Corte Costituzionale, 17 luglio 2025, n. 109
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
1.− Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dubita, in riferimento agli artt. 3,4,24,41,97,111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU, della legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, nella parte in cui non dispone che la sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia − prevista in esito all’ammissione al controllo giudiziario e per tutta la sua durata − «perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento [del provvedimento interdittivo] ex art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia».
Le questioni sono sollevate nel giudizio di impugnazione, proposto da una impresa aggiudicataria di un contratto di appalto pubblico di lavori, della risoluzione comminata dalla stazione appaltante, ai sensi dell’art. 108, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, a seguito della constatazione della intervenuta scadenza del controllo giudiziario, cui l’impresa era stata ammessa, e del conseguente venir meno della sospensione degli effetti della informazione interdittiva (di cui l’appaltatrice era già destinataria, prima della procedura di gara), nonché della mancata definizione da parte del prefetto del procedimento di riesame dell’informazione stessa.
1.1.− Il giudice a quo lamenta l’illegittimità costituzionale della norma negativa per nove profili, suddivisibili in tre gruppi.
Il primo gruppo di questioni è accomunato dalla denunciata situazione in cui verserebbe l’operatore economico che ha portato a termine la misura di prevenzione del controllo giudiziario ed è destinatario della riviviscenza degli effetti dell’interdittiva: egli non avrebbe rimedi giurisdizionali né per avversarli nell’immediato né per neutralizzarli retroattivamente.
Tale situazione darebbe, pertanto, luogo al contrasto con: a) l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di uguaglianza, per trattamento deteriore di tale operatore rispetto alle imprese che sono per la prima volta colpite dal provvedimento interdittivo e che ne possono ottenere la sospensione con decisione cautelare del giudice amministrativo o con ammissione al controllo giudiziario; b) gli artt. 24, 111, commi primo e secondo, e 113 Cost. per compromissione del diritto di difesa, in specie nei confronti della pubblica amministrazione; c) l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU, per pregiudizio al diritto a un ricorso effettivo definibile in tempi ragionevoli, a tutela del diritto al rispetto della vita privata e del diritto di proprietà.
Con un secondo gruppo di questioni, il giudice a quo lamenta la violazione del principio di proporzionalità per diversi aspetti e in combinazione con altri parametri e, in particolare: a) per l’incongruità, rispetto allo scopo della difesa della legalità perseguito con l’interdittiva, del pieno ripristino della sua efficacia alla chiusura del controllo; b) per l’ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro e del libero esercizio dell’attività di impresa (artt. 4 e 41 Cost.), stante la compromissione irrimediabile della capacità economico-produttiva dell’impresa e, di conseguenza, della forza lavoro ivi impiegata; c) per la vistosa violazione dei principi di efficienza ed economicità (riconducibili all’art. 97 Cost.) dell’attività contrattuale dell’amministrazione, obbligata alla rapida sostituzione dell’appaltatore, con conseguenti ritardi e aggravio di costi nell’esecuzione del contratto; d) per l’ingerenza sproporzionata dell’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
In terzo luogo, il TAR Calabria lamenta la violazione dei princìpi di ragionevolezza e buon andamento, perché la funzione bonificante, perseguita con la misura del controllo giudiziario, sarebbe frustrata dalla riespansione degli effetti dell’interdittiva senza che si attenda la verifica da parte del prefetto dell’incidenza degli eventuali risultati favorevoli sulla attualità del fenomeno di infiltrazione mafiosa: infatti, la riespansa efficacia, da un lato, impedirebbe all’impresa di consolidare i risultati del compiuto percorso proficuo di risanamento e, dall’altro, darebbe luogo a conseguenze negative insuperabili, pur nell’ipotesi di successiva emanazione da parte del prefetto dell’informazione liberatoria (anche per l’esito positivo del controllo giudiziario).
2.− In via preliminare, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dall’ANAS spa.
