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Europa – Industria e commercio – Accisa sui tabacchi lavorati, attuazione dell’onere fiscale minimo e compressione eccessiva dei principi europei di libera concorrenza: l’intervento della Corte Costituzionale

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
11 Dicembre 2025
in Diritto Amministrativo
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Corte Costituzionale, sentenza 09 dicembre 2025 n. 183

PRINCIPIO DI DIRITTO

La reductio ad legitimitatem, delle disposizioni nazionali che prevedono l’indicizzazione automatica dell’onere fiscale minimo sulle sigarette sono inammissibili, dal momento che il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore Le modalità con cui ciò potrebbe avvenire risultano infatti molteplici, nonché espressive di diverse scelte di sistema, e sono rimesse in prima battuta alla discrezionalità del legislatore.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.‒ Il TAR Lazio, seconda sezione, con ordinanza del 31 luglio 2024 (reg. ord. n. 223 del 2024) dubita, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 2011/64/UE e agli artt. 101 TFUE e 4 TUE, della legittimità costituzionale dell’art. 39-octies, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 504 del 1995, come modificato.

Le suddette disposizioni recano la disciplina dell’OFM da applicare per la vendita delle sigarette.

Secondo il giudice a quo, le stesse si porrebbero in contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., perché violerebbero la disciplina interposta di cui all’art. 7, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 2011/64/UE che, letti e interpretati alla luce dei considerando in essa contenuti, sarebbero volti alla tutela dei principi di libera concorrenza e, in particolare, di libera determinazione dei prezzi di vendita delle sigarette, nonché della salute. Sarebbero anche violati i principi di concorrenza e di proporzionalità di cui agli artt. 101 TFUE e 4 TUE.

1.1.‒ Il rimettente pone peraltro in rilievo che, pur riscontrando il contrasto della disciplina nazionale con quella unionale, non sarebbe possibile la sua disapplicazione, poiché la direttiva 2011/64/UE non avrebbe «efficacia diretta c.d. verticale», in quanto la disposizione di cui all’art. 7, in essa contenuta, «non ha natura “categorica” e, quindi, non ha efficacia diretta», atteso che avrebbe rimesso alla volontà dei legislatori nazionali la scelta se introdurre l’OFM, anche ai fini della concreta applicazione.

Di qui la necessità di sottoporre a questa Corte le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.

1.2.‒ Con riferimento al merito, il TAR Lazio ribadisce che la finalità della direttiva, enucleabile dai considerando numeri 9, 10, 12 e 14, risiederebbe nella tutela del corretto funzionamento del mercato unionale, che dovrebbe operare «in condizioni di neutralità e libera formazione dei prezzi» e che a questa finalità si aggiungerebbe anche quella di tutela della salute.

Pone quindi attenzione al fatto che il legislatore nazionale ha configurato, con l’art. 39-octies, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 504 del 1995, come modificato, una modalità di applicazione dell’OFM caratterizzata da una percentuale estremamente elevata (prima fissata al 96,22 per cento dal 2019, poi ulteriormente incrementata, in quanto pari al 98,10 per cento dal 2023, al 98,70 per cento per il 2024 e al 98,80 per cento dal 2025), da applicare automaticamente alla somma dell’accisa globale e dell’IVA, calcolata con riferimento al “PMP-sigarette”.

Secondo il rimettente, sarebbe la modalità di attuazione e disciplina dell’OFM, «nel suo globale funzionamento», cioè alla luce delle disposizioni contenute nei commi 6, 7 e 8, dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995, letti secondo la loro “portata” complessiva, che comporterebbe la non compatibilità della disposizione nazionale con la direttiva e con i principi generali in essa contenuti.

