Corte di Cassazione, Sez. III, Ordinanza 19 maggio 2025 n. 13289
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, successivamente annullato in sede giurisdizionale, la pendenza del giudizio impugnatorio avverso il provvedimento esclude che il privato possa considerarsi in condizione soggettiva di buona fede, con riguardo alle conseguenze derivategli, per fatti verificatisi dopo l’avvio del giudizio, dall’aver confidato nella legittimità dell’atto, giacché la necessaria conoscenza della pendenza dello stesso giudizio è logicamente incompatibile con l’affidamento incolpevole e le attività comunque compiute derivano dalla libera assunzione del relativo rischio da parte del privato;
Deve inoltre ritenersi che la responsabilità da lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, successivamente annullato in sede giurisdizionale debba inquadrarsi nell’ambito della responsabilità da ‘contatto sociale qualificato’, l’onere probatorio è disciplinato dalla regola dettata dall’art. 1218 c.c., sicché il privato è tenuto a dimostrare la fonte del proprio diritto (ossia, il rapporto inerente al provvedimento autorizzatorio richiesto), nonché lo specifico comportamento della P.A. tenuto in violazione dei doveri di correttezza e buona fede (salva l’ipotesi del comportamento omissivo, per il quale è sufficiente la mera allegazione) e tale da ingenerare eziologicamente il proprio affidamento incolpevole, e ancora il relativo nesso di causalità, nonché il danno lamentato (da rapportarsi di norma al c.d. interesse negativo); per contro, la P.A. ha l’onere di dimostrare o che il comportamento omissivo non vi è stato, o che il comportamento comunque addebitatole non è rilevante sotto il profilo eziologico, oppure che l’evento di danno non è ad essa imputabile”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il mezzo in esame investe la questione della tutela dell’affidamento incolpevole che il privato abbia nutrito rispetto alla legittimità di un atto amministrativo, successivamente annullato in sede di autotutela oppure ope iudicis, e della ristorabilità dei danni che al privato stesso siano conseguentemente derivati.
1.1. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte lagunare avrebbe fatto malgoverno delle norme rubricate, laddove avrebbe operato un illegittimo automatismo – dato dalla mera pendenza di un giudizio impugnatorio – al fine di escludere la stessa configurabilità di un affidamento incolpevole, ed inoltre laddove avrebbe omesso l’esame del requisito della colpa in capo alla P.A., ritenendolo apoditticamente e contraddittoriamente insussistente.
- Onde affrontare compiutamente il tema, ritiene la Corte di doversi riportare al principio affermato – in sede di riparto di giurisdizione – dalla recente Cass., Sez. Un., n. 2175/2023, nei termini che seguono: “la pretesa risarcitoria del privato fondata sulla lesione dell’affidamento nella legittimità di un provvedimento ampliativo di una pubblica amministrazione, poi annullato in autotutela, non ha ad oggetto il modo in cui l’amministrazione ha esercitato il proprio potere con il provvedimento annullato, o con quello di annullamento del primo, costituendo l’illegittimità del provvedimento il mero presupposto della lite, ma l’osservanza o meno delle regole di correttezza nei rapporti con i privati, regole distinte ed autonome rispetto a quelle della legittimità amministrativa ed a cui deve essere informato il procedimento amministrativo ex art. 1, comma 2bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 120 del 2020”.
2.1. Nel rinviare all’ampia motivazione del citato arresto, anche per richiami, si vuole qui evidenziare (prendendo a prestito le parole del Massimo Consesso, par. 31 in particolare) che, in subiecta materia, “[c]hi agisce, in sostanza, non mette in discussione l’illegittimità del provvedimento a sé favorevole, né deduce di essere titolare di un interesse legittimo al mantenimento del bene della vita acquisito con tale provvedimento (e perduto con la relativa caducazione). Egli non si duole, cioè, della lesione di una situazione soggettiva di interesse legittimo alla conservazione del bene della vita concessogli con il provvedimento illegittimo (e, perciò, successivamente caducato), ma si duole del fatto che l’amministrazione lo ha indotto, con l’emissione di un provvedimento illegittimo, a sostenere spese e a compiere attività che la successiva caducazione del medesimo provvedimento ha reso inutili”.