2.1.− Anzitutto, l’appaltante eccepisce il difetto di rilevanza delle questioni, in quanto, in esito al procedimento di aggiornamento, la società appaltatrice è stata attinta da un nuovo provvedimento interdittivo: quest’ultimo, per un verso, le precluderebbe in via definitiva la prosecuzione del rapporto contrattuale e, dunque, implicherebbe la sopravvenuta carenza del suo interesse all’annullamento giurisdizionale della originaria risoluzione del contratto; per altro verso, segnerebbe la fine del periodo temporale nell’ambito del quale dovrebbe operare l’estensione della sospensione dell’interdizione richiesta a questa Corte («[sino alla]definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia»), con conseguente ininfluenza della eventuale pronuncia additiva sul giudizio a quo.
L’eccezione va disattesa.
La nuova interdizione − sebbene sia del 25 ottobre 2024 e, dunque, di data antecedente al deposito dell’ordinanza di rimessione del 28 ottobre 2024 – costituisce, invero, una mera sopravvenienza di fatto, ininfluente sulla rilevanza delle questioni.
Da un lato, infatti, le parti non hanno dedotto nella sede propria del giudizio a quo l’asserita carenza di interesse all’annullamento per il sopraggiungere della nuova informazione interdittiva, sicché essa è rimasta estranea al relativo thema decidendum.
Dall’altro lato, deve considerarsi che il nuovo provvedimento prefettizio, se pure antecedente all’ordinanza di rimessione, è successivo all’ordinanza dell’11 ottobre 2024 con cui il giudice amministrativo, concedendo in via interinale la tutela cautelare proprio sul presupposto dell’esistenza dei dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, si è riservato di sollevarli con separato provvedimento.
Dunque, l’accadimento in parola «benché intervenut[o] prima del deposito formale dell’ordinanza di rimessione è […] successiv[o] alla decisione di sospendere il giudizio e sollevare le questioni di legittimità costituzionale» (sentenza n. 120 del 2024, in relazione al requisito della persistente pendenza della controversia innanzi al giudice rimettente).
2.2.− Con una seconda eccezione, la stessa parte ha sostenuto l’inammissibilità delle questioni sollevate perché sarebbe richiesta una pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato, con invasione dell’ambito delle scelte riservate al legislatore.
In particolare, si chiederebbe la protrazione della sospensione dell’efficacia dell’interdittiva sino alla decisione prefettizia sull’aggiornamento della stessa, sebbene nell’ordinamento non sussistano, in assunto, le condizioni per l’automatico raccordo tra la fase finale del controllo giudiziario e il procedimento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
Anche questa eccezione non è fondata.
Il rimettente, dopo aver delineato caratteristiche e funzioni del controllo giudiziario volontario e dell’aggiornamento dell’informazione interdittiva, ha individuato il loro punto di contatto nella circostanza per la quale dall’esito favorevole del primo scaturisce l’obbligo di avvio del secondo, che potrebbe definirsi, anche a causa del percorso controllato, con una informazione liberatoria. Nel descritto contesto, il TAR Calabria stigmatizza la mancata previsione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino all’esito del riesame e formula la richiesta di una pronuncia additiva che ritiene coerente con le rationes dei due istituti.
Ove dovesse riscontrarsi il denunciato vulnus ai diritti e ai princìpi costituzionali evocati, spetterà a questa Corte individuare lo strumento idoneo per porvi rimedio sulla base di «“precisi punti di riferimento” e soluzioni “già esistenti”» (ex multis, sentenze n. 69 del 2025, n. 62 del 2022, n. 63 del 2021 e n. 224 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016).
3.− L’esame del merito richiede una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inseriscono le questioni sollevate, limitatamente agli aspetti essenziali per la decisione: il controllo giudiziario volontario nel suo rapporto con l’informazione interdittiva.
3.1.− Il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis cod. antimafia è una misura di prevenzione giudiziaria patrimoniale, introdotta con l’art. 11, comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni.
Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate). Tale misura è applicabile dal giudice della prevenzione d’ufficio o a domanda dell’operatore economico e inquadrabile nella più recente tendenza della legislazione a fornire una risposta preventiva ai fenomeni di infiltrazione criminale nell’economia secondo misure graduali, con la valorizzata possibilità per le fattispecie meno gravi di intervenire, anziché con “l’ablazione”, con il “salvataggio” della realtà aziendale contaminata, tramite la sottoposizione della stessa a diversificati interventi di “bonifica”.
In particolare, con il controllo giudiziario, l’imprenditore non è espropriato dell’azienda (come nel sequestro e nella confisca) né temporaneamente spossessato della sua gestione (come nell’amministrazione giudiziaria), ma è soggetto a un programma vigilato e assistito dallo Stato, finalizzato al suo recupero alla legalità. Ciò alla condizione che l’impresa, seppur interessata dal pericolo concreto di infiltrazione mafiosa, manifesti un adeguato margine di autonomia rispetto alle consorterie criminali.
Pertanto, da un lato, la misura può essere disposta solo se l’agevolazione a persone pericolose (individuate dall’art. 34, comma 1, cod. antimafia) sia «occasionale» (art. 34-bis, comma 1, cod. antimafia), secondo un riscontro che la giurisprudenza intende non soltanto come riferito allo «stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto [teso] a comprendere e prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 settembre-19 novembre 2019, n. 46898).
In altri termini, il giudice è chiamato a esprimere un favorevole giudizio prognostico riguardo al fatto che l’impresa possa riallinearsi con il contesto economico sano, seguendo il percorso assistito.
Dall’altro lato, all’imprenditore è lasciata la gestione dell’attività sotto le prescrizioni e la sorveglianza − di varia tipologia e per un periodo ricompreso tra uno e tre anni (art. 34-bis, comma 2, cod. antimafia) − del tribunale della prevenzione.
Nella specifica ipotesi in cui la misura sia attivata a domanda dell’operatore economico (art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia), essa consiste – oltre che in obblighi e divieti rivolti all’imprenditore − nella vigilanza da parte di un giudice delegato dal tribunale con l’ausilio di un «amministratore giudiziario» (di seguito, anche: controllore giudiziario), che esplica una puntuale attività di controllo sull’impresa (art. 34-bis, comma 3, cod. antimafia).
Il legislatore ha previsto, quale condizione affinché possa essere richiesta l’ammissione al controllo giudiziario volontario, che l’imprenditore richiedente sia destinatario di una informazione interdittiva emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4, cod. antimafia (e, dunque, di una interdittiva adottata in esito alla valutazione discrezionale del prefetto della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa), la quale sia stata impugnata dinanzi al giudice amministrativo (art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia).
Con tale previsione il legislatore ha stabilito un inedito collegamento tra la prevenzione giudiziaria e la prevenzione amministrativa relative all’impresa attinta solo occasionalmente da fenomeni di infiltrazione mafiosa, ma di tale collegamento ha espressamente disciplinato solo due aspetti: 1) a monte, la necessità procedurale che il tribunale, nel determinarsi sulla misura, senta il prefetto che ha adottato l’interdittiva; 2) a valle, la sospensione degli effetti dell’interdittiva come conseguenza dell’ammissione dell’imprenditore al controllo giudiziario.
In particolare, il primo periodo del censurato art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, prevede che il provvedimento che dispone il controllo giudiziario sospende gli effetti dell’informazione interdittiva, stabiliti dall’art. 94 cod. antimafia.