Infatti, sarebbero violati: l’art. 7, paragrafo 3, della direttiva 2011/64/UE, poiché, determinando l’allineamento dei prezzi delle sigarette di fascia bassa a quelli di fascia media, si verrebbe a produrre l’effetto economico che i prezzi di vendita non rifletterebbero quelli di cessione dei produttori; l’art. 7, paragrafo 2, della medesima direttiva, poiché, nel sistema nazionale, l’accisa globalmente applicata ai fini del calcolo dell’OFM è decrescente dal livello minimo a quello medio dei prezzi delle sigarette, invece che variare proporzionalmente al prezzo; l’art. 7, paragrafo 4, della medesima direttiva, perché l’OFM sarebbe stato introdotto in modo automatico, ancorato a una percentuale sempre crescente dell’aliquota da applicare, senza alcun legame con la finalità di tutelare la salute umana e il regime concorrenziale del mercato unionale.

Il giudice a quo evidenzia, inoltre, che nessuna delle disposizioni della direttiva, che la sentenza n. 220 del 2023 aveva richiesto di esaminare e valutare, potrebbe essere idonea a giustificare la scelta del legislatore nazionale di configurare e calcolare l’OFM secondo quanto previsto dalle disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale.

2.‒ Non è fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa statale, argomentata sostenendo che il TAR Lazio, nel riformulare le questioni di legittimità costituzionale, non avrebbe compiuto alcuna specifica analisi e valutazione delle disposizioni contenute nella direttiva cui aveva fatto riferimento la sentenza n. 220 del 2023.

Il vizio di inammissibilità di una questione di legittimità costituzionale può, infatti, essere rimosso dal giudice a quo qualora provveda a colmare le lacune in precedenza riscontrate (sentenza n. 279 del 2014).

Questa Corte, con la già citata sentenza n. 220 del 2023, ha dichiarato inammissibili le questioni, che lo stesso TAR Lazio aveva sollevato, «per un’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento», poiché rimanevano ignorate diverse disposizioni, contenute nei considerando e negli articoli della direttiva 2011/64/UE, che avrebbero dovuto essere considerate al fine di motivare i dubbi di compatibilità unionale e di illegittimità costituzionale circa il rapporto tra OFM e “PMP-sigarette” stabilito dalle disposizioni nazionali censurate.

Con l’ordinanza di rimessione all’esame, il TAR Lazio, come detto, ne tiene ora conto e illustra specificamente il quadro normativo unionale di riferimento, chiarendo, anche sotto il profilo delle previsioni in precedenza non attenzionate, che la normativa nazionale vi si porrebbe in contrasto.

Pertanto, risultano superate le ragioni che avevano condotto questa Corte, con la sentenza n. 220 del 2023, a dichiarare l’inammissibilità delle questioni.

3.‒ Le questioni sono comunque inammissibili, perché, pur a fronte di evidenti criticità, la reductio ad legitimitatem cui ambisce il rimettente non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, data la pluralità di soluzioni idonee allo scopo, che implicano diversificate scelte di sistema.

Per comprendere tale conclusione occorre premettere una sintetica ricostruzione della complessa evoluzione che ha caratterizzato il regime nazionale di tassazione dei tabacchi e, in particolare, delle sigarette.

3.1.‒ È utile iniziare, a tal fine, dal momento in cui il legislatore, con l’art. 1, comma 486, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», ha introdotto per la prima volta un prezzo minimo per la vendita delle sigarette.

Questa misura non è passata indenne al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione europea (terza sezione, sentenza 24 giugno 2010, causa C-571/08, Commissione europea), che ha rilevato il contrasto con l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 95/59/CE del Consiglio, del 27 novembre 1995, relativa alle imposte diverse dall’imposta sul volume d’affari che gravano sul consumo dei tabacchi lavorati, allora vigente.

Nella sentenza si evidenzia, infatti, che «[u]na normativa che impone un siffatto prezzo minimo è quindi idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioni concorrenziali, impedendo a taluni di questi produttori o importatori di trarre vantaggio da prezzi di costo inferiori per proporre più allettanti prezzi di vendita al minuto».

In merito alle esigenze di tutela della salute pubblica, che, in astratto, avrebbero potuto porsi a giustificazione della disciplina del prezzo minimo, la Corte di giustizia ha, peraltro, chiarito che tale obiettivo «può essere adeguatamente perseguito mediante l’aumento dell’imposizione fiscale su tali prodotti, dal momento che gli aumenti dei diritti di accisa devono prima o poi tradursi in un aumento dei prezzi di vendita al minuto, senza con ciò compromettere la libertà di determinazione del prezzo».

