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*Urbanistica e edilizia – Abuso edilizio – Realizzazione di un muro di contenimento in zona sottoposta a vincolo idrogeologico, ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi

by Anteo Massone
5 Giugno 2025
in Diritto Amministrativo
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Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 3 giugno 2025 n. 4802 

PRINCIPIO DI DIRITTO

La realizzazione di muri di cinta e/o contenimento di ragguardevoli dimensioni sia soggetta al rilascio del permesso di costruire, in relazione alla nozione di nuova costruzione, configurata quante volte l’intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, per le opere di qualsiasi genere se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione.

La preesistenza del muro al massimo potrebbe condurre a configurare un intervento di demolizione e ricostruzione, che, non essendo rispettata la sagoma originaria in area vincolata – essendo posto almeno in parte in diversa area di sedime – deve ritenersi comunque soggetto a permesso di costruire e quindi soggetto alla sanzione della demolizione, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001.

 

 L’art. 27 del Testo unico dell’edilizia prevede la demolizione in tutti casi di esecuzione di opere su aree sottoposte a vincolo idrogeologico o paesaggistico in assenza dei relativi titoli abilitativi.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

Con il presente appello il signor Angelo Poggi ha impugnato la sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 649 del 2024, che ha respinto il ricorso – proposto in primo grado da Angelo Poggi e Brigida Arpe – avverso l’ordinanza di demolizione n. 38 del 15 aprile 2024 con cui il Comune di Monterosso al Mare ha ordinato, ai sensi degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi per interventi di sbancamento di terreno e realizzazione di un muro di contenimento in pietra a secco in assenza di autorizzazione paesaggistica ed edilizia, sul terreno identificato al catasto al Foglio 11 mappale 1307, in Zona E1 (zona agricola di preminente interesse paesistico con indice territoriale trasferibile) del Piano regolatore generale; Zona 2, ai sensi del D.P.R. 6 ottobre 1999, di istituzione del Parco Nazionale delle Cinque Terre; sottoposto a vincolo paesaggistico con i DM 3 agosto 1959 e DM 24 aprile 1985; a vincolo idrogeologico; Sito UNESCO; Zona sismica 3; Ambito 19 del Piano di Bacino; vincolo idraulico ai sensi regolamento regionale n. 3/2011 e vincolo stradale ex DM 1404/1968.

La realizzazione delle opere era stata accertata nel corso di un sopralluogo dei Carabinieri forestali del Nucleo Parco delle Cinque Terre del 27 luglio 2023, i quali il 30 settembre 2023, a seguito di ulteriori accertamenti, avevano redatto un verbale di contestazione di illecito amministrativo per il movimento di terra non autorizzato di un volume di terra pari a 130 metri cubi.

Il 18 settembre 2023 era stato altresì effettuato un sopralluogo congiunto dei Carabinieri e dei tecnici comunali, che aveva accertato l’esecuzione dello “sbancamento di una rilevante porzione di terreno, che allo stato attuale si trova depositato nelle immediate vicinanze del muro in un cumulo delle dimensioni di circa 27 m di lunghezza, 5 m di larghezza e 2 m di altezza massima”; la realizzazione in corso di un muro di pietra a secco con funzioni di contenimento del terreno di “lunghezza di circa 35,00 m, altezza variabile da un massimo di circa 2,15 m a un minimo di circa 1,50 m, spessore in testa di circa 50 cm”; la creazione di una viabilità di cantiere sterrata, per il passaggio dei mezzi di lavoro nella zona di intervento.

