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*Cronaca – Diffamazione – Esimente – Esercizio del diritto di cronaca ed esonero dalla responsabilità del direttore e del giornalista

by Dott.ssa Margherita Lovascio
28 Maggio 2025
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, Sez. V pen., 22 maggio 2025, n. 19102

PRINCIPIO DI DIRITTO

L’esercizio del diritto di cronaca, tuttavia, può giustificare un’oggettiva lesione della personale reputazione di un individuo, solo se la rappresentazione offerta risponda ad un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati (tale da legittimare la compressione dei simmetrici diritti della persona incisi dalla divulgazione dei fatti) ed offra una descrizione della realtà coerente con la verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) e rappresentata in forma «civile» (tanto nell’esposizione dei fatti, quanto nella loro valutazione). […]

Ciò considerato, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, il criterio della verità si risolve nella necessaria coerenza della notizia divulgata rispetto al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria (Sez. 5, n. 13782 del 29/01/2020, Rv. 278990), non solo sotto il profilo della mera correttezza formale dell’esposizione (Cass. civ., n. 8065, del 31/03/2007, Rv. 598568), ma anche sotto quello, sostanziale, della complessiva rappresentazione dell’intero contesto investigativo, che deve essere condotta, costantemente, nel rispetto della necessaria presunzione di non colpevolezza.

TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA

Il ricorso è fondato.

Oggetto dell’imputazione, per come si è detto, è l’articolo apparso sul quotidiano “(OMISSIS)” e sul relativo sito web il (OMISSIS), ritenuto lesivo della reputazione di V.M., al quale, secondo la prospettazione accusatoria, attraverso la suggestiva rappresentazione di fatti particolarmente evocativi (i rapporti con B.R., nipote incensurato del boss della (OMISSIS) G.M., e i paralleli incrementi reddituali delle società delle quali il M. è azionista di maggioranza), posti in stretta consequenzialità logica, verrebbe consapevolmente attribuito uno “stigma di mafiosità”, di vicinanza agli ambienti mafiosi, in mancanza di un concreto interesse pubblico alla conoscenza della vicenda.

I ricorrenti ritengono che le condotte oggetto dell’imputazione siano scriminate dal legittimo esercizio del diritto di cronaca; i giudici di merito, invece, che ne siano stati travalicati i relativi confini.

Cosicché la questione sottoposta alla valutazione di questa Corte attiene alla verifica del corretto esercizio di tale diritto e, in particolare, del rispetto dei necessari requisiti della verità oggettiva della notizia (nella peculiare configurazione che questo limite trova nell’ambito della cronaca giudiziaria), della continenza delle forme e dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia (che ne giustifica la diffusione).

Ciò considerato, questa Corte ritiene che i fatti, così come contestati, integrino effettivamente una lesione della reputazione del M. e, quindi, abbiano un’oggettiva valenza diffamatoria, ma siano giustificati dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, svolto nel rispetto della verità dei contenuti e della continenza della forma e a tutela di un interesse pubblico alla conoscenza della notizia divulgata.

Che la pubblicazione della notizia abbia una valenza oggettivamente diffamatoria non può revocarsi in dubbio (né tanto è contestato dalla difesa), essendo stato evocata, pur con le doverose precisazioni, una certa cointeressenza con ambienti mafiosi.

Ma una condotta oggettivamente diffamatoria può essere giustificata se, essa stessa, espressione di altro parallelo diritto, di pari rango costituzionale, quale, nello specifico, il diritto di cronaca giornalistica, espressione della libertà di pensiero e di stampa riconosciute dall’art. 21 Cost., diritto pubblico soggettivo che si sostanzia nel potere – dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata (Sez. 5, n. 4492 del 12/01/1982, Rv. 153477).

L’esercizio del diritto di cronaca, tuttavia, può giustificare un’oggettiva lesione della personale reputazione di un individuo, solo se la rappresentazione offerta risponda ad un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati (tale da legittimare la compressione dei simmetrici diritti della persona incisi dalla divulgazione dei fatti) ed offra una descrizione della realtà coerente con la verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) e rappresentata in forma «civile» (tanto nell’esposizione dei fatti, quanto nella loro valutazione).

In altri termini, essendo il giornalista un semplice intermediario tra il fatto e l’opinione pubblica, la divulgazione della notizia lesiva deve essere giustificata da un oggettivo interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti e resa con l’adozione di modalità espressive adeguate allo scopo informativo (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 690 del 2010; Cass. civ. n. 22190 del 2009; Cass. civ. n. 17172 del 2007).

