Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevate, in riferimento agli artt. 13 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3, 7, 9 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima civile;
Vanno, altresì, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Con ordinanza iscritta al n. 193 del registro ordinanze 2024, il Tribunale di Firenze, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non prevede che anche la donna singola possa accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
1.1.- La norma censurata dispone che, «[f]ermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».
2.- Il giudice rimettente, dopo aver motivato la rilevanza delle censure sollevate, espone i motivi a sostegno della loro non manifesta infondatezza.
2.1.- L’art. 5 della legge n. 40 del 2004 violerebbe, anzitutto, gli artt. 2 e 13 Cost., poiché andrebbe a ledere «il diritto incoercibile della persona di scegliere di costituire una famiglia anche con gli non genetici» e, dunque, «[la] libertà di autodeterminazione con riferimento alle scelte procreative».
2.2.- Inoltre, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando una ingiusticata disparità di trattamento fra coppie e donne singole. All’interno, poi, di quest’ultima categoria, l’art. 5 della legge n. 40 del 2004 discriminerebbe le donne le cui risorse economiche non siano adeguate a sostenere i costi per potersi recare nei Paesi stranieri che prevedono l’accesso delle donne singole alla procreazione medicalmente assistita.
2.3.- Di seguito, il Tribunale di Firenze ravvisa un ulteriore vulnus in riferimento all’art. 32 Cost., sostenendo che il divieto di fare ricorso alle richiamate tecniche esporrebbe la donna singola al rischio di infertilità, ove si consideri l’incidenza del fattore temporale sulla fertilità biologica. 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270 11/25
2.4.- Inne, il rimettente reputa leso l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia agli artt. 8 e 14 CEDU, sia agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE, atteso che i citati parametri sovranazionali interposti riconoscerebbero il diritto di ogni persona all’autodeterminazione in ordine alla propria sfera privata e familiare, nonché la pretesa a non essere discriminati rispetto a quel diritto.
3.- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha sollevato due eccezioni di inammissibilità. In primo luogo, ha rilevato che le censure prospettate richiederebbero un intervento di questa Corte in una materia riservata alla «discrezionalità del legislatore».
In secondo luogo, ha obiettato che l’accoglimento delle questioni presupporrebbe una sentenza manipolativo-additiva, al di fuori dei casi previsti dalla giurisprudenza costituzionale. Non sarebbe, infatti, ravvisabile una soluzione costituzionalmente obbligata. Le eccezioni non sono fondate.
3.1.- Anzitutto, la riconducibilità di una materia a un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore è prolo che attiene al merito della controversia e non al rito (sentenze n. 260, n. 248 e n. 137 del 2020, n. 223 del 2019 e n. 41 del 2018).
3.2.- Quanto, poi, al ritenuto carattere additivo-manipolativo dell’intervento prospettato, occorre ribadire che, secondo questa Corte, per poter giungere a simile pronuncia è suciente rinvenire nel «sistema nel suo complesso […] “precisi punti di riferimento” e soluzioni “già esistenti” (sentenza n. 236 del 2016) […] immuni da vizi di illegittimità, ancorché non “costituzionalmente obbligat[i]”» (sentenza n. 222 del 2018). L’ammissibilità delle questioni non è, dunque, subordinata all’esistenza «di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto [alla] presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore» (sentenza n. 73 del 2023; negli stessi termini, sentenze n. 46 del 2024 e n. 34 del 2021).
Nell’odierno giudizio, il rimettente ha identicato, quale punto di riferimento del prospettato intervento additivo, il medesimo regime giuridico attualmente previsto per le coppie di diverso sesso, coniugate o conviventi. L’eccezione di inammissibilità non è, pertanto, fondata. 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270 12/25 4.- Sempre in rito, occorre, invece, rilevare d’ucio l’inammissibilità per difetto di motivazione della questione posta in riferimento all’art. 13 Cost.