3.2.‒ Il legislatore nazionale ha ritenuto di dare seguito a questa sentenza seguendo una duplice prospettiva, incentrata, questa volta, sul diverso versante dell’imposizione fiscale.

In primo luogo, con l’art. 4, comma 5, del decreto legislativo 29 marzo 2010, n. 48 (Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE), ha soppresso la previsione relativa al prezzo minimo e, con l’art. 1, comma 1, lettera nn), del medesimo decreto ha disposto l’inserimento nel d.lgs. n. 504 del 1995, fra l’altro, dell’art. 39-quinquies, comma 2, stabilendo in tal modo un diverso criterio di determinazione dell’accisa sulle sigarette, impostato sulla nozione della classe di prezzo più richiesta (most popular price category, MPPC).

In secondo luogo, con l’art. 55, comma 2-bis, lettera c), il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, intervenuto pochi mesi dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 48 del 2010, ha modificato significativamente la modalità di tassazione delle sigarette, da un lato, lasciando immutata la tassazione per le sigarette di “fascia alta”, ossia vendute a un prezzo pari o superiore a quello della classe di prezzo più richiesta, e, dall’altro, per le sigarette di “fascia bassa”, ha invece previsto, modificando il comma 4 dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995, che «[l]’importo di base di cui al comma 3 costituisce, nella misura del centoquindici per cento, l’accisa dovuta per le sigarette aventi un prezzo di vendita al pubblico inferiore a quello delle sigarette della classe di prezzo più richiesta di cui all’articolo 39-quinquies, comma 2».

In questo modo, il prezzo minimo è stato sostituito da una misura fiscale, ovvero l’accisa minima disincentivante (pari al 115 per cento dell’accisa applicabile alla classe di prezzo più richiesta).

3.3.‒ Anche questo intervento normativo è stato però censurato dalla Corte di giustizia, questa volta per violazione della direttiva 2011/64/UE, che ha sostituito la precedente.

La Corte di giustizia, quinta sezione, con sentenza 9 ottobre 2014, causa C-428/13, Ministero dell’economia e delle finanze e Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), ha infatti precisato che «l’applicazione di soglie d’imposta che variano in funzione delle caratteristiche o del prezzo delle sigarette comporterebbe distorsioni alla concorrenza tra le differenti sigarette e sarebbe quindi contraria all’obiettivo di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e condizioni neutre di concorrenza perseguito dalla direttiva 2011/64».

Secondo la CGUE «[c]iò è proprio quanto avviene con la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede il prelievo di un’accisa, fissata nella misura del 115% dell’accisa applicabile alla classe di prezzo più richiesta, unicamente sulle sigarette con un prezzo di vendita inferiore a quello delle sigarette della classe di prezzo più richiesta».

Pertanto, la sentenza ha chiarito che «[g]li articoli 7, paragrafo 2, e 8, paragrafo 6, della direttiva 2011/64/UE […] devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che stabilisca non un’accisa minima identica per tutte le sigarette, bensì un’accisa minima sulle sole sigarette con un prezzo di vendita al pubblico inferiore a quello delle sigarette della classe di prezzo più richiesta».

3.4.– Il legislatore nazionale, a seguito della citata sentenza, è nuovamente intervenuto e, con l’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), ha introdotto una diversa configurazione della struttura dell’imposizione, imperniata sulla previsione di un OFM.

3.5.‒ In particolare, con specifico riferimento alla misura di quest’ultimo, inizialmente il comma 6 dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995 ‒ nel testo risultante dopo le modifiche apportate dal citato art. 1, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 188 del 2014 ‒ lo aveva determinato nella misura fissa di «euro 170 il chilogrammo convenzionale», cioè ogni 1000 sigarette.

