Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 17 giugno 2025 n. 16274
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va privilegiato, nell’affidamento dei figli, quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, seguendo il criterio costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., è quello di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, sicché le statuizioni sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli devono rispondere ad una valutazione in concreto intesa al perseguimento di tale finalità, non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio, in applicazione di valutazioni astratte, non misurate con la specifica realtà familiare.
Va offerta una contribuzione mensile al coniuge economicamente più debole sottoforma di assegno di divorzio, che può giustificarsi anche solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. 26520/2024).
A tal fine, va fondata la valutazione del giudice sulla capacita reddituale del coniuge e sulla sua autosufficienza economica, in relazione ad una esistenza dignitosa correlata alle esigenze, che non è fondata su circostanze di fatto quanto sulla presunzione del celamento di capacità economiche meramente affermate.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 337-ter e quater cod. civ. con riferimento al disposto affidamento cd. super-esclusivo dei figli al padre in assenza dei presupposti.
- Con il secondo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, legge div. (n. 898/1970 e sue successive modificazioni) in relazione alla corretta applicazione dei criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile.
- Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, con riferimento al rigetto della domanda di assegno divorzile formulata dalla controricorrente.
- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 315 bis, 316 bis e 337 ter cod. civ. per avere la Corte d’Appello ridotto il contributo indiretto dovuto dal padre.
- Il primo motivo è infondato.
34.1. Premesso che la questione dell’affidamento riguarda nell’attualità ormai la sola figlia minore D.D., dal momento che C.C. è divenuto maggiorenne il 24.7.2024, le disposizioni dell’art. 337 ter e quater cod. civ. che disciplinano l’affidamento esclusivo, prevedono che ai fini della scelta il giudicante debba avere riguardo al solo interesse psico-fisico dei minori, al fine di evitare situazioni dannose o disagevoli agli stessi.
34.2. Tale giudizio va formulato in base ad elementi concreti relativi al modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti ed alle rispettive capacità di relazione affettiva; l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo, pertanto, “dovrà essere sorretta da una motivazione non solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sull’inidoneità educativa ovvero sulla manifesta carenza dell’altro” (Cass., 26.06.2018, n. 16738).
34.3. Il giudice deve privilegiare quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.
Più recentemente è stato ribadito che “Nei procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., il giudice è chiamato ad adottare provvedimenti riguardo ai figli seguendo il criterio costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., è quello di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, sicché le statuizioni sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli devono rispondere ad una valutazione in concreto intesa al perseguimento di tale finalità, non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio, in applicazione di valutazioni astratte, non misurate con la specifica realtà familiare (Cass. 1486/2025).
34.4. Ebbene, la Corte d’Appello di Milano si è nel concreto attenuta a questi criteri e nel dare atto della persistente conflittualità fra i genitori ha rilevato come tale dinamica, manifestatasi sin dal processo di prime cure come impossibilità di condividere scelte riguardanti la vita dei minori, era persistente e aveva ricadute pregiudizievoli sulla condizione dei minori che erano chiaramente emerse durante l’ascolto disposto nel corso del giudice di secondo grado.
In altri termini, si trattava di una conflittualità limitata alla relazione personale fra gli ex coniugi ma involgeva direttamente le questioni riguardanti i figli rispetto alle quali le parti continuavano ad assumere posizioni antitetiche (come anche segnalato nell’aggiornata relazione del 2023 redatta dai servizi sociali incaricati della vigilanza).
In tale contesto l’affido condiviso era sconsigliato anche dalla ctu così come la modifica della collocazione della minore D.D. che, si legge nella sentenza impugnata, aveva ritenuto preferibile il mantenimento del collocamento presso il padre.
34.5. Risulta, pertanto, che la Corte d’Appello abbia ampiamente e complessivamente valutato la situazione concreta secondo il criterio della soluzione maggiormente rispondente all’interesse dei minori.
34.6. A fronte di ciò la ricorrente lamenta l’eccezionalità dell’affido esclusivo e la necessità della valutazione del pregiudizio concretamente patito, entrambi i profili che, però, come visto, sono stati tenuti presenti dal giudice del merito, sicché la censura attinge la valutazione di fatto senza peraltro confrontarsi con l’esito della ctu e l’ascolto dei figli che hanno evidenziano l’impossibilità oggettiva di un affido condiviso per la radicale incapacità di adottare decisioni comuni da parte dei genitori.
- Il secondo motivo che lamenta la mancata applicazione del criterio perequativo-compensativo deve essere pure respinto.
35.1.Come è noto l’assegno divorzile, disciplinato dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, ha subìto nel tempo una significativa evoluzione interpretativa. In origine, la giurisprudenza attribuiva all’assegno una funzione prevalentemente assistenziale, finalizzata a garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Tuttavia, con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ridefinito la natura dell’assegno divorzile, riconoscendogli una triplice funzione: perequativa, compensativa e assistenziale.
35.2. Nei procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., il giudice è chiamato ad adottare provvedimenti riguardo ai figli seguendo il criterio costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., è quello di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, sicché le statuizioni sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli devono rispondere ad una valutazione in concreto intesa al perseguimento di tale finalità, non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio, in applicazione di valutazioni astratte, non misurate con la specifica realtà familiare.
A tal fine è stato stabilito che il coniuge richiedente deve fornire prova del contributo offerto alla comunione familiare, delle eventuali rinunce ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio e dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.
Non è necessario che il sacrificio lavorativo sia totale; è sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa o occasioni di carriera per dedicarsi maggiormente alla famiglia.
35.3. In tale prospettiva deve, però, essere considerato che la Corte d’Appello ha argomentato che la A.A. è stata sostenuta anche economicamente per il mantenimento della sua professionalità ed in casa non era oberata delle incombenze domestiche.
A fronte di ciò la ricorrente oppone una diversa valutazione dei fatti, che, tuttavia, non sono stati contestati, rendendo insuperabile l’accertamento di fatto proprio sulla radicale mancanza del contributo prevalente nella cura della famiglia e nella perdita delle occasioni professionali. 36. Il terzo motivo che censura l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del richiedente o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive è, invece, fondato.
36.1. La valutazione sulla capacita reddituale della A.A. e sulla sua autosufficienza economica in relazione ad una esistenza dignitosa correlata alle sue esigenze non è fondata su circostanze di fatto quanto sulla presunzione del celamento di capacità economiche meramente affermate.
36.2. Risulta, per converso, dalla sentenza che la A.A. è precaria ed ha un reddito accertato molto basso di Euro 800,00 mensili con il quale dovrebbe pure contribuire al 30% delle spese straordinarie dei figli.
36.3. La sentenza impugnata peraltro nulla argomenta rispetto al diverso accertamento che in primo grado avevano giustificato il riconoscimento dell’assegno divorzile nella misura di Euro 1000,00.
Orbene, poiché l’assegno di divorzio può giustificarsi anche solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. 26520/2024), la domanda della A.A. va rivalutata alla stregua del requisito assistenziale del richiesto assegno.
- La decisione sul quarto motivo di ricorso, che attiene alla riduzione del contributo indiretto per il mantenimento dei figli, è assorbita nell’accoglimento del terzo motivo dal momento che la questione cui inerisce la censura dovrà essere riesaminata, alla stregua del principio di proporzionalità, una volta accertata l’effettiva capacità reddituale della madre rispetto al contributo di mantenimento sotto la forma della partecipazione alle spese straordinarie come fissata dal giudice d’appello e logicamente correlata con il riconoscimento o meno del richiesto assegno divorzile.
- In definitiva, la sentenza è cassata in relazione al terzo motivo accolto ed al quarto motivo assorbito, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione per nuovo esame.