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Home Diritto Amministrativo

*Espropriazione – Beni pubblici e privati – Usi civici, occupazione illegittima, sdemanializzazione, acquisizione sanante e indennizzo

by Calanna Laura
12 Maggio 2025
in Diritto Amministrativo
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Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza 08 maggio 2025 n. 3948 

PRINCIPIO DI DIRITTO

I diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla o ritenuti estinti per effetto di un decreto espropriativo per pubblica utilità poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce. È perciò necessario un formale provvedimento di sdemanializzazione la cui mancanza rende invalido il decreto espropriativo e il correlativo trasferimento dei relativi diritti sull’indennità espropriativa.

Quanto detto vale anche nell’ipotesi in cui operi l’istituto dell’acquisizione sanante dell’area ai sensi dell’art. 42-bis del DPR n. 327/2001, essendo anche in tale ipotesi necessaria la previa sdemanializzazione del bene gravato da usi civici.

Per quanto attiene poi specificamente alla questione relativa alla giurisdizione in merito alle controversie relative al risarcimento del danno per mancato godimento, occorre considerare che al giudice ordinario appartengono non solo le controversie relative alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto nella fattispecie di acquisizione sanante, ma anche quelle aventi ad oggetto l’interesse del cinque per cento del valore venale del bene “a titolo di risarcimento del danno”, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, comma 3, ultima parte.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. La sentenza da ottemperare ha statuito per quanto qui di interesse:
  2. a) l’accertamento e la dichiarazione che i suoli siti in agro del Comune di L’Aquila, frazione di Preturo, distinti in […], hanno natura demaniale civica universale;
  3. b) la nullità assoluta di ogni atto di disposizione dei medesimi fondi, compresi i decreti di esproprio emanati dall’Amministrazione dei Lavori Pubblici;
  4. c) la condanna dell’Agenzia del Demanio Abruzzo e Molise al rilascio dei detti fondi in favore dei cives della frazione di Preturo, mandando per l’esecuzione alla Regione Abruzzo.

1.2. Nel ricorso per ottemperanza per cui è causa, l’Amministrazione Separata di Preturo, per quanto attiene alla sentenza n. 67/2014, ha chiesto al Giudice: “1) ordini all’Agenzia del Demanio – filiale Abruzzo e Molise – di dare piena e completa esecuzione al giudicato formatosi in relazione alla sentenza commissariale evidenziata in premessa e, per questo, di rilasciare in favore dei cittadini di Preturo, i terreni demaniali civici di loro appartenenza; […]”.

1.3. Il T.A.R. ha accolto la richiesta di ottemperanza della sentenza n. 67/2014 del Commissario per il Riordino degli Usi Civici e ha ordinato all’Agenzia del Demanio di rilasciare i terreni di uso civico indicati nella predetta sentenza a favore dell’Amministrazione Separata di Preturo, facendo salva la facoltà per la predetta Agenzia di attivare il procedimento di cui all’art. 42-bis del DPR n. 327/2001 previa definizione del procedimento di sdemanializzazione dei terreni presso la Regione Abruzzo e le altre parti interessate.

  1. L’istituto di origine giurisprudenziale della cd. espropriazione indiretta contemplava due fattispecie: l’occupazione usurpativa e l’occupazione acquisitiva.

2.1. La prima era caratterizzata dalla assenza della dichiarazione di pubblica utilità e costituiva un illecito permanente.

2.2. La seconda godeva di un regime di favore nella misura in cui, essendo presente quantomeno un decreto di occupazione, l’acquisto alla mano pubblica si concretizzava nel momento della trasformazione irreversibile del bene, sanando così a titolo originario la proprietà del bene (Corte Cass., 26 febbraio 1983, n. 1464).

2.3. Fattispecie entrambe di cui si dubitava della compatibilità con quanto previsto dall’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, il quale ammette la privazione del diritto di proprietà esclusivamente “per causa di pubblica utilità” e soprattutto “nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

  1. Con sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute stabilendo la natura di illecito permanente dell’occupazione acquisitiva, come tale non determinante il trasferimento della proprietà del bene all’Amministrazione.

