Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, sentenza 10 ottobre 2025 n. 33538
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va ritenuta penalmente rilevante la condotta del partner che non convive ancora con i figli del compagno, ma pone in essere istigazioni, a lui rivolte, a condotte maltrattanti di minori con quest’ultimo conviventi.
Infatti, trovano applicazione le regole del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen., sicché essendo stata l’imputata descritta come l’istigatrice dei maltrattamenti posti in essere dal compagno, ancora prima dell’inizio della sua convivenza con i minori, è sufficiente che l’elemento della convivenza ricorra solo nei confronti del padre, autore materiale delle condotte.
Ciò in quanto le condotte maltrattanti erano poste in essere per obbedire pedissequamente alle richieste ed alle sollecitazioni provenienti dalla compagna per pretesi intenti educativi, correttamente valutati come palesemente inappropriati ed incompatibili con un qualunque ragionevole metodo pedagogico.
Il legame familiare che costituisce il presupposto del reato di cui all’art. 572 cod. pen. risulta comunque sussistente ed è ascrivibile all’imputato a titolo di concorso nel reato, anche prima dell’Inizio della sua convivenza con i minori vittime dei maltrattamenti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è nel suo complesso infondato per la genericità dei motivi dedotti ed in parte per la loro infondatezza.
Il primo, terzo e quarto motivo, articolati in plurimi profili di censura, sono inammissibili perché con essi la ricorrente ripropone le stesse questioni articolate nei motivi di appello, che non si ritiene di dovere analizzare partitamente, trattandosi di deduzioni che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza da parte di questa Corte, non consentita in sede di legittimità (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Ed infatti, è stato più volte ribadito che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
Si tratta di censure che investono unicamente la ricostruzione del fatto, attraverso una diversa ed alternativa lettura delle risultanze istruttorie, riproducendo gli stessi motivi che hanno costituito l’oggetto delle censure di merito avanzate in sede di appello, già esaminate e respinte con adeguata motivazione immune da vizi logici.
La ricorrente, infatti, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, procede ad una rivalutazione dei fatti, che muove dalla ritenuta inattendibilità delle persone offese, contraddetta dalle risultanze valorizzate nel giudizio di merito.
In tal modo, vengono del tutto ignorate le ragioni in fatto ed in diritto poste a base dell’affermazione di responsabilità, adeguatamente illustrate nelle sentenze di merito, da cui emerge come le condotte ascritte all’imputata sono state accertate perché riscontrate da prove testimoniali dirette ed indirette e dai referti medici attestanti le lesioni patite.
Innanzitutto, il ricorso non si confronta con la precisa ricostruzione della genesi delle indagini necessaria ad evidenziare la piena attendibilità dei due minori, che lungi dall’enfatizzare le accuse rivolte nei confronti della imputata e del padre avevano tenuto un comportamento reticente, negando dapprima i fatti, emersi nella loro veridicità inizialmente solo per le contraddizioni dei due adulti e per la dinamica degli eventi che hanno poi portato ad allontanare i due minori dalla coppia, per collocarli in un ambiente protetto, con il conseguente mutato atteggiamento degli stessi minori, i quali, una volta liberati dal timore di riferire il sistema di vita al quale erano stati costretti e dal quale temevano di non potersi affrancare, hanno iniziato a descrivere i maltrattamenti subiti ad opera del padre e della sua nuova compagna, odierna imputata.
Tutte le pretese sottovalutazioni delle testimonianze che avrebbero dimostrato l’inattendibilità dei due minori sono state analiticamente affrontate nelle sentenze dei primi due gradi di merito che hanno fornito una logica spiegazione della mancanza di un intervento più tempestivo da parte del corpo insegnanti che non aveva inizialmente dato peso agli evidenti sintomi di disagio manifestati dai due minori, finché per la rilevata presenza di tumefazioni e per le incongruenti spiegazioni fornite dal padre e dalla sua compagna, è stato possibile disvelare i fatti attraverso l’audizione dei minori nelle forme previste per garantirne una maggiore serenità compatibilmente con le emerse condizioni di grave sofferenza psicologica.
