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Home Diritto Penale

*Processo – Giudizio abbreviato – Continuazione – Calcolo della pena in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
29 Luglio 2025
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 23 luglio 2025 n. 27059

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va ribadito il carattere cogente, tassativo e inderogabile della diminuente di pena prevista per il rito abbreviato e va affermato che la riduzione automatica e premiale deve applicarsi anche superando la barriera del minimo previsto dall’editto normativa già violato dal giudice del provvedimento impugnato, quando vi sia stato l’accoglimento dell’impugnazione proposta dal solo imputato in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio.

Deve affermarsi il seguente principio di diritto: «Nel caso di delitti e contravvenzioni posti in continuazione e oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione per il rito ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come nove/lato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, va operata, sulla pena inflitta per i delitti, nella misura di un terzo e, sulla pena applicata per le contravvenzioni, nella misura della metà».

Deve, poi, essere affermato l’ulteriore principio di diritto: “In tema di giudizio abbreviato, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’erronea determinazione unitaria, nella misura di un terzo, della diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., piuttosto che in maniera distinta con riduzione della metà per le contravvenzioni, integra un’ipotesi di pena illegittima e non di pena illegale, sempre che la sanzione inflitta rientri nei limiti edittali”.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 44, legge 23 giugno 2017, n. 103, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, debba essere operata nella misura unitaria di un terzo ovvero debba essere effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per le contravvenzioni nella misura della metà e su quelli disposti per i delitti nella misura di un terzo”.
  2. Il Collegio rileva come, effettivamente, in ordine alla questione dedotta convivano due orientamenti divergenti nella giurisprudenza di legittimità, sorti in seguito all’entrata in vigore della modifica normativa dell’art. 442, comma 2, cod, proc. pen., ad opera dell’art. 1, comma 44, legge 23 giugno 2017, n. 103.

La novella, infatti, per la prima volta ha distinto l’entità della diminuente per il rito abbreviato a seconda che si tratti di delitti o contravvenzioni, confermando, nella misura di un terzo della pena in concreto determinata, la riduzione prevista per i primi e fissando nella metà quella stabilita per le seconde.

Con un’evidente disposizione in favore maggiormente premiale della nuova diminuzione stabilita per le contravvenzioni. Il contrasto interpretativo emerso a seguito di tale modifica legislativa ha riguardato le modalità attuative della stessa al cospetto del reato continuato: ci si interroga, infatti, se debba risolversi nell’applicazione della riduzione complessiva di un terzo, prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. per il delitto “base”, cui viene rapportato l’aumento per la continuazione con il reato contravvenzionale, oppure se, tenuto conto della distinzione normativa tra delitti e contravvenzioni, essa vada calcolata in maniera differenziata e rapportata alla natura delle singole entità del reato continuato (pena base e reato o reati satellite).

Prima, dunque, di esaminare gli orientamenti antagonisti, conviene soffermarsi sui due istituti – la riduzione premiale della pena, in virtù dell’adesione al rito abbreviato, e la continuazione criminosa – che si pongono in relazione tra loro e le cui caratteristiche condizionano necessariamente la soluzione da prescegliere.

  1. È opportuno delineare gli aspetti giuridici della diminuente prevista dal comma 2 dell’art. 442 del cod. proc. pen. per il giudizio abbreviato, con particolare riguardo alla sua natura, poiché è necessario ricordarne l’essenza e gli effetti in generale, nel contesto del rito premiale cui afferisce, per paterne meglio valutare l’atteggiarsi nel reato continuato.

Il giudizio abbreviato, disciplinato dagli artt. 438 e ss. cod. proc. pen., si configura come procedura semplificata a definizione anticipata, subordinata all’opzione negoziale sul rito da parte dell’imputato, favorita da alcuni incentivi premiali e, anzitutto, dalla diminuzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. (cui oggi si affianca l’ulteriore beneficio premiale riferito al trattamento sanzionatorio, introdotto con il comma 2-bis, aggiunto all’art. 442 cod. proc. pen. dal d.lgs. 15 ottobre 2022, n. 150: la cd. diminuente esecutiva).

Non vi è dubbio che la principale sollecitazione all’adesione al rito “premiale”, a prova contratta e semplificata, sia, in caso di condanna, la determinazione di effetti automatici sul trattamento sanzionatorio: vale a dire le conseguenze favorevoli previste dalla diminuente di cui al comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen.

L’intera disciplina si muove in un contesto di favore premiale per chi sceglie il rito abbreviato, strutturato come modalità di più rapida definizione del processo, in omaggio all’ispirazione deflattiva che accompagna tutte la logica dei riti speciali previsti dal legislatore.

Le Sezioni Unite, in particolare nella sentenza Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, Rv. 237692, hanno confermato tale impostazione: nel sinallagma fra beneficio premiale e disincentivazione del dibattimento, il legislatore punta ad obiettivi di deflazione e ad una migliore efficienza del sistema processuale (cfr., in tal senso, anche Corte cast. sent. nn. 277 e 284 del 1990).

3.1. Sin dall’entrata in vigore del nuovo codice di rito, pertanto, giurisprudenza e dottrina si sono interrogate se la disposizione con cui si prevede la riduzione premiale di pena, e cioè l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., abbia 6 una dimensione solo processuale oppure riveli un duplice volto, processuale ad effetti sostanziali, data la sua capacità di incidere sulla misura della sanzione da infliggere e di concorrere a determinarne l’entità concreta, sia pur solo mediante l’applicazione di un abbattimento predeterminato nella misura fissa prevista dal legislatore.

La matrice processuale della diminuente per il rito è stata riconnessa al fatto che, nel contribuire alla quantificazione della pena, detta diminuente non si atteggia in termini di valutazione del fatto-reato e della personalità dell’imputato, sicché non concorre a determinare il disvalore della condotta criminosa nel caso concreto, consistendo, come detto, in una riduzione fissa e automatica, senza alcuna discrezionalità valutativa da parte del giudice.

In tal senso, essa conserva la sua funzione processuale ispiratrice, vale a dire la finalità deflattiva, mossa dalla logica attrattiva del rito premiale, cui consegue, tendenzialmente, una diminuzione del carico dibattimentale (cfr. Sez. U, n. 7707 del 21/5/1991, Volpe, Rv. 187851, che ha escluso l’assimilazione della diminuente per il rito abbreviato alle circostanze e la sua capacità di incidere sulla determinazione della pena rilevante per la prescrizione del reato; vedi anche Sez. U, n. 35852 del 22/2/2018, Cesarano, Rv. 273547, in motivazione).

La sua dimensione sostanziale si manifesta, invece, se si pone mente alle caratteristiche della diminuente collegate ad effetti rilevanti sull’individuazione concreta del trattamento sanzionatorio, poiché quest’ultimo, come affermato in molte occasioni dalle Sezioni Unite di questa Corte, diviene più favorevole per effetto del suo applicarsi (cfr. Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280539; Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe; Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib; Sez. U, n. 2977 del 6/3/1992, Piccillo, Rv. 189398).