3.1. Per parte sua il legislatore aveva introdotto, con l’articolo 43 del T.U. n. 327 del 2001, l’istituto della cd. acquisizione sanante, a norma del quale, “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”, poteva disporre che esso andasse acquisito al suo patrimonio indisponibile e al proprietario risarciti i danni (comma 1).

3.2. Con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 293, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma.

  1. Il vuoto normativo è stato colmato dall’art. 34 del D.L. n. 98/ 2011 tramite l’introduzione, nel TU. Espropri, dell’articolo 42-bis, intitolato “Utilizzazione senza titolo di bene per scopi di interesse pubblico”.

4.1. La norma è finalizzata a consentire all’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico -modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità- di acquisirlo, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile, corrispondendo al proprietario “un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”, oltre un interesse del 5 % annuo sul valore venale del bene per il periodo di occupazione senza titolo.

4.2. L’istituto copre tanto l’occupazione usurpativa quanto l’occupazione acquisitiva, operando sia quando la procedura espropriativa sia assente, sia quando il vincolo preordinato all’esproprio sia annullato.

4.3. Nel 2015 la norma ha retto il vaglio della Corte costituzionale che, con la sentenza 11 marzo 2015 n. 71, ha respinto la questione di legittimità costituzionale ex artt. 2, 3, 24, 42, 97, 113 e 117 c.1 Cost. sollevata con distinte ordinanze dalla Corte di Cassazione e dal TAR Lazio, ritenendo l’istituto introdotto diverso da quello regolato dal precedente articolo 43.

  1. Tanto premesso, la sentenza impugnata ha accertato che la sentenza del Commissario Regionale per il Riordino degli Usi Civici d’Abruzzo n. 67/2014 è passata in giudicato (come riformata sul solo punto delle spese da parte della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 11/2016) e che la stessa non è stata eseguita da parte dell’Agenzia del Demanio, atteso che […] non ha provveduto né al rilascio dei fondi indicati nella sentenza n. 67/2014, né ha operato la sdemanializzazione degli stessi e, pertanto, la stessa non ha ottemperato.

5.1. Il T.A.R. ha inoltre ritenuto che oltre al possibile accordo con la parte ricorrente per la cessione dei terreni, risultava comunque possibile per l’Agenzia del Demanio ricorrere all’istituto dell’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis del DPR n. 327/2001, anche in base ad un’interpretazione estensiva delle conclusioni cui è pervenuta Adunanza Plenaria n. 5/2020 con riferimento alle pronunce del giudice civile ed il loro effetto sul procedimento di acquisizione sanante ed al fatto che la sentenza di cui viene chiesta l’ottemperanza è stata emanata dal Commissario per il Riordino degli Usi Civici.

5.2. L’art. 42 -bis del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 si applica infatti a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l’assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene (cfr. Cons. Stato Ad. Pl. 2/2016 e 5/2020).

.5.3. La norma, in quanto emanata in sostituzione dell’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega (cfr. Corte cost., sent. n. 293 del 2010) risponde alla medesima finalità di quella sostituita, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, e ciò a maggior ragione nel caso che occupa, in considerazione della mancata sdemanializzazione dei beni.

5.4. A tal proposito si osservi che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 12570/2023), in una vertenza relativa all’esproprio per p.u. di un terreno di demanio civico ex feudale, hanno affermato che i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla o ritenuti estinti per effetto di un decreto espropriativo per p.u. poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce.

È perciò necessario un formale provvedimento di sdemanializzazione la cui mancanza rende invalido il decreto espropriativo e il correlativo trasferimento dei relativi diritti sull’indennità espropriativa.

La Corte ha inoltre chiarito che, poiché i beni gravati da uso civico di dominio collettivo sono assimilabili a quelli demaniali, l’approdo ermeneutico in relazione al loro regime giuridico non può essere che lo stesso, nel senso cioè che l’esperimento della procedura espropriativa per pubblica utilità, affinché possa essere ritenuta legittima, deve essere proceduta dalla preventiva “sdemanializzazione” di siffatti tipi di beni.