Il 18 settembre 2023 era stata altresì inviata la comunicazione di avvio del procedimento di repressione dell’abuso edilizio, a cui erano seguite le osservazioni dei proprietari, che avevano contestato la qualificazione del muro come nuova costruzione e avevano dedotto che il muro era stato realizzato in sostituzione di un muro preesistente, a seguito del pericolo di crollo dovuto a fenomeni di maltempo, essendo consentite nel Parco delle Cinque terre le sistemazioni idraulico – agrarie con i terrazzamenti tramite muretti a secco; l’opera era quindi riconducibile alle ipotesi di esclusione dell’autorizzazione paesaggistica di cui alla lettera A 19 del D.P.R n. 31 del 2017 e all’edilizia libera, ai sensi del Testo unico dell’edilizia, con esclusione del vincolo idrogeologico in base all’art. 35 della legge regionale n. 4 del 1999 e non soggetta a deposito del progetto ai fini sismici. A sostegno di tale ricostruzione, in sede procedimentale, era stata presentata al Comune una perizia tecnica di parte.

Il provvedimento del 15 aprile 2024 ha espressamente dato atto nella motivazione della valutazione delle osservazioni procedimentali, evidenziando la necessità del permesso di costruire trattandosi di “costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”; che l’intervento era stato eseguito in assenza di autorizzazione paesaggistica, non potendo rientrare tra quelli per cui era esclusa l’autorizzazione paesaggistica, ai sensi del punto A.19 dell’allegato A al D.P.R. 31/2017 ( “interventi di manutenzione e realizzazione di muretti a secco ed abbeveratoi funzionali alle attività agro-silvo-pastorali, eseguiti con materiali e tecniche tradizionali”), essendo tali interventi esclusi dall’autorizzazione solo se rientranti nell’ “esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio”, mentre l’intervento ha comportato “un’alterazione permanente dello stato dei luoghi” e “modellazioni del suolo incidenti sulla morfologia del terreno tali da rientrare nella definizione del punto B.18 dell’allegato B al D.P.R. 31/2017, per cui era sottoposto ad autorizzazione paesaggistica semplificata”. Considerava gli interventi eseguiti in assenza del nulla osta dell’ente Parco delle Cinque Terre, in quanto l’art. 5 del D.P.R. 6 ottobre 1999, di istituzione del Parco Nazionale delle Cinque Terre, per la zona 2 prevedeva il divieto di “apertura di nuove strade ad eccezione di quelle di servizio per le attività agro-silvo-pastorali tradizionali e la realizzazione di nuove opere di mobilità ad eccezione degli impianti di monorotaia necessari allo svolgimento delle attività agricole, previa autorizzazione dell’Ente Parco; la realizzazione di nuovi edifici.”; richiamava l’art.7 del medesimo D.P.R., che richiede l’autorizzazione dell’Ente Parco per gli “interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro, di risanamento conservativo e di risanamento igienico-edilizio così come definiti alle lettere c) e d) nell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457”. Inoltre, indicava che, trattandosi di zona sismica, la tipologia costruttiva dei muri di contenimento eseguiti in pietra a secco è disciplinata nelle Norme Tecniche per le Costruzioni emanate con D.M. 17 gennaio 2018, che al paragrafo 6.8 “individua i criteri di progetto e verifica anche per opere di materiali sciolti con specifiche funzioni di drenaggio, filtro, transizione, fondazione, tenuta, protezione ed altre”, mentre ai sensi dell’Allegato B alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 812/2020 sono interventi “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità le “opere di sostegno prive di pali e/o tiranti, di altezza massima, esclusa la fondazione ≤ 1,5 [m]”. Pertanto, era necessario il deposito del progetto ai sensi dell’art.93 del D.P.R. 380/2001. Trattandosi di area sottoposta a vincolo idrogeologico, era necessario il relativo nulla osta, in quanto ai sensi dell’art.35 della L.R. Liguria n.04/1999, “ogni movimento di terreno nonché qualsiasi attività che comporti mutamento di destinazione ovvero trasformazione nell’uso dei boschi e dei terreni nudi e saldi è soggetta ad autorizzazione e subordinata alle modalità esecutive prescritte.”

Con il ricorso (notificato per mero errore materiale anche all’Ente Parco di Portofino, rispetto al quale nel corso del giudizio di primo grado è intervenuta la rinuncia) sono state proposte censure di violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di presupposto, travisamento dei fatti e illogicità, deducendo in punto di fatto che si tratterrebbe di un intervento di ripristino del muro esistente per evitare pericolo di crollo.