Quanto a questi, è noto che il provvedimento prefettizio – in ragione della sua natura cautelare e preventiva in funzione di difesa della legalità dalla penetrazione della criminalità organizzata nell’economia (sentenze n. 101 del 2023, n. 180 del 2022, n. 178 del 2021 e n. 57 del 2020) – determina l’incapacità (parziale e tendenzialmente temporanea) dell’imprenditore a intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione (ancora sentenze n. 101 del 2023, n. 118 del 2022 e n. 178 del 2021, che richiamano Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3), derivando dal riscontro del tentativo di infiltrazione mafiosa il divieto di stipulare ed eseguire i contratti pubblici, di conseguire e mantenere le concessioni di beni pubblici, contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed erogazioni (artt. 91, commi 1 e 1-bis, e 94, comma 1, cod. antimafia) nonché, secondo la corrente giurisprudenza amministrativa, alla luce del disposto dell’art. 89-bis cod. antimafia, l’impedimento a ottenere e mantenere i titoli autorizzatori e abilitativi necessari per lo svolgimento di attività imprenditoriali anche nei confronti dei privati.
Solo in un secondo momento, con gli artt. 47, comma 1, e 49, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose», convertito, con modificazioni, nella legge 29 dicembre 2021, n. 233, il legislatore ha arricchito il quadro di correlazione tra la prevenzione amministrativa e la prevenzione giudiziaria, prescrivendo la comunicazione alla prefettura del decreto di ammissione ai fini dell’aggiornamento della banca dati unica della documentazione antimafia e disponendo il coordinamento del controllo giudiziario con le misure amministrative di prevenzione collaborativa, adottabili dal prefetto, introdotte con lo stesso art. 49, comma 1.
In particolare, secondo l’inserito art. 94-bis cod. antimafia, se il prefetto riscontra che l’impresa è interessata da «tentativi di infiltrazione mafiosa […] riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale», in luogo dell’informazione interdittiva, emette un provvedimento che prescrive all’operatore una serie di misure di tipo organizzativo e/o comunicativo, per un periodo variabile dai sei ai dodici mesi, con possibile nomina di uno o più esperti con funzioni di supporto per l’attuazione delle prescrizioni disposte.
Nello specifico, il comma 3 di tale articolo regola il rapporto tra la vigilanza prescrittiva adottata dal prefetto e quella applicata dal giudice della prevenzione, stabilendo che le misure collaborative cessano se il tribunale della prevenzione dispone il controllo giudiziario (nella forma della vigilanza con la nomina del controllore giudiziario).
Ciò perché le prime hanno il medesimo presupposto (l’agevolazione occasionale), analogo contenuto (gestione imprenditoriale guidata e monitorata con diverse modalità) e «identità di funzione» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 13 febbraio 2023, n. 7) rispetto al secondo.
Nonostante l’intervento legislativo del 2021, è rimasta scarna la disciplina dell’istituto del controllo, quanto al coordinamento con la valutazione infiltrativa prefettizia e al suo vaglio da parte del giudice amministrativo, e ciò ha creato diversi dubbi esegetici che interessano sia la fase genetica sia lo sviluppo del controllo giudiziario, molti dei quali risolti dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa.
Tra gli aspetti chiariti − per quanto ancora di stretto rilievo ai fini della presente decisione − vi è, anzitutto, la diversità della valutazione espressa dal prefetto (e del suo sindacato da parte del giudice amministrativo) rispetto al “fuoco” della valutazione del giudice della prevenzione: la prima − preordinata alla adozione della interdittiva quale reazione ordinamentale alle minacce della criminalità − è esclusivamente di tipo “statico” (o retrospettivo), quale diagnosi di un fenomeno di rischio infiltrativo già perpetratosi; mentre la seconda – funzionale all’ammissione del richiedente a una misura di bonifica − è di natura eminentemente “dinamica”, perché prognosi delle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha, o meno, di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano (si veda, per tutte, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, ad. plen., n. 7 del 2023 e, nella giurisprudenza ordinaria, ancora Cass., sez. un. pen., n. 46898 del 2019).
Da tale inquadramento delle due diverse valutazioni sono state tratte talune conseguenze sul loro rapporto diacronico.