Le ulteriori considerazioni sull’isolamento nel quale i due ragazzi erano costretti a vivere, essendo stato loro impedito di frequentare i nonni, o di vedere altri coetanei o di avere momenti di socialità (proseguire attività sportive) rendono evidente la completezza della disamina delle risultanze probatorie operate nella sentenza di appello ed il superamento delle censure difensive che non possono essere rivalutate in sede di legittimità, in assenza di vizi logici o travisamenti delle prove.
- In relazione al secondo motivo attinente alla dedotta carenza della convivenza e del carattere abituale delle condotte violente, deve osservarsi che anche con riferimento ai fatti antecedenti al gennaio 2018, ascritti all’imputata in concorso con il compagno, padre dei due minori, prima dell’inizio della convivenza con la O.C., è irrilevante che quest’ultima non convivesse ancora con i due figli del compagno.
Con riferimento a tali fatti trovano ovviamente applicazione le regole del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen., sicché essendo stata l’imputata descritta come l’istigatrice dei maltrattamenti posti in essere dal compagno, ancora prima dell’inizio della sua convivenza con i minori, è sufficiente che l’elemento della convivenza ricorra solo nei confronti del padre, autore materiale delle condotte.
Una volta accertato che le condotte maltrattanti erano poste in essere da M. M. per obbedire pedissequamente alle richieste ed alle sollecitazioni provenienti dalla O.C. per pretesi intenti educativi, correttamente valutati come palesemente inappropriati ed incompatibili con un qualunque ragionevole metodo pedagogico, come impedire loro di andare al bagno o di usare la luce o di percuoterli fisicamente senza una ragione, il legame familiare che costituisce il presupposto del reato di cui all’art. 572 cod. pen. risulta comunque sussistente ed è ascrivibile all’imputato a titolo di concorso nel reato, anche prima dell’Inizio della sua convivenza con i due minori vittime dei maltrattamenti.
In ordine, poi, alla dedotta incoerenza con il fatto che M. M. era solito utilizzare metodi violenti anche nei confronti della stessa O.C., la Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali tale circostanza non fosse in contraddizione con il comportamento del compagno disposto ad assecondarla nel dare esecuzione alle richieste di punizione dei figli al fine di cementare la loro relazione.
Si tratta, infatti, di letture alternative delle risultanze istruttorie che non possono essere sottoposte ad una nuova valutazione, non essendo consentiti apprezzamenti di merito in sede di legittimità, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio.
- Il quinto motivo, in punto di determinazione della pena da applicare per il segmento di condotte successive all’entrata in vigore della l. 19 luglio 2019, n.69 a decorrere dal 9 agosto 2019, è infondato.
Sebbene effettivamente la Corte di appello non abbia specificato le ragioni per le quali è stato fatto riferimento per la determinazione della pena alla nuova disciplina sanzionatoria aggravata dall’art. 9, comma 2, lett. a) e b) della legge 19 luglio 2019, n.69, entrata in vigore a decorrere dal 9 agosto 2019, si deve al riguardo osservare che la questione è stata dedotta in modo generico, oltre a risultare infondata alla stregua del più consolidato orientamento di legittimità che questo Collegio ritiene di condividere e dal quale non ritiene di doversi discostare.
Secondo la giurisprudenza di legittimità prevalente il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi, in quanto reato abituale, si consuma con la cessazione della condotta, sicché le modifiche “in peius” del regime sanzionatorio, introdotte dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, trovano applicazione anche se intervenute dopo l’inizio della consumazione, ma prima della cessazione della abitualità, e ciò anche a prescindere dal numero di episodi commessi durante la sua vigenza e senza la necessità che gli stessi integrino, di per sé soli, l’abitualità del reato (da ultimo, vedi Sez. 6, n. 41444 del 10/09/2024, B., Rv. 287197; Sez. 6, n. 23204 del 12/03/2024, P., Rv. 286616).