3.6. ‒ Dopo l’introduzione del meccanismo dell’OFM di cui al d.lgs. n. 188 del 2014, sono intervenuti quattro ulteriori mutamenti legislativi, segnatamente:

– art. 1, comma 1074, della legge n. 145 del 2018;

– art. 1, comma 659, della legge n. 160 del 2019;

– art. 1, comma 122, della legge n. 197 del 2022;

– art. 1, comma 48, lettera a), numero 3), della legge n. 213 del 2023.

La caratteristica comune di queste disposizioni, oltre che nella conferma dell’OFM, risiede nella modifica della sua modalità di calcolo.

In particolare, in base all’art. 1, comma 1074, della legge n. 145 del 2018, l’OFM non è più stabilito in misura fissa dal legislatore, ma risulta indicizzato, in quanto è divenuto una percentuale, inizialmente pari al 95,22 (poi, per effetto delle disposizioni di cui alle leggi n. 160 del 2019, n. 197 del 2022 e n. 213 del 2023, è stata alzata, rispettivamente, al 96,22 dal 2019, al 98,10 dal 2023, al 98,70 dal 2024 e al 98,80 dal 2025) della somma dell’accisa globale, calcolata con riferimento al “PMP-sigarette”.

3.7.‒ Si è così passati da un sistema di calcolo dell’OFM fondato su una scelta numerica del legislatore a una metodologia basata su un aggiornamento automatico, che si rapporta al “PMP-sigarette”.

Quest’ultimo, ai sensi dell’art. 39-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995, viene «determinato annualmente entro il primo marzo dell’anno solare successivo, sulla base del rapporto, espresso in euro con troncamento dei decimali, tra il valore totale, calcolato con riferimento al prezzo di vendita comprensivo di tutte le imposte, delle sigarette immesse in consumo nell’anno solare precedente e la quantità totale delle medesime sigarette».

3.8.‒ L’art. 1, comma 659, della legge n. 160 del 2019, poi, si è limitato a intervenire sul comma 6 dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995, modificando la percentuale dell’OFM, che è diventata pari al 96,22 per cento della somma dell’accisa globale e dell’imposta sul valore aggiunto calcolate con riferimento al “PMP-sigarette”.

3.9.‒ L’art. 1, comma 122, della legge n. 197 del 2022 ha, infine, modificato e aumentato l’importo dell’accisa specifica, prevedendo, al comma 3, lettera a), dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995, come sostituito, che «[p]er le sigarette, l’ammontare dell’accisa è costituito dalla somma dei seguenti elementi: a) un importo specifico fisso per unità di prodotto, determinato, per l’anno 2023, in 28 euro per 1.000 sigarette, per l’anno 2024 in 28,20 euro per 1.000 sigarette e, a decorrere dall’anno 2025, in 28,70 euro per 1.000 sigarette».

L’accisa ad valorem dall’art. 39-octies, comma 3, lettera b), anch’esso come sostituito, è stata definita come «[u]n importo risultante dall’applicazione dell’aliquota di base, di cui alla voce “Tabacchi lavorati”, lettera c), dell’allegato I, al prezzo di vendita al pubblico».

È stato abrogato il comma 4 dell’art. 39-octies (che prevedeva il computo dell’accisa globale), mentre è rimasta la nozione di accisa globale, quale somma delle due componenti, fissa e proporzionale, richiamata nel meccanismo di determinazione dell’OFM, che è stato così determinato al comma 6 del medesimo articolo: «[p]er i tabacchi lavorati di cui all’articolo 39-bis, comma 1, lettera b) (sigarette) l’onere fiscale minimo, di cui all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2011/64/UE del Consiglio, del 21 giugno 2011, è pari, per l’anno 2023, al 98,10 per cento della somma dell’accisa globale costituita dalle due componenti di cui alle lettere a) e b) del comma 3 del presente articolo e dell’imposta sul valore aggiunto calcolate con riferimento al “PMP-sigarette”; la medesima percentuale è determinata al 98,50 per cento per l’anno 2024 e al 98,60 per cento a decorrere dall’anno 2025».

