Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 17 settembre 2025 n. 25473
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va contemperato il prioritario interesse del minore, in ogni caso, con il diritto del genitore che trova tutela nell’art. 30 Cost. e che può essere sacrificato soltanto in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore; a tale valutazione globale, da effettuarsi sulla base delle concrete emergenze di ogni singola vicenda processuale, non si sottrae il vaglio della personalità del richiedente, nella misura in cui rifluisce con l’esigenza di uno sviluppo equilibrato del figlio
Va, pertanto, improntata l’indagine giudiziale volta all’affidamento condiviso del figlio ai genitori, in via prioritaria alla luce della verifica della rispondenza del riconoscimento all’interesse superiore del minore, sebbene l’art. 250 c.c. tuteli congiuntamente sia l’interesse del genitore al riconoscimento, sia quello del minore a sperimentare la bigenitorialità.
Va ritenuto, di conseguenza, non violato l’art. 8 CEDU, posto che il superiore interesse del minore può a volte comportare la soccombenza del principio-famiglia inteso quale relazione affettiva reciproca genitore-figlio in presenza di circostanze eccezionali.
Risultano integrate le succitate circostanze eccezionali quando il padre abbia riportato condanna irrevocabile per il reato di pedofilia nei confronti dei figli, compreso quello per il quale è richiesto l’affidamento congiunto, in quanto la Corte EDU ha precisato che il preminente interesse del minore può agire in funzione correttiva del principio di bigenitorialità – pure riconosciuto dal diritto europeo (art. 24, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e internazionale (art. 9, comma 3, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo; art. 5 della Convenzione europea del 15 maggio 2003), ma anche di diritto interno (art. 337 ter c. c.) – e ciò quante volte la relazione del minore con uno dei due genitori dovesse risultare di pregiudizio al suo sviluppo fisiopsichico o addirittura siffatta relazione dovesse venire rifiutata dallo stesso minore nell’esercizio del suo potere di autodeterminazione (Corte EDU 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, ric. n.68884/13, spec. par. 66).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 250 c.c., della sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013 e della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo n. 33783/2009, per avere la Corte territoriale svolto un giudizio, non richiesto dal paradigma normativo, sulla capacità genitoriale del ricorrente.
In particolare, la decisione sarebbe stata assunta esclusivamente sulla base della sua situazione penale, senza considerare se le criticità rilevate nella figura paterna, poste in comparazione con il sacrificio del suo diritto al riconoscimento dello status di genitore e del corrispondente diritto del figlio, giustificassero effettivamente l’esclusione di tale status.
- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per non avere la Corte distrettuale, nel condannarlo alle spese, fatto corretta applicazione del principio di soccombenza.
- È preliminare delibare l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla parte controricorrente e contestata dal ricorrente. La stessa è infondata.
8.1. Benché in passato talune pronunce avessero ritenuto valida la notificazione telematica anche nell’ipotesi di “casella piena”, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno definitivamente chiarito che, laddove il sistema restituisca un avviso di mancata consegna, ancorché dovuto a causa imputabile al destinatario, la notificazione non può dirsi perfezionata, essendo a tal fine necessaria la generazione della Ricevuta di Avvenuta Consegna (RdAC). La gestione della casella di posta elettronica ricade certamente nella sfera di responsabilità del destinatario, ma non esonera il notificante dall’onere di reiterare la notificazione secondo le modalità ordinarie previste dagli artt. 137 ss. c.p.c., al fine di completare validamente il procedimento notificatorio.
In tal caso, il notificante potrà comunque avvalersi, ai fini del rispetto del termine decadenziale a lui sfavorevole, del momento in cui l’atto è stato originariamente inviato a mezzo PEC, così come attestato dalla Ricevuta di Accettazione (RdA), seppur esitata con avviso di mancata consegna per causa imputabile al notificatario (cfr. Cass., Sez. Un., n. 28452/2024).
- Il primo motivo appare infondato.
9.1.È preliminarmente opportuno rilevare che il prioritario interesse del minore va in ogni caso contemperato con il diritto del genitore che trova tutela nell’art. 30 Cost. e che può essere sacrificato soltanto in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore a tale valutazione globale, da effettuarsi sulla base delle concrete emergenze di ogni singola vicenda processuale, non si sottrae il vaglio della personalità del richiedente, nella misura in cui rifluisce con l’esigenza di uno sviluppo equilibrato del figlio (Cass. n. 18600/2021; Cass. n. 7762/2017; Cass. n. 23674/2005).
9.2. Nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha fatto corretto governo dei suesposti principi, confermando la decisione del giudice di primo grado, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento del figlio naturale proposta dal A.A.
