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*Diritti fondamentali – 41 bis – Condannato, motivazione del limite al diritto alla corrispondenza

by Dott. Alessio Alfieri
29 Luglio 2025
in Diritto Penale
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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, sentenza 10 luglio 2025 (… vs Italia, n. 64753/14)

PRINCIPIO DI DIRITTO

Qualora vengano adottate misure che interferiscono con la corrispondenza dei detenuti, è essenziale che l’ingerenza sia motivata, in modo tale che il ricorrente e/o i suoi consulenti possano accertarsi che la legge sia stata correttamente applicata nei suoi confronti e che le decisioni prese nel caso non siano irragionevoli o arbitrarie […] tale ingerenza può essere giustificata solo qualora sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia necessaria in una società democratica al fine di raggiungere tale scopo.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  2. La Corte ribadisce che la detenzione, come ogni altra misura che priva una persona della sua libertà, comporta limitazioni intrinseche alla vita privata e familiare (v. K v. Russia [GC], no. 41418/04, § 106, ECHR 2015).

La necessità di tali limitazioni implica che l’ingerenza corrisponda a un’esigenza sociale imperativa e, in particolare, che sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Nel determinare se un’ingerenza sia “necessaria in una società democratica”, si può tenere conto del margine di apprezzamento dello Stato. (v., tra le altre, C v. Regno Unito, 25 marzo 1992, § 44, Series A n. 233).

  1. A tale riguardo, la Corte ha ripetutamente affermato che considerazioni di ordine pubblico possono indurre uno Stato a introdurre regimi carcerari di massima sicurezza per particolari categorie di detenuti.

Tali disposizioni, volte a prevenire il rischio di fuga, aggressione o disturbo della comunità carceraria, si basano sulla separazione di tali detenuti dalla comunità carceraria insieme a controlli più severi (v., tra le altre, E v. Romania, n. 73731/17, § 73, 11 maggio 2021, and H v. Poland, n. 13621/08, § 88, 17 aprile 2012).

Con specifico riguardo al regime dell’articolo 41 bis, la Corte ha riconosciuto i suoi scopi preventivi e di sicurezza – piuttosto che punitivi – e il suo obiettivo di interrompere i contatti tra i detenuti e le loro reti criminali (v. P v. Italia n. 55080/13, § 150, 25 ottobre 2018).

La Corte ha anche osservato che prima dell’introduzione del regime speciale, i membri della mafia incarcerati erano in grado di mantenere le loro posizioni all’interno dell’organizzazione criminale, di scambiare informazioni con altri detenuti e con il mondo esterno e di organizzare e procurare la commissione di reati gravi sia all’interno che all’esterno delle loro carceri. (M v. Italia (n. 2), n. 25498/94, § 66, ECHR 2000-X).

  1. Per quanto riguarda specificamente la limitazione del diritto di corrispondenza, è stato riconosciuto che un certo grado di controllo sulla corrispondenza dei detenuti è necessario e non è di per sé incompatibile con la Convenzione, tenuto conto delle normali e ragionevoli esigenze della detenzione.

Nel valutare la portata ammissibile di tale controllo in generale, non si dovrebbe tuttavia trascurare il fatto che la possibilità di scrivere e di ricevere lettere costituisce talvolta l’unico collegamento del detenuto con il mondo esterno. Inoltre, quando vengono adottate misure che interferiscono con la corrispondenza dei detenuti, è essenziale che vengano fornite le ragioni dell’interferenza, in modo che il richiedente e/o i suoi consulenti possano accertarsi che la legge sia stata correttamente applicata a lui o a lei e che le decisioni prese nel caso non siano irragionevoli o arbitrarie. (v. O v. Cipro, n. 24407/04, § 113, 7 gennaio 2010).

  1. La Corte ha già avuto modo di valutare il diritto alla corrispondenza dei detenuti (in carcere ai sensi dell’articolo 41 bis) in un gran numero di casi in cui i procedimenti pertinenti erano disciplinati dall’articolo 18 della Legge sull’amministrazione penitenziaria.