Rilevanti, in tal senso, sono le indicazioni che si possono trarre dalla sentenza n. 210 del 2013 della Corte costituzionale, ispirata dalla sentenza Corte EDU, Grande Camera, 17/09/2009, Scoppola c. Italia, con cui l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 7 CEDU, in relazione alla applicazione retroattiva della modifica peggiorativa della pena stabilita per i reati puniti con l’ergastolo con isolamento diurno decisi con rito abbreviato (l’ergastolo in luogo della reclusione pari a trent’anni).

La Corte costituzionale, infatti, in tale decisione ha chiaramente optato per la natura sostanziale della disposizione contenuta nell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., ancorché inserita in una norma del codice di rito e nel sistema processuale.

Essa costituisce, secondo la Consulta, «una disposizione di diritto penale materiale riguardante la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato», già ritenuta tale da Sez. U, n. 2977 del 06/03/1992, Piccillo, Rv. 189398; e questa considerazione è preminente rispetto al tema della natura della diminuzione o della sostituzione della pena, perché quel che rileva è che essa si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore.

Sotto diverso, ma collegato aspetto, anche la sentenza n. 260 del 2020 della Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 438, comma l-bis, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. l, comma l, lett. a), legge 12 aprile 2019, n. 33), con cui si è preclusa, poi, del tutto, l’applicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo, ha evidenziato la valenza sostanziale della disciplina.

La Corte costituzionale ha sottolineato che la diminuente, pur incidendo su disposizioni concernenti il rito, ha un’immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigone in materia di diritto penale sostanziale, tra i quali, in particolare, il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto (vedi anche Corte cost. sent. n. 32 del 2020 sul “volto costituzionale” della pena).

3.2. Sulla base anche di tali approdi, la Corte di cassazione – dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 103 del 2017- ha affermato la retroattività della nuova disposizione, con cui si è rimodellata in senso più favorevole la prevista diminuente per il rito abbreviato in relazione alle contravvenzioni.

Si è osservato che tale norma, pur essendo di carattere processuale, ha effetti sostanziali e si applica, dunque, anche ai fatti anteriormente commessi, dovendosi aderire al principio di retroattività favorevole previsto in caso di successione nel tempo di leggi penali sostanziali, quali sono quelle che attengono al trattamento sanzionatorio, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. (Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752).

Le considerazioni che precedono devono essere qui ribadite e, del resto, hanno già trovato conferma nella giurisprudenza delle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022, Savini, Rv. 283818, non mass. sul punto).

Con la sentenza Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquista pace, Rv. 280539, si è avallata la natura di norma processuale ad effetti sostanziali della disposizione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., stabilendosi che il giudice d’appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia inferiore al minimo edittale.

8 La Sezioni Unite hanno sottolineato il carattere cogente, tassativo e inderogabile della diminuente di pena prevista per il rito abbreviato e hanno affermato il principio di diritto secondo cui la riduzione automatica e premiale deve applicarsi anche superando la barriera del minimo previsto dall’editto normativa già violato dal giudice del provvedimento impugnato, quando vi sia stato l’accoglimento dell’impugnazione proposta dal solo imputato in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio.

In tale ipotesi estrema, infatti, secondo le Sezioni Unite, non è possibile “neutralizzare” l’effetto favorevole della riduzione sanzionatoria obbligatoria prevista ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., “compensandola” con l’errore non dedotto sul minimo edittale, violato in senso favorevole all’imputato, poiché si deve tener conto dell’interazione necessaria con il principio di devoluzione, che implica anche la doverosità della concessione di benefici derivanti dalla ritenuta fondatezza di un motivo di appello.

  1. Venendo ad esaminare l’altro polo di interesse, qualificante per la soluzione della questione controversa, vale a dire il reato continuato, la sua natura e disciplina, emergono alcuni solidi punti interpretativi, frutto di una elaborazione costante della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, anche a Sezioni Unite.

Per inquadrare pienamente il tema oggetto di contrasto, è necessario richiamare i principali snodi ermeneutici riguardo all’istituto della continuazione criminosa, al fine di restituirne la complessità sistematica e di chiarire il carattere essenziale della sua disciplina, in una visione costituzionalmente orientata.

4.1. La struttura del reato continuato, come noto, si colloca nell’alveo del concorso materiale dei reati, di cui rappresenta una particolare figura derogatoria, costruita sull’unificazione delle diverse fattispecie in ragione dell’identità del disegno criminoso sottostante e che ha come conseguenza, sul piano sanzionatorio, l’applicazione del regime di cumulo giuridico delle pene, in luogo di quello materiale.

Il reato continuato si caratterizza per essere istituto di diretta espressione del principio del favor rei, che tiene conto della ritenuta minore riprovevolezza complessiva dell’agente, il quale, pur commettendo diverse violazioni della legge penale, si è determinato in tal senso “una sola volta” e, sulla base di tale unica determinazione iniziale, ha commesso una serie di reati.

La continuazione di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. comporta, dunque, ai soli fini sanzionatori e attraverso una fictio iuris, un’operazione che si potrebbe atecnicamente definire di “fusione per aggiunta” tra le pene dei reati posti in continuazione, che vengono a costituirsi come un “complesso unitario” che, all’occorrenza, diviene tuttavia scindibile.

9 La finalità propria dell’istituto, per come unanimemente riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità e dalla dottrina, è la mitigazione del trattamento sanzionatorio, in ragione del presupposto di minore gravità della condotta e dell’elemento volitivo che la sorregge, poiché l’agente risulta aver superato in un’unica occasione le controspinte (precettive e sanzionatorie) che l’ordinamento predispone a tutela di beni ritenuti meritevoli di protezione da parte del diritto penale (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263717).

L’attuale formulazione della norma è stata introdotta dall’art. 8 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, ed ha adottato, per il concorso formale di reati, il criterio del cumulo giuridico, estendendone la disciplina al reato continuato, la cui area di operatività, in precedenza limitata alle violazioni della stessa disposizione di legge, è stata ampliata, dunque, sino a ricomprendere anche le violazioni di diverse disposizioni di legge; la conseguenza è stata la generalizzazione del criterio del cumulo giuridico.

Il nuovo codice di procedura penale, varato dal legislatore del 1989, ha poi espressamente riconosciuto la possibilità di utilizzare la disciplina di favore del reato continuato (e del concorso formale) anche nella fase esecutiva, accentuandone la dimensione di istituto unitario quoad poenam (art. 671 cod. proc. pen.).

Ancora in via generale, neppure vi è più dubbio circa il fatto che sia configurabile la continuazione tra reati di specie diversa, vale a dire tra delitti e contravvenzioni, come ha chiarito da tempo la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite (cfr., soprattutto, Sez. U, n. 15 del26/11/1997, dep. 1998, Varnelli, Rv. 209487 e Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, Rv. 191128), indicando la strada per ottenere un volto della continuazione criminosa, anche in tali ipotesi, coerente con il principio di legalità della pena, attraverso la sentenza Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018, Giglia, Rv. 273751.

Nella richiamata pronuncia Sez. U, Giglia, si ritrova, infatti, la teorizzazione aggiornata e puntuale del principio di applicabilità “diffusa” della continuazione criminosa, quale istituto di carattere generale, in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee.