In particolare, con il primo motivo è stato sostenuto che non sarebbe stato necessario alcun titolo abilitativo edilizio, trattandosi di opere di edilizia libera non essendo stato realizzato alcuno sbancamento, ma solo rimossa una frana provocata dalle forti piogge del mese di novembre 2022; inoltre la mancanza di nulla osta idrogeologico non potrebbe essere sanzionata con la demolizione, avendo già comportato la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dai carabinieri forestali.

Con il secondo motivo è stata contestata la qualificazione dell’intervento come nuova costruzione, trattandosi di un mero ripristino del muro di contenimento distrutto dalla frana.

Con il terzo motivo è stata contestata la necessità dell’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’articolo A.19 dell’allegato 1 al d.P.R. n. 31/2017.

Con il quarto motivo è stata contestata la necessità dell’autorizzazione preventiva dell’Ente Parco, dovendo essere presentata una mera comunicazione, la cui omissione comporterebbe solamente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Con il quinto motivo è stata sostenuta l’inapplicabilità della disciplina dell’art. 93 del D.P.R. 380 del 2001 relativa ai progetti di costruzioni in zone sismiche.

La sentenza ha respinto il ricorso ritenendo, sulla base dei verbali dei sopralluoghi, che “l’alterazione dell’assetto del territorio provocata dal rilevante movimento di terreno e dalla successiva costruzione di un muro di notevoli dimensioni implicava, a prescindere dalla tipologia costruttiva e dalla funzione dell’opera, il previo rilascio del titolo edilizio e degli altri titoli abilitativi indicati dall’Amministrazione. Fermo restando che la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica rendeva di per sé doverosa la demolizione delle opere realizzate in zona vincolata, con conseguente irrilevanza delle doglianze che denunciano l’illegittima duplicazione delle sanzioni connesse all’assenza del titolo idrogeologico e l’inapplicabilità della disciplina relativa ai progetti di costruzioni in zone sismiche”. La sentenza ha poi richiamato la contraddittorietà della ricostruzione di parte ricorrente, in quanto “riferisce che una porzione del muro è stata ricostruita di fronte al muro originario, ad una distanza di circa 4 metri da esso, così riconoscendo una differenza di sedime che esclude di per sé la fedele ricostruzione del preesistente manufatto”

Con l’appello è stato formulato un unico articolato motivo di “erroneità della sentenza per travisamento dei presupposti; erroneità e contraddittorietà della motivazione”, con cui sono state contestate le argomentazioni della sentenza, in ordine al contrasto della ricostruzione in fatto dei ricorrenti con quella dei verbali di sopralluogo, sostenendo che da tali verbali non sarebbe emersa alcuna qualificazione delle opere in rapporto al muro preesistente; è stato contestato in particolare il riferimento alla distanza di quattro metri del muro ricostruito, mentre nel ricorso si era fatto riferimento alla ricostruzione davanti al precedente muro per un tratto di quattro metri. Sono stati riproposti i motivi del ricorso di primo grado.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Cultura e il Comune di Monterosso al Mare, che nella memoria ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

La parte appellante ha presentato memoria insistendo nelle proprie ricostruzioni difensive.

Il Comune di Monterosso al Mare ha presentato memoria di replica contestando le argomentazioni dell’appellante.

All’udienza pubblica del 20 maggio 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

In primo luogo, si deve rilevare che il provvedimento è stato adottato dal Comune, ai sensi degli articoli 27 e 31 del D.P.R. 380 del 2001.

L’art. 27 del Testo unico dell’edilizia prevede la demolizione in tutti casi di esecuzione di opere su aree sottoposte a vincolo idrogeologico o paesaggistico in assenza dei relativi titoli abilitativi (Cons. Stato, Sez. VI, 28 maggio 2024, n. 4726; Cons. Stato, Sez. II, 29 agosto 2019, n. 5967, con specifico riguardo al vincolo idrogeologico).