Il giudice a quo evoca tale parametro, insieme con l’art. 2 Cost., lamentando il sacricio del «diritto incoercibile della persona di scegliere di costituire una famiglia anche con gli non genetici» e, dunque, la lesione della «libertà di autodeterminazione con riferimento alle scelte procreative». Orbene, se non vi è dubbio che la giurisprudenza costituzionale abbia oerto un’interpretazione di ampio respiro del concetto di libertà personale, d’altro canto, essa ha contemplato precise condizioni non solo sucienti, ma anche necessarie, anché questa Corte possa procedere a uno scrutinio nel merito di una questione sollevata in riferimento all’art. 13 Cost. (così, da ultimo, sentenza n. 203 del 2024).
Per evocare la lesione di detto parametro il giudice a quo è tenuto, dunque, ad assolvere all’onere di fornire una pur sintetica illustrazione delle ragioni idonee a far ravvisare nella compressione di una facoltà non corporea della persona una violazione della garanzia dell’habeas corpus.
Nel caso in esame, il rimettente si è limitato ad asserire in termini apodittici la violazione dell’art. 13 Cost., il che rende la censura palesemente inammissibile. 5.- Parimenti inammissibili, sempre per carenza di motivazione, sono, inne, le questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE. A dispetto della condizione cui è subordinata la possibilità di dedurre la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione a norme dettate dalla CDFUE – ovverosia, l’aerenza della controversia all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea (art. 51 CDFUE) – il giudice a quo omette qualsivoglia motivazione in proposito e non spiega le ragioni per cui sarebbero violati i richiamati artt. 3, 7, 9 e 35 CDFUE (ex plurimis, sentenze n. 183 e n. 5 del 2023, n. 34 e n. 28 del 2022). Anche tali questioni sono, dunque, inammissibili.
6.- Venendo ora al merito, occorre preliminarmente ricostruire i tratti caratterizzanti la disciplina della procreazione medicalmente assistita, evidenziando la ratio ispiratrice dei diversi interventi con i quali questa Corte ha inciso su tale normativa.
6.1.- La legge n. 40 del 2004 è stata plasmata intorno alla nalità di porre rimedio ai «problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270 13/25 umana» (art. 1, comma 1).
Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita viene consentito solo se sia constatata «l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione» e sempre che la sterilità o infertilità derivino da una «causa accertata e certicata da atto medico» o – qualora siano «inspiegate» – vengano «documentate da atto medico» (art. 4, comma 1).
La richiamata nalità si riette sui requisiti soggettivi previsti dal censurato art. 5 della legge n. 40 del 2004 per l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita: coppie di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, rispetto alle quali sia stato eettuato l’accertamento di sterilità o infertilità patologiche, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della medesima legge, cui l’art. 5 fa rinvio.
Inoltre, sempre quest’ultima disposizione prevede che le coppie siano maggiorenni, nonché coniugate o conviventi.
6.2.- Negli oltre due decenni trascorsi dalla sua entrata in vigore, la legge n. 40 del 2004 è stata sottoposta, numerose volte, al vaglio di legittimità costituzionale: talora rispetto a norme che, nel perseguire la ratio della disciplina, sono apparse lesive dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, nonché di diritti fondamentali, talaltra rispetto a norme che, proprio nel riettere la sua nalità, sono state ritenute irragionevolmente restrittive delle potenzialità insite nelle tecniche di PMA e lesive di diritti fondamentali. 6.2.1.-
Nella prima prospettiva si inquadra la sentenza n. 151 del 2009, che, a tutela della salute della donna, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 14 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui prevedeva, al comma 2, l’unico e contemporaneo impianto di un numero di embrioni non superiore a tre, nonché nella parte in cui non prevedeva, al comma 3, che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, dovesse essere eettuato senza pregiudizio della salute della donna.
