltro parzialmente sovrapponibile quanto alle condizioni previste per il riconoscimento delle provvidenze, che le cosiddette “restituzioni”, ossia le integrazioni sui prezzi mondiali dei prodotti agricoli, che l’Amministrazione finanziaria italiana [come le amministrazioni degli altri Paesi aderenti alla CEE] deve corrispondere agli esportatori, sono disciplinate dai regolamenti comunitari […] per quanto attiene alle loro condizioni ed al loro ammontare, ma restano disciplinate dal diritto interno italiano quanto alle modalità e ai tempi del loro pagamento. Da ciò consegue che il credito dell’esportatore diviene liquido ed esigibile, e perciò produttivo di interessi compensativi, solo quando sia stata ordinata la spesa ed emesso il relativo ordinativo di pagamento, ai sensi dell’art. 270 della legge sulla contabilità di stato R.D. 23 maggio 1924 n. 827), da Cass. n. 6738 del 1983 (in cui si è precisato che, nel caso del pagamento dei premi ai produttori d’olio d’oliva, la relativa disciplina comunitaria è ispirata all’interesse di fronteggiare la concorrenza dei paesi terzi e, quindi, “a tutelare il generale interesse della Comunità oltre alla protezione degli interessi dei produttori d’olio d’oliva dei singoli Stati membri” per cui “l’esigenza di un termine ultimo per il versamento dell’integrazione è alla base del sistema stesso, costituendo l’obiettivo prefissosi dal legislatore comunitario nel prevedere tale forma di aiuto alla produzione”) e dalla ulteriore giurisprudenza formatasi con riguardo ai Regolamenti comunitari (n. 136/66, 754/67 e successivi) che accordano un’integrazione di prezzo ai produttori di olio di oliva, con la successiva giurisprudenza consolidatasi presso questa Corte in tema di irrilevanza della definizione del procedimento di spesa per i debiti pecuniari da ritardo della P.A. nell’adempimento delle obbligazioni derivanti da contratti da essa stipulati: ciò nella misura in cui si è ripetutamente affermato che, ove vi sia un colpevole ritardo nell’espletamento della procedura di liquidazione, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere gli interessi moratori, a prescindere dall’emissione o meno del mandato di pagamento.
15.2. In tema di mora, in ordine ai contratti stipulati dalla P.A., le regole di diritto si applicano, si è detto, anche ai debiti della Pubblica Amministrazione medesima. Sicché l’eventuale esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica non giustifica, in caso di colpevole ritardo nelle formalità di liquidazione, la deroga al principio, desumibile dall’art. 1218 cod. civ., della responsabilità del debitore per l’inesatto o tardivo adempimento della prestazione (responsabilità che si attua con la corresponsione degli interessi moratori come forma di risarcimento minimo) ed al principio, posto dall’art. 1224, comma 1, cod. civ., che identifica la data di decorrenza degli interessi con il giorno della costituzione in mora.
15.3. Le medesime soluzioni, poi, si rivelano pienamente coerenti con quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia con riferimento ai principi di effettività ed equivalenza.
15.3.1. In particolare, e con specifico riferimento alle questioni in esame, nella sentenza del 28 aprile 2022, cause riunite C-415/2056, C419/20 e C-427/20, Gräfendorfer Geflügel- und Tiefkühlfeinkost Produktions GmbH e a., in cui – come si è già detto in precedenza – i Giudici di Lussemburgo hanno affermato che, nel caso in cui “siano state pagate in ritardo restituzioni all’esportazione ad un interessato, in violazione del diritto dell’Unione, quest’ultimo ha il diritto di ottenere il pagamento di interessi volti a compensare l’indisponibilità dell’importo di denaro corrispondente” (cfr. § 58).
15.3.2. Secondo la costante giurisprudenza di quegli stessi Giudici, inoltre, in mancanza di una normativa dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità in base alle quali gli interessi devono essere pagati in caso di rimborso di importi di denaro riscossi in violazione del diritto dell’Unione. Tuttavia, si aggiunge, tali modalità devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività, requisito che implica, in particolare, che esse non siano congegnate in modo da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio del diritto al pagamento degli interessi garantito dal diritto dell’Unione (cfr. sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punti 27 e 28, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C-69/14, punti 26 e 27). Del resto, proprio il principio di effettività costituisce un principio funzionale ad eliminare le restrizioni nazionali nella protezione dei diritti, potenziare la funzione ermeneutica ed individuare i rimedi più adeguati alla lesione.
15.3.3. Pertanto, la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che gli amministrati traggono dal diritto dell’Unione, per come riconosciuta dalla Corte di Giustizia, costituisce un principio generale, discendente dal dovere generale di leale collaborazione in capo agli Stati membri, il quale investe anche le autorità giurisdizionali nazionali, nel senso che queste ultime devono assicurare sempre e in ogni caso una protezione giudiziaria effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.
