Cassazione civile, Sez. trib., ordinanza 8 gennaio 2025, n. 307
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di ripresa a tassazione, ai fini dell’IRPEF, di redditi costituiti da proventi di attività illecita, per l’individuazione del periodo di imposta al quale imputare tali redditi deve farsi riferimento al momento in cui viene acquisita la disponibilità dei detti proventi, coincidente con la realizzazione del presupposto impositivo fissato dall’art. 1 del D.P.R. n. 917 del 1986.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 7 e 71 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
1.1 Si censura l’impugnata decisione per aver ritenuto corretta l’imputazione all’anno d’imposta 2006 dei redditi ripresi a tassazione, pur essendo stato accertato che i proventi illeciti contestati dall’Ufficio erano stati percepiti dal contribuente nel biennio 2004 – 2005. La CTR avrebbe, quindi, trascurato di considerare che alla categoria dei redditi diversi ex art. 67 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), nel cui ambito vanno ricompresi i proventi in questione, si applica il principio di cassa, giusta quanto disposto dall’art. 71 dello stesso decreto.
- Il motivo è infondato.
2.1 L’ art. 1 del TUIR stabilisce che “presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”.
2.2 L’art. 14, comma 4, della L. n. 537 del 1993, nel testo, applicabile “ratione temporis”, vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 208 del 2015, così recita: “Nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”.
2.3 L’art. 36, comma 34 – bis, del D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, nel dettare l’interpretazione autentica di tale ultima norma, ha precisato che, ” in deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono comunque considerati come redditi diversi”.
2.4 Ricostruito in breve il quadro normativo di riferimento, giova rammentare che, per giurisprudenza di questa Corte, il termine “possesso” utilizzato dall’art. 1 del TUIR, nel suo significato minimo comune, evoca la riferibilità a un soggetto di determinati redditi e la titolarità in capo a lui degli inerenti poteri di disposizione (cfr. Cass. n. 433/2013).
2.5 Tanto premesso, si osserva che, in base a quanto accertato in fatto dalla CTR veneta, il possesso dei redditi recuperati a tassazione fu acquisito dal contribuente nell’anno 2006, nel corso del quale i proventi dell’attività illecita da lui posta in essere, consistita in una pluralità di episodi corruttivi, confluirono sui conti correnti bancari intestati allo stesso contribuente ed a sua moglie.
2.6 Il collegio regionale ha, inoltre, precisato che ai fini fiscali non rileva il momento di commissione dei singoli fatti di reato (“momento corruttivo”), bensì quello in cui è avvenuta l’acquisizione dei redditi oggetto di ripresa.
2.7 La soluzione adottata dalla CTR appare giuridicamente corretta, alla luce di quanto chiarito sopra con riguardo all’individuazione del presupposto impositivo del tributo.
2.8 Non va, peraltro, dimenticato che, secondo l’orientamento ormai costante nella giurisprudenza di legittimità, il delitto di corruzione costituisce fattispecie a “duplice schema”, che si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa o con la dazione – ricezione dell’utilità, fermo restando che, nell’ipotesi in cui alla promessa faccia seguito la dazione, il reato si consuma ove venga realizzata anche quest’ultima condotta, costituente un approfondimento dell’offesa tipica (cfr. Cass. Sez. Un. Pen. n. 15208/2010; nello stesso senso, ex multis, Cass. Pen. n. 15641/2023, Cass. Pen. 28988/2022, Cass. Pen. n. 20842/2018, Cass. Pen. n. 4105/2016).
2.9 Nessun errore di diritto è, dunque, ravvisabile nell’iter motivazionale della sentenza impugnata; né in questa sede è possibile riesaminare la valutazione del materiale probatorio espressa dal collegio di secondo grado, il quale, sulla scorta di un apprezzamento di merito delle emergenze processuali, insindacabile in cassazione, ha individuato nel 2006 l’anno in cui i proventi di reato entrarono nella sfera di disponibilità del contribuente.
- Va conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: “In tema di ripresa a tassazione, ai fini dell’IRPEF, di redditi costituiti da proventi di attività illecita, per l’individuazione del periodo d’imposta al quale imputare tali redditi deve farsi riferimento al momento in cui viene acquisita la disponibilità dei detti proventi, coincidente con la realizzazione del presupposto impositivo fissato dall’art. 1 del D.P.R. n. 917 del 1986”.
- Per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
- Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
- Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
- Si ritiene, infine, di dover disporre d’ufficio l’oscuramento dei dati personali identificativi del ricorrente, ai sensi dell’art. 52, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs. n. 196 del 2003.