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Home Diritto Penale

*Misure di prevenzione – Confisca – pericolosità sociale comune e accertamento delle condotte delittuose produttive di utilità economiche

by dott. Jacopo Lucchiari
18 Settembre 2025
in Diritto Penale
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Cassazione penale, sez. VI, sentenza 11 settembre 2025, n. 30552

PRINCIPIO DI DIRITTO

Una confisca che si distingue anche dalle ipotesi di c.d. confisca senza condanna, pure

disciplinate dal diritto dell’Unione, che si riferiscono essenzialmente alle ipotesi in cui, essendo stato avviato un procedimento penale nei confronti di un soggetto, il processo non possa concludersi in ragione della morte, della malattia o della fuga dell’imputato, ma, nondimeno, i fatti sui quali la confisca si basa risultano accertati.

Il procedimento di prevenzione è autonomo ma non insensibile all’accertamento

penale ed ai suoi esiti e tuttavia, tanto più il procedimento penale si conclude con un esito assolutorio o con una valutazione di inconsistenza dei fatti e della loro attribuibilità soggettiva al proposto (che può sfociare anche in un provvedimento di archiviazione o in una sentenza dichiarativa della prescrizione che, tuttavia, non accerti alcunchè), quanto più il giudice della prevenzione è tenuto a provare tutto e ad accertare in modo più rigoroso i presupposti di legittimità della confisca.

Nel sistema della prevenzione, si è osservato in dottrina, l’avvio di un procedimento

penale nei confronti del titolare del bene è un dato quasi accessorio, nel senso che la possibilità che nei riguardi del soggetto proposto si stiano svolgendo indagini o un processo penale, costituisce un fatto possibile o probabile, ma non necessario e neppure decisivo rispetto al procedimento parallelo che conduce alla confisca, che ha proprie regole di giudizio, propri moduli accertativi, coinvolge giudici diversi e può essere impermiabile alle sorti di quello penale, ben potendo, come detto, la confisca di prevenzione essere disposta anche in caso di demolizione e di inconsistenza dalle accuse penali eventualmente formulate nei confronti del titolare dei beni.

E tuttavia, è stato evidenziato, il procedimento di prevenzione si distingue da quello

penale non tanto per l’oggetto della prova quanto, piuttosto, per il modo con cui si accerta, per come, cioè, si deve provare.

Tanto il procedimento penale quanto quello di prevenzione hanno infatti ad oggetto

sostanzialmente la prova di una pregressa attività criminosa del soggetto; solo nel processo di prevenzione, tuttavia, l’oggetto della prova è più generico, più lato, dovendo essere provata solo una attività criminosa compiuta nel passato della quale non è tuttavia necessario avere specifici riferimenti temporali e spaziali.

Ciò è consentito in ragione della natura giuridica della confisca di prevenzione, ma ciò

deve essere compensato da un valutazione accertativa che è tanto maggiore quanto più l’esito del procedimento penale è favorevole al proposto.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso proposto da Di.Ma. è fondato.
  2. I Giudici di merito hanno ravvisato la pericolosità sociale del ricorrente ritenendo che lo stesso rientri nella categoria di soggetti di cui all’art.1, lett. b), D.Lgs. n. 159 del 2011; Di.Ma. sarebbe un soggetto, che, per la condotta ed il tenore di vita, vivrebbe abitualmente dal 2005 al 2019, anche in parte, con proventi di attività delittuose.

Sul tema è utile richiamare la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 24 del 2019

ha spiegato cosa debba essere accertato e come debbano essere intese le fattispecie di pericolosità generica-disciplinate dall’art. 1, numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956 e -oggi -dall’art. 1, lettere a) e b), del D.Lgs. n. 159 del 2011.

Ha spiegato la Corte che l’aggettivo delittuoso, che compare sia nella lettera a) che

nella lettera b) della disposizione, deve essere interpretato nel senso che l’attività del proposto debba caratterizzarsi in termini di delitto; e non di un qualsiasi illecito (cfr., Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018; Sez. 2, n. 16348 del 23/03/2012), dovendosi escludere che; il mero status di evasore fiscale; sia sufficiente a fondare la misura, ben potendo;evasione tributaria consistere anche in meri illeciti amministrativi (Sez. 5, n. 6067 del 6/12/2017, n. 6067; Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017).