Per un verso, le pronunce più recenti hanno escluso che il giudicato amministrativo di rigetto dell’impugnazione dell’interdittiva faccia venire meno il controllo giudiziario, perché è ritenuta perdurante l’esigenza di risanare l’impresa.
Si è affermato, infatti, che “la conferma” giurisdizionale dell’interdizione prefettizia e, dunque, l’accertamento in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso, renda massima l’esigenza di risanamento (ancora, Cons. Stato, ad. plen., n. 7 del 2023) o, comunque, che essa sia «coerente proprio con la [precedente] ritenuta necessità di applicare la misura del controllo giudiziario» (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 dicembre 2024-11 febbraio 2025, n. 5514).
Nel verso opposto, è ritenuto ininfluente il sopraggiungere della definizione positiva del controllo giudiziario sul sindacato del giudice amministrativo sulla interdittiva: infatti, il buon esito della misura preventiva giudiziaria costituisce un post factum rispetto al provvedimento prefettizio impugnato, di cui va verificata la legittimità tenendo conto delle condizioni di fatto e di diritto sussistenti al momento in cui è stato emesso (da ultimo, tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 29 aprile 2025, n. 3635).
Pur nella delineata distinzione dei giudizi della prevenzione amministrativa e giudiziaria, con la conseguente esclusione dell’incidenza diretta dell’esito dell’uno sull’altro, sussistono delle ovvie interferenze che hanno origine ora nel disposto dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, ora nella “temporaneità” dell’interdizione.
Quanto al primo profilo, è pacifico nella giurisprudenza amministrativa − come correttamente sostenuto dal rimettente − che dalla lettera della disposizione censurata, secondo cui il «provvedimento che dispone […] il controllo giudiziario […] sospende […] gli effetti» dell’informazione interdittiva, si ricava anche la norma secondo cui la chiusura del controllo (a prescindere dall’esito) determina la cessazione dell’effetto sospensivo della interdittiva che dal primo era conseguito (da ultimo, ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2024, n. 2515).
Quanto al secondo aspetto, l’esito positivo della misura preventiva giudiziaria può avere un riflesso nello “sviluppo” dell’efficacia dell’interdittiva.
In proposito, infatti, occorre ricordare che – come questa Corte ha avuto modo di rimarcare nel segnare il limite della ragionevolezza della grave limitazione della libertà di impresa che deriva dalla adozione dell’informazione interdittiva in nome della difesa della legalità – la misura prefettizia ha carattere provvisorio: l’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che l’informativa antimafia abbia una validità limitata di dodici mesi, previsione da intendere (al contrario che nel caso della informazione liberatoria) non già come perdita automatica dell’efficacia dell’interdizione, ma nel senso che «alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva» (sentenza n. 57 del 2020).
In altri termini, la provvisorietà, tesa a «scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile» (ancora, sentenza n. 57 del 2020) per l’impresa interdetta, è garantita dall’art. 91, comma 5, ultimo periodo, cod. antimafia, a mente del quale «[i]l prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa».
Il venir meno di tali «circostanze rilevanti», secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, non deriva dal mero trascorrere del tempo, ma dal sopraggiungere di elementi diversi, oppure contrari, idonei a escludere la portata sintomatica di quelli posti alla base del giudizio infiltrativo dell’emessa interdittiva – o perché ne smentiscono tale valenza, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo (tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 18 agosto 2020, n. 5088; in termini analoghi, ancora, sezione terza, sentenze 30 ottobre 2023, n. 9343, e 7 gennaio 2022, n. 57).
Ebbene, tra i fatti positivi idonei a superare la pregressa valutazione infiltrativa vi è proprio l’esito favorevole del controllo giudiziario e la giurisprudenza non ha mancato di puntualizzarne le implicazioni procedimentali e decisorie.
