Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 09 giugno 2025, n. 21566
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il delitto di sequestro di persona è assorbito in quello di violenza sessuale, quando la privazione della libertà persona della vittima si protrae per il tempo strettamente necessario a commettere l’abuso sessuale, come avvenuto nel caso di specie, stante la sostanziale concomitanza tra sequestro ed abuso sessuale posti in essere dall’imputato ovvero la contestuale cessazione delle suddette condotte.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è parzialmente fondato.
Preliminarmente si osserva che il ricorrente non si confronta appieno, quanto al rapporto tra il reato di rapina e quello di violenza sessuale, con gli argomenti sul punto sviluppati in sentenza, sebbene sia noto che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Al riguardo, i giudici hanno congruamente evidenziato la distinta e autonoma condotta predatoria, connotata da una momento differenziato rispetto all’originaria intimazione, rivolta alla vittima, a seguire gli aggressori (cfr. inizio di pagina 5) come anche rispetto agli eventi successivi all’impossessamento dei beni della persona offesa, nonché peculiare e speciale rispetto agli altri reati (605 e 609 bis c.p.) siccome caratterizzato dalla appropriazione, conseguente a violenza e intimidazioni, di indumenti della vittima, quale evento che la corte di appello ha sottolineato correttamente che “caratterizza la rapina stessa rispetto agli altri reati commessi” e si accompagna al dato, pure al riguardo perspicuamente sottolineato, per cui la privazione di libertà si venne a protrarre anche dopo l’impossessamento delle res “e senza necessità ai fini della consumazione della rapina”.
Si tratta di una ricostruzione rispetto alla quale, da una parte, emerge come la stessa sia stata trascurata dal ricorrente e non contestata specificamente, dall’altra, si aggiunge in ricorso, anche un mero rinvio a talune notazioni di gravame non meglio specificate, sebbene sia noto che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 – , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019) Rv. 275853 – 02).
La ricostruzione operata dai giudici, dunque, in punto di autonoma configurabilità del reato di rapina appare coerente e corretta, peraltro in linea con il principio per il quale per la ipotizzabilità del reato complesso è necessario che la legge abbia operato la fusione in un’unica figura criminosa di fatti costituenti autonomi reati. Non integra invece la figura del reato complesso l’esistenza di elementi comuni fra due reati ne’ la circostanza che un reato sia il presupposto di un successivo reato o che il primo sia stato consumato allo scopo di realizzare un secondo reato; in tale ultimo caso può configurarsi semplicemente un rapporto teleologico fra i due illeciti che non solo non esclude il concorso, ma integra la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. (Sez. 6, n. 16616 del 06/04/1990, Bonfiglioli, Rv. 186021 – 01). Dunque, come anticipato, il ricorso è inammissibile rispetto al tema del rapporto tra rapina e violenza sessuale, reati sussistenti e tra loro autonomi.
Nel contempo, invece, il ricorso è fondato rispetto al rapporto tra sequestro di persona e violenza sessuale, stante la contemporaneità delle condotte ascritte all’imputato a titolo di sequestro di persona e violenza sessuale, per cui, lo si anticipa, deve concludersi che il reato p. e p. dall’art. 605 sia da ritenersi assorbito nella successiva condotta p. e p. dall’art. 609 bis. Invero, dalla puntuale ricostruzione fattuale operata nella sentenza impugnata, risulta che l’imputato, prima (ed al fine) di rendersi responsabile della violenza sessuale in danno della persona offesa, dapprima invitava e poi intimava con violenza alla medesima di entrare nei bagni pubblici, obbligandola a chiudere la porta a chiave dall’interno.
Orbene, il comportamento dell’imputato – per quanto astrattamente idoneo ad integrare la fattispecie di cui all’art. 605 cod. pen., stante l’avvenuta privazione della libertà personale subita dalla persona offesa – è assorbito nella successiva e più grave condotta di violenza sessuale (così, ex multis, Sez. III, sentenze nn. 38014 del 17 maggio 2019 e 15068 del 12 marzo 2009). Infatti, per giurisprudenza costante di questa Corte, il sequestro di persona concorre con quello di violenza sessuale quando la privazione della libertà personale prevista dall’art. 605 cod. pen. non si esaurisce nella costrizione – attuata per compiere gli atti sessuali – prevista dall’art. 609 bis cod. pen., ma si prolunga prima o dopo la suddetta costrizione.
In altri termini, quindi, il delitto di sequestro di persona è assorbito in quello di violenza sessuale, quando la privazione della libertà persona della vittima si protrae per il tempo strettamente necessario a commettere l’abuso sessuale, come avvenuto nel caso di specie, stante la sostanziale concomitanza tra sequestro ed abuso sessuale posti in essere dall’imputato ovvero la contestuale cessazione delle suddette condotte.
La Corte di Appello, com’anche il Tribunale, sostanzialmente riconosce che l’imputato (con il suo pugno al volto parato a stento dalla persona offesa e con le esplicite minacce di ulteriori percosse) abbia costretto con quei medesimi comportamenti, G.G., a chiudersi a chiave nel bagno pubblico e a masturbarsi: non solo, esplicitamente evidenzia che il G.G. è stato in condizione di uscire dal bagno soltanto dopo che i coimputati hanno desistito dalle pretese di atti sessuali ulteriori, andando via. Non argomenta, quindi, in ordine al ritenuto trascorso tempo apprezzabile (anteriore e successivo) tra la perpetrazione della violenza sessuale e la privazione della libertà personale inflitta alla persona offesa: la Corte di Appello si limita ad affermare apoditticamente che “altro tempo è certamente trascorso tra l’intimazione alla masturbazione e l’inizio della stessa”.
- Dalle ragioni sin qui esposte deriva l’accoglimento del ricorso nei termini sopra precisati, e dunque, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo concernente la configurabilità del reato di sequestro di persona con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione per i minorenni della Corte di appello di Lecce. Si dichiara inammissibile il ricorso nel resto.