Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 05 giugno 2025, . 2285
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va rilevato che, il genitore intenzionale può riconoscere (con il consenso di quello biologico, dello stesso sesso) il minore nato in Italia, a mezzo di pratiche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero, nell’ ambito di un progetto di genitorialità condivisa da una coppia di due donne.
La relativa annotazione, a fronte del rifiuto illegittimamente opposto all’ufficiale di stato civile, va disposta dal Tribunale, atteso che l’omogenitorialità, nel caso di nascita da PMA, trova tutela nelle
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Con ricorso 12390/2024 proposto da: MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato; contro -ricorrente- B.E. e M. M., quest’ ultima in proprio e anche quale esercente la responsabilità genitoriale su M. V. e M. A. ; – intimate- avverso il decreto della Corte d’appello di Brescia n. 740/2023, depositato in data 30 novembre 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 giugno 2025 dal Presidente Alberto Giusti; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Luisa De Renzis, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per il Ministero dell’interno ricorrente, l’Avvocato dello Stato Iliano Massarelli.
FATTI DI CAUSA
- M. M. ed E. B. hanno tra loro una relazione sentimentale, convivono dal 2014 e sono unite civilmente dal 2018, ai sensi della legge n. 76 del 2016.
Le due signore hanno condiviso un progetto genitoriale mediante fecondazione eterologa praticata all’estero da M. M., madre biologica dei minori V., nata a Brescia nel 2014, e A., nato a Brescia nel 2016.
Dopo la nascita dei due bambini, la M. e la B. si sono rivolte all’ufficiale di stato civile del Comune di Brescia per l’iscrizione del riconoscimento delle due madri sui certificati di nascita dei minori.
L’ufficiale di stato civile ha rifiutato l’iscrizione della madre non biologica.
- Con ricorso depositato il 13 gennaio 2021, M. M. ed E. B. si sono rivolte al Tribunale di Brescia, chiedendo di dichiarare illegittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile del Comune di Brescia, in data 16 dicembre 2020, di ricevere la dichiarazione di riconoscimento dei minori V. M. e A. M., presentata il 20 novembre 2020 e, per l’effetto, di dare atto del riconoscimento stesso, ordinando la rettificazione dell’atto di nascita dei bambini mediante aggiunta dell’indicazione del secondo genitore, E. B.
Le ricorrenti, in particolare, hanno ritenuto possibile, a legislazione invariata, il riconoscimento da parte della madre d’intenzione e la conseguente annotazione, e ciò in forza della previsione dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004. Secondo questa disposizione, “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo
6”.
- Il Ministero dell’interno si è costituito nel giudizio concludendo per il rigetto del ricorso. Ha rilevato che la legge n. 40 del 2004, avendo la finalità di porre rimedio a sterilità o infertilità umana, non può applicarsi alle coppie omosessuali. Conseguentemente, l’art. 8 della medesima legge non potrebbe riferirsi ai figli di coppie di sole donne, tanto più che l’art. 5 prevede l’accesso alla procreazione medicalmente assistita per le sole coppie di sesso diverso.
- Con decreto in data 16 febbraio 2023, il Tribunale di Brescia, in composizione collegiale, ha accolto la domanda. Dichiarato illegittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile, il Tribunale ha ordinato la rettificazione dell’atto di nascita di V. M. e di A. M. mediante aggiunta dell’indicazione del secondo genitore, Enrica Bresciani.
- Il provvedimento di primo grado è stato confermato dalla Corte d’Appello di Brescia, la quale, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato il reclamo del Ministero.
5.1. La Corte d’Appello ha premesso che la questione della annotazione, sull’atto di nascita di un minore nato da procreazione medicalmente assistita eterologa, del riconoscimento sia della madre biologica che della madre intenzionale, è a tutt’oggi controversa a causa della protratta inerzia del legislatore, pur dopo il monito, nel 2021, della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 32, ha definito “intollerabile” la mancata tutela dei figli nati da quella tecnica.