Ha chiarito la Corte costituzionale, inoltre, che l’avverbio; abitualmente, che pure

compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, deve essere letto nel senso di richiedere una realizzazione di attività delittuose… non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto, in modo che si possa attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate, talora richiedendosi che esse connotino in modo significativo lo stile di vita del soggetto, che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi.

Ha aggiunto la Corte che il riferimento ai proventi di attività delittuose, di cui alla

lettera b) della disposizione censurata, è interpretato nel senso di richiedere la realizzazione di attività delittuose che… siano produttive di reddito illecito e dalle quali sia scaturita un’effettiva derivazione di profitti illeciti.

Quanto alle modalità di accertamento di detti requisiti di fattispecie, la Corte con la

sentenza in esame ha precisato come sia consolidata affermazione secondo cui, se è vero che il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione -anche in assenza di procedimento penale correlato -in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione, è altrettanto vero tuttavia che:

  1. a) non sono sufficienti meri indizi, perché la locuzione utilizzata va considerata

volutamente diversa e più rigorosa di quella utilizzata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011 per l’individuazione delle categorie di cosiddetta pericolosità qualificata, dove si parla di indiziati;

  1. b) l’esistenza di una sentenza di proscioglimento nel merito per un determinato fatto

impedisce, alla luce anche del disposto dell’art. 28, comma 1, lett. b), che esso possa essere assunto a fondamento della misura, salvo alcune ipotesi eccezionali;

  1. c) occorre un pregresso accertamento in sede penale, che può discendere da una

sentenza di condanna oppure da una sentenza di proscioglimento per prescrizione, amnistia o indulto che, tuttavia, contenga in motivazione un accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte di quel soggetto.

In senso conforme ed esplicativo si pone la successiva giurisprudenza della Corte di

cassazione, che, in più occasioni, ha affermato, in modo condivisibile, che il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione tuttavia che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive.

Nondimeno si chiarisce, detto giudice non può basare il suo accertamento su meri

sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti storicamente apprezzabili, l’efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità cd. generica, con la conseguenza che la riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata, ad esempio, su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali.

In particolare, ciò che deve essere accertato è che siano delineati con sufficiente

chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti -nel merito o per preclusioni processuali -per una condanna penale, ben possono tuttavia essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, Ruffini, Rv. 284485; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862; Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Cavassa, Rv. 280027).

  1. I Giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di detti principi.

Sotto un primo profilo, quanto ai fatti per i quali il processo penale stato definito, il

Tribunale e la Corte di appello si sono limitati a indicare il titolo di reato, il suo astratto carattere lucro genetico e lo stato o la conclusione del procedimento penale.

Si è fatto riferimento al reato di insolvenza fraudolenta relativo fatti commessi nel

2005 e, successivamente, tra il 23 agosto 2008 e l’11 ottobre del 201l.

L’oggetto di tali reati riguarderebbe il mancato pagamento di pedaggi autostradali: il

primo di questi fatti risalirebbe, come detto, al 2005 ei proprio in relazione èl detto fatto, si è fissato il dies a quo in ordine alla manifestazione della pericolosità sociale del proposto.

Nulla è tuttavia dato sapere sull’ammontare del mancato pagamento del pedaggio

autostradale nel 2005 e su quanti sarebbero i fatti commessi nel 2005; né è stato spiegato perché il fatto del 2005 sarebbe da collocare in continuità con quelli analoghi successivamente commessi.

Si tratta di un accertamento obiettivamente rilevante che attiene non solo al giudizio di

pericolosità sociale, ma, soprattutto, alla perimetrazione temporale della stessa, il cui inizio, in assenza di dati significativi, dovrebbe in realtà essere fatta decorrere da un momento successivo.

Il successivo fatto illecito preso in considerazione dai Giudici di merito è costituito da

una ricettazione, commessa nel marzo 2007, certamente produttiva di profitto economico, ma sulla quale nulla è stato spiegato, nemmeno in relazione all’oggetto materiale del reato, alla sua consistenza economica.

Si è poi fatto riferimento alle contravvenzioni in tema di ispettorato del lavoro, ex art.

