Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza interlocutoria 15 luglio 2025 n. 19596
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va ritenuta non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 riguardo alla concessione della pensione di reversibilità al superstite nella coppia omosessuale sposata all’estero prima che entrasse in vigore la Legge Cirinnà.
Va tutelata l’unione omosessuale, pur ribadendo la diversità con il matrimonio, quale formazione sociale idonea a consentire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, il che ne implica il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri derivanti dalla condizione di coppia.
Va garantito dalla Corte Costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni, pur spettando al Parlamento individuare le forme di garanzia e le tutele da riconoscere all’unione omosessuale, perché può accadere che in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.
Il diritto alla reversibilità INPS, per coppie omosessuali coniugate all’estero ante legge Cirinnà, va annoverato tra le situazioni caratterizzate dalla specificità di cui sopra, stante che si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma Cost. in quanto partecipa della funzione previdenziale propria del trattamento pensionistico e, come questo, è finalizzato a garantire al cittadino la liberazione dal bisogno e condizioni minime economiche idonee ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, condizioni che, a loro volta, costituiscono il mezzo per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.
A questa finalità propria del trattamento previdenziale, la pensione di reversibilità aggiunge l’ultrattività della solidarietà familiare, garantendo la continuità del sostentamento e prevenendo lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del congiunto.
Va, quindi, considerato il diritto alla reversibilità come riconducibile nell’alveo di quelli fondamentali, in presenza dei quali diviene recessiva la diversità con la famiglia fondata sul matrimonio, e risulta giustificato, proprio in ragione della natura del diritto del quale si discute, l’intervento additivo finalizzato a rendere omogenea la condizione della coppia omosessuale con quella coniugata, nel caso in cui alla prima sia stato impedito, in ragione della normativa vigente ratione temporis, il riconoscimento del vincolo contratto all’estero.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo l’Inps denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, dell’art. 1, comma 20, della l. 20 maggio 2016 n. 76 e dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e addebita alla Corte territoriale di avere fondato la decisione su una lettura parziale della giurisprudenza costituzionale richiamata e senza specificare di quali norme si imponesse l’interpretazione orientata al rispetto della Carta fondamentale e del diritto unionale.
Rileva che la sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, richiamata nella pronuncia impugnata, è chiara nell’affermare che il riconoscimento giuridico dei diritti e dei doveri derivanti dall’unione omosessuale deve avvenire «nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge», nella specie intervenuta estendendo, ma solo a partire dall’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, l’applicazione, ad ognuna delle parti dell’unione civile, delle disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che contengono le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti ( art. 1, comma 20).
L’istituto previdenziale ha dato pronta attuazione alla nuova normativa, riconoscendo il trattamento di reversibilità in favore del componente dell’unione civile, ma a condizione che l’evento tutelato si fosse verificato successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa.
Aggiunge che la Corte territoriale ha, invece, finito per applicare retroattivamente la disciplina sopravvenuta, in violazione del principio di irretroattività che, ai sensi dell’art. 11 delle preleggi, regola la successione delle leggi nel tempo, principio al quale solo il legislatore può espressamente derogare.
Evidenzia, ancora, che, in ragione di detta irretroattività, nessun rilievo poteva essere dato al matrimonio contratto negli Stati Uniti il 2 novembre 2013, atteso che quell’unione, seppure accertata in altro ordinamento, era inidonea a produrre effetti giuridici in quello italiano sino all’entrata in vigore della nuova normativa.
- La seconda critica del ricorso principale, egualmente ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura il capo della sentenza che ha riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità di in asserita violazione dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 e dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004.
L’Istituto premette che il minore è pacificamente nato a seguito di fecondazione assistita con l’intervento di maternità surrogata, perché la gestazione è stata portata avanti da donna estranea alla coppia formata dal padre naturale e da quello intenzionale .
Critica la sentenza impugnata perché in contrasto con la pronuncia n. 33 del 2021 della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciare sulla legittimità costituzionale del diritto vivente espresso dalla pronuncia di queste Sezioni Unite n. 12193 del 2019 secondo cui non può essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, perché in contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento in un atto di stato civile di minore procreato con le modalità della gestazione per altri. Rileva che la Consulta nell’occasione ha ribadito un principio già espresso nella sentenza n. 272 del 2017 ed ha affermato che la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane.
Aggiunge che l’esigenza di tutelare l’interesse del minore deve essere bilanciata con quella di disincentivare il ricorso alla gestazione per altri e questo bilanciamento può essere compiuto solo dal legislatore.
Finché questo intervento non venga attuato non è consentito, sulla base dell’attuale quadro normativo, riconoscere il diritto alla pensione di reversibilità del minore nato da maternità surrogata.
- Il ricorso incidentale, con il primo motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la nullità della sentenza per omessa pronuncia e rileva che ha errato la Corte territoriale nel ritenere che il riconoscimento del diritto alla prestazione di reversibilità consentisse di non esaminare la domanda, formulata in via principale e autonoma, di accertamento della natura discriminatoria del diniego opposto dall’Istituto.
Evidenzia che l’azione discriminatoria ha causa petendi e petitum diversi da quella con la quale si fa valere il solo diritto negato e assicura anche una diversa tutela, specie in contesti nei quali al danno economico si associa un pregiudizio di carattere non patrimoniale.
Aggiunge che l’accertamento della discriminazione subita era stato domandato in via principale, perché «di maggior valore», che la stessa Corte territoriale aveva valorizzato nell’affermare che il rito speciale potesse attrarre anche la domanda subordinata, sicché la prima e non l’altra doveva essere esaminata con priorità per non incorrere in contraddizione.