La convivenza tra l’opzione di applicabilità generalizzata della disciplina di favore del reato continuato e il principio di legalità della pena, nel caso di concorso tra delitti e contravvenzioni, si è realizzata – con la sentenza Giglia – sulla base del criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, forgiato nel rispetto finale del genere della pena prevista per il reato “satellite”, in ossequio al principio di legalità e a quello del favor rei.

In tal senso, per il caso di continuazione tra reati puniti con sanzioni  eterogenee sia nel genere che nella specie, l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod. pen.

Si tratta di un approdo finale frutto di una sedimentazione della riflessione giurisprudenziale, che, pur nella diversità di vedute quanto alla declinazione del computo della continuazione criminosa, nel caso di sua applicazione al reato continuato tra delitti e contravvenzioni puniti con pene eterogenee per specie e genere, non ha mai dubitato della legalità della pena finale calcolata ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.

La pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., è anch’essa pena legale, perché prevista dalla legge, non sussistendo alcuna ragione per negare l’applicabilità del cumulo giuridico delle pene quando la continuazione si verifichi fra reati puniti con pene di specie (e/o di genere) diverse.

Del resto, anche la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 312 del1988) ha avallato da tempo la tesi che ricomprende nel concetto di pena legale non solo quella prevista dalla singola norma incriminatrice, ma anche quella che risulta dall’applicazione delle varie disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio.

Peraltro, già prima della sentenza Sez. U, Giglia, un’altra pronuncia delle Sezioni Unite- la citata sentenza Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, Rv. 191128- individuando nel delitto l’illecito penale da considerarsi sempre più grave rispetto alla contravvenzione nell’ambito della continuazione criminosa (come ribadito successivamente da Sez. U, Varnelli, cit.), aveva rimarcato come la previsione normativa esplicita dell’istituto del reato continuato, all’interno dell’art. 81 cod. pen., faccia perdere consistenza alle obiezioni di violazione del principio di legalità, nel caso di computo della pena “combinato” tra delitti e contravvenzioni in continuazione tra loro.

Ciò perché ogni norma incriminatrice deve leggersi, sotto il profilo sanzionatorio, come se essa contenesse un’eccezione riguardo alla pena, per il caso che la violazione contemplata vada a comporre un reato continuato (coerente con tale impostazione è anche la successiva Sez. U, n. 25939 del 28/2/2013, Ciabatti, Rv. 255347).

In altre parole, la pena finale della continuazione criminosa è da considerarsi pena “legale”, così dovendo definirsi, non solo quella prevista – tra minimo e massimo- per le singole fattispecie penali, ma, come avevano già chiarito Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, Viola, Rv. 149263, anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, quali sono, appunto, tra le altre, quelle concernenti il reato continuato, secondo le precisazioni fornite dalle Sezioni Unite, da ultimo nella sentenza Sez. U, Giglia.

In tale pronuncia, è stata inserita anche una esposizione casistica per calcolare in modo corretto e “legale” la pena del reato continuato, che ha assunto una notevole importanza in chiave ermeneutica ed applicativa (cfr. § 6.2. della citata pronuncia).

4.2. Ai tratti essenziali di struttura del reato continuato vanno aggiunte alcune considerazioni, fondamentali per orientare la soluzione del quesito sottoposto al Collegio, sulla sua natura e sulla sua funzionalizzazione nell’assetto del sistema penale.

Quanto alla natura del reato continuato, può dirsi superata la logica di contrapposizione tra due opzioni diverse, inizialmente emerse.

Ed infatti, tra la tesi orientata ad una considerazione unitaria della continuazione criminosa e quella basata sulla diversa prospettiva dell’autonomia giuridica delle singole violazioni che in essa confluiscono, si è fatta largo e si è oramai consolidata una “visione multifocale” del reato continuato, ora unitaria, ora pluralistica, che sottolinea come la perdita dell’autonomia sanzionatoria dei reati satellite non comporti affatto l’irrilevanza della valutazione della gravità dei citati reati, singolarmente considerati (cfr., anzitutto, Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263717 e, successivamente, tra le altre, in ordine progressivo, Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018, Giglia, Rv. 273751 e Sez. U, n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282269).

Già Sez. U, Ciabotti, cit., peraltro, aveva ritenuto la concezione unitaria del reato continuato superata, cedevole ad una logica autonoma dei singoli reati componenti la continuazione e attiva soltanto per gli effetti espressamente presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, sempre che garantiscano un risultato favorevole al reo.

L’efficace definizione di “visione multifocale” del reato continuato, elaborata, poi, dalla giurisprudenza di legittimità, trova conferma nella lettera del comma 2 dell’art. 533 del codice di rito, disposizione fondamentale nella ricostruzione dell’istituto, poiché dedicata proprio alla fase della determinazione della sanzione, in cui è racchiusa l’essenza stessa della ratio di previsione del reato continuato, funzionale ad attenuare l’asprezza sanzionatoria del cumulo materiale di pene.

L’art. 533, comma 2, cod. proc. pen., al fine di individuare il trattamento sanzionatorio in concreto, impone una procedura bifasica, secondo cui, dapprima, si stabilisce la pena per ciascun reato (ubbidendo, dunque, a logiche di autonoma considerazione del disvalore di ognuno dei reati in continuazione); quindi, si determina la pena da applicare per il reato unitariamente considerato, così ridefinendo, in vista della unitaria risposta repressiva, la pena complessiva.

Dunque, se, da un punto di vista funzionale, il reato continuato rappresenta una particolare figura di concorso materiale di reati, unificati dall’identità del disegno criminoso e assoggettati – in conseguenza di ciò – al cumulo giuridico delle pene, secondo il meccanismo sanzionatorio previsto per il concorso formale, è vero anche che, da un punto di vista strutturale, si tratta pur sempre di singoli reati, di fattispecie autonome “create” dal legislatore e distintamente descritte in differenti norme.

Venendo alle finalità ed alla ratio dell’istituto della continuazione, va condiviso senz’altro che il suo scopo ultimo e più profondo (così come quello del concorso formale) è la mitigazione del trattamento sanzionatorio, in ragione della ritenuta minore gravità della condotta e dell’elemento volitivo che la sorregge, secondo quanto già chiarito.

Non ci si allontana dalle radici dell’istituto se lo si ritiene in qualche modo collegato alle stesse istanze di individualizzazione della pena in concreto, da proporzionarsi al disvalore complessivo delle condotte di reato realizzate, che vanno lette nel prisma della determinazione criminosa dell’agente, di minore intensità, ancorché sviluppatasi attraverso plurimi reati, perché collegata ad un’unica, iniziale idea di violazione della legge penale.

Con la finalità di perseguire l’obiettivo fondamentale ed essenziale del favor rei, coesistono, dunque, secondo una configurazione duttile dell’atteggiarsi concreto del reato continuato, aspetti giuridici sia di unitarietà che di pluralità.

Già Sez. U, n. 14 del 30/06/1999, Ronga, Rv. 214355 -con cui si è stabilito il principio della scindibilità, nel corso dell’esecuzione, del cumulo giuridico delle pene irrogate per la continuazione criminosa, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari – avevano evidenziato che l’unitarietà del reato continuato deve affermarsi là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non dovendosi mai dimenticare che il trattamento di maggior favore per quest’ultimo è alla base della ratio, della logica, appunto, del reato continuato.