4 L. 22 luglio 1961, n. 628(fatti del 2008 e del 2010), che, tuttavia, non assumono diretto rilievo.

Comporta invece, seppur in astratto, un risparmio di spesa, e, quindi, un potenziale

reinvestimento nell’acquisizione di beni, l’omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali commesso nel dicembre 2009, ma anche in questo caso, tuttavia, non si rinviene nessun dato sulla portata economica del mancato esborso.

Indubbio rilievo può senza dubbio assumere il riferimento, contenuto nel decreto di

primo grado, all’attività di evasione fiscale riconducibile alla società cooperativa MD trasporti, di cui il Di.Ma. era amministratore, e che sarebbe ammontata tra il 2008 e il 2010 a quasi 4.000.000 di euro; un’attività che si sarebbe accompagnata alla emissione di fatture peroperazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro.

Si tratta di reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in primo

grado, con sentenza del Tribunale di Foggia del 9.7.202l.

Sul tema il Tribunale ha spiegato come nella sentenza penale sia espressamente

affermato, per escludere il proscioglimento nel merito ai sensi dell'art.129, comma 2, cod. proc. peno che le risultanze probatorie "non destituiscono di fondamento l’ipotesi

accusatoria.

Si tratta tuttavia di un’affermazione a cui deve essere riconosciuta una inesistente

capacità dimostrativa al fine della formulazione del giudizio di pericolosità sociale e della sua perimetrazione temporale in tema di misure di prevenzione.

Si è fatto poi riferimento ad un reato di truffa commesso il 5.3.2014 da cui l’imputato

sarebbe stato assolto, mancando elementi certi del suo coinvolgimento.

Considerazioni analoghe devono essere compiute anche in relazione agli altri

procedimenti pendenti e, in particolare; per il procedimento n. 15367/2012 nel quale il proposto è stato condannato in primo grado per il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. peno e poi prosciolto in appello per intervenuta prescrizione del reato.

Sul tema vi è un breve riferimento nel decreto del Tribunale da cui si apprende che il

proposto sarebbe stato condannato per aver preso parte ad una complessa ed articolata attività non autorizzata di gestione di rifiuti non pericolosi in quanto la sua società, che si occupava del trasporto di detti rifiuti, insieme ad altri, non era iscritta nell’Albo nazionale gestori ambientali.

Il profitto sarebbe stato costituito dalla mancata attivazione delle procedure di gestione

prescritte dalla legge e la confisca avrebbe avuto ad oggetto i mezzi di trasporto strumentali.

Dunque, pare di comprendere, un profitto molto limitato e una confisca avente ad

oggetto solo i mezzi strumentali.

Nulla di più è dato sapere.

Si è infine fatto riferimento ad un ulteriore procedimento penale del 2012 nell’ambito del quale il proposto sarebbe stato raggiunto da una ordinanza custodiale per aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine e furti; al proposto sarebbe stato contestato nell’occasione anche il riciclaggio di un mezzo pensante e il Tribunale ha spiegato che il titolo cautelare sarebbe stato annullato per difetto di esigenze cautelari.

Anche in questo caso nulla di più è stato spiegato, in ordine a ciò che è stato in

concreto contestato, alla sua perimetrazione temporale, ai fatti concreti posti a fondamento delle imputazioni provvisorie, ai comportamenti soggettivi.

In tale contesto, la Corte di appello ha spiegato come la mancata adozione della

misura di prevenzione personale nell’ambito del precedente procedimento di prevenzione, di cui si è detto -conclusosi con la rinuncia alla impugnazione da parte del Pubblico ministero dopo che il Tribunale aveva rigettato la domanda e dopo che la decisione della Corte di appello di riformare il decreto di rigetto e di disporre la misura di prevenzione personale era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione -fu causata non per difetto del requisito costitutivo della pericolosità sociale, ma per assenza di attualità della pericolosità sociale, esaurendosi i fatti al 2013.

È utile sul punto fare riferimento alla sentenza n. 2040 del 11/12/2019, allegata al

ricorso, con cui la Corte di cassazione annullò il decreto della Corte di appello che, in riforma di quello del Tribunale, aveva disposto la misura di prevenzione personale; nell’occasione la Corte di cassazione, pur polarizzando il suo ragionamento sul requisito dell’attualità della pericolosità sociale, evidenziò nondimeno come: a) il ragionamento della Corte di appello fosse stato privo di adeguata base fattuale, b) non fosse nemmeno possibile individuare a quale categoria di soggetti socialmente pericolosi dovesse essere ricondotto il ricorrente.