La stessa disposizione citata dalla parte appellante ovvero l’art. 35 della legge regionale n. 4 del 1999 conduce a ritenere rilevante lo sbancamento realizzato ai fini della necessità dell’autorizzazione per il vincolo idrogeologico.

Infatti, ai sensi dell’art. 35 comma 1 di detta legge regionale, “nei terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici, ogni movimento di terreno nonché qualsiasi attività che comporti mutamento di destinazione ovvero trasformazione nell’uso dei boschi e dei terreni nudi e saldi è soggetta ad autorizzazione e subordinata alle modalità esecutive prescritte”.

Il comma 2 consente la denuncia di inizio attività, in caso di “movimenti di terreno di modesta rilevanza”. Il comma 3 definisce i movimenti di modesta rilevanza con riguardo ad alcune caratteristiche dimensionali e per categoria. In particolare considera di modesta rilevanza i movimenti di terra “che comportano un volume complessivo di movimento di terra non superiore a cento metri cubi, un’altezza di scavo non superiore a due metri, un’impermeabilizzazione del suolo non superiore al 10 per cento della superficie del lotto, e siano connessi alle seguenti categorie di opere: a) manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo di cui alla legge regionale 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia) e successive modificazioni e integrazioni; b) manutenzione straordinaria della viabilità esistente; c) reinterri e scavi; d) demolizioni qualora interessino strutture che assolvono a funzioni di contenimento; e) eliminazione di barriere architettoniche; f) realizzazione e ripristino di recinzioni e muri; g) realizzazione di impianti tecnologici, ove non richiedano l’apertura di viabilità di accesso al cantiere; h) realizzazione di aree destinate ad attività sportive senza creazioni di volumetrie; i) installazione di serbatoi interrati e non della capacità superiore a 3 mc e fino a 50 mc e relative condotte di allacciamento”.

Il comma 4 esclude la necessità del titolo abilitativo per le opere che rientrino nei limiti volumetrici e di altezza di scavo di cui al comma 3 e rientrino, tra le altre, in tali categorie: “a) manutenzione ordinaria della viabilità esistente, che non comporti modifiche formali e dimensionali del tracciato originario; b) realizzazione di recinzioni, cancellate, muri di cinta che non assolvano a funzioni di contenimento dei terreni e non interferiscano, direttamente od indirettamente, con il libero deflusso e la corretta regimazione delle acque; c) demolizioni qualora interessino strutture che non assolvono a funzioni di contenimento; d) manutenzione e ripristino di muretti di fascia, che non determinino alterazioni delle caratteristiche dimensionali, formali, funzionali e tipologiche della struttura originaria, fatto salvo quanto previsto per i muretti a secco nel regolamento…j-quinquies) ogni attività agricola che comporti movimenti di terra inferiori ai 20 mc; j-sexies) le opere provvisionali di messa in sicurezza e necessarie al transito e all’accesso delle strade pubbliche e private per frane e smottamenti (queste ultime lettere aggiunte dalla legge regionale 19 maggio 2020, n. 9).

L’art. 57 del Regolamento 29 giugno 1999, n. 1, disciplina le modalità esecutive per i movimenti di terra, che devono essere indicate con apposite prescrizioni nei provvedimenti di autorizzazione; l’art. 58 prevede: “I cosiddetti muretti a secco, intesi come elemento caratteristico del paesaggio agrario della Liguria, rientrano nella disciplina di cui al precedente articolo ad eccezione di quelli che richiedono interventi manutentivi e di ripristino tali da non comportare alterazioni delle caratteristiche dimensionali, formali e funzionali della struttura originaria e che pertanto sono tali da non pregiudicare l’assetto idrogeologico, rappresentando anzi la prosecuzione non innovativa di una tecnica antica e tradizionale di difesa del suolo a coltura agraria.

  1. Ai fini del comma 1 sono considerati interventi manutentivi le opere di scavo, fondazione, riprofilatura e quanto altro necessario al ripristino di muretti a secco e ciglioni.
  2. Le ordinarie lavorazioni di sistemazione dei terreni coltivi finalizzate al regolare deflusso delle acque meteoriche per evitare ristagni idrici, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 35 della legge forestale”.