Tale disposizione stabiliva che il giudice poteva ordinare la censura della corrispondenza di un detenuto con decisione motivata, senza specificare i casi in cui tale decisione poteva essere adottata. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che le decisioni basate sull’articolo 18 della Legge sull’amministrazione penitenziaria violassero l’articolo 8 della Convenzione in quanto non “previste dalla legge”, in quanto non stabilivano norme sulla durata di validità delle misure di sorveglianza della corrispondenza del detenuto né sui motivi che le giustificavano e non indicavano con ragionevole chiarezza la portata e le modalità di esercizio del potere discrezionale conferito alle autorità pubbliche (v. E v. Italia [GC], n. 74912/01, § 143, ECHR 2000; L v. Italia [GC], n. 26772/95, §§ 176-180, ECHR 2000- IV; M v. Italia (n. 2); C. D. v. Italia, 15 novembre 1996, §§ 29-33, Reports of Judgments and Decisions 1996-V; and D v. Italia, 15 novembre 1996, §§ 29-34, Reports 1996-V).

  1. Per dare attuazione alle sentenze della Corte, la legge n. 95 del 2004 ha introdotto l’articolo 18 ter della Legge sull’amministrazione penitenziaria (v. E, sopra citata; Z v. Italia n. 24424/03, § 34, 20 gennaio 2009; and B v. Italia, n. 15625/04, § 54, 15 gennaio 2008).

29È pacifico tra le parti che, sebbene l’ordinanza dell’8 gennaio 2013 consentisse al ricorrente di mantenere i contatti con i suoi stretti familiari e la legge garantisse il suo diritto a intrattenere la corrispondenza con i suoi rappresentanti e altri enti pubblici, limitare il numero di persone con cui poteva intrattenere la corrispondenza costituiva un’ingerenza nel suo diritto ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. La Corte non vede alcun motivo per discostarsi dalla conclusione delle parti. (confronta, mutatis mutandis, H v. Ungheria, n. 52624/10, § 84, 23 aprile 2013).

  1. Tuttavia, tale ingerenza può essere giustificata solo se è prevista dalla legge, persegue uno scopo legittimo ed è necessaria in una società democratica per raggiungere tale scopo.
  2. La Corte osserva che non è contestato tra le parti che l’ingerenza fosse prevista dalla legge. Di conseguenza, essa riconosce che l’ingerenza lamentata dal ricorrente aveva un fondamento giuridico nel diritto interno, in particolare nell’articolo 18 ter della Legge sull’amministrazione penitenziaria.

Riconosce inoltre che, a differenza dell’articolo 18, l’articolo 18 ter prevede che la misura sia adottata con ordine motivato dell’autorità giudiziaria in determinate circostanze (vale a dire per impedire la commissione di reati, mantenere la sicurezza in carcere e assicurare la riservatezza delle indagini) e per un periodo di tempo limitato.

Pertanto, alle autorità non viene più concessa alcuna discrezionalità illimitata.

  1. La Corte rileva inoltre che l’ingerenza perseguiva obiettivi legittimi ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, vale a dire la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale nonché la prevenzione dell’ordine e della criminalità, garantendo che la corrispondenza non fosse utilizzata come mezzo per trasmettere messaggi proibiti.

La finalità principale del provvedimento appare quella di impedire all’organizzazione criminale cui apparteneva il ricorrente di ottenere istruzioni per compiere attività criminali, data la sua posizione all’interno dell’organizzazione.