Le successive Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, dep. 2009, Chiodi, Rv. 241755 (con cui si è affermato che i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti) hanno tratto dalla pronuncia Sez. U, Ronga, e dalla successiva giurisprudenza di legittimità, la conclusione che non vi è una struttura unitaria del reato continuato da assumere come criterio generale; anzi, la considerazione unitaria del reato continuato richiede due condizioni: deve essere espressamente prevista da “apposita disposizione” o, comunque, deve garantire un risultato favorevole al reo.

Al di fuori di queste due ipotesi non vi è alcuna unitarietà di cui tener conto e, di conseguenza, vige e opera la considerazione della pluralità dei reati nella loro autonomia e distinzione che costituisce – essa sì – la regola.

Un analogo approccio si ritrova, invero, nelle pronunce delle Sezioni Unite che hanno applicato a diverse questioni controverse il principio di “scissione” della continuazione, in vista del perseguimento del risultato più favorevole all’imputato o al condannato. Il richiamo è alle sentenze:

Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, Fiorentini, Rv. 183004, in tema di scissione del reato continuato e indulto; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 103975, che ha stabilito il principio secondo cui il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione, ma il tempo necessario a prescrivere è quello previsto per i singoli reati in continuazione;

Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, Mammoliti, Rv. 207940, in tema di scissione del reato continuato per il calcolo della durata massima della custodia cautelare o per l’accertamento dell’avvenuta espiazione di pena, ed ancora, in linea con quest’ultima pronuncia,

Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, Vitale, Rv. 243589, che ha ribadito come, in caso di condanna non definitiva per un reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo.

4.3. Emerge dall’analisi sin qui svolta e dalla ricostruzione sistematica dell’istituto del reato continuato la sua funzione prevalente e dominante quale istituto di favore per l’imputato.

Si tratta di una funzionalizzazione normativa inviolabile, di una logica immanente che, a giudizio del Collegio, condiziona l’interpretazione delle discipline di volta in volta da collegarsi con l’art. 81, cpv., cod. pen. e trova le sue radici in una ratio imprescindibile sottesa all’introduzione dell’istituto.

Del resto, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 115 del 3 luglio 1987, aveva rilevato che, dopo la novella del 1974, « .. [ … ] .. ogni qualvolta l’unificazione sia per risolversi a danno dell’imputato, è lecito operare la scissione, parziale o totale, a seconda che lo richieda il favor rei».

La logica multifocale che sostiene il criterio di determinazione della pena del reato continuato è la stessa che ha spinto la giurisprudenza della Suprema Corte a fissare quel mutamento fondamentale di prospettiva collegato all’obbligo di motivazione specifica per i singoli aumenti dei reati satellite che compongono la continuazione criminosa (cfr. Sez. U, n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282269).

La perdurante autonomia dei reati all’interno della continuazione criminosa impone al giudice di specificare e motivare l’entità dei singoli aumenti per i reati satellite, poiché tale specificazione rileva non solo allorché debba procedersi alla scissione delle pene, per poi applicare soltanto ad alcuni dei reati fittiziamente unificati taluni istituti giuridici, ma soprattutto consente l’indispensabile controllo sull’esercizio della discrezionalità del giudice nella determinazione della pena, permettendo di valutare se sia stato rispettato il principio di proporzionalità di essa, dovendo i singoli aumenti corrispondere alla valutazione della gravità degli episodi in continuazione.

  1. Una volta poste le premesse logico-giuridiche fondamentali per orientare l’interprete nella soluzione della questione sottoposta al Collegio, vanno approfonditi i due orientamenti in contrasto.

5.1. Il primo filone interpretativo, maggioritario, afferma che la natura di norma penale di favore dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, impone, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, che la riduzione per il rito vada effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per le contravvenzioni, nella misura della metà, e su quelli disposti per i delitti, nella misura di un terzo (Sez. 6, n. 17842 del 18/1/2024, Aprea, Rv. 286474; Sez. 2, n. 33454 del 04/04/2023, Turtur, Rv. 285023; Sez. 1, n. 39087 del 24/05/2019, Mersini, Rv. 276869; Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772; nonché le decisioni non massimate Sez. 6, n. 4199 dell8/l/2022, Aiello; Sez. 5, n. 42199 del17/9/2021, Tounsi; Sez. 6, n. 28021, del 25/6/2021, Campanella; Sez. 7, n. 16311 del 4/2/2021, Fiaccola; Sez. 7, n. 6250, del 24/1/2020, dep.2021, Farinelli; Sez. l, n. 1438 del 6/10/2020, dep. 2021, Burasca; Sez. l, n. 33051, del 23/9/2020, Inferrera; Sez. F. n. 32176 del 25/8/2020, Greco).

Le ragioni di tale orientamento sono state ben riassunte, da ultimo, nella sentenza Sez. 6, n. 17842 del 18/1/2024, Aprea, Rv. 286474.

Tale pronuncia ha sottolineato come, sebbene sia vero che la determinazione della pena nel reato continuato implica la perdita di “autonomia” dei reati satellite, attesa la natura unitaria quoad poenam di esso, e sebbene, per costante giurisprudenza, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato debba essere applicata dopo la determinazione del trattamento sanzionatorio, è altrettanto indiscutibile che il trattamento sanzionatorio più favorevole di cui all’art. 442, comma 2, seconda parte, -che ha effetti anche sostanziali e si applica ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752) – costituisce espressione di un principio che, nell’applicazione concreta, prevale sul dato formale dell’incidenza della riduzione premiale sulla pena della continuazione criminosa.

Si ricorda, inoltre, come il carattere “cogente” dell’applicazione della riduzione nella nuova misura stabilita dalla legge per i reati contravvenzionali sia stato esplicitato dalle Sezioni Unite nella recente sentenza Acquistapace (n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021).

Si evidenzia ancora come l’orientamento contrario conduca di fatto (per ragioni legate a dinamiche procedimentali variabili e casuali, a scelte soggettive o alla decisione di procedere con processi separati o riuniti da parte dell’autorità giudiziaria) alla parziale abrogazione di una norma che ha effetti sostanziali favorevoli all’imputato.

Anche il richiamo all’art. 76 cod. pen., che è uno dei punti centrali ai quali l’orientamento opposto a quello in esame àncora le proprie convinzioni, non pare alla tesi maggioritaria determinante per ritenere diversamente, alla luce di quanto si può desumere dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite richiamata al par. 4 e, in particolare, dalla sentenza Sez. U, Giglia, cit., che sottolinea la permanente autonomia della distinzione interna alla continuazione tra reati puniti con sanzioni di genere o specie diverse.

5.2. Il secondo orientamento, rappresentato da un minor numero di pronunce, considera che, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 103 del 2017, deve essere operata, nel caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, nella misura unitaria di un terzo prevista per i delitti, essendo la pena del reato continuato parametrata su quella stabilita per il delitto, in applicazione della regola del cumulo delle pene concorrenti ex art. 76 cod. pen. (Sez. 2, n. 40079 del 17/01/2023, Demerac, Rv. 285218; Sez. 6, n. 48834 del 07/11/2022, Sterrantino, Rv. 284076- 01; Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021, A., Rv. 282670- 01; nonchè Sez. 6, n. 51221 del 06/10/2023, Farruggio, non mass. e Sez. 2, n. 38440 del 13/09/2023, Dani, non mass.).