  1. Si tratta di un impianto ricostruttivo violativo della legge. È necessario perseguire in

questa materia anfibia un punto di equilibrio tra legalità sostanziale e processuale.

Il procedimento di prevenzione si caratterizza, da una parte, per il diverso e inferiore

standard probatorio necessario e sufficiente per disporre la confisca, attesa la natura giudica di questa e la sua non riconducibilità -secondo l’orientamento, allo stato, del tutto consolidato -alla materia penale e alla nozione di pena, e, dall’altra, per uno statuto processuale obiettivamente debole, in cui l’alleggerimento degli oneri probatori del pubblico ministero si accompagna ad un più basso livello di garanzie fondamentali inerenti al diritto di difesa e ad un sindacato da parte della Corte di cassazione limitato alla sola violazione di legge.

Ciò rende necessaria, come ha spiegato la Corte costituzionale e al fine di scongiurare

il rischio di un’ablazione sganciata da criteri di adeguatezza e proporzionalità e di dubbia compatibilità con i principi costituzionali, una valutazione rigorosa e di garanzia della consistenza degli indizi, della loro connotazione strutturale, della loro capacità dimostrativa del fatto da provare e, soprattutto, della pericolosità sociale.

Una valutazione della piattaforma indiziaria che si faccia carico, quasi in funzione

compensativa della struttura del procedimento e degli alleggerimenti probatori per il pubblico ministero, della necessità di spiegare in modo puntuale le ragioni per cui si ritengono sussistenti i requisiti di legittimità della pericolosità sociale e, quindi, della ablazione.

 Detta esigenza si impone soprattutto quando, come si dirà, il procedimento penale a

carico del proposto non si concluda con una sentenza di condanna ovvero, comunque, con un accertamento dei fatti poi posti a fondamento della proposta di applicazione della misura di prevenzione.

La legalità delle misure di prevenzione "passa" dalla necessità che i fatti e i

presupposti legittimanti il provvedimento ablatorio siano accertati lasciando alle spalle e abbandonando impalpabili sospetti, pseudo elementi indiziari, denunce non seguite da accertamenti investigativi, segnalazioni di polizia rimaste mute, dichiarazioni instabili di collaboratori di giustizia, rivoli inconsistenti di motivazioni di informative di polizia giudiziaria, elementi assunti in palese violazione di regole probatorie discendenti da principi costituzionali.

Una motivazione, quella del giudice della prevenzione, non solo non apparente e non

assertiva, ma che, invece, deve esplicitare in concreto perché l’ablazione non è adottata in violazione di legge e che dia conto della conformità delle conclusione cui si giunge rispetto al contenuto degli atti e delle argomentazioni difensive.

Un rigore che si giustifica, come detto, oltre che per le caratteristiche strutturali di tale

tipo di ablazione, per la esigenza primaria che essa si mantenga in linea con i principi della

Costituzione -con i diritti di cui agli artt. 41-42 Cost.-e si riveli rispettosa del principio

di proporzionalità: una confisca che, da una parte, come quella che si dispone all’esito del processo penale, ha tra i suoi presupposti la commissione di reati da parte del soggetto che ne è colpito, ma che, dall’altra, è disposta al di fuori dell’accertamento penale di detti reati e delle regole del processo e non richiede una sentenza di condanna.

Una via parallela alla regiudicanda penale che porta, con moduli accertativi meno

garantiti, allo stesso risultato.

Ciò impone rigore argomentativo.

Una confisca che si distingue anche dalle ipotesi di c.d. confisca senza condanna, pure disciplinate dal diritto dell’Unione, che si riferiscono essenzialmente alle ipotesi in cui, essendo stato avviato un procedimento penale nei confronti di un soggetto, il processo non possa concludersi in ragione della morte, della malattia o della fuga dell’imputato, ma, nondimeno, i fatti sui quali la confisca si basa risultano accertati.