Nel medesimo solco si colloca anche la sentenza n. 162 del 2014, che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili». Simile divieto è apparso un impedimento non soltanto irragionevole rispetto allo scopo di fare fronte proprio alle «patologie più gravi», ma anche non 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 proporzionato rispetto all’obiettivo di garantire una tutela al futuro nato.
L’interesse di quest’ultimo ad avere il patrimonio genetico di entrambi i genitori è stato ritenuto, infatti, privo di rilievo costituzionale, mentre quello a conoscere le proprie origini genetiche è stato adato alla tutela oerta dalla disciplina prevista in materia di adozione.
6.2.2.- Agli interventi della giurisprudenza costituzionale che hanno rimosso divieti irragionevoli e sproporzionati nel perseguire lo scopo della legge si aanca una prima decisione che ha accolto censure volte a sindacare la ragionevolezza delle stesse norme che riettono la nalità con cui la legge delimita e conforma la regolamentazione delle tecniche di PMA. In particolare, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 32 Cost., gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consentivano l’accesso alla PMA anche alle coppie fertili se «portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche» (sentenza n. 96 del 2015, seguita dalla sentenza n. 229 del 2015, che è intervenuta sull’apparato sanzionatorio correlato al divieto di eettuare diagnosi preimpianto).
L’estensione delle nalità della legge – dalla sola cura della sterilità o infertilità patologiche alla prevenzione del rischio di trasmissione di gravi malattie genetiche – è stata motivata, sulla scia di una pronuncia della Corte EDU (sentenza 28 agosto 2012, Costa e Pavan contro Italia), con l’esigenza di evitare, a tutela della salute della madre, il possibile ricorso, «innegabilmente più traumatic[o, alla] interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali».
6.2.3.- Di contro, questa Corte ha rigettato questioni di legittimità costituzionale, concernenti l’altra disposizione che riette le nalità perseguite dalla legge n. 40 del 2004, ovverosia l’art. 5. In particolare, la sentenza n. 221 del 2019 ha dichiarato non fondate – in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché a ulteriori parametri internazionali – le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 5, nella parte in cui non consente l’accesso alla PMA a coppie dello stesso sesso e, nello specico, a coppie di donne. Sono state, al contempo, rigettate le censure poste sull’art. 12, commi 2, 9 e 10 della 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 medesima legge, concernenti le previsioni sanzionatorie per il mancato rispetto dei criteri di accesso.
Questa Corte, dunque, ha escluso di poter intervenire estendendo la funzione delle tecniche di PMA da mero rimedio per le sterilità e infertilità patologiche a via di accesso alla procreazione per i casi di infertilità “siologica”. A fronte di un intervento che avrebbe signicativamente mutato la stessa ratio di una disciplina coinvolgente «”temi eticamente sensibili” (sentenza n. 162 del 2014)», questa Corte ha ritenuto di competenza «”primaria […] del legislatore” (sentenza n. 347 del 1998)» individuare «un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana» (sentenza n. 221 del 2019).
Di conseguenza, ha reputato di poter vericare solo che la scelta legislativa non violi in maniera manifesta il principio di ragionevolezza, il che è stato negato con riferimento all’art. 5 della legge n. 40 del 2004, vòlto ad assicurare al bambino che deve ancora nascere «quelle che, secondo la […] valutazione [normativa] e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”» (sempre sentenza n. 221 del 2019).
In pari tempo, la pronuncia ha escluso di poter limitare un proprio eventuale intervento all’ipotesi in cui entrambe (o almeno una fra) le donne della coppia, oltre a incontrare l’impedimento a procreare correlato alla mancanza del presupposto della diversità di sesso, risultino aette da cause di sterilità o infertilità patologiche. Si è, infatti, rilevato che, mentre la «presenza di patologie riproduttive è un dato signicativo nell’ambito della coppia eterosessuale, in quanto fa venir meno la [sua] normale fertilità», viceversa, rappresenta «una variabile irrilevante […] nell’ambito della coppia omosessuale, la quale sarebbe infertile in ogni caso».