In particolare, valorizza la regola del cumulo delle pene concorrenti, di cui all’art. 76 cod. pen., che al primo comma prevede che, salvo che la legge stabilisca altrimenti, le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell’articolo 73 cod. pen., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico.

Tale disposizione comporta che le pene originariamente previste per le violazioni minori non conservano efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, a prescindere da quella irrogabile per i reati satellite, perché la «nuova unità che si viene a comporre disancora questi ultimi dalle rispettive specifiche sanzioni edittali» (così, Sez. 6, n. 51221 del 06/10/2023, cit.; cfr., Sez. 5, n. 26450 del13/04/2017, Arena, Rv. 270540).

Si aggiunge che al principio del favor rei – già sotteso all’istituto della continuazione nel sostituire il cumulo giuridico al cumulo materiale delle pene – non può attribuirsi una valenza assoluta, in quanto esso va contemperato con le implicazioni della fictio iuris che il legislatore ha introdotto con l’art. 81, secondo comma, cod. pen. per riunire le diverse violazioni delle norme penali, tenendo conto, secondo un’interpretazione sistematica, del tenore letterale delle disposizioni e delle loro rationes (in ossequio all’art. 12, primo comma, preleggi), che espressamente contemplano, in senso favorevole al reo, un doppio limite all’aumento di pena ex art. 81, terzo e quarto comma, cod. pen. (così Sez. 6, n. 51221 del 06/10/2023, cit.).

Per l’applicabilità di un’unica riduzione per il rito abbreviato, calibrata sulla misura di un terzo prevista per il delitto, componente base della continuazione criminosa cui vanno abbinati gli aumenti per i reati satellite, deporrebbero anche i principi affermati dalle Sezioni Unite, secondo i quali l’art. 81 cod. pen. comporta che l’aumento di pena per il reato satellite si debba effettuare secondo il criterio della pena unica progressiva “per moltiplicazione”, rendendone omogenea la pena a quella dello stesso genere, sia pure più grave, del reato base (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751).

L’opzione ermeneutica valorizza a suo sostegno anche Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, Volpe, cit., secondo cui la diminuzione per il rito abbreviato è operazione commisurativa che si colloca a valle delle altre, ivi compresa quella operata ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.

  1. Le Sezioni Unite ritengono che sia preferibile il primo, maggioritario orientamento, in quanto più rispettoso dell’idea ispiratrice della natura “processuale ad effetti sostanziali” della diminuzione di pena prevista, in un’ottica premiale, per il rito abbreviato, nonché della visione “multifocale” del reato continuato, guidata necessariamente dal principio del favor rei nell’individuare la disciplina – ora unitaria ora pluralistica – da applicare nelle diverse ipotesi di interazione tra l’art. 81, secondo comma, cod. pen. ed altri istituti.

6.1. Il carattere cogente, categorico, tassativo e inderogabile della riduzione per la diminuente del rito abbreviato, nella nuova misura stabilita dalla legge per i reati contravvenzionali, è stato esplicitamente e condivisibilmente già affermato da Sez. Un. 7578 del 17/12/2020, Acquistapace, cit., con cui si è evidenziata la natura di disposizione di favore della norma che prevede la diminuente nel rito abbreviato e si è stabilito il principio – di estrema suggestione ermeneutica – della necessaria applicazione della più favorevole riduzione della metà, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia inferiore al minimo edittale.

La cogenza della diminuente, applicata anche a dispetto dei limiti edittali se porta a risultati più favorevoli all’imputato, non può che declinarsi anche rispetto alla questione della misura della sua applicazione al reato continuato “bicromo”, in cui convivano delitti e contravvenzioni.

17 l La visione multifocale, che costituisce la necessaria lente funzionale, attraverso la quale leggere l’istituto del reato continuato, e percepire il suo carattere imprescindibilmente “di favore” per l’imputato, deve essere ribadita: essa muove dalla tendenziale autonomia dei reati che compongono la continuazione criminosa, ispirata dalla necessità di giungere al risultato più favorevole, mentre l’unitarietà va applicata se espressamente prevista o se conduce, eventualmente, al medesimo risultato di maggiore convenienza sanzionatoria per l’imputato.

Il carattere flessibile dell’istituto del reato continuato si configura come un indicatore della sua natura più profonda e riflette il suo doppio volto, unitario o pluralistico, in funzione del favor rei.

L’unitarietà del reato continuato, dunque, non è il fine ma il mezzo; essa si flette e si modella secondo un unico formante: il principio del favor rei che equivale, in concreto, alla scelta della soluzione che consenta di giungere al risultato più favorevole.

Con riferimento alla questione sottoposta al Collegio, a ben vedere, non si ravvisa nell’ordinamento un precetto o un principio che imponga di applicare la diminuente seguendo una logica unitaria, mentre il legislatore prevede la disgiunta e differente misura di essa per delitti e contravvenzioni, che è anche la scelta che garantisce il trattamento sanzionatorio meno afflittivo.

L’opzione minoritaria, non condivisibile, valorizza la parte di Sez. U, Giglia dedicata alla teorizzazione del principio di unicità del reato continuato sotto il profilo sanzionatorio, ma dimentica la complessità della ricostruzione della disciplina del reato continuato che, proprio ed anche sotto il profilo sanzionatorio, le Sezioni Unite hanno svolto in quella stessa sentenza (in cui, peraltro, si sottolinea l’autonomia delle fasi valutative antecedenti al calcolo unitario della pena ex art. 81 cpv. cod. pen., confermata anche dalla lettera del comma 2 dell’art. 533 del codice di rito e dalla procedura bifasica ivi prevista).

In tale pronuncia si riafferma, invero, esplicitamente, che la perdita della autonomia sanzionatoria dei reati satellite nell’ambito del reato continuato non comporta affatto l’irrilevanza della valutazione della gravità di tali reati singolarmente considerati. Lungi dall’adesione ad una logica unitaria del reato continuato che opprime le istanze di autonomia dei reati satellite, le Sezioni Unite enfatizzano, anzi, la valorizzazione di questi ultimi in chiave sanzionatoria, per giungere ad una effettiva “legalità” della pena del reato continuato comunque composto.

Nello stesso solco di pensiero si iscrive il principio sancito da Sez. U, n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282269, che offre un ulteriore tassello fondamentale alla scelta in favore dell’orientamento maggioritario.

18 l In tale pronuncia, le Sezioni Unite fondano condivisibilmente l’obbligo di adeguata motivazione e l’importanza della giustificazione argomentativa per i singoli aumenti collegati ai reati satellite della continuazione criminosa proprio sulla necessità di consentire il controllo di proporzionalità e adeguatezza della misura di tali aumenti, che concorrono a definire il disvalore concreto della fattispecie e contribuiscono alla necessaria individualizzazione della pena, nel rispetto dei principi di eguaglianza e colpevolezza, secondo il dettato costituzionale (cfr., sul tema, Sez. U, n. 33040 del 28/07/2015, Jazouli, Rv. 264207, § 5 del Considerato in diritto).