Il procedimento di prevenzione è autonomo ma non insensibile all’accertamento

penale ed ai suoi esiti e tuttavia, tanto più il procedimento penale si conclude con un esito assolutorio o con una valutazione di inconsistenza dei fatti e della loro attribuibilità soggettiva al proposto (che può sfociare anche in un provvedimento di archiviazione o in una sentenza dichiarativa della prescrizione che, tuttavia, non accerti alcunchè), quanto più il giudice della prevenzione è tenuto a provare tutto e ad accertare in modo più rigoroso i presupposti di legittimità della confisca.

Nel sistema della prevenzione, si è osservato in dottrina, l’avvio di un procedimento

penale nei confronti del titolare del bene è un dato quasi accessorio, nel senso che la possibilità che nei riguardi del soggetto proposto si stiano svolgendo indagini o un processo penale, costituisce un fatto possibile o probabile, ma non necessario e neppure decisivo rispetto al procedimento parallelo che conduce alla confisca, che ha proprie regole di giudizio, propri moduli accertativi, coinvolge giudici diversi e può essere impermiabile alle sorti di quello penale, ben potendo, come detto, la confisca di prevenzione essere disposta anche in caso di demolizione e di inconsistenza dalle accuse penali eventualmente formulate nei confronti del titolare dei beni.

E tuttavia, è stato evidenziato, il procedimento di prevenzione si distingue da quello

penale non tanto per l’oggetto della prova quanto, piuttosto, per il modo con cui si accerta, per come, cioè, si deve provare.

Tanto il procedimento penale quanto quello di prevenzione hanno infatti ad oggetto

sostanzialmente la prova di una pregressa attività criminosa del soggetto; solo nel processo di prevenzione, tuttavia, l’oggetto della prova è più generico, più lato, dovendo essere provata solo una attività criminosa compiuta nel passato della quale non è tuttavia necessario avere specifici riferimenti temporali e spaziali.

Ciò è consentito in ragione della natura giuridica della confisca di prevenzione, ma ciò

deve essere compensato da un valutazione accertativa che è tanto maggiore quanto più l’esito del procedimento penale è favorevole al proposto.

In tale contesto, la motivazione dei Giudici di merito è mancante: da una parte,

nulla è stato spiegato sul piano dell’accertamento delle condotte, ma, dall’altra, si sono utilizzati provvedimenti non di condanna per cucire fatti molteplici e diversi tra loro, per allineare sul piano temporale un severo giudizio di pericolosità sociale onnicomprensivo e totalizzante, per dare per accertato ciò che invece doveva essere accertato.

Un provvedimento, quello impugnato, che, in assenza di un accertamento dei fatti per

cui si procede nell’ambito del procedimento penale, avrebbe dovuto spiegare tutto e che, invece, si è limitato a richiamare genericamente il contenuto astratto di provvedimenti senza spiegare alcunchè in relazione, come chiarito dalla Corte costituzionale, alla oggettiva sussistenza del fatto e alla sua commissione da parte del proposto.

La Corte di cassazione non è affatto in grado di escludere che in atti vi siano elementi

per formulare un giudizio di pericolosità sociale nei riguardi del proposto e questo giustifica il rinvio per nuovo giudizio; la Corte di appello di Bari, applicherà i principi indicati e verificherà se e in che termini sia possibile formulare un giudizio di pericolosità sociale nei riguardi del proposto e, posto che ciò sia possibile, perimetrerà con rigore sul piano temporale detta pericolosità con conseguente verifica della relazione di detta pericolosità con l’acquisto dei singoli beni oggetto di confisca.

  1. Quanto ai ricorrenti terzi interessati, sono inammissibili i primi due motivi si tratta

di motivi che presuppongono la possibilità per il terzo di dedurre sui presupposti genetici della misura di prevenzione.

Il 27 marzo 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla

questione del se il terzo intestatario di un bene possa limitarsi a rivendicare l’effettiva titolarità e proprietà dei beni confiscati o se sia legittimato a contestare anche i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità del proposto, la sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, hanno enunciato il seguente principio di diritto: in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati.

A tale fine può dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum.

Il terzo motivo, relativo alla analisi di specifiche questioni riguardanti la riferibilità al ricorrente di cespiti patrimoniali intestati a terzi, è, allo stato, assorbito in quanto il suo esame presuppone l’accertamento della pericolosità sociale e della sua perimetrazione temporale e, dunque, l’esito della valutazione che la Corte di appello, in sede di rinvio, è chiamata a compiere su tali temi a seguito dell’accoglimento del ricorso del proposto.

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