Peraltro, anche l’opposto e minoritario orientamento richiamato nei motivi di ricorso (Sez. 6, n.28218 del 24/01/2023, S., Rv. 284788) non risulta in concreto applicabile al caso in esame, atteso che le condotte di maltrattamenti ascritte all’imputata sono sostanzialmente proseguite senza discontinuità ben oltre la data di entrata in vigore della citata legge n.69/2019, atteso che l’ultimo episodio più grave di lesioni si è verificato il (OMISSIS) ed ha coinciso con l’avvio delle indagini che hanno portato a disvelare le condotte di maltrattamenti per cui si procede.
A tale riguardo le censure dedotte nel quarto motivo con il quale si propone una lettura alternativa delle dichiarazioni inizialmente reticenti rese dagli stessi minori, ed in particolare di M. che avrebbe in un primo tempo assecondato la versione della O.C. che la lesione all’occhio di D. sarebbe stata provocata al fratello da lei stessa, sono state oggetto di una disamina accurata nelle sentenze di merito che hanno evidenziato, come già sopra osservato, l’inziale atteggiamento reticente delle stesse persone offese, superato solo con molta difficoltà, come dimostra l’episodio della consegna al medico pediatra del biglietto scritto di pugno della minore M., la quale, dopo essersi falsamente assunta la responsabilità per l’occhio nero del fratello, aveva invocato segretamente l’aiuto del medico perché non aveva il coraggio di dire la verità.
Quindi, la cesura delle condotte di maltrattamento poste in essere prima e dopo l’entrata in vigore della legge di modifica della pena edittale sono sorrette da rilievi basati su una lettura alternativa degli elementi probatori non ammessa in sede di legittimità.
- Con riferimento, infine, alle altre censure sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sulla pretesa eccessività della pena, la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione, evidenziando l’irrilevanza a tale fine della circostanze che la stessa O.C. sarebbe stata vittima di maltrattamenti da parte del compagno M. M., in ragione della gravità dei fatti e della crudeltà dimostrata dalla donna, corresponsabile del clima di violenze e soprusi instaurato insieme con il compagno ai danni dei due minori, prolungatosi per diversi anni e disvelatosi solo grazie ad interventi esterni al loro nucleo familiare.
Con specifico riferimento agli istituti che vengono in considerazione in questa sede, giova rammentare l’insegnamento secondo il quale, ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., fermo restando che non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004 – dep. 2005, Alba, Rv. 230691; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
La sentenza impugnata, nel rispetto dei principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio con l’estrema gravità del delitto, quale desumibile dalla sua natura e dalle modalità di realizzazione, con l’intensità del dolo sotteso alla condotta illecita, con il comportamento antecedente e susseguente al reato, espressivo dell’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza.
- Manifestamente infondato è il sesto motivo in riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. del risarcimento del danno.
Innanzitutto si deve rammentare che contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente la predetta circostanza attenuante può essere concessa solo se la riparazione del danno sia stata integrale, ossia comprensiva della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368; Sez. 5, n. 7826 del 30/11/2022, dep. 2023, Bojic Dragan, Rv. 284224).
Nel caso in esame il danno morale è stato valutato di importo elevato, di gran lunga superiore a quello offerto dalla imputata, per le gravissime sofferenze psicologiche arrecate ai due minori, in una fase delicata della loro vita, loro infette da figure genitoriali e para-genitoriali che avrebbero dovuto curarsi della loro crescita equilibrata e serena, con valutazioni che essendo coerenti alle risultanze probatorie ed alla gravità delle condotte di reato, non possono essere censurate se non attraverso una lettura alternativa delle risultanze istruttorie non ammessa nella sede di legittimità.
- Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
L’imputata deve altresì essere condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle parti civili costituite, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Trento con separato provvedimento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.PR. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.