5.5. Pertanto, la “sdemanializzazione degli usi civici collettivi” non può verificarsi direttamente con l’esecuzione di una procedura di espropriazione per pubblica utilità, e ciò anche in virtù della ragione di fondo che, a fronte della garanzia della quale godono gli interessi primari della persona (anche nella forma della soggettività collettiva, propriamente tutelata dalla disciplina degli usi civici “in re propria”), nessuno spazio può considerarsi aperto a valutazioni discrezionali di autorità amministrative o, comunque, esercenti attività di corrispondente natura, potendo e dovendo esse operare nella più stretta osservanza delle norme e dei criteri prefissati dalla legge; il che induce a configurare i relativi provvedimenti come atti vincolati, ovvero adottabili con mera efficacia esecutiva, in virtù della funzione peculiarmente assolta.

  1. Osserva il Collegio che la sentenza da ottemperare ha condannato l’Agenzia del Demanio alla restituzione dei suoli in favore degli abitanti della frazione di Preturo.

Tale statuizione non è stata oggetto di appello, sicché sulla stessa si è formato il giudicato. […]

In particolare, l’Agenzia del Demanio, entro sessanta giorni dalla notifica della presente sentenza, dovrà determinarsi tra la restituzione del bene ai cives di Preturo o la sua sdemanializzazione ai fini di consentire la vendita o l’acquisizione dell’area ai sensi dell’art. 42-bis cit. da parte del Ministero della Giustizia quale autorità che all’attualità utilizza il bene per scopi di pubblica utilità.

Tale scelta rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione che non attiene all’an, incompatibile con l’esistenza di un obbligo di provvedere, ma al quomodo, trattandosi di ipotesi decisionali in via alternativa, non esercitabili dal Giudice.

In caso di persistente inottemperanza, in accoglimento in parte qua del motivo di appello, si nomina sin da ora un Commissario ad acta […]

  1. Deve ora esaminarsi l’appello incidentale proposto dall’Agenzia del Demanio e dal Ministero della Giustizia.

7.1. Dette Autorità lamentano, in particolare, che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente accertato e riconosciuto il danno da illecita occupazione dei suddetti terreni condannando l’Agenzia al risarcimento del relativo danno, senza averne la giurisdizione.

7.2. Con il secondo motivo di appello incidentale eccepiscono invece che nelle more del giudizio di ottemperanza l’A.S. di Preturo ha chiesto al Tribunale Civile di L’Aquila di condannare l’Agenzia del Demanio al risarcimento del danno per illegittima occupazione, formulando cioè la stessa domanda proposta in sede di ottemperanza, e che con la sentenza n. 369/2024 il giudice ordinario ha accolto la domanda in questione, liquidando il risarcimento.

  1. Le censure, suscettibili di trattazione congiunta, sono fondate.

8.1. Il T.A.R. Abruzzo ha condannato l’Agenzia al risarcimento del danno subito dall’ASUC per l’illecita occupazione dei terreni statuendo che il risarcimento dovesse iniziare a decorrere dal “momento in cui l’occupazione dei terreni individuati nella sentenza n. 67/2014 è divenuta illegittima e, quindi, dal momento in cui è avvenuta la prima apprensione del bene, sino alla sua restituzione ai cives di Preturo o alla sua legittima acquisizione da parte dell’Agenzia del Demanio”.

8.1.1. Il Giudice ha ritenuto erroneamente di poter applicare alla fattispecie che occupa l’art. 42-bis del DPR n. 327/2001 senza considerare che al giudice ordinario – e dunque alla Corte d’appello – appartengono non solo le controversie relative alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto nella fattispecie di acquisizione sanante, ma anche quelle aventi ad oggetto l’interesse del cinque per cento del valore venale del bene “a titolo di risarcimento del danno”, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, comma 3, ultima parte, giacché esso costituisce solo una voce del complessivo “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale” di cui al comma 1 della stessa disposizione, secondo un’interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori (Cass. S.U. n. 691/2021).

8.2. Inoltre il T.A.R., pur avendo rilevato correttamente che la domanda risarcitoria di cui al punto 3) esula dall’ottemperanza della sentenza n. 67/2014, che non dispone alcun risarcimento del danno per mancato godimento, ha invece ritenuto -erroneamente- che la domanda risultava comunque ammissibile in base al disposto di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., secondo cui nel giudizio di ottemperanza “Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, …azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.”.