Ad avviso della Corte d’Appello, è ben possibile una interpretazione evolutiva della legge n. 40 del 2004 con riferimento alla parte dedicata alla tutela dei nascituri, in attesa che il legislatore disciplini in modo organico la materia. Sarebbe, infatti, “illogico e irragionevole consentire il riconoscimento al genitore intenzionale nei casi di violazione della legge n. 40 da parte di coppie eterosessuali oppure in casi di urgenza (morte del genitore biologico o anche pericolo di morte imminente del genitore biologico) o, ancora, nei casi consentiti di PMA eterologa per le coppie eterosessuali, e non consentirlo nel caso del genitore intenzionale di coppia omosessuale, con ciò determinandosi anche una discriminazione e disparità di trattamento dei bimbi nati da PMA”.
La Corte del reclamo ha ritenuto il rimedio dell’adozione da parte del genitore non biologico, ai sensi dell’art. 44, lettera d), della legge n. 184 del 1983, strumento insufficiente e inidoneo di tutela del diritto del bambino al celere riconoscimento del proprio status di figlio. I giudici territoriali hanno osservato, in proposito, che l’adozione speciale da parte del genitore intenzionale non consente di equiparare la condizione dei minori nati da PMA rispetto a quelli che possono, fin dalla nascita, essere riconosciuti da entrambi i genitori. L’istituto dell’adozione in casi particolari consente all’adulto di decidere se adottare o meno; inoltre, non assicura la piena protezione del bambino fin dalla nascita; si crea poi una discriminazione tra i bambini nati da PMA eterologa in coppia eterosessuale e nati da PMA in coppia omosessuale. L’adozione in casi particolari è uno strumento complesso, lungo e anche costoso per chi vi ricorre.
La Corte d’Appello ha evidenziato che “non è il comportamento degli adulti che deve essere valutato, così come non vengono richieste all’autorità giudiziaria valutazioni di tipo morale o sociologico; compito del giudice è valutare, nel caso concreto all’esame, la condizione effettiva di un soggetto debole privo di diritti, ovvero, anzitutto, il diritto a vedere riconosciuto il proprio status di figlio di due genitori e il conseguente diritto del bambino alla bigenitorialità, sancito dalle norme nazionali e sovranazionali e continuamente richiamato in tutte le sentenze in tema di diritto di famiglia, essendo ormai pacifica la formazione crescente di famiglie formate da coppie omosessuali accanto a famiglie eterosessuali, senza alcuna necessità di addentrarsi negli studi e approfondimenti che la dottrina propone da anni in questa materia, ovvero su cosa sia, oggi, una famiglia, semplicemente perché le famiglie omosessuali sono presenti, in misura crescente, nei casi concreti che i giudici devono esaminare”.
La lettera della legge, vincolante per l’interprete, consente, ad avviso della Corte d’Appello, “la proposta interpretazione evolutiva”. Difatti, quando la legge n. 40 passa a trattare, in capo separato (capo III), la tutela del nascituro, cambia anche il lessico, giacché si parla, genericamente, di figli della coppia che ha deciso di accedere alla PMA, tutte le coppie, dunque: le coppie eterosessuali che abbiano violato i divieti così come le coppie omosessuali, alle quali non è consentita la PMA. Si tratta – ha precisato la Corte di Brescia – di norme che hanno come obiettivo solo la protezione del nascituro e prescindono dai divieti elencati nelle altre norme che, evidentemente, non possono ricadere sul bambino nato, che viene protetto sempre, anche in caso di incesto.
- Per la Cassazione del decreto della Corte d’Appello di Brescia il Ministero dell’interno ha proposto ricorso, affidato a due motivi.
- B. e M. M. sono rimaste intimate.
- Il ricorso è stato fissato in pubblica udienza.
- All’udienza del 4 giugno 2025 il Pubblico Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- È controversa la genitorialità di due bambini, V. e A., nati in Italia, ma concepiti all’estero a mezzo di pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA), nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa posto in essere dalla gestante, madre biologica, e dalla sua partner, la madre intenzionale.
L’atto di nascita, per entrambi i bambini, è stato formato con la sola indicazione della madre biologica. È intervenuto il riconoscimento della madre intenzionale (con il consenso della prima). L’ufficiale di stato civile di Brescia ha, però, rifiutato l’annotazione del riconoscimento. Di qui il ricorso della coppia genitoriale, per conseguire la declaratoria di illegittimità di quel rifiuto, e quindi l’annotazione del riconoscimento.