15.3.4. Resta da dire che, sempre con riferimento al principio di effettività ed alla rilevanza delle norme di contabilità, che, come pure si è già rimarcato, quanto agli interessi relativi al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione nascente dalle restituzioni alle importazioni, il creditore nemmeno potrebbe disporre di un mezzo di tutela acceleratorio rispetto alla mancata emissione del titolo di spesa da parte della P.A. La Corte costituzionale, invece, fin dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, ha più volte sottolineato il riconoscimento del significato costituzionale della tutela cautelare come necessario ed essenziale corollario del più generale principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. In particolare, il giudice delle leggi ha precisato come la tutela cautelare eserciti una “funzione strumentale all’effettività della stessa tutela giurisdizionale” (cfr. sent. n. 190 del 1985).
15.4. Esigenze di completezza, infine, impongono una ulteriore considerazione. È innegabile che, nella vicenda oggi all’attenzione di queste Sezioni Unite, sia inapplicabile […] la disciplina prevista, in tema di interessi, dal d.lgs. n. 231/2002, recante la “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Ciò non toglie, tuttavia, che proprio quella disciplina (ripetesi, qui inutilizzabile) – cfr. in particolare l’art. 7, comma 5, del menzionato d.lgs. – non consente di considerare le obbligazioni pecuniarie della P.A. come sempre ed assolutamente incompatibili con la fattispecie della ipotesi della mora ex re.
- Sempre in tema di obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, l’ordinanza interlocutoria n. 32405 del 2023 prospetta anche la questione «relativa agli effetti della mancata emissione del titolo di spesa sugli interessi corrispettivi» (cfr. pag. 21-22), con riguardo alla quale ha evidenziato i principi dissonanti di Cass. n. 11655 del 2020 rispetto all’orientamento tradizionale, oltre che maggioritario, caratterizzato dalla distinzione del regime giuridico applicabile alle conseguenze del ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie della P.A. e, segnatamente, dal condizionamento degli interessi corrispettivi all’emissione del titolo di spesa.
16.1. Principi che, tuttavia, non hanno trovato seguito, almeno per ora, nella successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 118 del 2023), che ha ritenuto «più convincente e appropriato l’orientamento maggioritario attestato sulla differenza, per gli effetti che ne conseguono a proposito del debito da interessi, dei fini del debitore pubblico rispetto a quello privato; differenza alla quale sono funzionali le più complesse procedure di verifica della inerenza e della effettiva corrispondenza della prestazione alle previsioni di spesa alle quali è funzionale il procedimento afferente».
16.2. La decisione su tale questione, oggetto, giusta la medesima ordinanza interlocutoria, di una seconda, autonoma ratio decidendi rinvenibile nella sentenza oggi impugnata, rimane tuttavia assorbita sia in ragione di quanto è già ampiamente detto finora con riferimento a quella che è chiaramente l’altra, e principale, ratio decidendi della medesima sentenza, assolutamente sufficiente per dirimere l’odierna lite tra le parti […].
- La decisione del ricorso ed il principio di diritto. Alla stregua di quanto si è spiegato circa la possibilità di considerare, nella specie, come pienamente idonee a determinare la mora dell’Amministrazione finanziaria debitrice, a decorrere dalla scadenza del termine definitivamente ritenuto come ragionevole dai giudici di merito per il suo adempimento, le richieste di pagamento delle “restituzioni” alle esportazioni, per gli anni 1990 – 1997, inoltrate da (omissis) all’Agenzia delle Dogane (oggi Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) anteriormente alla instaurazione, […] del giudizio […] l’odierno ricorso della menzionata Agenzia deve essere respinto, contestualmente enunciandosi il seguente principio di diritto: «In tema di “restituzioni” all’esportazione come disciplinate dal Regolamento (Cee) n. 3665/87 della Commissione del 27 novembre 1987, applicabile ratione temporis, la richiesta stragiudiziale di corresponsione del relativo sussidio economico, rivolta dal creditore esportatore nei confronti dell’Amministrazione finanziaria debitrice, costituisce atto idoneo a costituire in mora quest’ultima, anche agli effetti delle norme di contabilità di Stato, a decorrere dalla scadenza del termine ragionevole – nella specie definitivamente fissato dal giudice di merito – entro il quale l’Amministrazione medesima deve svolgere e completare il procedimento di verifica previsto dal Regolamento suddetto. Pertanto, conclusasi positivamente tale verifica e spirato quel termine senza l’avvenuto pagamento del menzionato sussidio, spettano al creditore esportatore gli interessi moratori sull’importo dello stesso e con l’indicata decorrenza».