7.- Giungono ora dinanzi a questa Corte censure non dissimili rispetto a quelle sopra richiamate, prospettate con riferimento alla donna singola, anziché alla coppia di donne. Nell’odierno giudizio sono, infatti, sollevate questioni di legittimità costituzionale sempre dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non comprende anche la donna singola fra coloro che possono avere accesso alle tecniche di PMA. 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69.
Occorre, a questo punto, precisare che la motivazione dell’ordinanza di rimessione non prospetta alcuna limitazione dell’intervento di questa Corte ai soli casi indicati dall’art. 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, come modicato dalla sentenza n. 96 del 2015, ovverosia alle ipotesi in cui la donna sia aetta da sterilità o infertilità patologiche o a quelle in cui rischi di trasmettere gravi malattie genetiche.
Il giudice a quo chiede un intervento additivo che consenta semplicemente l’accesso alla PMA alla donna singola, il che induce questa Corte a ritenere che l’obiettivo sia quello di prescindere dall’accertamento dei presupposti richiesti dall’art. 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, cui l’art. 5 della medesima legge fa espresso rinvio.
Questa Corte constata, dunque, che il petitum formulato dal giudice a quo non è riferibile ai soli casi di sterilità o infertilità patologica ovvero a quelli di trasmissibilità di malattie genetiche da parte di donne singole ed esclude, comunque, di poter delimitare un proprio eventuale intervento a donne che versino in dette situazioni. Come già evidenziato dalla sentenza n. 221 del 2019, «l’infertilità “siologica”» è, infatti, assorbente rispetto a ulteriori impedimenti.
8.- Chiarito il perimetro del thema decidendum, vanno esaminate, primariamente e congiuntamente, le censure poste in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU. Le questioni non sono fondate.
9.- Questa Corte, in linea con quanto già in precedenza aermato (sentenza n. 221 del 2019), ritiene che la discrezionalità del legislatore rinvenga un ambito di intervento elettivo nella perimetrazione teleologica della regolamentazione concernente l’accesso alla procreazione medicalmente assistita.
La materia coinvolge il delicato rapporto tra la funzione regolatoria propria del diritto e le potenzialità insite in una tecnica che, nel riguardare la procreazione, presenta rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riverberi sociali, riguardanti i rapporti interpersonali e familiari.
A questa Corte, dunque, compete unicamente accertare che non sia superato, in relazione all’interesse che si assume leso, l’argine della manifesta irragionevolezza e sproporzione, tenuto conto anche dell’evoluzione dell’ordinamento. 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270
9.1.- A tal ne, è opportuno ricostruire, anzitutto, le ragioni sottese alle scelte operate nel 2004 dal legislatore. Questi, nell’approntare una «prima legislazione organica» (sentenza n. 45 del 2005 ripresa dalla sentenza n. 221 del 2019), volta a sottrarre la procreazione medicalmente assistita a quello che è stato denito il limbo del non diritto, ha operato un bilanciamento di interessi, ispirato al principio di precauzione.
A fronte di tecniche idonee a condurre alla fecondazione dell’embrione prescindendo dal fatto naturale della procreazione, il legislatore ha cercato di non creare una distanza eccessiva rispetto al modello della generazione naturale della vita.
In pari tempo, ha inteso proteggere a priori l’interesse dei futuri nati, nella consapevolezza della diversità fra le tecniche di PMA e la dimensione intima, puramente privata, della procreazione naturale, che tollera solo discipline a posteriori a tutela del bambino oramai nato.
Per questo, il legislatore, da un lato, ha fatto riferimento a coppie rispondenti ai presupposti della procreazione naturale – coppie di diverso sesso, in età potenzialmente fertile, viventi – che in tanto possono accedere alle tecniche, in quanto siano aette da sterilità o infertilità patologiche o possano trasmettere malattie genetiche. Da un altro lato, nell’incertezza sui riessi che un simile cambiamento può avere sui futuri nati, il legislatore ha identicato, nel loro interesse, una soluzione di partenza ritenuta idonea a fornire la migliore tutela in astratto del minore.
