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Famiglia – Filiazione – Divorzio – Assegno divorzile, natura compensativa e perequativa

by Dott. Paolo Felix Lurich
15 Luglio 2025
in Diritto Civile
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 Corte di Cassazione civile, Sez. I civile, ordinanza 16  giugno 2025, n. 16083

PRINCIPIO DI DIRITTO

L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.

TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE 

Con un primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 5, comma 6, legge n. 898/1970 e successive modificazioni, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto che il giudice di legittimità avrebbe accolto il ricorso per cassazione solo con riguardo ai profili strettamente attinenti alla quantificazione dell’assegno divorzile, disattendendo implicitamente ogni contestazione in ordine all'”an”. Si lamenta che il giudice del rinvio non avrebbe proceduto ad una lettura unitaria del disposto normativo in conformità agli orientamenti giurisprudenziali affermati con la decisione della cassazione a S.U. n.18287/18 e non avrebbe quindi considerare che l’assegno divorzile va, dunque, attribuito e quantificato facendo applicazione in posizione equiordinata dei parametri previsti dall’art. 5, comma 6.

Con un secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 5, comma 6, legge n. 898/1970 e successive modificazioni, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte di appello enfatizzato, per un verso, il divario economico patrimoniale tra i coniugi (criterio assistenziale), valutandolo in maniera del tutto atomistica rispetto agli altri criteri; e, per altro verso, sul piano propriamente perequativocompensativo, per aver omesso di verificare il concreto sacrificio sopportato dal coniuge economicamente più debole per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali.

Ci si duole che la sentenza della Corte territoriale si sarebbe seccamente discostata dai principi appena enunciati, giacché avrebbe giustificato l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile, nella misura indicata, in funzione compensativa-perequativa, sulla scorta del significativo squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi e di una valorizzazione dell’attività endofamiliare svolta dalla B.B., senza, però, dare minimamente conto della sussistenza di un nesso causale tra tale attività e l’intervenuto aggravamento del divario economico tra le parti.

Con un terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per mancanza, apparenza ed apoditticità della motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Si sostiene che il giudice di merito, nel riconoscere l’assegno divorzile in favore della ricorrente/appellante nella misura di Euro 250,00 mensili, avrebbe richiamato una serie di elementi (quali la durata del matrimonio, l’età dell’appellante, il contributo offerto dalla stessa alla vita familiare, etc.) apparentemente idonei a motivare o giustificare la decisione adottata, di fatto, però, inidonei a rivelarne la ratio decidendi, essendo stati indicati o richiamati in maniera atomistica e senza alcuna complessiva disamina logico-giuridica: con riferimento alla durata del matrimonio, ad esempio, il Giudice di merito non avrebbe espresso alcuna valutazione, non comprendendosi dalla motivazione se il Collegio avesse considerato il matrimonio, particolarmente breve o lungo; con riferimento al contributo offerto dalla ricorrente/appellante lo stesso Giudice non avrebbe indicato con quali modalità ed in quale misura la stessa avesse contribuito alla formazione e all’incremento del patrimonio dell’altro coniuge, limitandosi a riferire che la B.B. avrebbe contribuito alla “serenità del marito”.

Si denuncia che la motivazione espressa in ordine alla rilevata incapacità lavorativa della richiedente a procurarsi i mezzi necessari per sopperire alle sue necessità sarebbe totalmente apodittica senza valutare, in concreto, le sue potenzialità professionali e reddituali.

Con un quarto motivo si censura la decisione sotto il profilo dell’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per avere la Corte di appello non considerato la disponibilità da parte della sig.ra B.B., di una stabile abitazione, l’assenza di problemi relativi allo stato di salute della richiedente, tali da giustificare una misura reddituale di sostegno; l’inerzia della ex coniuge nella ricerca di un impiego. In relazione alla durata del matrimonio, la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe omesso di valutare la circostanza che la breve durata dello stesso non poteva incidere in alcun modo sulle realistiche aspettative personali e professionali della B.B.

Il primo motivo è infondato.