  1. Quanto alla necessità dell’ingerenza, al fine di determinare se l’ingerenza nel diritto alla corrispondenza del ricorrente fosse convincentemente giustificata nel caso di specie, la Corte deve valutare, in linea con la sua giurisprudenza, se le ragioni fornite dalle autorità nazionali per giustificare l’ingerenza fossero “pertinenti e sufficienti” e se la misura adottata fosse “proporzionata allo scopo legittimo perseguito”.
  2. La Corte rileva che, con ordinanza dell’8 gennaio 2013, il giudice di sorveglianza penitenziaria di Reggio Emilia, avuto riguardo alle informazioni contenute nel fascicolo del ricorrente e alla richiesta presentata dal direttore del carcere il 7 gennaio 2013, ha rinnovato le restrizioni alla corrispondenza del ricorrente sulla base del ruolo di rilievo svolto da quest’ultimo nell’organizzazione criminale.

A questo proposito, la Corte ribadisce che non è in discussione se il ricorrente costituisse un pericolo per la società, ma solo se l’ordinanza in questione fosse adeguatamente motivata.

  1. La Corte osserva che l’articolo 18 ter della Legge sull’Amministrazione Penitenziaria stabilisce che sia il monitoraggio che la limitazione della corrispondenza dei detenuti siano disposti dall’autorità giudiziaria. Il monitoraggio della corrispondenza del ricorrente è stato disposto nel contesto dell’applicazione del regime previsto dall’articolo 41 bis. Inoltre, il ricorrente è stato sottoposto anche a limitazione giudiziaria della sua corrispondenza.
  2. La Corte rileva che, sebbene l’ordinanza dell’8 gennaio 2013 facesse ampio riferimento al mantenimento da parte del ricorrente di un ruolo di rilievo all’interno dell’organizzazione, non sembra esservi traccia discernibile nel testo di tale ordinanza di una valutazione esplicita e autonoma della necessità di limitare la corrispondenza del ricorrente ai soli parenti ammessi per visite familiari, come sarebbe richiesto dall’articolo 18 ter della legge sull’amministrazione penitenziaria.
  3. In tale contesto, la Corte riscontra difficoltà nel verificare se i rinvii contenuti nell’ordinanza dell’8 gennaio 2013 rispondano all’esigenza di una motivazione adeguata.
  4. In primo luogo, la Corte prende atto dell’argomentazione del Governo secondo cui l’ordinanza dell’8 gennaio 2013 faceva riferimento all’ordinanza ministeriale preesistente in vigore all’epoca dei fatti, che rinnovava il regime dell’articolo 41 bis.
  5. A tale riguardo, la Corte osserva che, alla luce dello stretto collegamento tra l’ordinanza ministeriale di applicazione del regime previsto dall’articolo 41 bis e l’ordinanza giurisdizionale che impone il controllo della corrispondenza, le motivazioni di quest’ultima sono chiaramente riconducibili a quelle avanzate dal Ministro della Giustizia.

Tuttavia, poiché limitare il numero di persone con cui un detenuto può intrattenere una corrispondenza equivale a un’ulteriore limitazione del diritto del ricorrente, la Corte non è convinta che un riferimento generale all’ordinanza ministeriale sia di per sé sufficiente a giustificare ulteriori restrizioni.

L’autonomia dell’ordinanza dell’8 gennaio 2013 suggerisce piuttosto la necessità di motivazioni individualizzate, o quantomeno di una spiegazione delle ragioni per cui il controllo generale della corrispondenza del detenuto, senza limitazioni quanto ai mittenti o ai destinatari, è stato ritenuto insufficiente.

  1. In ogni caso, l’ordinanza dell’8 gennaio 2013 non fa riferimento all’ordinanza ministeriale che rinnova il regime dell’articolo 41 bis, ma in generale al “fascicolo relativo al ricorrente”.

Sebbene sia ragionevole presumere che il fascicolo a disposizione del giudice di sorveglianza includesse l’ordinanza ministeriale, la Corte non è in grado di valutare quali documenti siano stati concretamente presi in considerazione dal giudice di sorveglianza di Reggio Emilia.

