Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza 5 giugno 2025 n. 15075
PRINCIPIO DI DIRITTO
In ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 68 del 2025, depositata il 22 maggio 2025, deve ritenersi incostituzionale l’art. 8 della legge n. 40 del 2004.
Ciò in quanto l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione dell’art. 2 Cost. (per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile),dell’art. 3 Cost. ( per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale), dell’art. 30 Cost. (perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.)
La sopravvenuta sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, che ha effetti erga omnes, impedisce di applicare la norma preclusiva, dichiarata incostituzionale, alle situazioni e ai rapporti, come nella specie, ancora pendenti (artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- È controversa la genitorialità di due bambini, C.C. e D.D., nati in Italia, ma concepiti all’estero a mezzo di pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA), nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa posto in essere dalla gestante, madre biologica, e dalla sua partner, la madre intenzionale. L’atto di nascita, per entrambi i bambini, è stato formato con la sola indicazione della madre biologica. È intervenuto il riconoscimento della madre intenzionale (con il consenso della prima). L’ufficiale di stato civile di Brescia ha, però, rifiutato l’annotazione del riconoscimento. Di qui il ricorso della coppia genitoriale, per conseguire la declaratoria di illegittimità di quel rifiuto, e quindi l’annotazione del riconoscimento. […]
- Il ricorso per cassazione è infondato perché è sopravvenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 2025, depositata il 22 maggio 2025 (e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, serie speciale, del 28 maggio 2025).
2.1. Nell’accogliere e nel ritenere fondato il dubbio di legittimità costituzionale sollevato da un giudice di merito (il Tribunale di Lucca), la Corte costituzionale ha stabilito che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione:
2.1.1. dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile;
2.1.2. dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale;
2.1.3. dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.
- La dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi:
3.1. la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decidedi ricorrere alla PMA per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la madre intenzionale, può sottrarsi;
3.2. la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale.
- Dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni, sia il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
- Il dispositivo del decreto della Corte d’Appello, che attribuisce lo status di figlio riconosciuto nei confronti della madre intenzionale che, insieme alla madre biologica, ha prestato il consenso alla pratica fecondativa, è, dunque, conforme al diritto, e ciò in virtù della sopravvenuta sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, che ha effetti erga omnes e impedisce di applicare la norma preclusiva, dichiarata incostituzionale, alle situazioni e ai rapporti, come nella specie, ancora pendenti (artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953).
5.1. Tuttavia, la motivazione del decreto della Corte d’Appello deve essere corretta.
- Alla soluzione favorevole al riconoscimento della genitorialità, sin dalla nascita, della madre intenzionale, non poteva pervenirsi – prima della pronuncia di incostituzionalità – per via di interpretazione, neppure evolutiva o costituzionalmente conforme.
6.1. Interrogandosi sul significato da attribuire al quadro normativo non ancora inciso dalla pronuncia di illegittimità costituzionale, infatti, questa Corte, con orientamento consolidato (Cass., Sez. I, 2 agosto 2023, n. 23527; Cass., Sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448), aveva stabilito che, in caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecnichedi procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il genitore intenzionale, non potesse trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere.
6.2. La giurisprudenza di legittimità aveva, inoltre, escluso che l’indicazione della doppia genitorialità fosse necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, giacché, in tali casi, l’adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 2022.
6.3. L’operazione ermeneutica seguita dalla Corte d’Appello trovava, quindi, un insormontabile ostacolo nell’univoco tenore letterale dell’enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica. Invero, l’art. 8 della legge n. 40 faceva espresso riferimento alla “coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6″, e tale ultima disposizione indica chiaramente ” i soggetti di cui all’articolo 5″, ossia “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
6.4. Inoltre, gli articoli 8 e 9 formano il Capo III, dedicato alle “Disposizioni concernenti la tutela del nascituro”, che segue il Capo I “Principi generali” e il Capo II “Accesso alle tecniche”, ed è a sua volta seguito dal Capo IV che regolamenta le strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di PMA, fornendo una disciplina organica della materia che non permette di scindere, a livello di previsione normativa, il profilo dei limiti soggettivi del ricorso alle tecniche di PMA da quello della tutela giuridica del nato.
6.5. Va anche considerato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2021, aveva rimesso “alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario”, sottolineando che l’esigenza di salvaguardia del primario interesse del minore, in sintonia con la giurisprudenza delle Corti europee, imponeva (ed impone) un urgente ripensamento del quadro normativo vigente, rendendo impellente un intervento del legislatore volto a colmare il divario tra la realtà fattuale e quella legale nel rapporto del minore con la madre intenzionale.