6.2. Tornando alla questione sottoposta al Collegio ed applicando le linee interpretative sin qui sintetizzate, può affermarsi che, alla valutazione autonoma del disvalore di ciascuno dei reati avvinti dalla continuazione, corrisponde e fa eco la differente misura della riduzione premiale prevista dal legislatore, più significativa per le contravvenzioni piuttosto che per i delitti, coerentemente al giudizio astratto di gravità degli uni e delle altre.

Se si vuoi rispettare pienamente l’autonomia logica delle singole componenti del reato continuato – ma, prima ancora, la scelta valoriale operata dal legislatore con la differenziazione della risposta sanzionatoria per delitti e contravvenzioni, anche sotto il profilo della riduzione automatica premiale abbinata all’opzione del rito abbreviato – la valutazione legislativa di maggior incidenza della diminuente prevista per i reati contravvenzionali dalla disposizione del secondo comma dell’art. 442 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 103 del 2017, non può essere cancellata da un’applicazione della disciplina del reato continuato che travolga i principi generali di scissione della continuazione quando questa determini effetti sfavorevoli per l’imputato.

Tali principi costituiscono, come si è spiegato, patrimonio oramai consolidato della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità.

La Corte costituzionale, in particolare, con la sentenza n. 115 del 1987, cit., ha fornito una chiara lettura “orientata” al favor rei della disciplina del reato continuato, che predica la sua scissione, parziale o totale, ogni qualvolta l’unificazione si risolva a danno dell’imputato.

Le affermazioni del giudice delle leggi sono inequivoche: dopo la riforma del 1974, il problema dell’unità o della pluralità di reati o, meglio, dell’unità reale o fittizia dei reati, non conserva più importanza, atteso che nella realtà esistono più reati antologicamente distinti che vengono unificati ai fini sanzionatori.

Il fatto che, talvolta, i vari reati, uniti dalla continuazione, possano essere dalla legge considerati separabili dipende proprio dalla natura stessa della continuazione che trova la sua giustificazione nella indulgentiae causa.

19 Secondo la Corte costituzionale, ogniqualvolta l’unificazione produca effetti sfavorevoli a danno dell’imputato, è lecito operare la scissione parziale o totale. L’istituto della continuazione, infatti, è «sempre più orientato ad ovviare in ogni modo alle eccessività sanzionatorie derivanti dal concorso materiale di reati, specie nei confronti di un codice noto per il sostenuto rigore delle pene».

Anche le sentenze Corte cost. nn. 324 del 2008 e 361 del 1994 restituiscono un’idea di continuazione criminosa intesa come istituto ispirato necessariamente al principio del favor rei. In particolare, la pronuncia n. 324 del 2008 ha rilevato che la precedente formulazione dell’art. 158 cod. pen. – secondo cui la prescrizione andava calcolata considerando il dies a quo dalla data di cessazione del reato continuato – non costituiva espressione di una regola generale di unitarietà del reato continuato, ma, all’opposto, andava ritenuta una norma speciale, mentre, al contrario, la disciplina di carattere generale è quella che considera autonomamente ciascun reato legato dal vincolo della continuazione.

Tale affermazione rimane valida tuttora, ancorché la disciplina dell’art. 158 cod. pen. sia stata, in proposito, nuovamente modificata – ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. d), l. 9 gennaio 2019, n. 3- e attualmente preveda, così come un tempo (prima della modifica intervenuta con legge 5 dicembre 2005, n. 251), che il termine della prescrizione decorre per il reato continuato dal giorno in cui è cessata la continuazione.

Si conferma, infatti, che, affinché operi il criterio di considerazione unitaria del reato continuato in senso sfavorevole all’imputato, è necessaria un’espressa previsione legislativa.

6.3. A quanto fin qui esposto consegue che, se lo scopo ultimo dell’istituto del reato continuato è la mitigazione del trattamento sanzionatorio da applicarsi in concreto all’imputato (o al condannato), tale mitigazione deve esprimersi anche attraverso l’ordine di misura della riduzione per il rito premiale, diversificata per delitti e contravvenzioni.

La differente misura della diminuente rivela, infatti, una valutazione “a monte” del legislatore in merito al disvalore astratto del reato, per macrotipologie (delitti e contravvenzioni), sia pure nell’ottica – diversa da quella che sovrintende al procedimento commisurativo del giudice basato sui delta edittali – di una riduzione automatica, premiale ed in misura fissa del trattamento sanzionatorio, collegata alla scelta del rito da parte dell’imputato.

Dal momento che la diminuente è disposizione processuale dagli effetti sostanziali, in quanto incidente sul trattamento sanzionatorio in concreto inflitto, la metodologia del calcolo della pena del reato continuato da privilegiare è quella che adegua gli effetti del trattamento sanzionatorio alle indicazioni del legislatore, con le quali, a monte ed in astratto, si è operata una valutazione di ridotta risposta sanzionatoria nei riguardi di chi si renda autore di un reato contravvenzionale e scelga il rito abbreviato.

Si può, pertanto, affermare che, in caso di riconoscimento della continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’applicazione di distinte diminuzioni di pena nell’ipotesi di giudizio abbreviato consente di conservare l’incidenza sulla pena complessiva del disvalore astratto di ciascuna tipologia di reato e, al contempo, di attribuire a tale disvalore valenza concreta nella determinazione del trattamento sanzionatorio.

6.4. L’adesione ad una logica di scissione della continuazione, al fine di consentire il calcolo separato della riduzione premiale da operare per delitti e contravvenzioni, in coerenza con il dettato normativa di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., bene si armonizza con le indicazioni offerte da Sez. U, Giglia anche in relazione alle modalità del computo dell’aumento per la continuazione tra reati puniti con pene di genere e specie diversi. I criteri guida ed il catalogo esemplificativo già richiamati sono ben noti (cfr. § 6.1. e 6.2. del Considerato in diritto di Sez. U, Giglia, cit.) e possono essere agevolmente applicati nel caso oggetto della presente decisione, tenendo conto che il delitto è sempre più grave della contravvenzione, per le conseguenze più gravi che l’ordinamento riconnette alla sua commissione (così Sez. U, Cardarilli, cit. e Sez. U, Varnelli cit., secondo cui il giudizio di maggior gravità discende direttamente dalle scelte del legislatore).

Pertanto, la pena base del reato continuato composto da delitti e contravvenzioni è sempre costituita da quella del delitto più grave.

In caso di giudizio abbreviato, la riduzione distinta per le contravvenzioni ed i delitti va applicata dopo aver proceduto ad individuare la pena base e gli aumenti per ciascuno dei reati satellite in continuazione (delitti e contravvenzioni o solo contravvenzioni), secondo le indicazioni fornite da Sez. U, Giglia, cit.

All’esito di tali operazioni, per giungere alla pena finale, si devono sommare i risultati così ottenuti. Pertanto, nel caso in cui – come nella fattispecie all’esame del Collegio – il delitto base sia punito con pena congiunta e la contravvenzione satellite con la sola pena detentiva, si deve anzitutto determinare la pena base in concreto secondo le ordinarie regole.