Sotto il profilo procedimentale, tale sopravvenienza genera l’obbligo dell’organo amministrativo di procedere all’aggiornamento dell’informazione interdittiva previsto dall’art. 91, comma 5, cod. antimafia (ex multis, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 10 marzo 2025, n. 1937 e 23 dicembre 2024, n. 10340), obbligo che, se inadempiuto, rende operante l’azione avverso il silenzio, di cui agli artt. 31 e 117 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Sotto il profilo della determinazione prefettizia di riesame, il prefetto non può ignorare gli esiti del controllo, dovendo puntualmente valutare (con onere motivazionale rinforzato) se il compiuto percorso abbia dato luogo, o meno, alla recisione dei rapporti con le organizzazioni criminali e, dunque, se i risultati della misura costituiscano effettivamente una di quelle sopravvenienze rilevanti ai fini dell’aggiornamento.
Per contro, è escluso che l’esito positivo del controllo giudiziario vincoli il successivo giudizio di riesame, posto che la valutazione del controllore e del tribunale non costituisce un giudicato di accertamento né una presunzione assoluta di avvenuta bonifica (tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 31 luglio 2024, n. 6880 e 16 giugno 2022, n. 4912).
L’istituto dell’aggiornamento − nell’indiscussa discrezionalità della sua definizione con l’emissione di una informazione liberatoria o, piuttosto, di una informazione interdittiva − è stato pertanto qualificato, sia dal giudice amministrativo che dal giudice ordinario, come punto «di interazione» o «raccordo» tra gli istituti in esame (Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sentenza 15 ottobre 2024, n. 790; Cons. Stato, sez. sesta, n. 2515 del 2024; Cass., n. 5514 del 2025).
Pur rinvenuto il collegamento tra gli istituti, alcune pronunce amministrative (da ultimo, sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, n. 1937 del 2025), al pari dell’ordinanza di rimessione, e la dottrina hanno evidenziato le problematiche che derivano dal mancato allineamento, nella complessiva disciplina, tra il tempo della definizione del controllo e il tempo di definizione del riesame dell’interdittiva.
La decisione sull’aggiornamento, infatti, in ragione della complessa istruttoria e del carico di lavoro delle prefetture, giunge ordinariamente a distanza di tempo dalla conclusione del controllo giudiziario, pur se – come nella fattispecie all’esame del giudice a quo – l’imprenditore o l’amministrazione interessata abbiano presentato istanza di riesame in un momento antecedente alla conclusione del controllo sulla base delle relazioni provvisorie del controllore giudiziario.
Tale sfasamento − come sottolineato dal rimettente – ha quale conseguenza che l’informazione liberatoria, emessa dal prefetto in sede di aggiornamento dell’interdittiva all’esito positivo del controllo, operando ex nunc, non cancella gli effetti interdittivi riespansi dopo il controllo.
All’espresso fine di colmare questo “iato temporale”, nell’attuale XIX Legislatura, è stata presentata la proposta di legge (Modifica all’articolo 34-bis del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di controllo giudiziario delle aziende – A.C. n. 1405) volta all’introduzione, nell’art. 34-bis cod. antimafia, del comma 7-bis, secondo cui «[i]n caso di esito positivo del controllo, il prefetto procede d’ufficio al riesame della posizione del soggetto controllato. Il riesame ha una durata massima di sei mesi, prorogabili di ulteriori sei mesi. Nel corso del riesame si mantiene la sospensione degli effetti di cui all’articolo 94».
4.− Tutto quanto sopra premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. – per irragionevolezza della disciplina e sproporzionata compressione dell’iniziativa economica privata – sono fondate.
4.1.− Come si è visto, con il controllo a domanda dell’imprenditore, il legislatore ha collegato la prevenzione giudiziaria con quella amministrativa per dare coordinata risposta al tentativo di infiltrazione della criminalità di tipo marginale, ma è evidente che non ragionevolmente ha mancato di “chiudere il cerchio” e determinato un incongruo sacrificio della libertà di impresa.