La pronuncia rescindente, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha cassato la decisione della Corte di appello unicamente sotto il profilo della quantificazione che era stata determinata in modo non coerente con il principio di diritto espresso dalle S. U. e con la continuità che ad esso hanno dato in larga prevalenza le pronunce della sezione evidenziando che era stata omessa l’effettiva comparazione tra la situazione economico-patrimoniale e reddituale delle parti agli effetti dello spostamento dovuto all’ammontare non modesto dell’assegno in proporzione ad esse, così come era mancata una correlazione dell’ammontare con la durata del matrimonio e una valutazione delle potenzialità reddituali della ex moglie correlate alla sua qualificazione professionale e alle disponibilità immobiliari della stessa. Il Giudice del rinvio ha pertanto correttamente interpretato la portata della pronuncia rescindente evidenziando l’esatto ambito del dictum della cassazione sottraendosi alle critiche mosse dal ricorrente che si rivelano pertanto infondate.

Il secondo, terzo e quarto motivo che meritano un vaglio congiunto per l’intima connessionesono in parte infondati e in parte inammissibili.

Il Giudice del rinvio ha spiegato, con motivazione che si colloca ben al di sopra del minimo costituzionale, le ragioni che lo hanno condotto ad attribuire in favore dell’ex coniuge un assegno divorzile nella misura di Euro 250,00 riconoscendo ad esso una natura in parte assistenziale e in parte compensativa. Giova ricordare che “L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.” (Cass. n. 35434/2023).

Occorre un accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall’ex coniuge all’organizzazione della vita familiare, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non può procurarseli per ragioni oggettive.

L’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge.

Ciò premesso, la Corte di appello ha preso in esame le posizioni economiche delle parti rilevando un divario significativo giacchè ,da un lato, l’appellata era risultata priva di redditi e poteva contare unicamente sull’ospitalità del genitori, dall’altro, l’ex coniuge godeva di un reddito che oscillava fra Euro 17.000,00 ed Euro 18.000,00 (con la sola eccezione dell’anno 2020 dove il reddito dichiarato è di Euro 11.000,00) ed era altresì titolare di diversi compendi immobiliari che potevano essere messi a reddito. Ha poi rilevato che in base alla divisione dei ruoli operata dalla coppia, la richiedente aveva abbandonato il lavoro presso l’azienda amministrata dal marito (circostanza, questa, incontestata tra le parti) subito dopo il matrimonio, dedicandosi esclusivamente alla cura della famiglia. Apporto questo che, se pur non aveva contribuito alla crescita del patrimonio familiare, aveva comunque garantito al marito un certo benessere.

Il Giudice del rinvio ha poi messo in risalto come l’assunzione su di sé, da parte della B.B. del peso prevalente della cura della casa nel corso della vita matrimoniale, avesse consentito all’altro coniuge di dedicarsi al proprio lavoro, giustificando ora la necessità, in presenza di una rilevante disparità nella situazione patrimoniale degli ex coniugi, di un riequilibrio delle loro posizioni attraverso il riconoscimento di un assegno divorzile in funzione perequativa prevista dall’art. 5, comma 6, L. 898/1970.

Lo svolgimento in via esclusiva dell’attività di casalinga da parte della moglie ha infatti rappresentato per il nucleo familiare un risparmio di spesa di cui si è inevitabilmente avvantaggiato anche il marito. È in considerazione di questo vantaggio che il giudice di rinvio qualifica in termine di benessere, e della durata definita” non irrisoria” del matrimonio (6 anni) che è stato riconosciuto – in un’ottica di giustizia distributiva all’interno della famiglia- l’assegno divorzile in funzione in parte compensativa ed in parte assistenziale stante l’attuale assenza di redditi in capo alla richiedente.

Sotto quest’ultimo profilo ha evidenziato che l’inadeguatezza dei mezzi era dipesa per la gran parte “da ragioni oggettive legate all’ età e alla sua fuoriuscita dal mercato del lavoro per scelta condivisa con il coniuge”. In questo quadro le censure dirette a far valere l’omessa valutazione di fatti quali la disponibilità di un alloggio da parte della richiedente l’assenza di problemi relativi allo stato di salute della richiedente e l’inerzia della ex coniuge nella ricercadi un impiego sono inammissibili trattandosi di fatti presi in esame nella decisione rescissoria e comunque inidonei a determinare un esito diverso del giudizio.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato. Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione della B.B. che è rimasta intimata.

 

 

 

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