Questa viene associata alla presenza di futuri genitori identicati nella coppia formata da individui maggiorenni – che, dunque, si presuppongono maturi – e unita da un legame aettivo, attraverso il matrimonio, secondo il paradigma familiare di cui all’art. 29 Cost., o attraverso la convivenza, secondo il modello riconducibile agli artt. 2 e 30 Cost. Si tratta di una soluzione che rinviene le condizioni di accesso nello stesso testo costituzionale, il quale, a sua volta, riette la straticazione di modelli sociali storicamente aermatisi.
9.2.- Nondimeno, essa non congura una scelta costituzionalmente obbligata, posto che la Costituzione non abbraccia solo modelli di famiglie composte da una coppia di genitori di diverso sesso uniti da vincoli aettivi. Questa Corte ha già in passato riconosciuto che la nozione stessa di famiglia «non si [può] ritenere “cristallizzat[a]” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché [è] dotat[a] della duttilità propria dei 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 princìpi costituzionali e, quindi, [va] […] interpretat[a] tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi» (sentenza n. 138 del 2010, che ha rigettato la possibilità di ascrivere le unioni tra persone dello stesso sesso all’art. 29 Cost., ma le ha annoverate tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost.). Al contempo, questa stessa Corte non ha escluso la «”capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali” (sentenza n. 221 del 2019)» (sentenza n. 230 del 2020).
Inne, con la sentenza n. 68 del 2025, questa Corte, in presenza di un bambino nato in Italia a seguito di una procedura di PMA eettuata all’estero da due donne nel rispetto della disciplina straniera – sulla cui base, se il bambino fosse nato all’estero, il vincolo genitoriale sarebbe stato riconosciuto in Italia anche nei confronti della madre intenzionale – ha ritenuto, nell’interesse del minore, che la madre intenzionale possa riconoscere il glio. 10.- Ferma restando, dunque, l’assenza di impedimenti costituzionali acché il legislatore estenda l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli indicati nell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, occorre a questo punto vericare se l’omessa considerazione della donna singola superi il vaglio della non manifesta irragionevolezza e sproporzione. 10.1.- L’interesse che si assume violato, in riferimento all’art. 2 Cost. e all’art. 8 CEDU, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., è quello all’autodeterminazione procreativa, ascrivibile in pari tempo alla tutela della vita privata.
Tale interesse non è espressione di una libertà che abbia la stessa latitudine di ciò che la tecnica potenzialmente consente, né fonda una pretesa costitutiva di un diritto alla genitorialità (sentenze di questa Corte n. 33 del 2025, n. 33 del 2021, n. 230 del 2020 e n. 221 del 2019; nonché Corte EDU, decisione 5 dicembre 2019, Petithory Lanzmann contro Francia, paragrafo 18; sentenze 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafo 141, e 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia, paragrafo 41; 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 121; 26 febbraio 2002, Fretté contro Francia, paragrafo 29).
Per converso, esso trova riconoscimento sia nell’art. 2 Cost. (sentenze n. 33 del 2025, n. 161 del 2023, n. 221 del 2019 e n. 162 del 2014) sia nell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, quale interesse a realizzare 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 la propria personalità in una dimensione relazionale che, in quanto tale, deve essere permeabile alla tutela degli altri interessi implicati nella medesima relazione (Corte EDU, sentenze 27 maggio 2021, Jessica Marchi contro Italia, paragrafo 60; 17 aprile 2018, Lazoriva contro Ucraina, paragrafo 66; 16 gennaio 2018, Nedescu contro Romania, paragrafo 66; 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragra 159, 161-165; 16 dicembre 2010, A, B e C contro Irlanda, paragrafo 212; grande camera, 10 aprile 2007, Evans contro Regno Unito, paragrafo 71).