4.1.1.− Tassello fondamentale dell’«apprezzabile finalità [del controllo giudiziario] di contemperare le esigenze di difesa sociale e di tutela della concorrenza con l’interesse alla continuità aziendale» (sentenza n. 180 del 2022) è senza dubbio la sospensione degli effetti dell’interdittiva di cui quell’operatore economico è destinatario, in quanto essa costituisce il mezzo indispensabile per consentirgli di espletare in concreto l’iter di gestione vigilata preordinato alla bonifica: infatti, solo per effetto del congelamento dell’interdizione, l’operatore riacquista provvisoriamente la capacità di intrattenere i rapporti con la pubblica amministrazione e di svolgere le attività economiche sottoposte al suo preventivo assenso.
Senza tale strumento, dunque, l’ordinamento indicherebbe “il percorso di recupero, ma non fornirebbe le gambe per percorrerlo”.
L’essenziale strumentalità del meccanismo sospensivo rispetto alla finalità del controllo è stata, d’altro canto, di recente ribadita dal legislatore del terzo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023), che ne ha esteso l’ambito applicativo.
Il d.lgs. n. 36 del 2023 ha sancito il superamento dell’orientamento giurisprudenziale che riteneva che la sospensione de qua, sopraggiunta nel corso della procedura di evidenza pubblica, non operasse retroattivamente e, pertanto, non apportasse deroghe all’obbligo per le stazioni appaltanti di escludere dalla competizione il partecipante interdetto (art. 80, comma 2, del previgente cod. contratti pubblici e art. 94, comma 2, del vigente cod. contratti pubblici) o all’impedimento dell’aggiudicazione in suo favore (art. 32, comma 7, del previgente cod. contratti pubblici e art. 17, comma 5, del vigente cod. contratti pubblici) e di stipula del contratto (art. 94, comma 1, cod. antimafia), in rigorosa applicazione del principio della necessaria continuità del possesso dei requisiti in capo agli aspiranti contraenti con la pubblica amministrazione in tutte le fasi della gara.
Infatti, l’art. 94, comma 2, ultimo periodo, del vigente cod. contratti pubblici dispone l’inoperatività della causa di esclusione per l’accertamento prefettizio del tentativo di infiltrazione mafiosa «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario». È così sancito l’effetto “salvifico” dell’ottenuto controllo sulla procedura di evidenza pubblica, perché il concorrente “controllato” è ritenuto ex lege affidabile, nonché meritevole di occasioni contrattuali che lo conducano alla bonifica.
Ancora al favor per lo scopo della misura di cui all’art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia, va ricondotto anche il ricordato recente orientamento giurisprudenziale che esclude che il giudicato amministrativo di rigetto dell’impugnazione dell’interdittiva comporti l’interruzione della gestione imprenditoriale controllata e, di conseguenza, il venir meno del “beneficio sospensivo”.
4.1.2.− Rispetto alla valorizzata ratio del controllo giudiziario è, invece, palesemente dissonante e afflittivo per l’impresa il meccanismo − ben descritto dal giudice a quo − che segue alla sua conclusione pur a fronte degli acclarati risultati positivi.
Da un lato, infatti, alla chiusura della misura giudiziaria corrisponde l’automatica riespansione degli effetti interdittivi con le conseguenti ripercussioni negative, prime tra tutte quelle su gare e contratti pubblici in corso − senza che, secondo coerenza logica, si attenda l’apprezzamento degli esiti del controllo giudiziario volontario nella valutazione di aggiornamento della misura amministrativa, cui la disciplina l’ha collegato.
Anche ad avviso di questa Corte, è proprio l’aggiornamento dell’informazione dell’interdittiva ex art. 91, comma 5, cod. antimafia il “nodo di collegamento” tra i due sistemi preventivi, trattandosi del momento in cui l’ordinamento richiede di riscontrare se gli esiti del consentito percorso, letti nella visione complessiva che il prefetto ha dell’imprenditore, abbiano prodotto l’effettivo superamento del pericolo di infiltrazione originariamente rilevato, in modo da «scongiurare [anche in questo specifico caso] il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile» (sentenza n. 57 del 2020).