Inoltre, il Governo non ha fornito copia dell’ordinanza ministeriale vigente all’epoca. Le parti hanno fornito solo l’ordinanza ministeriale del 30 ottobre 2013 che rinnova il regime dell’articolo 41 bis, che, come sottolineato dal Governo, faceva riferimento a conversazioni intercettate tra il ricorrente e membri dell’organizzazione criminale di appartenenza, durante le quali si era discusso dell’impossibilità di contattare il ricorrente di persona o per corrispondenza. Anche supponendo che tale informazione fosse contenuta anche nell’ordinanza ministeriale vigente all’epoca dei fatti e che la sua gravità giustificasse ulteriori limitazioni del diritto alla corrispondenza del ricorrente, le autorità interne non hanno chiarito l’importanza di tale informazione, soprattutto considerando che le conversazioni intercettate in questione sembrano essere avvenute circa dieci anni prima.

  1. La Corte rileva che il GIP di Reggio Emilia ha fatto riferimento alla richiesta presentata dal direttore del carcere il 7 gennaio 2013. Tuttavia, il Governo non l’ha prodotta. Ha invece presentato la richiesta di proroga datata 29 marzo 2013 e accolta l’8 aprile 2013.

Sebbene dalla richiesta di proroga sembrino emergere informazioni potenzialmente rilevanti ai fini dell’applicazione di ulteriori limitazioni al diritto di corrispondenza del ricorrente, non è possibile stabilire se tali informazioni fossero contenute anche nella richiesta del direttore del 7 gennaio 2013.

  1. Infine, la Corte rileva che le autorità interne non hanno sollevato ulteriori argomenti per giustificare le limitazioni al diritto del ricorrente nel procedimento di appello; che nel procedimento di appello avverso la successiva ordinanza dell’8 aprile 2013, fondata sulle stesse argomentazioni dell’ordinanza dell’8 gennaio 2013, il tribunale di sorveglianza penitenziaria di Bologna ha ritenuto la motivazione insufficiente per rinnovare la limitazione in questione; e che la motivazione del tribunale di sorveglianza penitenziaria di Bologna è stata successivamente ribadita dal giudice di sorveglianza penitenziaria di Reggio Emilia, il quale, il 31 dicembre 2013, ha rigettato la domanda di rinnovazione della limitazione.
  2. La mancanza di un riferimento esplicito a circostanze specifiche che giustifichino l’ulteriore limitazione del diritto del ricorrente alla corrispondenza ai sensi dell’articolo 18 ter della legge sull’amministrazione penitenziaria e la mancata fornitura da parte del Governo dei documenti che avrebbero potuto integrare la motivazione dell’ordinanza dell’8 gennaio 2013 rendono difficile per la Corte accertare quali circostanze, in quale modo e in quale misura siano state ponderate nel valutare se rinnovare la restrizione (confronta C. v. Lituania, n. 4902/02, § 25, 16 novembre 2006).

Di conseguenza, la Corte non può che concludere che nella motivazione dell’ordinanza dell’8 gennaio 2013 non vi sono prove sufficienti dell’effettiva effettuazione di una valutazione.

  1. Alla luce di quanto precede, la Corte non ritiene che il Governo abbia dimostrato in modo convincente che, nelle particolari circostanze del caso di specie, la proroga della limitazione del diritto alla corrispondenza del ricorrente dell’8 gennaio 2013 fosse giustificata.

Vi è stata pertanto violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

  1. ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
  2. Conformemente alla consolidata giurisprudenza della Corte, il ricorso effettivo richiesto dall’articolo 13 della Convenzione è quello in cui l’autorità nazionale che esamina il caso deve considerare il merito del ricorso ai sensi della Convenzione.

Nei casi che coinvolgono l’articolo 8 della Convenzione, ciò significa che l’autorità deve effettuare un bilanciamento e verificare se l’ingerenza nei diritti del ricorrente rispondesse a un’esigenza sociale impellente e fosse proporzionata agli obiettivi legittimi perseguiti, ovvero se costituisse una limitazione giustificabile di tali diritti (v. V v. Russia, n. 39747/10, § 42, 3 luglio 2018, e G e altri v. Russia, nn. 27057/06 e 2 altri, § 108, 2 luglio 2019).