Lo ius variandi è stato previsto esclusivamente per il calcolo dell’accisa specifica, ma non per la determinazione dell’OFM, che continua quindi a dipendere da una (alta) percentuale, stabilita di volta dal legislatore, sostanzialmente rapportata al “PMP-sigarette”.

Infine, con l’art. 1, comma 48, lettera a), numero 3), della legge n. 213 del 2023, si è modificato il comma 6 dell’art. 39-octies del d.lgs. n. 504 del 1995, aumentando ulteriormente la misura della percentuale da applicare ai fini del calcolo dell’OFM, determinandola «al 98,70 per cento per l’anno 2024 e al 98,80 per cento a decorrere dall’anno 2025».

4.‒ L’attuale meccanismo di determinazione dell’OFM presenta evidenti criticità in riferimento al principio di proporzionalità, dal momento che comprime eccessivamente e in modo non necessario la libertà di determinazione dei prezzi che la direttiva 2011/64/UE riconosce ai produttori di sigarette.

È pur vero che, come rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, la direttiva, in più punti, fa richiamo, ai fini del calcolo dell’accisa sulle sigarette, al “PMP-sigarette” (in particolare, negli artt. 8, paragrafo 4, e 10, paragrafo 2, e nel considerando n. 14); essa riconosce altresì la possibilità per gli Stati membri di introdurre l’OFM, a cui fa specifico riferimento ‒ senza però dettagliarne espressamente le modalità concrete con le quali può essere reso operativo ‒ nell’art. 7, paragrafo 4; infine, la direttiva dà anche rilievo all’esigenza di garantire «un livello elevato di protezione della salute, come richiesto dall’articolo 168 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, tenendo presente che i prodotti del tabacco possono nuocere gravemente alla salute» (considerando n. 2).

Tuttavia, queste previsioni devono essere interpretate alla luce delle finalità perseguite e tenendo conto degli specifici bilanciamenti operati dalla medesima direttiva.

Questa, infatti, riconosce un rilievo non marginale all’esigenza che «non [si] falsino le condizioni di concorrenza» (considerando n. 3), le quali «implicano un sistema di prezzi che si formino liberamente per tutti i gruppi di tabacchi lavorati» (considerando n. 10).

Coerente con questa finalizzazione della disciplina unionale è, in primo luogo, la previsione di cui all’art. 7, paragrafo 3, della direttiva, in base alla quale deve essere assicurato per le sigarette lo stesso rapporto tra l’accisa specifica e la somma dell’accisa ad valorem e dell’IVA, «in modo che la gamma dei prezzi di vendita al minuto rifletta equamente il divario dei prezzi di cessione dei produttori», nonché, in secondo luogo, quella di cui al paragrafo 4 del medesimo articolo, che precisa che l’OFM deve essere applicato «nella misura in cui ciò sia necessario», richiedendo, inoltre, che «la struttura mista della tassazione e la fascia dell’elemento specifico dell’accisa, ai sensi dell’articolo 8, siano rigidamente rispettate».

4.1.‒ Rispetto a questo quadro normativo unionale, cui il legislatore nazionale è tenuto a conformarsi, l’attuale meccanismo di calcolo dell’OFM stabilito dalle norme censurate risulta ‒ anche alla luce dei principi già affermati al riguardo dalla Corte di Giustizia e fortemente orientati a garantire il corretto funzionamento del mercato interno ‒ comprimere eccessivamente le esigenze di tutela della concorrenza.

Riguardo al meccanismo di indicizzazione al “PMP-sigarette” ‒ per cui l’OFM viene ogni anno rideterminato automaticamente, in via amministrativa con delibera del Direttore delle dogane e dei monopoli, in funzione del prezzo di vendita delle sigarette relativo all’anno precedente ‒ non è, infatti, possibile escludere il rischio prospettato dal rimettente, ovvero che, in un mercato oligopolistico come quello italiano, la misura dell’OFM finisca per essere condizionata dall’aumento dei prezzi provocato dalle multinazionali che dominano il mercato di fascia alta; ciò che si riverbera a danno di produttori di sigarette di fascia bassa, gravate tutte e indistintamente dal medesimo importo a titolo di OFM, mentre quelle di fascia alta, superando il cosiddetto prezzo di parità – ovvero la fascia di prezzo oltre l’OFM – rimangono sottoposte all’accisa ordinaria in ragione e in proporzione al prezzo di vendita al pubblico.