Confermando, in sede di reclamo, la pronuncia del Tribunale, il decreto della Corte d’Appello di Brescia, oggetto del ricorso per cassazione del Ministero dell’interno, ha statuito che il genitore intenzionale può riconoscere (con il consenso di quello biologico, dello stesso sesso) il minore nato in Italia, a mezzo di pratiche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero, nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa da una coppia di due donne. La relativa annotazione, a fronte del rifiuto illegittimamente opposto dall’ufficiale di stato civile, va disposta dal tribunale, atteso che l’omogenitorialità, nel caso di nascita da PMA, trova tutela nelle disposizioni della legge n. 40 del 2004.
La Corte d’Appello considera possibile una interpretazione evolutiva delle disposizioni vigenti (pur se, in origine, con diverso ambito applicativo) al fine di conseguire la piena tutela dei minori. Sull’art. 8 della legge n. 40 del 2004 si fonderebbe un sistema di acquisizione e riconoscimento della filiazione, alternativo a quello del codice civile, e fondato sul consenso della coppia genitoriale, anche omosessuale.
- Il ricorso del Ministero si articola in due motivi.
Con il primo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4, 5, 8, 9 e 12 della legge n. 40 del 2004, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) il ricorrente censura che la Corte d’appello abbia adottato una interpretazione della normativa di riferimento in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, oltre che della giurisprudenza Corte costituzionale e con le pronunce della giurisdizione euro- convenzionale.
La difesa erariale invoca, in particolare, l’indirizzo di questa Corte secondo cui, in caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, tra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere. L’indicazione della doppia genitorialità non sarebbe necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l’adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 2022.
Secondo l’Avvocatura erariale, anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare, dalle sentenze n. 230 del 2020, n. 32 del 2021 e n. 33 del 2021), si trarrebbe l’indicazione circa l’impossibilità di una risposta giurisprudenziale alla pretesa del genitore intenzionale di una coppia dello stesso sesso di riconoscere il figlio di cui il partner è genitore biologico, stante l’indispensabilità, a tal fine, di un intervento normativo.
Ad avviso del ricorrente, l’art. 8 della legge n. 40 del 2004 non potrebbe essere letto in contrasto con le altre norme contenute nella legge, che ha posto un limite di carattere soggettivo alla possibilità di accedere alle suddette tecniche, prevedendo espressamente, all’art. 5, che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Tale limite sarebbe espressione di quel principio, ancora oggi pienamente attuale e consolidato nel nostro ordinamento, che intende la filiazione quale discendenza da persone di sesso diverso. In tale ambito, particolarmente sensibile dal punto di vista etico, una soluzione fondata su un procedimento di ermeneutica giurisprudenziale non sarebbe praticabile, apparendo invece, eventualmente, necessario un intervento del legislatore, unico soggetto, nel quadro ordinamentale, capace di esprimere un approccio organico ai temi trattati, armonizzando il complesso intreccio dei diritti implicati nella vicenda genetica umana.
Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 29, commi 4 e 8, e 11, comma 3, del d.P.R. n. 396 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) si sostiene che, per la valutazione del superiore interesse del minore, va considerata la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantirebbe al minore una adeguata tutela. Inoltre, il Ministero osserva che gli atti di stato civile sono atti tipici a contenuto vincolato. Nel vigente ordinamento di stato civile, rileva il ricorrente, gli atti di nascita si formano e si iscrivono nei registri indicando, quali genitori la madre partoriente e il padre biologico, nel rispetto delle modalità di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 396 del 2000. La successiva annotazione negli atti così formati ai fini del riconoscimento di filiazione, di cui al successivo art. 43, richiederebbe in ogni caso la previa, necessaria verifica, in capo al soggetto che effettua la dichiarazione, della condizione di paternità o maternità, testualmente risultante dalle relative formule, approvate con il decreto ministeriale 5 aprile 2002.
Nel caso di specie, relativo ad una nascita avvenuta fuori dal matrimonio, non sussisterebbe la condizione richiesta dell’art. 250 cod. civ. affinché le due richiedenti possano assumere la responsabilità genitoriale, ossia la necessaria presenza all’interno della coppia di un “padre” e di una “madre”. Da ciò discenderebbe – si osserva conclusivamente nel ricorso – l’impossibilità per l’ufficiale di stato civile di formare un atto di nascita quale quello oggetto del presente giudizio.