L’autodeterminazione orientata alla genitorialità in tanto può far valere la propria vis espansiva, in quanto o tende a contrastare soluzioni «che, avendo riguardo al complesso degli interessi implicati, risultino irragionevoli e non proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito (sentenza n. 221 del 2019)» (sentenza n. 33 del 2025) o contribuisce a sostenere un giudizio di irragionevolezza delle stesse norme che riettono le nalità cui si ispira il legislatore, nella considerazione di tutti gli interessi coinvolti.
10.2.- Ebbene, la scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un glio in un contesto che, almeno a priori, implica l’esclusione della gura del padre è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati.
Pertanto, rispetto all’esigenza di tutelare questi ultimi, la conseguente compressione dell’autodeterminazione procreativa della donna singola non può, nell’attuale complessivo quadro normativo, ritenersi manifestamente irragionevole e sproporzionata.
In senso contrario non vale evocare la soluzione di recente adottata da questa Corte, a fronte della richiesta di una donna di procedere all’impianto di un embrione crioconservato, quando medio tempore sia venuto meno il legame aettivo con il padre, il quale chieda di poter revocare il proprio consenso (sentenza n. 161 del 2023).
L’assetto di interessi che si delinea nell’accesso alle tecniche di PMA non è, infatti, sovrapponibile a quello che emerge nello svolgimento della pratica giunta oramai all’avvenuta fecondazione dell’embrione. Anzitutto, in quest’ultimo caso, la norma che consente di addivenire all’impianto, reputando irrevocabile il consenso paterno, non sacrica l’interesse in eri del minore ad avere le tutele giuridiche che discendono dalla paternità.
Inoltre, essa non risponde alla pura autodeterminazione della donna, poiché il consenso di quest’ultima all’impianto porta a compimento una procedura in ragione della quale ella stessa si è esposta a 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 un rischio per la propria salute e in virtù della quale, essendo stato già formato l’embrione – che «ha in sé il principio della vita» e, come tale, è attratto nell’ampio abbraccio dell’art. 2 Cost. (sentenze n. 161 del 2023, n. 84 del 2016 e n. 229 del 2015) – il medesimo può giungere alla nascita.
In denitiva, questa Corte non ritiene che il solo interesse orientato alla genitorialità della donna possa evidenziare la manifesta irragionevolezza e sproporzione di una scelta legislativa che, nel solco del principio di precauzione, si fa carico soprattutto dell’interesse dei futuri nati. Questo vale tanto più in un contesto giuridico come quello presente, che non sacrica radicalmente l’interesse orientato verso la genitorialità delle persone singole.
Proprio questa Corte ha di recente rimosso, con riferimento all’adozione internazionale, il divieto che impediva alle persone singole di sottoporsi al giudizio di idoneità a adottare (sentenza n. 33 del 2025). Simile possibilità, oerta dall’istituto dell’adozione, non contraddice la non manifesta irragionevolezza e sproporzione delle cautele adottate dal legislatore nel caso della procreazione medicalmente assistita.
Nell’ipotesi dell’adozione, infatti, l’autodeterminazione delle persone singole converge verso lo stesso interesse del minore riesso nella nalità perseguita con l’istituto adottivo.
A fronte di bambini e di ragazzi in stato di abbandono per i quali l’alternativa all’adozione è quella di restare in contesti non paragonabili a un ambiente familiare stabile e armonioso, il puro divieto frapposto alle persone singole è un mezzo non proporzionato a perseguire il loro miglior interesse, anche a fronte di quello alla bigenitorialità, che al più potrebbe giusticare, a favore delle coppie, un criterio di tipo preferenziale.
Inoltre, nel caso dell’istituto adottivo l’interesse del minore è direttamente assicurato dall’accertamento giudiziale in concreto operato sull’idoneità dell’aspirante adottante a garantire un ambiente stabile e armonioso ed è il criterio ermeneutico che orienta tutte le fasi del procedimento.