Entro questi limiti, il bilanciamento tra l’interesse individuale alla tutela di diritti della personalità quali l’onore, la reputazione e la riservatezza, e quello, costituzionalmente protetto, alla libera manifestazione del pensiero deve risolversi in favore di quest’ultimo, avuto riguardo al prevalente diritto dell’opinione pubblica ad essere informata ed a formarsi un convincimento in ordine a vicende di rilevante interesse collettivo.

Ciò considerato, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, il criterio della verità si risolve nella necessaria coerenza della notizia divulgata rispetto al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria (Sez. 5, n. 13782 del 29/01/2020, Rv. 278990), non solo sotto il profilo della mera correttezza formale dell’esposizione (Cass. civ., n. 8065, del 31/03/2007, Rv. 598568), ma anche sotto quello, sostanziale, della complessiva rappresentazione dell’intero contesto investigativo, che deve essere condotta, costantemente, nel rispetto della necessaria presunzione di non colpevolezza.

Tanto più nella delicata fase delle indagini preliminari, dove – proprio in ragione della fluidità e  dell’ontologica incertezza del contenuto delle investigazioni – è doveroso un racconto asettico, senza enfasi od indebite anticipazioni di colpevolezza, non essendo consentito al giornalista aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni, in spregio del dettato costituzionale di innocenza dell’imputato (ed a fortiori dell’indagato) sino alla sentenza definitiva (Sez. 5, n. 3674 del 27/10/2010, dep. 2011, Rv. 249699; Sez. 5, n. 4158 del 18/09/2014, dep. 2015, Rv. 262169).

Se, infatti, il cronista non è certamente tenuto a verificare la fondatezza dell’accusa (dovendo, piuttosto, controllarne rigorosamente i termini di formulazione), parimenti non può indulgere ad alcuna preconcetta opzione di responsabilità, rendendo una ricostruzione in chiave colpevolista.

Cosicché, se, di certo, non gli si può impedire di avere, al riguardo, un’opinione da manifestare, non gli è però consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente allo stato: null’altro che un mero progetto di accusa attorno ad ipotesi d’illecito e di penale responsabilità, tutte però da verificare.

Ed è quanto emerge dall’articolo in contestazione: l’autore non solo non si è discostato dagli esiti investigativi e dai conseguenti atti giudiziari divulgati, ma non ha neanche travalicato, nelle modalità di rappresentazione, i limiti propri della continenza, avendo descritto, correttamente, le chiare emergenze processuali, nell’interesse generale alla conoscenza del fatto.

Un interesse che non può essere escluso solo dalla sua oggettiva estraneità rispetto ai fatti oggetto dell’indagine penale; circostanza, questa che, alla luce delle funzioni di interesse generale svolte dal M. (professore in una dei più prestigiosi atenei italiani) e dei significativi interessi economici da lui gestiti, in alcun modo incide sull’attitudine dei fatti narrati a contribuire alla formazione della pubblica opinione, offrendo al cittadino dati astrattamente utili affinché egli stesso possa liberamente orientare le proprie scelte.

L’articolo, infatti, dopo aver ripetutamente chiarita l’estraneità del M. rispetto alle indagini, si limita a dare atto, fedelmente, degli esiti delle indagini, rappresentando i fatti in esse accertati (il ruolo svolto dal R., il precedente giudiziario del M., il notevole incremento reddituale nel periodo di collaborazione con il R. e la sua significativa disponibilità economica) e, con essi, anche quell’unitaria lettura consequenziale che, nella prospettiva accusatoria, ha fondato il contenuto diffamatorio dell’articolo; circostanza non solo desumibile dalla sistemazione in rapporto di stretta consequenzialità dei fatti accertati (contestata al giornalista, ma operata dagli stessi investigatori), ma chiaramente manifestata nell’esplicita richiesta di consultazione della banca dati della DDA, avanzata dagli investigatori all’esplicito fine di “accertare eventuali legami tra M. e la criminalità organizzata”.

In questi termini, la pubblicazione della notizia oggettivamente diffamatoria deve ritenersi giustificata dal diritto di cronaca giornalistica, per cui la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perché il fatto contestato al M.D. non costituisce reato e quello contestato al T.M. non sussiste.

 

 

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