2.2. Insomma, “il pregiudizio non deriva dalla violazione delle regole di diritto pubblico sull’esercizio della potestà amministrativa, bensì, in una più complessa fattispecie, dalla violazione dei principi di correttezza e buona fede, che devono governare il comportamento dell’amministrazione e si traducono in regole di responsabilità, non di validità dell’atto” (così, Cass., Sez. Un., n. 25324/2023, ancora in sede di riparto di giurisdizione); pertanto, l’affidamento incolpevole, la cui lesione potrebbe determinare la responsabilità risarcitoria della P.A. è “una situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta: si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buona fede” (così, Cass., Sez. Un., n. 8236/2020, in motivazione).
- La prospettiva da cui muovere ai fini dello scrutinio della questione che occupa, però, non è quella della responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., come ritenuto dalla Corte veneta (che, per vero, ha richiamato, sul punto, l’insegnamento di Cass. n. 27800/2017, tuttavia non pertinente perché concernente diversa fattispecie, ossia quella dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica, in disparte ogni questione sulla successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul punto specifico), bensì quella, di natura assimilabile alla responsabilità contrattuale, della responsabilità da “contatto sociale qualificato dallo status della pubblica amministrazione quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti” (così, la già citata Cass., Sez. Un., n. 8236/2020).
3.1. Invero, dopo una prima impostazione, in subiecta materia, nel senso della configurabilità di vera e propria responsabilità aquiliana (inaugurata dalle coeve ordinanze, rese dalle Sezioni Unite, nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011), è ormai ampiamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, l’orientamento per cui la responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevole del privato non consista affatto nella c.d. “responsabilità del passante”, essendo ravvisabile un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere; infatti, la “responsabilità … sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con la prima” (così, ancora, Cass., Sez. Un., n. 8236/2020).
3.2. Tale prospettiva – che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità – è stata anche di recente ribadita da Cass., Sez. Un., n. 1567/2023 (cui si rinvia, anche per richiami), che ha evidenziato, in motivazione (parr. 6 e 7, sintesi testuale dell’estensore), che tale “responsabilità … non è qualificabile né come extracontrattuale né come contrattuale in senso proprio, configurandosi piuttosto … come una responsabilità di tipo relazionale o da contatto sociale qualificato […] inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione, sia nel caso in cui il danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato”.
3.3. Sul piano generale, da tanto discende che – in tema di responsabilità da “contatto sociale qualificato” – trova applicazione il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c. (v., ex multis, Cass. n. 3695/2016), sicché è “onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità … e il danno lamentato” (Cass. n. 10050/2022); in particolare, l’attore è tenuto ad “allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato” (così, Cass., Sez. Un., n. 577/2008, che si muove nel solco tracciato dalla nota Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, sul tema della vicinanza della prova). Spetta invece al convenuto “dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante” (così, ancora, Cass., Sez. Un., n. 577/2008; ad ulteriore specificazione sul punto, tra le altre, la già citata Cass. n. 10050/2022 ha affermato che il debitore deve “dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile”; nello stesso senso, tra le altre, la già citata Cass. n. 3695/2016).
3.4. Rapportando e adattando i superiori insegnamenti (principalmente coniati nell’ambito della responsabilità sanitaria) alla fattispecie che occupa, occorre dunque che il privato dimostri il “contatto sociale qualificato”, ossia il rapporto inerente al provvedimento autorizzatorio richiesto, nonché lo specifico comportamento – lato sensu inteso – della P.A. che si pretende reso in violazione dei doveri di correttezza e buona fede e tale da ingenerare, sotto il profilo eziologico, il proprio legittimo convincimento di poter confidare nella piena legittimità dell’atto amministrativo e di poter quindi determinarsi nelle conseguenti attività, quali gli esborsi occorrenti per l’esercizio delle relative facoltà (come nella specie, con l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto idroelettrico); il privato, infine, deve dimostrare il danno in thesi subito (da rapportarsi, di regola, al c.d. interesse negativo – v. Cass. n. 19775/2018), ed il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo della P.A. e il danno stesso.
3.5. Ritiene la Corte di dover precisare, al riguardo, che – benché gli oneri probatori gravanti sul privato vadano regolati secondo lo schema dell’art. 1218 c.c. e, dunque, in linea con il citato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 577/2008 – non si può tuttavia limitare l’onere del privato stesso alla mera allegazione dello specifico comportamento illegittimo della P.A. (salva l’ipotesi della mera omissione), e non anche alla sua dimostrazione, sia perché (a differenza della responsabilità contrattuale tout court, o della responsabilità da “contatto sociale” in ambito sanitario) la violazione imputata alla stessa P.A. attiene a regole di carattere generale (dovere di correttezza e buona fede), più che a ben determinate obbligazioni di cui sia individuata la fonte, sia perché la P.A. convenuta, a fronte della mera allegazione di pretesi specifici comportamenti illegittimi di tipo commissivo, resterebbe in tale ipotesi onerata della relativa prova del fatto negativo, in totale disallineamento rispetto alla ratio di fondo che muove dalla pure citata Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, sulla riferibilità o vicinanza della prova.