Dall’altro lato, con risultati paradossali, le perdite che discendono dalla nuova paralisi dell’attività imprenditoriale non possono essere eliminate retroattivamente anche se l’esito del procedimento di riesame sia favorevole per decisione amministrativa o giudiziale: infatti, non solo – come si è visto – l’eventuale emanazione da parte del prefetto dell’informazione liberatoria all’esito dell’aggiornamento, e proprio in ragione dei risultati della misura della vigilanza prescrittiva, opera ex nunc; ma anche l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’informazione interdittiva emessa all’esito dell’aggiornamento (al pari della sospensione cautelare che può precederlo) retroagisce al momento della adozione del provvedimento, ma non copre anche il periodo anteriore, che va dalla definizione del controllo alla impugnata interdizione.
Alla luce di questi rilievi, deve concludersi per la irragionevolezza e contraddittorietà del sistema nel suo complesso, il quale: 1) istituisce una misura innovativa e in essa investe con l’obiettivo di recupero delle imprese alla legalità tramite la prosecuzione dell’attività aziendale; 2) consente di ammettere l’imprenditore, in esito al riconoscimento di specifiche potenzialità, a un apposito percorso di risanamento di durata compresa tra uno e tre anni, che ha un costo non solo per il privato, ma anche per l’amministrazione della giustizia; 3) ma, di contro, pur nell’ipotesi di chiusura positiva della misura, non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso, superamento che si auspica determinato dal compiuto risanamento controllato.
Ancora, va rimarcato che la riespansione di questi effetti rischia di vanificare i risultati conseguiti con l’attività monitorata: il ripristino delle incapacità non solo può condurre a una crisi economica irreversibile dell’impresa, ma può anche determinare un possibile riavvicinamento dell’operatore economico in difficoltà alla criminalità, da cui l’intervento statale mirava a separarlo.
4.2.− Restano assorbite le ulteriori questioni.
4.3.− Riscontrato il vulnus, deve individuarsi la soluzione per porvi rimedio.
La soluzione indicata dal rimettente, di protrazione della sospensione dell’interdittiva sino al suo riesame, risulta a “rime adeguate”, con la precisazione che la invocata protrazione della sospensione può essere riconosciuta solo in caso di chiusura del controllo con esito favorevole.
Anzitutto, infatti, l’addizione è coerente con lo scopo legislativo di consentire, tramite la continuità aziendale monitorata, il salvataggio delle imprese nonché con la logica del sistema nel suo complesso di verificare, tramite il giudizio prefettizio di aggiornamento dell’interdittiva, che il diligente percorso controllato abbia effettivamente eliso il rischio infiltrativo.
L’aggancio temporale tra il momento della chiusura della misura preventiva e il momento dell’aggiornamento della situazione infiltrativa trova nell’ordinamento − diversamente da quanto asserito dall’ANAS spa − «“precisi punti di riferimento” e “soluzioni già esistenti”» (tra le altre, sentenze n. 69 del 2025, n. 62 del 2022, n. 63 del 2021 e n. 224 del 2020).
La continuità temporale è stata, infatti, prevista dal legislatore nelle misure di prevenzione collaborativa, di cui si sono viste le notevoli similitudini con il controllo giudiziario: per esse, l’art. 94-bis, comma 4, cod. antimafia, fa coincidere il termine di scadenza del periodo vigilato con il riesame della situazione infiltrativa, inferendo dal venir meno di questa, per effetto del buon esito della misura amministrativa preventiva, il rilascio di una informazione antimafia liberatoria. In tale caso, dunque, l’ordinamento non consente alcuno “iato temporale” pregiudizievole.
5.− In conclusione, va dichiarata l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.