Quindi, si procederà a individuare la pena del reato satellite a titolo di aumento per la continuazione; successivamente, tale aumento e la sanzione del delitto base saranno ridotti per il rito: il primo della metà e la seconda di un terzo; infine, all’esito di tale calcolo, le pene così ottenute dovranno essere sommate per dar luogo alla sanzione finale.

Vi è da notare come il procedimento descritto sia analogo – da un punto di vista strettamente metodologico – a quello utilizzato nella citata sentenza Sez. U, per determinare la pena del reato continuato (tramite ragguaglio della pena detentiva in pena pecuniaria, operato successivamente alla determinazione dell’aumento).

Nel rapporto tra reato continuato e diminuente per il rito abbreviato, il reato satellite, in definitiva, abdica alla sua autonomia, ma lo fa all’esito del calcolo della pena e della riduzione premiale nella misura prevista dal legislatore, che la individua con carattere di inderogabilità sia nell’an che nel quantum («la pena che il giudice determina è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto»).

6.5. Alla luce dell’analisi condotta al paragrafo precedente, perde vigore anche l’obiezione dell’orientamento minoritario, secondo cui il calcolo unitario di un terzo per la misura della diminuente si atteggerebbe come l’unico rispettoso del principio dettato dalle Sezioni Unite nella sentenza Volpe del 2007, cit., che colloca in coda ad ogni altra operazione di calcolo sanzionatorio, e dunque anche alla determinazione della pena per il reato continuato, la riduzione dovuta per il rito abbreviato.

L’orientamento minoritario non tiene conto, invero, di tre considerazioni dotate di significativo rilievo: a) la soluzione di Sez. U, Volpe era imposta dalla necessità di scongiurare il paradosso di vanificare lo stesso effetto premiale dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. nel caso peculiare in esame e con l’obiettivo di evitare la sterilizzazione del criterio derogatorio di cui all’art. 73, secondo comma, cod. pen. (l’applicazione sostitutiva dell’ergastolo, quale criterio moderatore del cumulo materiale).

In tale ottica, ed ispirate dalla finalità di ottenere l’effetto più aderente alla disciplina “di favore” doppiamente prevista dal legislatore nel reato continuato e nel rito abbreviato, le Sezioni Unite hanno stabilito che la riduzione deve applicarsi dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 ss. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta; b) all’epoca della decisione delle Sezioni Unite Volpe, l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. non distingueva tra diverse entità di riduzioni premiali per delitti e contravvenzioni, poiché tale previsione è stata introdotta solo nel 2017 dal legislatore: con tale scelta le Sezioni Unite, in quella sentenza, non hanno potuto certo confrontarsi e, dunque, da essa non può desumersi alcun ostacolo a ragionare diversamente con riguardo alla questione controversa sottoposta oggi al Collegio.

Sotto tale secondo profilo, è la ratio più profonda di Sez. U, Volpe ad armonizzarsi con la tesi che ritiene applicabile la diminuente in maniera tale da ottenere l’effetto più favorevole per l’imputato e, al contempo, più coerente con la previsione di legge; c) anche l’opzione che promuove il calcolo distinto della diminuente per delitti e contravvenzioni prevede un momento sanzionatorio “unificante” della continuazione, costituito dall’operazione di addizione finale delle pene del delitto base e della contravvenzione satellite, distintamente ridotte per il rito.

Tale procedimento di determinazione sanzionatoria, più che smentire l’assunto secondo cui la diminuente debba essere applicata per ultima, anche dopo la continuazione, ne costituisce una precisazione in un’ipotesi che, oggi, è imposta dalla nuova formulazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.

Il principio di Sez. U, Volpe rimane, dunque, valido e si adatta al reato continuato “bicromo”, composto, cioè, da delitti e contravvenzioni, in relazione al quale le diminuenti per i singoli elementi che lo costituiscono devono rispettare il criterio legale cogente e distinto dettato dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.: la metà della pena in concreto determinata, per le contravvenzioni, ed un terzo della pena in concreto determinata, per i delitti.

6.6. Ulteriori ragioni, di ordine sistematico impongono di scegliere, tra le diverse opzioni disponibili, quella qui accolta.

Una prima considerazione attiene ad una valutazione di coerenza logica generale: se i due istituti – quello della continuazione e quello della diminuente per il rito – sono entrambi di favore per l’imputato, la loro interrelazione non può produrre come effetto quello di sterilizzare la disposizione normativa più favorevole prevista per le contravvenzioni (vale a dire la riduzione della metà della sanzione determinata).

A ritenere altrimenti, ragioni legate a dinamiche procedi mentali varie e casuali (ad esempio, scelte soggettive dell’imputato o la decisione di procedere con processi separati o riuniti da parte dell’autorità giudiziaria) influenzerebbero la concreta applicabilità della diversa misura della diminuente prevista dal legislatore nel rito abbreviato relativo al reato continuato e condurrebbero a conseguenze di parziale abrogazione di una norma processuale ad effetti sostanziali favorevoli all’imputato (la nuova disposizione sulla diminuente per le contravvenzioni, infatti, non si applicherebbe mai in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni).

Inoltre, la soluzione proposta dai fautori dell’orientamento minoritario confligge con la natura e la funzione dell’istituto della continuazione per come sin qui delineata, che punta alla massima espansione del principio del favor rei.

  1. Sulla base delle considerazioni sinora svolte, deve affermarsi il seguente principio di diritto: «Nel caso di delitti e contravvenzioni posti in continuazione e oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione per il rito ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come nove/lato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, va operata, sulla pena inflitta per i delitti, nella misura di un terzo e, sulla pena applicata per le contravvenzioni, nella misura della metà».
  2. All’esito della risoluzione della questione di diritto sottoposta al Collegio, occorre esaminare un tema connesso e conseguenziale, vale a dire se la pena erroneamente determinata in violazione dell’esatta lettura della disposizione ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., oggi affermata dalle Sezioni Unite, configuri un’ipotesi di pena illegale o di pena (solo) illegittima.

Si tratta di una questione che rientra direttamente nell’esame del quesito sottoposto alle Sezioni Unite. Gli effetti che derivano dalla scelta tra l’una e l’altra opzione condizionano, infatti, la possibilità di rilevare anche d’ufficio, da parte della Corte di cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, la violazione di legge non dedotta e la possibilità di incidere sul giudicato relativo al trattamento sanzionatorio, secondo le indicazioni della giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite (richiamata infra al§ 8.1.).

L’analisi delle sentenze espressive dell’orientamento maggioritario, cui si è inteso dare continuità, dimostra come il rischio di possibili equivoci sul tema esista concretamente e vada superato, ai fini di un compiuto esercizio della funzione nomofilattica da parte del Collegio.

Ed infatti, tra le pronunce ascritte all’opzione secondo cui la diminuente per il rito abbreviato, nel caso di reato continuato tra delitto e contravvenzione, va calcolata in modo distinto, alcune hanno evocato esplicitamente la categoria della pena illegale in caso di sanzione erroneamente determinata con riduzione unitaria di un terzo calibrata sul delitto (cfr. Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772 e Sez. l, n. 1438 del 6/10/2020, dep. 2021, Burasca, non mass.; tra quelle massimate, Sez. l, n. 39087 del 25/05/2019, Mersini, Rv. 276869).