Dalla previsione dell’art. 35 della legge n. 4 del 1999 e dal richiamo da questa operato al Regolamento risulta evidente che le lavorazioni di sistemazioni agrarie con i muretti a secco non siano sottoposto a nulla osta idrogeologico nella misura in cui rientrino nei requisiti indicati al comma 3 dell’art. 35 ovvero comportino movimenti di terra con un volume non superiore a cento metri cubi ( di 20 metri cubi ai sensi della lettera j-quinquies del comma 4), un’altezza di scavo non superiore a due metri.

Nel caso di specie, risulta dal verbale di contestazione dei Carabinieri forestali il movimento di terra pari a 130 metri cubi, per cui in nessun caso l’intervento poteva rientrare né nelle ipotesi di denuncia di inizio attività del comma 3 dell’art. 35 né in quelle del comma 4, che disciplina specificamente i muretti a secco tramite il richiamo al Regolamento, che però esclude dal regime del vincolo idrogeologico solo gli interventi manutentivi e di ripristino dei muretti a secco che non comportino “alterazioni delle caratteristiche dimensionali, formali e funzionali della struttura originaria”.

Ne deriva che l’intervento in questione, anche ammesso che si tratti di un ripristino del muretto preesistente, per la modifica delle caratteristiche dimensionali e formali, doveva essere sottoposto a nulla osta idrogeologico, con conseguente legittimità della demolizione, ai sensi dell’art. 27 del testo unico dell’edilizia.

Inoltre, l’esercizio del potere autonomamente attribuito dall’art. 27 del Testo unico dell’edilizia, ai fini del ripristino dello stato dei luoghi, esclude la fondatezza della ricostruzione difensiva per cui la irrogazione della sanzione pecuniaria da parte dei carabinieri forestali avrebbe fatto venire meno la rilevanza del vincolo idrogeologico.

Peraltro, ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione in presenza di opere realizzate in area vincolata in assenza di qualsiasi titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. 380 del 2001, l’intervento è stato realizzato anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica.

Non può, infatti, condividersi la ricostruzione dell’appellante per cui l’intervento sarebbe riconducibile alla lettera A 19 dell’allegato A al D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, che tra gli interventi esclusi dall’ autorizzazione paesaggistica prevede gli “interventi di manutenzione e realizzazione di muretti a secco ed abbeveratoi funzionali alle attività agro-silvo-pastorali, eseguiti con materiali e tecniche tradizionali”. Infatti la lettera A19 richiama anche espressamente l’art. 149, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 42 del 2004. Tale disposizione riguarda “gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio”.

Ne deriva che le sopra richiamate previsioni dell’art. 35 della legge regionale n. 4 del 1999, che richiedono il nulla osta idrogeologico per la consistenza dello scavo realizzato, comportano anche la rilevanza paesaggistica dell’intervento effettuato, il quale, in ogni caso, ha comportato per le sue dimensioni una alterazione permanente dello stato dei luoghi. Correttamente, dunque, il Comune ha ritenuto necessaria l’autorizzazione paesaggistica.

In ogni caso, l’intervento era soggetto anche al nulla osta dell’Ente Parco delle Cinque Terre, in base all’art. 7 del D.P.R. 6 ottobre 1999, che richiede in Zona “2” l’autorizzazione dell’Ente Parco per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di restauro e risanamento conservativo.

Venendo ai profili strettamente edilizi, rilevanti quale presupposto dell’esercizio del potere, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001, l’art. 6 lettera d) del testo unico dell’edilizia, citato dall’appellante, qualifica come opere di edilizia libera “i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari”.