10.3.- Alle medesime conclusioni cui si perviene con riferimento alla lesione dell’autodeterminazione di cui all’art. 2 Cost., si giunge avendo riguardo anche al diritto alla vita privata di cui all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU. La discrezionalità che questa Corte riconosce al legislatore nel regolare i criteri di accesso alla procreazione medicalmente assistita trova corrispondenza nell’ampio margine di apprezzamento che la Corte di 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 Strasburgo lascia agli Stati aderenti sia nella decisione concernente l’an della regolamentazione sia nell’individuazione del punto di equilibrio fra i vari interessi implicati (Corte EDU, sentenze 8 dicembre 2022, Pejřilová contro Repubblica Ceca, paragrafo 43; 5 maggio 2022, Lia contro Malta, paragrafo 60; 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria, paragrafo 97; 10 aprile 2007, Evans contro Regno Unito, paragra 81 e 82).
Questo non comporta, anche per la Corte EDU, un esonero da qualsivoglia giudizio sull’operato degli Stati, ma prelude a un vaglio che – al pari di quello esercitato da questa Corte – presuppone la previa valutazione degli argomenti che hanno ispirato le scelte eettuate dal legislatore, onde poter vericare se sia stato raggiunto un corretto punto di equilibrio tra gli interessi perseguiti dallo Stato e quelli direttamente interessati da tali scelte legislative («to examine carefully the arguments taken into consideration during the legislative process and leading to the choices that have been made by the legislature and to determine whether a fair balance has been struck between the competing interests of the State and those directly aected by those legislative choices», così Corte EDU, sentenza 5 maggio 2022, Lia contro Malta, paragrafo 61).
Non si tratta di indagare se il singolo Stato avrebbe potuto adottare una soluzione dierente, ma se, nel compiere la scelta sottoposta a scrutinio, abbia ecceduto rispetto al margine di apprezzamento a esso riconosciuto («the central question in terms of Article 8 of the Convention is not whether a dierent solution might have been adopted by the legislature that would arguably have struck a fairer balance, but whether, in striking the balance at the point at which it did, the Czech legislature exceeded the margin of appreciation aorded to it under that Article», così Corte EDU, sentenza 8 dicembre 2022, Pejřilová contro Repubblica Ceca, paragrafo 55).
L’ampiezza di simile margine comporta, dunque, che una violazione dell’art. 8 CEDU sia riscontrabile solo a fronte di legislazioni che condizionino in modo manifestamente irragionevole l’esercizio del diritto al rispetto della vita privata, realizzando un contemperamento del tutto squilibrato tra gli interessi privati e le nalità perseguite dallo Stato. Una violazione in tal senso è stata ravvisata a fronte del diniego di ricorrere alla PMA opposto a una coppia, in quanto uno dei componenti era detenuto (grande camera, sentenza 4 dicembre 2007, Dickson contro Regno Unito) o nel caso del divieto di accesso alla PMA opposto a una coppia, in quanto la donna aveva quarantatré anni, mentre la disciplina sull’età potenzialmente fertile riteneva 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 “auspicabile” il rispetto del limite dei quarantadue (sentenza 5 maggio 2022, Lia contro Malta).
È stato, invece, escluso un contrasto con l’art. 8 CEDU rispetto al divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legislazione austriaca (sentenza 3 novembre 2011, S.H. e altri contro Austria), così come con riguardo al divieto di fecondazione post mortem disposto in Francia e nella Repubblica Ceca (sentenze 14 settembre 2023, Baret e Caballero contro Francia, e 8 dicembre 2022, Pejřilová contro Repubblica Ceca). Alla luce dei richiamati orientamenti, la scelta operata dal legislatore italiano nel non consentire l’accesso alla PMA alla donna singola risulta, dunque, rientrare nel margine di apprezzamento dello Stato e, di riesso, non lede l’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
11.- Evidenziata la non fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, è parimenti non fondata la censura concernente l’art. 32 Cost.