3.6. Ciò chiarito, la P.A. ha – per contro – l’onere di dimostrare o che il suddetto comportamento omissivo non vi è stato, o che esso (sia commissivo, che omissivo) non è rilevante sotto il profilo eziologico, oppure che l’evento di danno non è ad essa imputabile, per non esserle addebitabile la colpa, che com’è noto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., si presume. Tale onere differenziale, a carico della P.A., vale dunque a caratterizzare il regime probatorio che discende dalla ripetuta qualificazione della responsabilità in parola quale responsabilità da “contatto sociale qualificato”, rispetto alla mera responsabilità aquiliana, in cui l’intero onere probatorio sugli elementi caratterizzanti la fattispecie (compreso l’elemento psicologico) grava sul preteso danneggiato.
- […] come correttamente osservato dalla Corte territoriale, la pendenza di un giudizio volto ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo emesso in favore del privato, di cui questi sia parte (in verità, necessaria), è di per sé incompatibile con la posizione di affidamento incolpevole in capo allo stesso privato circa la piena legittimità del provvedimento, perché questi non può che ben rappresentarsi il rischio che – in concreto – il giudizio assuma un esito a sé non favorevole.
4.1. In altre parole, rispetto alla posizione del privato destinatario di un provvedimento ampliativo da parte della P.A., allorché questi si accinga ad effettuare quanto necessario per esercitare le relative facoltà (come, nella specie, mediante l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto), altro è procedere in condizioni di assoluta ignoranza circa la sussistenza di elementi potenzialmente ostativi o problematici rispetto alla realizzazione programmata, altro è invece farlo nella piena conoscenza del rischio, già inveratosi, di concreto annullamento dell’atto.
4.1.1. Nell’un caso, l’eventuale annullamento dell’atto stesso (in sede di autotutela, oppure ope iudicis) giunge “a sorpresa”, lasciando esposto il privato a conseguenze (ad es.: sostenimento di ingenti spese, stipulazione di contratti che, poi, non sarà possibile rispettare, con conseguenti ricadute nei rapporti con i terzi, ecc.) che in origine, rebus sic stantibus, non era ragionevole prevedere, sicché vengono a tal punto in rilievo eventuali comportamenti della P.A. idonei a cagionare o, almeno, agevolare detta esposizione.
4.1.2. Nell’altro caso, invece, non è configurabile ex se un affidamento incolpevole, proprio perché la suddetta condizione soggettiva di conoscenza e rappresentazione, da parte del privato, è con esso logicamente incompatibile. Non ci si può, cioè, affermare lesi nel ragionevole convincimento circa la legittimità dell’atto amministrativo, e dunque attribuire alla P.A. la responsabilità delle conseguenze pregiudizievoli discendenti dall’annullamento dell’atto per violazione del dovere di correttezza e buona fede, allorché il privato sia a conoscenza della pendenza dello stesso giudizio di annullamento, a nulla di per sé rilevando che il primo grado del giudizio si sia concluso con il rigetto dell’impugnazione. A ragionare diversamente, infatti, si finirebbe col far coincidere la responsabilità risarcitoria della P.A., nei casi come quello che occupa, nell’aver meramente adottato un atto illegittimo, il che è – per quanto ampiamente detto – da escludere.
4.2. Del resto, con specifico riferimento al contenzioso dinanzi al G.A., la stessa giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 19/2021) ha affermato il principio per cui “la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento”.
4.2.1. Nell’esplicare detto principio, l’Adunanza Plenaria ha precisato, in motivazione, che “con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo.