Il solo risarcimento del danno suscettibile di essere riconosciuto in sede di ottemperanza è infatti solo quello connesso all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione (art. 112, comma 3, c.p.a.), in quanto l’azione di ottemperanza non consente la proposizione di una qualsiasi domanda risarcitoria, ma la sola richiesta di ristoro dei danni “connessi” all’impossibilità di esecuzione del giudicato, ovvero “conseguenti” alla sua violazione o elusione. 

8.2.1. Il giudice di primo grado si è pronunciato non tanto sul danno provocato dall’inottemperanza alla sentenza, ma, piuttosto, sul danno prodotto dal fatto illecito originario, ovverosia dall’occupazione.

8.2.2. Il giudice ha quindi interpretato erroneamente l’art. 112, comma 3, c.p.a., ritenendo che esso legittimi il giudice dell’ottemperanza a pronunciarsi su qualsiasi domanda di risarcimento del danno, purché attinente all’oggetto del ricorso principale.

La cognizione del giudice dell’ottemperanza è riferita esclusivamente al danno da mancata ottemperanza della sentenza e non a qualsiasi danno subito dal privato da attività dell’Amministrazione nel corso dell’intero rapporto giuridico.

Un’interpretazione divergente da quella proposta profilerebbe un’illegittima estensione del giudizio d’ottemperanza, anche a discapito del giudizio ordinario di cognizione, senza un’espressa previsione normativa.

Nella specie il T.A.R. non poteva dunque pronunciarsi sul risarcimento del danno per occupazione illegittima sia perché non aveva la giurisdizione, sia perché era una domanda risarcitoria non proponibile nel presente giudizio di ottemperanza. […]

  1. Con il quinto motivo di appello principale parte appellante deduce che il primo giudice ha dichiarato inammissibile l’ottemperanza della sentenza della Corte d’Appello di Roma n.11/2016 per quanto attiene il pagamento delle spese legali, per mancata prova della “avvenuta notifica in forma esecutiva alle Amministrazioni destinatarie”, come richiesto dall’art.14 del D.L. 669/1996.

Lamenta che nessuna delle parti in causa aveva sollevato eccezioni di sorta circa la mancata notificazione della pretesa economica ritenuta causa di inammissibilità della pretesa azionata dalla ricorrente. Al contrario l’Avvocatura dello Stato, nella memoria del 16 marzo 2021, aveva dichiarato, espressamente, che “in ordine alla corresponsione delle spese legali indicate nella sentenza n.11/2016 l’Agenzia appena ricevuto la correzione dell’errore materiale provvederà, senza tema di dover passare per un Commissario ad Acta”.

La censura non è fondata anche se deve essere corretta la motivazione.

9.1. Sul punto, si deve richiamare l’orientamento da ultimo condiviso da C.d.S. sez. IV 28 luglio 2023 n.7401 secondo il quale, perché il giudizio di ottemperanza sia procedibile, sono necessari tre requisiti, che si desumono dal sistema. È infatti richiesto:

  1. a) in primo luogo che il titolo esecutivo esista e sia perfetto;
  2. b) in secondo luogo, che vi sia la prova che questo titolo è stato portato a conoscenza dell’Amministrazione, ed è stato da essa acquisito in forma autentica;
  3. c) in terzo luogo che sia rigorosamente provato che l’Amministrazione ha ricevuto la domanda volta ad ottenere l’esecuzione del provvedimento giudiziale ed è rimasta inerte.

9.2. Ove sussistano questi requisiti, il giudizio di ottemperanza può essere promosso, nei confronti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici non economici decorso il termine dilatorio di 120 giorni dalla conoscenza del titolo previsto dall’art. 14 d.l. 669/1996.

9.3. Sempre secondo le sentenze citate, non è invece richiesta – perché non espressamente prevista né dal citato art. 14 d. l. 669/1996 né da altre norme- la formale notifica del titolo in forma esecutiva.

La pronuncia impugnata deve essere, pertanto, corretta nella parte in cui ha ritenuto che ai fini dell’ottemperanza sarebbe stata necessaria la notifica del titolo in forma esecutiva e ha ritenuto che ad un ente pubblico economico si applicasse l’art. 14 d.l. 669/1996.

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