In questa prospettiva, l’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato, non potrebbe essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali.
- – Il ricorso per cassazione del Ministero dell’interno è infondato, ma il decreto impugnato, essendo erroneamente motivato in diritto, deve essere corretto nella motivazione ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
- Il ricorso per cassazione è infondato perché è sopravvenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.
Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 2025, depositata il 22 maggio 2025 (e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, serie speciale, del 28 maggio 2025).
Nell’accogliere e nel ritenere fondato il dubbio di legittimità costituzionale sollevato da un giudice di merito (il Tribunale di Lucca), la Corte costituzionale ha stabilito che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale; dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla PMA per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la madre intenzionale, può sottrarsi; la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale.
Dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni, sia il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
- Il dispositivo del decreto della Corte d’appello, che attribuisce lo status di figlio riconosciuto nei confronti della madre intenzionale che, insieme alla madre biologica, ha prestato il consenso alla pratica fecondativa, è, dunque, conforme al diritto, e ciò in virtù della sopravvenuta sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, che ha effetti erga omnes e impedisce di applicare la norma preclusiva, dichiarata incostituzionale, alle situazioni e ai rapporti, come nella specie, ancora pendenenti (art. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953).
Tuttavia, la motivazione del decreto della Corte d’Appello deve essere corretta.
- Alla soluzione favorevole al riconoscimento della genitorialità, sin dalla nascita, della madre intenzionale, non poteva pervenirsi – prima della pronuncia di incostituzionalità – per via di interpretazione, neppure evolutiva o costituzionalmente conforme.
Interrogandosi sul significato da attribuire al quadro normativo non ancora inciso dalla pronuncia di illegittimità costituzionale, infatti, questa Corte, con orientamento consolidato (Cass., Sez. I, 2 agosto 2023, n. 23527; Cass., Sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448), aveva stabilito che, in caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il genitore intenzionale, non potesse trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere. La giurisprudenza di legittimità aveva, inoltre, escluso che l’indicazione della doppia genitorialità fosse necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, giacché, in tali casi, l’adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza n. 79 del 2022.
L’operazione ermeneutica seguita dalla Corte d’Appello trovava, quindi, un insormontabile ostacolo nell’univoco tenore letterale dell’enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica. Invero, l’art. 8 della legge n. 40 faceva espresso riferimento alla “coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”, e tale ultima disposizione indica chiaramente “i soggetti di cui all’articolo 5”, ossia “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Inoltre, gli articoli 8 e 9 formano il Capo III, dedicato alle “Disposizioni concernenti la tutela del nascituro”, che segue il Capo I “Principi generali” e il Capo II “Accesso alle tecniche”, ed è a sua volta seguito dal Capo IV che regolamenta le strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di PMA, fornendo una disciplina organica della materia che non permette di scindere, a livello di previsione normativa, il profilo dei limiti soggettivi del ricorso alle tecniche di PMA da quello della tutela giuridica del nato. Va anche considerato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2021, aveva rimesso “alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario”, sottolineando che l’esigenza di salvaguardia del primario interesse del minore, in sintonia con la giurisprudenza delle Corti europee, imponeva (ed impone) un urgente ripensamento del quadro normativo vigente, rendendo impellente un intervento del legislatore volto a colmare il divario tra la realtà fattuale e quella legale nel rapporto del minore con la madre intenzionale.
- Alla luce di tali considerazioni, va esclusa, in punto di diritto, la praticabilità del percorso motivazionale seguito dal decreto in questa sede impugnato, anche dopo il monito espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021.
Quel percorso fa leva sul principio di tutela del concepito enunciato dall’art. 1 della legge n. 40 del 2004, sulla distinzione tra la questione relativa allo stato di figlio e quella relativa alla tecnica per farlo nascere, e sulla necessità e possibilità di fare ricorso a un’interpretazione evolutiva della legge, che eviti disparità di trattamento grazie ad un concetto di famiglia diverso rispetto a quello tenuto presente dal legislatore del codice civile.
Ma una simile interpretazione era preclusa dal tenore letterale dell’art. 8 e nel dato sistematico, secondo quanto sopra osservato.
