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Famiglia – Filiazione – Separazione – Assegnazione della casa coniugale in comodato e validità dell’opposizione se il bene era destinato a uso familiare

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
15 Luglio 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 25 giugno 2025 n. 17095

PRINCIPIO DI DIRITTO

Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c., ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.

Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare.

Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile (come da Sezioni Unite, n. 20448/2014).

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

[…]

I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati.

La Corte d’Appello ha sostanzialmente accomunato la posizione dell’ex marito e della madre, terza interventrice, argomentando dalla sussistenza di un comodato familiare in ordine alla casa familiare, oggetto d’assegnazione dal giudizio di separazione, con provvedimento confermato in sede di divorzio.

Ora, il fatto che la Corte di merito abbia ritenuto che l’intervento fosse da qualificare come adesivo dipendente (per sostenere le ragioni del C.C.) e non fondato sull’opposizione del terzo ex art. 404 cpc, come sostiene la ricorrente, non muta l’oggetto della decisione, nel senso che la questione non è rilevante, né decisiva.

La sentenza impugnata ha infatti accertato che: era da presumere che tra l’interventrice e il figlio, ex marito, fosse stato stipulato un comodato familiare avente ad oggetto la casa familiare, protrattosi per circa 13 anni; tale comodato non era scaduto per il fatto che l’ex moglie, insieme alla figlia minore, si fosse trasferita altrove, in quanto ciò era avvenuto sotto la condizione risolutiva del mancato contributo dell’ex marito al pagamento del canone di locazione dell’altra abitazione; non era stato dimostrato un urgente, imprevisto bisogno delle parti che giustificasse la risoluzione del comodato.

Pertanto, la prospettazione dell’opposizione di terzo non avrebbe potuto indurre a diversa conclusione, proprio perché la Corte d’Appello non ha ravvisato i presupposti della caducazione del rapporto di comodato, per cui la terza interventrice non avrebbe comunque potuto opporre il titolo di comproprietaria della casa d’abitazione assegnata alla B.B. Inoltre, la controricorrente ha eccepito il difetto d’interesse della ricorrente, in quanto la stessa non aveva mai utilizzato l’immobile assegnato, sito al primo piano, avendo sempre vissuta al pian terreno; in realtà, la Corte territoriale ha ritenuto, sul punto, che non era stato allegato e dimostrato un sopravvenuto, urgente bisogno dell’interventrice per ritornare nella detenzione dell’immobile.

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto diretto a criticare la mancata ammissione di mezzi istruttori – sulla questione delle modalità d’uso della casa familiare – e a sindacare dunque il potere discrezionale del giudice.

Va osservato che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento.

Nel caso concreto, i mezzi di prova non ammessi dal giudice di merito erano diretti, come detto, a dimostrare le particolari modalità di godimento della casa familiare tra i comproprietari, A.A. e il figlio C.C., per inferirne che non era stato concluso un contratto di comodato con la B.B., con la conseguenza che il successivo trasferimento di quest’ultima avrebbe comportato la cessazione del predetto accorso sulle modalità di godimento del bene.

Ora, la Corte d’Appello ha ritenuto provato, valorizzando il comportamento concludente degli ex coniugi, protrattosi per 13 anni, che gli stessi avessero inteso trasformare il rapporto di godimento dell’immobile in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia e che il primo piano fosse stato considerato a tutti gli effetti casa coniugale anche al momento della separazione.

Al riguardo, il collegio ritiene di aderire all’orientamento a tenore del quale il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di prova avanzate dalla parte ove i fatti risultino già accertati a sufficienza e i mezzi istruttori formulati appaiano, alla luce della stessa prospettazione della parte, inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento (Cass., n. 15502/2009; n. 14611/2005).

È dunque evidente che la Corte di merito, con la suesposta motivazione, abbia implicitamente rigettato le istanze istruttorie della ricorrente, in quanto inidonee a sovvertire le argomentazioni adoperate sui fatti accertati e sulle conseguenziali deduzioni in diritto.

Il quinto motivo è inammissibile, in quanto diretto a contrapporre all’interpretazione della Corte territoriale sulla questione della configurabilità del comodato familiare tra l’ex marito e i genitori, una diversa interpretazione, fondata su argomentazioni presuntive circa diverse modalità d’uso dell’immobile da parte dei comproprietari. Invero, la sentenza impugnata, sulla base della ricostruzione dei fatti, ha ritenuto presumibile, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, che la condotta delle parti, protrattasi per 13 anni, deponesse per il comodato familiare, dato che gli ex coniugi avevano vissuto per tale tempo presso l’immobile assegnato quale casa familiare.

La questione di diritto può riassumersi nelle seguenti osservazioni. Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c., ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass., n. 27634/2023; n. 24618/2015).

Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare.

Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile (SU, n. 20448/2014).

Sesto e settimo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati. Anzitutto, la Corte d’Appello ha ritenuto che non fosse scaduto il termine del comodato, sulla base delle esigenze della minore e della madre, considerando che il trasferimento di quest’ultima presso altra abitazione non aveva comportato lo scioglimento del rapporto, attesa la condizione risolutiva espressamente pattuita in sede di accordi di separazione- del mancato contributo dell’ex marito al pagamento del canone di locazione.

Invero, il giudice di secondo grado ha evidenziato che nei confronti della B.B. era stata promossa la procedura di sfratto per morosità a testimoniare il sopravvenuto mancato versamento delle somme occorrenti da parte dell’ex marito.

Pertanto, non può dirsi che il comodato si fosse sciolto per il venir meno dell’uso convenuto. Ne consegue altresì l’infondatezza della critica afferente all’onere della prova, in quanto la B.B., munita del provvedimento d’assegnazione giudiziale, ha dimostrato la persistenza della destinazione dell’immobile in questione a casa familiare, allegandola circostanza dello sfratto per morosità e, dunque, del verificarsi della suddetta condizione risolutiva della rinuncia all’assegnazione della casa familiare, mentre la ricorrente non aveva allegato alcuna necessità di ritornare in possesso dell’immobile.

Al riguardo, giova anche rilevare che la rinuncia all’assegnazione (e dunque al godimento in comodato familiare del bene) sarebbe da considerare comunque nulla perché contrastante con l’interesse della minore, la quale, come riportato nella sentenza impugnata, aveva affermato di stare meglio presso l’abitazione dei nonni, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.

Invero, in sede di valutazione della domanda di rilascio proposta dal comodante nei confronti del coniuge cui l’immobile è stato assegnato quale casa familiare, il giudice è tenuto ad accertare, ai sensi dell’art. 1810 c.c., che perduri, nell’interesse dei figli conviventi minorenni (o maggiorenni non autosufficienti), la destinazione dell’intero bene all’uso cui è stato adibito, dovendo, in caso contrario, ordinarne la restituzione, quanto meno parziale (Cass., n. 2771/2017).

Nella specie, infatti, è stato accertato che la minore avesse espresso l’esigenza di vivere presso l’abitazione dei nonni e, pertanto, una diversa casa familiare non sarebbe stata conforme al miglior interesse della stessa minore.

Le spese seguono la soccombenza.

 

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