- Alla luce di tali considerazioni, va esclusa, in punto di diritto, la praticabilità del percorso motivazionale seguito dal decreto in questa sede impugnato, anche dopo il monito espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021.
7.1. Quel percorso fa leva sul principio di tutela del concepito enunciato dall’art. 1 della legge n. 40 del 2004, sulla distinzione tra la questione relativa allo stato di figlio e quella relativa alla tecnica per farlo nascere, e sulla necessità e possibilità di fare ricorso a un’interpretazione evolutiva della legge, che eviti disparità di trattamento grazie ad un concetto di famiglia diverso rispetto a quello tenuto presente dal legislatore del codice civile. Ma una simile interpretazione era preclusa dal tenore letterale dell’art. 8 e nel dato sistematico, secondo quanto sopra osservato.
7.2. Ad avviso del Collegio, il giudice del merito poteva superare il vulnus già evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021, non già (direttamente, per mezzo di interpretazione conforme, ma) contra legem, valicando cioè i cancelli delle parole in via ermeneutica, bensì sollevando un incidente di costituzionalità e consegnando le chiavi del giudizio di costituzionalità alla Corte costituzionale.
- Nel nostro sistema, infatti, il giudice comune non è un interprete totalmente libero, ma è soggetto alla legge. Una interpretazione incompatibile con la legge non è dunque consentita, perché sostituirebbe inammissibilmente la volontà del giudice a quella del legislatore democraticamente legittimato.
8.1. Nel ricercare, alla luce del contesto in cui si colloca, la portata della disposizione, il giudice deve, certamente, armonizzare una pluralità di fonti sui diritti, ricorrendo, in primo luogo, alla Costituzione. Nella Costituzione, infatti, sono consacrati i principi idonei a incidere su ogni aspetto della vita sociale. Quei principi, dotati di una vasta portata semantica e con un contenuto assiologico improntato su fini da realizzare, traguardi da conseguire e valori da attuare, non si rivolgono soltanto al legislatore e non hanno soltanto una funzione invalidante. Hanno anche una funzione integrativa e interpretativa. La normatività della Costituzione viene in soccorso al giudice nelle operazioni interpretative.
8.2. La Costituzione non è un testo “separato”, ma è parte irradiante di un più ampio ordinamento costituzionale, a sua volta alimentato dalla base materiale su cui il testo poggia e che è in continua evoluzione. Rispettate le procedure parlamentari e costituzionali e la traccia valoriale segnata dalla Carta, il Parlamento, essendo espressione della sovranità popolare, è, tuttavia, il solo abilitato a mediare, selezionare e ponderare interessi contrapposti, trasformando in legge le posizioni sul bene comune, così come individuate in un dato momento storico e in rapporto a una data maggioranza; naturalmente, nel rispetto del nucleo minimo dei diritti fondamentali che vengono in rilievo e senza esprimere volontà unilaterali e arbitrarie del tutto separate dalle dinamiche di opinione e dalla diversificazione dei bisogni che percorrono la società civile.
8.3. Ferma la primazia del Parlamento nella configurazione del diritto, a sua volta limitata dalla necessità che la legge rispetti la Costituzione, al giudice comune spetta il duplice compito dell’interpretazione conforme, così ricercando una composizione preventiva di eventuali rapporti antinomici, e della prospettazione dell’incidente di legittimità costituzionale, nei casi in cui il testo della legge si opponga alla stessa interpretazione conforme. Il giudice comune ben può attribuire al testo una portata in linea con l’evoluzione del contesto valoriale emergente dalla Costituzione e dalle Carte sui diritti, ma senza stravolgere i significati potenzialmente ricavabili dal testo della legge.
8.4. Nel compiere l’attività interpretativa, il giudice deve, poi, tenere conto della funzione coerenziatrice che l’ordinamento assegna alla Corte di cassazione, e quindi confrontarsi con i precedenti dalla stessa elaborati, perché il diritto vivente rappresenta un’opera di tessitura comune.
- Preme d’altra parte rilevare che, nella situazione particolare, il giudice ordinario non poteva, da solo, porre rimedio al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse delminore, anche perché, con la citata sentenza n. 32 del 2021, la Corte costituzionale aveva attirato, su questa materia eticamente sensibile, l’attenzione del legislatore, perché esso individuasse un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana.
9.1. Era il legislatore, pertanto, nell’esercizio della sua discrezionalità, a dover colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori, attraverso una disciplina della materia che, in maniera organica, individuasse le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale.
- Il ricorso è rigettato, previa correzione in diritto della motivazione del decreto della Corte d’Appello, il cui dispositivo è retto e sostenuto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 68 del 2025).