9.3. Tale esito è stato raggiunto sulla base del complessivo quadro probatorio, acquisito al suo esame e della cui valutazione ha dato conto con motivazione adeguata ed esaustiva. In particolare, il convincimento del giudice, insindacabile nel merito da questa Corte, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, si è fondato non solo sulla natura particolarmente grave dei reati commessi, sulla vulnerabilità della persona offesa, e sulla reiterata condotta violenta posta in essere nei confronti della stessa, ma altresì sulla “spiccata capacità a delinquere” riconosciuta in sede penale, sulla diagnosticata dipendenza ossessiva dalla pornografia, sull’incapacità di contenere le proprie pulsioni sessuali e istinti pedofili, nonché sul rischio concreto di recidiva espressamente segnalato dal Tribunale di Sorveglianza.
9.4. In tale contesto, l’eventuale riconoscimento da parte del padre naturale non solo non apporterebbe alcun beneficio al minore, ma, anzi, risulterebbe suscettibile di incidere negativamente sul suo attuale sviluppo psico-fisico.
9.5. Pertanto, sebbene l’art. 250 c.c. tuteli congiuntamente sia l’interesse del genitore al riconoscimento, sia quello del minore a sperimentare la bigenitorialità, l’indagine giudiziale deve essere improntata in via prioritaria alla verifica della rispondenza del riconoscimento all’interesse superiore del minore (cfr. Cass. 23074/2005).
9.6. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che il minore, come emerge dalla motivazione del provvedimento impugnato, risulta adeguatamente accudito dalla madre, ben inserito nel contesto dell’asilo nido, privo di problematiche comportamentali, descritto come “molto sereno”, “curato e pulito”, e “felice quando sono presenti i due fratelli”, laddove il riconoscimento paterno non comporterebbe alcun vantaggio per il minore, ma anzi determinerebbe un rischio concreto di compromissione del suo sereno sviluppo.
9.7. Non ricorre, pertanto, la lamentata violazione dell’art. 8 CEDU posto che secondo la Corte EDU (cfr. 31 maggio 2016 – Ricorso n. 76823/12 – Alle Fall Gueye c. Italia) il superiore interesse del minore può a volte comportare la soccombenza del principio-famiglia inteso quale relazione affettiva reciproca genitore-figlio in presenza di circostanze eccezionali quali quelle accertate dalla Corte d’Appello e riguardanti la relazione fra il ricorrente e la minore parte offesa dei reati per i quali egli ha riportato condotta irrevocabile; quali, altresì, il rapporto con la figlia D.D., che sebbene ormai maggiorenne, è stata comunque affidata ai Servizi sociali nell’ambito del procedimento per decadenza dalla responsabilità genitoriale proposto nei confronti del medesimo e pure ritenuto rilevante dalla Corte di merito atteso che a seguito dello stesso era stato ritenuto necessario mantenere il costante monitoraggio degli incontri padre-figlia.
9.8. La Corte EDU ha pure precisato che il preminente interesse del minore può agire in funzione correttiva del principio di bigenitorialità – pure riconosciuto dal diritto europeo (art. 24, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e internazionale (art. 9, comma 3, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo; art. 5 della Convenzione europea del 15 maggio 2003), ma anche di diritto interno (art. 337 ter c. c.) – e ciò quante volte la relazione del minore con uno dei due genitori dovesse risultare di pregiudizio al suo sviluppo fisiopsichico o addirittura siffatta relazione dovesse venire rifiutata dallo stesso minore nell’esercizio del suo potere di autodeterminazione (Corte EDU 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, ric. n.68884/13, spec. par. 66).
9.9. La Corte d’Appello ha poi escluso proprio sulla base della documentazione fornita dal ricorrente e cioè la concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali in relazione alla condotta penale inflittagli, che il ricorrente abbia superato le gravi criticità relative al rapporto con la pornografia e la sessualità, confermando in proposito la rilevanza ostativa al riconoscimento della circostanza evidenziata dal Tribunale di sorveglianza sul rischio di recidiva.
Tutto ciò conferma la complessiva considerazione di tutti gli aspetti concretamente emersi e, ulteriormente la non pertinenza del richiamo alla sentenza della Corte cost. n.278/2013 in materia di adozione, per contestare il bilanciamento operato dal giudice del merito.
- Il secondo motivo va dichiarato inammissibile.
10.1.Per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle stesse.
10.2.Il sindacato della Corte di cassazione è, dunque, limitato ad accertare che non sia stato violato detto principio – circostanza che, nel caso di specie, non si è verificata, esulandovi sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi) sia la relativa quantificazione, ove quest’ultima non ecceda i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti, che restano appannaggio del potere discrezionale del giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 9860/2025; Cass. n. 19613/2017; Cass. n. 8421/2017; Cass. n. 13229/2011; Cass. n. 25270/2009; Cass. n. 406/2008).
- Il ricorso va quindi respinto.
- In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore della controparte e liquidate come in dispositivo.
- Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.