La legge regionale 16 del 2008, art. 5 bis comma 1 bis, dispone: “Allo scopo di promuovere gli investimenti in agricoltura, tutelare il paesaggio, favorire il recupero e il mantenimento dell’equilibrio idrogeologico, le opere di manutenzione e ripristino funzionale di sistemazioni idrauliche agrarie quali le fasce terrazzate con muri a secco, ove rientranti nella fattispecie prevista dall’articolo 6, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 e dall’articolo 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 per la loro esecuzione non necessitano di autorizzazioni, pareri, nulla osta ne altri atti di assenso comunque denominati”.

Ne deriva che l’intervento potrebbe qualificarsi di edilizia libera, solo nell’ambito della disciplina della lettera d) dell’art. 6 e comunque dell’art. 149 del d.lgs. 42 del 2004 che, come sopra evidenziato, richiede che gli interventi non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi e richiama l’assetto idrogeologico, per cui, nel caso di specie, la necessità dell’autorizzazione idrogeologica, ai sensi dell’art. 35 della legge regionale n. 4 del 1999, esclude anche la configurabilità dell’opera come di edilizia libera.

In ogni caso, la giurisprudenza consolidata ritiene che la realizzazione di muri di cinta e/o contenimento di ragguardevoli dimensioni sia soggetta al rilascio del permesso di costruire, in relazione alla nozione di nuova costruzione, configurata quante volte l’intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, per le opere di qualsiasi genere se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione (Cons. Stato, Sez. II, 24 marzo 2020, n. 2050; Cons. Stato, Sez. II, 9 gennaio 2020, n. 212; Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169; Cons. Stato, Sez. VI, 17 maggio 2023, n. 4889).

Nel caso di specie, la consistenza dell’intervento conduce a tale qualificazione, mentre, la preesistenza del muro – di cui peraltro non risulta, anche dalle fotografie depositate in giudizio, possibile stabilire che abbia avuto la medesima consistenza di quello realizzato – al massimo potrebbe condurre a configurare un intervento di demolizione e ricostruzione, che, non essendo rispettata la sagoma originaria in area vincolata – essendo posto almeno in parte in diversa area di sedime – deve ritenersi comunque soggetto a permesso di costruire e quindi soggetto alla sanzione della demolizione, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001.

Infatti, l’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001, nel testo vigente al momento di realizzazione dell’abuso, richiedeva il permesso di costruire, per gli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici… nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria”.

La legittimità del provvedimento sotto il profilo degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 380 del 2001, comporta l’irrilevanza della ulteriore censura relativa all’erronea applicazione dell’art. 93 del Testo Unico edilizia.

In ogni caso la natura dell’intervento realizzato comporta l’infondatezza altresì di tali deduzioni difensive, trattandosi di opera comunque soggetta al procedimento di autorizzazione sismica, come risulta dalle Norme tecniche delle costruzioni richiamate specificamente dal Comune nel provvedimento impugnato nonché dalla Deliberazione della Giunta Regionale n. 812/2020, “ Approvazione criteri ed indirizzi anche procedurali in materia di interventi strutturali in zone sismiche”, che considera sismicamente rilevanti, tra le altre, le “opere di sostegno riconducibili alle tipologie di muri a gravità, muri a semigravità, muri a mensola, muri cellulari, gabbionate, terre armate e opere di ingegneria naturalistica, con le seguenti caratteristiche: a. con pali e/o tiranti: opere di altezza massima, esclusa la fondazione, ≤ 4,5 m; b. senza pali e/o tiranti: opere di altezza massima, esclusa la fondazione, >1,5 [m] e ≤ 4,5 [m];” escludendo la rilevanza sismica solo per le “opere di sostegno prive di pali e/o tiranti, di altezza massima, esclusa la fondazione, minore o uguale a 1,5 m.”.

Pertanto, doveva comunque essere osservata la procedura di cui all’art. 93 del Testo unico dell’edilizia ai fini del controllo a campione previsto dall’art. 94 bis del Testo unico.

In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese del Comune di Monterosso al Mare per il principio della soccombenza devono essere poste a carico della parte appellante e vengono liquidate in complessivi euro 4000,00 (quattromila, 00), oltre accessori di legge.

Possono essere compensate nei confronti del Ministero della Cultura.

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