4.2.2. La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio”.
4.3. Si tratta di valutazioni che, benché rese con specifico riferimento al giudizio amministrativo, ben possono replicarsi anche con riguardo al contenzioso delle acque ex art. 143 r.d. n. 1775/1933 (come è nella specie, con riguardo al giudizio di annullamento presupposto), posta la sua pacifica natura impugnatoria. In tali condizioni, dunque, decidere di avviare l’attività connessa al provvedimento ampliativo, anziché attendere l’esito del giudizio, non può che costituire una scelta comportante l’assunzione di un rischio consapevole da parte del privato, proprio perché l’eventuale annullamento rappresenta uno degli esiti possibili (il che vale anche al di là di quanto ritenuto dalla Corte lagunare circa la prevedibilità – da parte della società ricorrente – della decisione adottata da questa Corte con la citata Cass., Sez. Un., n. 19389/2012) rispetto ad una vicenda procedimentale già in essere e ben nota al privato stesso.
4.4. Diverso – lo si ripete – sarebbe invece il caso in cui l’invalidità dell’atto non fosse scrutabile all’orizzonte e il suo annullamento intervenisse, appunto, con effetto “a sorpresa” e del tutto inatteso: solo in tali condizioni (per la verità, ben difficilmente ipotizzabili – benché tanto non appaia impossibile tout court – allorché si tratti di un annullamento giudiziale, stante il ristretto lasso temporale per la sua impugnazione da parte del controinteressato, come nel caso di specie o, più in generale, nel contenzioso amministrativo), dunque, potrà procedersi allo scrutinio degli ulteriori elementi della fattispecie risarcitoria, nel prisma dei relativi oneri probatori delle parti, di cui s’è prima detto (v. par. 3.5, in particolare).
- […] Né tantomeno coglie nel segno quell’ulteriore profilo di censura, mosso col mezzo in esame, secondo cui nella specie il profilo di colpa della P.A. sarebbe da considerare presunto iuris tantum, posto l’intervenuto annullamento dell’atto autorizzatorio, perché illegittimo.
5.1. Sul punto, basti anzitutto considerare che l’introduzione del tema in parola da parte della ricorrente tradisce l’equivoco di fondo in cui essa incorre, giacché si finisce col legare detto preteso elemento presuntivo alla illegittimità dell’atto amministrativo, mentre invece, nella materia per cui è processo, l’illegittimità dell’atto costituisce solo il presupposto della domanda, non il suo oggetto (si veda la giurisprudenza prima citata, par. 3.2). Inoltre, s’è già visto che il profilo della colpa della P.A. viene nella specie in rilievo su base sì presuntiva, ma in forza della regola della responsabilità ex art. 1218 c.c., applicabile nella materia che occupa; presunzione che, tuttavia, non ha qui modo di operare in concreto, perché la società ricorrente è venuta meno al proprio onere assertivo e probatorio (v. par. 3.5), avendo configurato la responsabilità delle PP.AA. controricorrenti sulla base di comportamenti già in astratto inidonei ad ingenerare il proprio legittimo affidamento (come più volte s’è evidenziato), donde la stessa superfluità dell’ulteriore indagine.
- In proposito, possono conclusivamente affermarsi i seguenti principi di diritto:
6.1. “in tema di responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, successivamente annullato in sede giurisdizionale, la pendenza del giudizio impugnatorio avverso il provvedimento esclude che il privato possa considerarsi in condizione soggettiva di buona fede, con riguardo alle conseguenze derivategli, per fatti verificatisi dopo l’avvio del giudizio, dall’aver confidato nella legittimità dell’atto, giacché la necessaria conoscenza della pendenza dello stesso giudizio è logicamente incompatibile con l’affidamento incolpevole e le attività comunque compiute derivano dalla libera assunzione del relativo rischio da parte del privato”;
6.2. “in tema di responsabilità della P.A. per lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto dal privato nella legittimità di un provvedimento amministrativo per sé ampliativo, da inquadrarsi nell’ambito della responsabilità da ‘contatto sociale qualificato’, l’onere probatorio è disciplinato dalla regola dettata dall’art. 1218 c.c., sicché il privato è tenuto a dimostrare la fonte del proprio diritto (ossia, il rapporto inerente al provvedimento autorizzatorio richiesto), nonché lo specifico comportamento della P.A. tenuto in violazione dei doveri di correttezza e buona fede (salva l’ipotesi del comportamento omissivo, per il quale è sufficiente la mera allegazione) e tale da ingenerare eziologicamente il proprio affidamento incolpevole, e ancora il relativo nesso di causalità, nonché il danno lamentato (da rapportarsi di norma al c.d. interesse negativo); per contro, la P.A. ha l’onere di dimostrare o che il comportamento omissivo non vi è stato, o che il comportamento comunque addebitatole non è rilevante sotto il profilo eziologico, oppure che l’evento di danno non è ad essa imputabile”.