8.1. Il tema dell’illegalità o meno della pena determinata attraverso un’applicazione della diminuente non corrispondente alla misura indicata dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla novella del 2017, è stato già affrontato dalle Sezioni Unite. In particolare, Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022, Savini, Rv. 283818 è giunta a condivisibili approdi, suscettibili di applicazione anche nell’ipotesi oggi all’esame del Collegio, ancorché resi in generale, in relazione alla mancata applicazione della riduzione normativamente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. in caso di contravvenzione.

24 Le Sezioni Unite, nella citata pronuncia, hanno affermato che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena illegittima e non già di pena illegale, con conseguente preclusione alla deduzione, mediante ricorso in cassazione, della questione non precedentemente prospettata con i motivi d’appello.

Ed è appena il caso di aggiungere che la mera illegittimità della pena – nel caso di specie per erronea determinazione della misura della diminuente – non è deducibile dinanzi al giudice dell’esecuzione nei riguardi di sentenze passate in giudicato.

La motivazione della sentenza Savini ha posto a sostegno della propria conclusione una completa ricognizione del tema della pena illegale, basata sulla giurisprudenza anzitutto delle Sezioni Unite, seguendone l’evoluzione che ne ha via via affinato la casistica, ed ha ricostruito gli approdi ermeneutici relativi al rapporto tra inammissibilità del ricorso, giudicato sostanziale ed illegalità della pena, che devono essere qui richiamati e ribaditi.

La linea interpretativa che può tracciarsi, e che il Collegio intende riaffermare, fissa il perimetro della nozione di pena illegale, compendiandolo nell’affermazione secondo cui la pena può dirsi illegale ab origine quando, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi – qualitativamente (genere e specie) o quantitativamente (minimo e massimo edittali) – al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal legislatore, oppure quando è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o individuata in violazione del principio di irretroattività della legge   penale   più   sfavorevole

(cfr., oltre alla citata sentenza Sez. U Savini: Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886; Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689; Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111; Sez. U, n. 33040 del 28/07/2015, Jazouli, Rv. 264207; Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264857; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260698; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258649; vedi anche, Sez. U, n. 5352 del 28/9/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851).

Ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere configura, invece, un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo ad una pena illegittima, perché determinata sulla base della errata applicazione della legge o perché non giustificata secondo il modello argomentativo normativamente previsto (per un focus sulla casistica, si rimanda a Sez. U, Savini, § 9, in fine, e 10-11 del Considerato in diritto).

Solo la pena che non sia prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, sovverte le valutazioni valoriali riservate al legislatore e travolge il caposaldo della prevedibilità della sanzione, presupposto essenziale di una responsabilità penale che voglia farsi rispettosa del principio di colpevolezza e corrispondere all’art. 7 CEDU, secondo la lettura che di esso propone la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU, 22 gennaio 2013, Camilleri c. Malta; Corte EDU, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna; Corte EDU, GC, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro).

Se dunque questo è il perimetro di configurabilità della pena illegale, non risulta tale la pena che sia frutto di una determinazione erronea della diminuente ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., sempre che detta pena rimanga all’interno dei limiti edittali previsti per la fattispecie di reato.

L’erronea determinazione della diminuente – che non attiene al procedimento commisurativo della pena fondato sui limiti edittali – non genera conseguenze di illegalità tout court, ma solo se eccede i limiti qualitativi e quantitativi previsti dall’editto sanzionatorio, secondo le indicazioni già fornite dalle Sezioni Unite in passato.

Le conclusioni cui giunge la sentenza Sez. U, Savini conservano valore anche nel caso in cui, applicando la diminuente per il rito abbreviato all’ambito del reato continuato, il giudice abbia calcolato, per una o più contravvenzioni “satellite”, la riduzione nella misura di un terzo anziché della metà, sul presupposto dell’unitarietà del fenomeno della continuazione quoad poenam.

Anche in questa ipotesi, per le medesime ragioni sistematiche, non ci si trova dinanzi ad una pena illegale, ma solo illegittima, se sono esatti genere, specie e quantità della sanzione e la sua misura quantitativa è ricompresa nei limiti edittali stabiliti dalla disposizione incriminatrice.

8.2. Deve, quindi, essere affermato l’ulteriore principio di diritto: “In tema di giudizio abbreviato, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’erronea determinazione unitaria, nella misura di un terzo, della diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., piuttosto che in maniera distinta con riduzione della metà per le contravvenzioni, integra un ‘ipotesi di pena illegittima e non di pena illegale, sempre che la sanzione inflitta rientri nei limiti edittali”.

  1. Alla luce di quanto sin qui argomentato, il ricorso è fondato.

Nella fattispecie in esame, pacificamente la diminuente per il rito abbreviato è stata applicata nella misura di un terzo sulla pena complessiva del reato continuato, in adesione all’orientamento non condiviso dalle Sezioni Unite.

I reati sono stati commessi nella vigenza della nuova formulazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. ed il ricorso ha dedotto la questione dell’illegittimità della pena, con motivo già formulato in appello e non preso in considerazione esplicitamente dal giudice di secondo grado, che, in via implicita, ha mostrato di respingere la tesi difensiva, aderendo all’orientamento minoritario della giurisprudenza di questa Corte, come del resto già fatto dal primo giudice.

La fattispecie in esame rientra nel catalogo delle forme di manifestazione della continuazione tra delitti e contravvenzioni proposto dalla sentenza Sez. U, Giglia; precisamente, nell’ipotesi – individuata alla lett. e) – in cui il reato più grave (vale a dire, nel caso di specie, il delitto di tentato furto aggravato) è punito con pena congiunta (reclusione e multa) e il reato satellite (la contravvenzione ex art. 707 cod. pen.) è punito con pena detentiva (arresto).

Il giudice di primo grado, nell’operare l’aumento per la continuazione, ha errato l’entità della diminuente, disposta nella misura complessiva di un terzo, piuttosto che in maniera distinta e nelle diverse entità stabilite dalla legge per il delitto e la contravvenzione.

Si impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio.

L’annullamento è senza rinvio, poichè alla sua rideterminazione può procedere la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. !), cod. proc. pen. essendo stati esplicitati dal giudice di merito i passaggi intermedi che hanno condotto al calcolo finale (cfr. Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831).

Alla pena base del delitto, fissata in quattro mesi di reclusione e 200 euro di multa, va applicata la riduzione di un terzo prevista per i delitti dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.

Alla conseguente pena di mesi due e giorni venti di reclusione e 133 euro di multa va aggiunto l’aumento per il reato contravvenzionale satellite (art. 707 cod. pen.) pari a mesi due di reclusione e 100 euro di multa, da ridurre della metà (mesi uno di reclusione e 50 euro di multa), considerata la diminuente nella misura automatica e cogente, prevista per le contravvenzioni dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. Si perviene, così, ad una pena finale complessiva di mesi tre e giorni venti di reclusione e 183,00 euro di multa.

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