Ad avviso del Collegio, il giudice del merito poteva superare il vulnus già evidenziato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021, non già (direttamente, per mezzo di interpretazione conforme, ma) contra legem, valicando cioè i cancelli delle parole in via ermeneutica, bensì sollevando un incidente di costituzionalità e consegnando le chiavi del giudizio di costituzionalità alla Corte Costituzionale.
- – Nel nostro sistema, infatti, il giudice comune non è un interprete totalmente libero, ma è soggetto alla legge.
Una interpretazione incompatibile con la legge non è dunque consentita, perché sostituirebbe inammissibilmente la volontà del giudice a quella del legislatore democraticamente legittimato.
Nel ricercare, alla luce del contesto in cui si colloca, la portata della disposizione, il giudice deve, certamente, armonizzare una pluralità di fonti sui diritti, ricorrendo, in primo luogo, alla Costituzione. Nella Costituzione, infatti, sono consacrati i principi idonei a incidere su ogni aspetto della vita sociale. Quei principi, dotati di una vasta portata semantica e con un contenuto assiologico improntato su fini da realizzare, traguardi da conseguire e valori da attuare, non si rivolgono soltanto al legislatore e non hanno soltanto una funzione invalidante. Hanno anche una funzione integrativa e interpretativa.
La normatività della Costituzione viene in soccorso al giudice nelle operazioni interpretative. La Costituzione non è un testo “separato”, ma è parte irradiante di un più ampio ordinamento costituzionale, a sua volta alimentato dalla base materiale su cui il testo poggia e che è in continua evoluzione.
Rispettate le procedure parlamentari e costituzionali e la traccia valoriale segnata dalla Carta, il Parlamento, essendo espressione della sovranità popolare, è, tuttavia, il solo abilitato a mediare, selezionare e ponderare interessi contrapposti, trasformando in legge le posizioni sul bene comune, così come individuate in un dato momento storico e in rapporto a una data maggioranza; naturalmente, nel rispetto del nucleo minimo dei diritti fondamentali che vengono in rilievo e senza esprimere volontà unilaterali e arbitrarie del tutto separate dalle dinamiche di opinione e dalla diversificazione dei bisogni che percorrono la società civile.
Ferma la primazia del Parlamento nella configurazione del diritto, a sua volta limitata dalla necessità che la legge rispetti la Costituzione, al giudice comune spetta il duplice compito dell’interpretazione conforme, così ricercando una composizione preventiva di eventuali rapporti antinomici, e della prospettazione dell’incidente di legittimità costituzionale, nei casi in cui il testo della legge si opponga alla stessa interpretazione conforme.
Il giudice comune ben può attribuire al testo una portata in linea con l’evoluzione del contesto valoriale emergente dalla Costituzione e dalle Carte sui diritti, ma senza stravolgere i significati potenzialmente ricavabili dal testo della legge.
Nel compiere l’attività interpretativa, il giudice deve, poi, tenere conto della funzione coerenziatrice che l’ordinamento assegna alla Corte di Cassazione, e quindi confrontarsi con i precedenti dalla stessa elaborati, perché il diritto vivente rappresenta un’opera di tessitura comune.
- – Preme d’altra parte rilevare che, nella situazione particolare, il giudice ordinario non poteva, da solo, porre rimedio al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore, anche perché, con la citata sentenza n. 32 del 2021, la Corte costituzionale aveva attirato, su questa materia eticamente sensibile, l’attenzione del legislatore, perché esso individuasse un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana.
Era il legislatore, pertanto, nell’esercizio della sua discrezionalità, a dover colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori, attraverso una disciplina della materia che, in maniera organica, individuasse le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale.
- – Il ricorso è rigettato, previa correzione in diritto della motivazione del decreto della Corte d’appello, il cui dispositivo è retto e sostenuto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 68 del 2025).
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo le intimate svolto attività difensiva in questa sede.
- – Va disposto, ricorrendone i presupposti di legge, l’oscuramento delle generalità e dei dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, previa correzione della motivazione del decreto della Corte d’Appello. Dispone l’oscuramento delle generalità e dei dati identificativi degli interessati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 4 giugno 2025.
Il Presidente estensore
(Alberto Giusti)