  1. La Corte ha già avuto modo di valutare l’efficacia di un ricorso contro l’ordinanza ministeriale che rinnovava il regime previsto dall’articolo 41 bis.

In tale occasione, ha rilevato che il sistematico mancato rispetto del termine legale di dieci giorni aveva ridotto, e di fatto annullato, l’impatto del controllo giurisdizionale dei decreti emessi dal Ministro della Giustizia (cfr. M (n. 2), cit., § 96). Allo stesso tempo, ha anche rilevato, alla luce dell’articolo 6 della Convenzione, che la mancanza di una decisione sul merito dei ricorsi aveva annullato l’effetto del controllo dei decreti emessi dal Ministro della Giustizia da parte dei tribunali di sorveglianza delle pene. (v. G v. Italia, n. 41576/98, § 31, ECHR 2003-XI)

  1. In primo luogo, la Corte osserva che gli articoli 14 ter, 18 ter e 71 ter della Legge sull’amministrazione penitenziaria stabiliscono le procedure di ricorso contro i provvedimenti che limitano il diritto del ricorrente alla corrispondenza e che il ricorrente si è avvalso di tale ricorso.

La Corte ritiene che tale ricorso condivida le stesse caratteristiche di quello previsto dall’articolo 41 bis della Legge sull’amministrazione penitenziaria in relazione al ricorso contro il provvedimento che rinnova il regime previsto dall’articolo 41 bis (cfr. P, cit., §§ 87-90).

Pertanto, al fine di valutare l’effettività del ricorso in esame, la Corte ritiene opportuno seguire lo stesso approccio già adottato nei casi relativi a un ricorso presentato ai sensi dell’articolo 41 bis.

  1. L’ordinanza dell’8 gennaio 2013 era valida per tre mesi, fino all’8 aprile 2013. La data in cui il ricorrente ha presentato ricorso avverso l’ordinanza non risulta dagli atti.

Il tribunale di sorveglianza penitenziaria di Bologna non ha dichiarato il ricorso inammissibile per tardività e il Governo non ha sostenuto che il ricorrente non avesse presentato ricorso entro il termine di dieci giorni stabilito dall’articolo 14 ter della legge sull’amministrazione penitenziaria.

Mentre il tribunale di sorveglianza penitenziaria di Bologna ha respinto il ricorso del ricorrente il 12 marzo 2013, mentre l’ordinanza era ancora in vigore, la Corte di Cassazione ha pubblicato la sua sentenza definitiva dopo la sua scadenza, il 21 marzo 2014.

  1. La Corte rileva che il ricorrente non ha fornito alcuna prova di una sistematica inadempienza da parte del tribunale interno nel pronunciarsi tempestivamente sui suoi ricorsi contro i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 18 ter. Sebbene non si possa escludere che il tribunale di sorveglianza penitenziaria di Bologna non abbia rispettato il termine di dieci giorni, esso ha pronunciato una sentenza nel merito del ricorso mentre il provvedimento era ancora in vigore.

Il fatto che l’ordinanza della Corte di Cassazione sia stata pronunciata il 21 gennaio 2014 e pubblicata il 21 marzo 2014, ovvero dopo la scadenza del provvedimento che imponeva la restrizione, non è sufficiente per dichiarare l’inefficacia del ricorso in questione.

  1. In tale contesto, la Corte ritiene che un ricorso al tribunale di sorveglianza costituisca un ricorso effettivo in relazione alla censura fondata del ricorrente relativa alla violazione del diritto alla corrispondenza e che la censura ai sensi dell’articolo 13 debba essere respinta in quanto manifestamente conforme all’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

III. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. L’articolo 41 della Convenzione prevede: “Se la Corte accerta che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non consente che una riparazione parziale, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso relativo all’articolo 8 ricevibile e il resto del ricorso irricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per qualsiasi danno morale subito dal ricorrente;
  4. Rigetta per il resto la domanda di equa soddisfazione del ricorrente.
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