Il giudice fa discendere la lesione della salute della donna dal trascorrere del tempo e dal conseguente rischio di superare l’età siologicamente fertile. Sennonché, l’infertilità per ragioni di età non può reputarsi di natura patologica e, pertanto, non può attrarre la tutela propria del diritto alla salute. Parimenti, non vale richiamare il coinvolgimento della salute psichica, che certamente è ascrivibile alla tutela di cui all’art. 32 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 161 del 2023 e n. 162 del 2014), ma che non può essere dilatata sino ad abbracciare il senso di delusione per la mancata realizzazione di un altro tipo di interesse, qual è l’autodeterminazione orientata alla genitorialità (sentenza n. 221 del 2019).
12.- Venendo ora alle questioni poste in riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo evoca una disparità di trattamento in relazione a due distinti proli.
12.1.- Anzitutto, il rimettente lamenta una disciplina irragionevolmente dierenziata nella comparazione fra la categoria delle donne singole e quella delle coppie di diverso sesso.
La richiamata censura può essere esaminata congiuntamente a quella che viene sollevata nei confronti dell’art. 14 CEDU, in correlazione con l’art. 8 CEDU e per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., che – in base alla giurisprudenza della Corte EDU – vieta di trattare in maniera diversa, senza 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270 23/25 giusticazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovino in situazioni comparabili, evidenziando un intento discriminatorio.
Ebbene, alla luce della ratio dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004 e dell’intera disciplina che regola le tecniche di PMA, la categoria delle donne singole e quella delle coppie eterosessuali non risultano omogenee e, pertanto, non richiedono il medesimo trattamento. Come si è già sopra evidenziato, la legge n. 40 del 2004 indirizza le tecniche di PMA verso l’obiettivo di orire un rimedio alla sterilità o infertilità che abbiano una causa patologica, non rimovibile tramite «altri» metodi terapeutici (sentenze n. 221 del 2019, n. 96 del 2015 e n. 162 del 2014).
L’infertilità siologica della donna singola non è omologabile a detta situazione, sicché la disomogeneità dei due gruppi di ipotesi non determina una irragionevole disparità di trattamento.
In tal senso, si è specicamente espressa anche la Corte EDU in riferimento all’art. 14 CEDU. Proprio con riguardo alla disciplina della procreazione medicalmente assistita, infatti, ha ritenuto che, se una legge nazionale riserva tali tecniche a coppie eterosessuali sterili o non fertili, attribuendo loro una nalità terapeutica, non può simile scelta essere considerata fonte di una discriminazione di chi naturaliter non può procreare, in quanto le situazioni poste a confronto non risultano paragonabili alla luce della ratio della disciplina (Corte EDU, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia).
12.2.- Da ultimo, il giudice a quo denuncia una disparità di trattamento correlata alle condizioni economiche delle donne, poiché l’attuale disciplina dei requisiti soggettivi di accesso favorirebbe le donne singole più abbienti, che possono far ricorso alle tecniche di PMA all’estero, mentre a quelle meno abbienti simile itinerario risulterebbe precluso.
Anche questa censura non è fondata. La lamentata diversità di trattamento non è imputabile alla disciplina statale censurata, ma è semmai la naturale conseguenza della presenza di legislazioni straniere che dettano dierenti regole.
Questa Corte ha già in passato evidenziato che, in assenza di altri vulnera costituzionali, «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione». Diversamente, «la disciplina interna dovrebbe 30/05/25, 13:10 EIUS – Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 2025, n. 69 https://www.eius.it/giurisprudenza/2025/2738270 24/25 essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia» (sentenza n. 221 del 2019).
13.- In conclusione, nell’attuale complessivo contesto normativo, non sono fondate, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola l’accesso alla procreazione medicalmente assistita.