Inoltre, il livello di adeguamento al “PMP-sigarette” è stato fissato in una percentuale estremamente elevata, che è stata progressivamente aumentata per legge: dal 95,22 originariamente previsto per il 2019, al 96,22 per cento del 2020, al 98,10 per cento del 2023, al 98,70 per cento del 2024, al 98,80 dal 2025.

La combinazione di questi due fattori (l’indicizzazione al “PMP-sigarette” e l’aumento progressivo della percentuale dell’aliquota da applicare, che comporta un avvicinamento notevole dell’OFM al “PMP-sigarette”) sottopone al regime dell’OFM una fascia crescente del mercato delle sigarette. In altri termini, la crescita del rapporto tra l’OFM e il “PMP-sigarette” spinge oltremodo i produttori di fascia bassa ad aumentare i loro prezzi per salvaguardare i loro ricavi, mentre consente a quelli di fascia alta di innalzare anch’essi i loro prezzi senza perdere competitività: così, il “PMP-sigarette” aumenta e, data l’indicizzazione a quest’ultimo, aumenta ulteriormente anche l’OFM, innescando un effetto circolare che rafforza se stesso.

In tal modo, si determina la penalizzazione dei produttori di fascia bassa denunciata dall’ordinanza di rimessione e documentata dalle parti.

Si tratta di un effetto sproporzionato e non necessario rispetto alla finalità per cui la direttiva 2011/64/UE ha consentito di istituire l’OFM, che è quella di salvaguardare la salute, evitando che prezzi troppo bassi favoriscano il consumo, soprattutto nelle fasce della popolazione più esposta, come i giovani.

Il meccanismo censurato, infatti, innesca un automatismo che tende ad autoalimentarsi, incidendo drasticamente sul margine di guadagno delle sigarette vendute a un prezzo di “fascia bassa”, cioè al di sotto del “prezzo di parità”, con un effetto di protezione della “fascia alta” che va a sbilanciare fortemente, pregiudicandola, la finalità di tutela della concorrenza rispetto a quella, parimenti perseguita dal legislatore unionale, di tutela della salute.

4.2.‒ Tuttavia, la reductio ad legitimitatem, come detto, non può essere operata da questa Corte. Le modalità con cui ciò potrebbe avvenire risultano infatti molteplici, nonché espressive di diverse scelte di sistema, e sono rimesse in prima battuta alla discrezionalità del legislatore.

Lo spettro delle opzioni possibili spazia tra la soluzione ‒ verso la quale si è in effetti indirizzato l’attuale disegno di legge di «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2026 e bilancio pluriennale per il triennio 2026-2028», presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze, con l’art. 28, comma 1, lettera a), numero 3), ponendosi in linea con la scelta già compiuta, a suo tempo, dal d.lgs. n. 188 del 2014 ‒ di tornare a determinare l’OFM, a partire dal 2026, in una misura numerica (riferita al quantitativo di un chilogrammo convenzionale di sigarette) stabilita direttamente dalla norma primaria, eliminando, cioè, automatismi, e quella di ridurre in modo significativo l’aliquota prevista per l’OFM; entrambe queste soluzioni possono, peraltro, declinarsi secondo un’ampia gamma di possibili variabili all’interno di ciascuna di esse.

Fermo restando che la concreta determinazione dell’OFM deve essere informata a criteri di proporzionalità e di contemperamento dei ricordati obiettivi perseguiti dalla direttiva, il vasto terreno delle soluzioni possibili, e necessarie, determina quindi l’inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, «un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore (sentenze n. 71 del 2023, n. 96 e n. 22 del 2022, n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021)» (sentenza n. 190 del 2023).

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