Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 08 luglio 2025 n. 18682
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va provato, ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, dal coniuge che lo richiede, che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari.
Va, altresì, provata dal coniuge richiedente l’assegno la rinuncia ad ulteriori aspettative professionali, in ragione del suo contributo alla vita familiare.
Il beneficio economico-patrimoniale che l’ex marito avesse tratto dal lavoro professionale svolto dall’ex moglie, che non risulta dimostrato, non legittima, di per sé, il riconoscimento della funzione perequativa dell’assegno divorzile, essendo a tale fine necessario altresì che l’ex coniuge abbia dovuto rinunciare a significativi aspetti della propria vita lavorativa o sociale e che tale rinuncia sia causalmente riconducibile all’accrescimento patrimoniale dell’ex coniuge o della compagine familiare.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
[…]
Il primo motivo, e la prima parte del secondo, sono inammissibili.
Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, qualora essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 ; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche quando sussiste un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Ovviamente, non è ammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021).
Nel caso di specie, come emerge dalla sintesi della motivazione sopra riportata, la Corte di merito ha illustrato le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto l’assenza di una prova adeguata del fatto che la differenza tra le condizioni economiche delle parti fosse stata determinata dalle scelte endofamiliari, con argomenti semplicemente non condivisi dalla ricorrente, sulla base di valutazioni in fatto chiaramente esplicitate e in questa sede non sindacabili. Il secondo e terzo motivo, in ordine alla questione dell’assegno divorzile, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono parimenti inammissibili.
Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di scioglimento del matrimonio, l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass, n. 24795/2024).
L’assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass., n. 26520/2024).
Al riguardo, è stato precisato, in particolare, che il giudice è tenuto ad accertare, al momento del divorzio, l’esistenza di uno squilibrio economico tra gli ex coniugi e la riconducibilità di tale squilibrio all’organizzazione familiare durante la vita in comune, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità
Nella specie, la Corte d’Appello ha affermato che: non era stato dimostrato che la disparità economica fra gli ex coniugi fosse dipesa dalle scelte compiute dall’ex moglie durante il matrimonio a discapito della sua professionalità ed a favore degli impegni casalinghi e del bene della famiglia; era incontestato che svariati sbocchi di lavoro durante la vita coniugale erano derivati all’ex moglie proprio dagli incarichi a lei conferiti dalle società facenti capo al coniuge; posto che il menage era stato sempre caratterizzato da un elevato benessere della coppia, soprattutto grazie alle disponibilità dell’ex marito, non era dato sapere quale fosse stato – nei dettagli – l’apporto della A.A. per il rafforzamento della posizione economica del B.B. da considerare davvero “ulteriore” rispetto all’osservanza degli obblighi reciproci scaturenti dal matrimonio.
Ora, i due motivi in esame, in realtà, sollecitano un diverso apprezzamento delle emergenze istruttorie, già valutate, sia in relazione alla rilevante differenza patrimoniale – che la Corte territoriale ha collegato a pregresse attività imprenditoriali del marito e non al contributo della moglie -, che all’attività lavorativa costantemente esplicata dalla ricorrente dopo il matrimonio, che alla circostanza che nel lungo periodo che ha preceduto la nascita della figlia (13 anni) non era emerso che la stessa ex moglie avesse rinunciato a coltivare le sue ambizioni professionali, anzi favorite dal marito, con incarichi anche presso le sue imprese.
In altri termini, la ricorrente non ha provato che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, fosse l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari in quanto, al contrario, è stato accertato (peraltro fatto incontestato tra le parti) che la stessa ricorrente avesse coltivato la sua attività professionale di architetto, spesso a favore di imprese dell’ex marito, non emergendo dunque, nessuna rinuncia ad aspettative legittimamente connesse alla propria qualifica professionale.
Né la ricorrente ha allegato e dimostrato di aver dovuto rinunciare ad ulteriori aspettative professionali, diverse da quelle citate, in ragione del suo contributo alla vita familiare.
Invero, il beneficio economico-patrimoniale che l’ex marito avesse tratto dal lavoro professionale svolto dall’ex moglie, che non risulta dimostrato, non legittima, di per sé, il riconoscimento della funzione perequativa dell’assegno divorzile, essendo a tale fine necessario altresì che l’ex coniuge abbia dovuto rinunciare a significativi aspetti della propria vita lavorativa o sociale e che tale rinuncia -come detto- sia causalmente riconducibile all’accrescimento patrimoniale dell’ex coniuge o della compagine familiare.
Né può essere addotta, in senso contrario, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata a tenore della quale ” il patrimonio attuale della A.A. è legato in modo significativo alle attribuzioni del marito durante la convivenza”, in quanto essa va inquadrata nelle complessive argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello per escludere che le disparità economico-patrimoniali tra gli ex coniugi fossero da ricondurre a rinunce dell’ex moglie ad occasioni lavorative.
Al riguardo, la Corte di merito ha rilevato che “la posizione di moglie di un imprenditore benestante con plurime aziende legate ai suoi familiari d’origine, a lungo senza figli, avrebbe dovuto stimolare la A.A. proprio a realizzarsi appieno nel lavoro e se ciò non era accaduto, presumibilmente si era trattato di scelta personale della stessa; non solo il patrimonio attuale dell’appellata era legato in modo significativo alle “attribuzioni” del marito durante la convivenza”; argomentazioni che, nel loro complesso, esprimono la mancata prova delle suddette rinunce socio-professionali e dunque dei presupposti della funzione perequativo dell’assegno divorzile.
Le spese seguono la soccombenza.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.