Rileva, ancora, che la natura discriminatoria era stata ampiamente illustrata con il richiamo alle direttive eurounitarie e alla normativa interna che le ha recepite e, pertanto, su questa domanda il giudice d’appello avrebbe dovuto pronunciare, anche una volta riconosciuto il diritto, essendo evidente l’«apprezzabile e autonomo interesse morale della parte privata».
- La seconda critica del ricorso incidentale denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale erroneamente disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito in violazione della regola della soccombenza e valorizzando la «particolarità della questione», non riconducibile alle ipotesi di carattere eccezionale nelle quali l’esercizio del potere di compensazione è stato consentito dal legislatore.
- Il capo della sentenza impugnata relativo al regolamento delle spese è censurato anche con il terzo motivo, con il quale è eccepita la nullità della sentenza per «mancanza della motivazione, per motivazione apparente e contraddittoria, ai sensi dell’art. 132 c.p.c.».
Il ricorrente incidentale rileva che del tutto apoditticamente la Corte territoriale ha giustificato l’esercizio del potere di compensazione richiamando la particolarità e la novità della questione senza aggiungere null’altro e senza indicare le ragioni per le quali la controversia dovesse essere ritenuta «particolare» e la questione giuridica «nuova», pur a fronte dei plurimi precedenti richiamati nella stessa sentenza impugnata.
- Infine il ricorrente incidentale, sempre con riferimento al regolamento delle spese di lite, formula richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia perché, a suo dire, contrasterebbe con il diritto dell’Unione e con quello convenzionale «una prassi nazionale che conduca alla ricorrente compensazione delle spese pur a fronte di soccombenza totale del soggetto discriminante», vanificando le tutele riconosciute dalla direttiva 2000/78 nonché il diritto, affermato dagli artt. 6 e 13 CEDU, ad un processo giusto ed equo.
- L’ordinanza interlocutoria, riassunte le questioni dibattute, quanto a quella inerente al diritto di di percepire la pensione indiretta nella sua qualità di partner superstite di coppia omosessuale, osserva che l’evento dal quale deriva il diritto fatto valere in giudizio, ossia il decesso dell’assicurato INPS, si è verificato in data antecedente all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 e sottolinea che sull’irretroattività della nuova normativa le Sezioni semplici di questa Corte si sono già pronunciate, ritenendo che, in difetto di una espressa previsione derogatoria del principio generale, debba trovare applicazione l’art. 11 delle preleggi, con conseguente impossibilità di riconoscere il diritto alle situazioni interamente svoltesi e conclusesi prima dell’intervento legislativo che, attraverso la generale equiparazione al coniuge della parte dell’unione civile, ha esteso a quest’ultima le garanzie di natura previdenziale.
Richiama, in particolare, Cass., Sez. Lav., 14 settembre 2021 n. 24694 e Cass., Sez. I, 14 marzo 2022 n. 8241 e sottolinea che le pronunce hanno escluso anche i denunciati profili di illegittimità costituzionale e di incompatibilità con la normativa antidiscriminatoria dettata dall’Unione europea, richiamando: l’ontologica diversità fra matrimonio ed unione civile; il margine di apprezzamento del quale, secondo la stessa giurisprudenza delle Alte Corti europee, gli Stati devono poter godere; il rilievo, valorizzato dalla Corte costituzionale in relazione alle convivenze more uxorio, secondo cui la pensione si ricollega geneticamente ad un precedente rapporto giuridico formalizzato che per definizione manca nella convivenza fondata unicamente sul legame affettivo di coppia.
La Sezione rimettente dai quei principi non prende le distanze, ma evidenzia che gli stessi sono stati affermati in fattispecie non sovrapponibili a quella oggetto di causa, nella quale, a seguito della modifica normativa, è stata consentita, sia pure dopo il decesso dell’assicurato INPS, la trascrizione come unione civile del matrimonio contratto negli Stati Uniti d’America già nell’anno 2013, attestante l’esistenza di un vincolo giuridico fra le parti.
Aggiunge, poi, quanto alla rilevanza della normativa antidiscriminatoria, sulla quale fa espressamente leva il ricorso incidentale, che, anche alla luce di quanto recentemente affermato da Corte Cost. n. 15 del 2024, «la ricostruzione della portata precettiva della normativa applicabile e la disamina della valenza discriminatoria delle condotte rispettose delle prescrizioni di legge non possono essere valutate in maniera atomistica, quali fossero aspetti l’uno avulso dall’altro».
In quest’ottica sottopone all’attenzione delle Sezioni Unite l’argomento, sviluppato dalla difesa del controricorrente, secondo cui ai fini della valutazione della comparabilità delle situazioni in rilievo, occorre tener conto della circostanza che, diversamente dalle coppie eterosessuali conviventi, quelle omosessuali fino all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 non avrebbero potuto formalizzare l’unione e neppure ottenere il riconoscimento di rapporti giuridici instaurati in altri ordinamenti.
7.1. Quanto, poi, al secondo motivo del ricorso principale, l’ordinanza interlocutoria richiama in premessa i principi affermati da Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2022 n. 38162, secondo cui la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, è contraria all’ordine pubblico perché offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, con la conseguenza che non sono trascrivibili né il provvedimento giudiziario straniero né l’originario atto di nascita che riconoscano lo stato di filiazione rispetto al genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ha voluto la nascita del bambino ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità alla lex loci.
Evidenzia, peraltro, che nella fattispecie, a fronte della avvenuta trascrizione della sentenza straniera, la parte privata fa leva, oltre che sul principio dell’intangibilità dell’accertamento dello status filiationis e della piena opponibilità di quello status all’istituto previdenziale, sulla necessità di tutelare la posizione del minore che, in caso di decesso del genitore intenzionale, viene a trovarsi in una condizione di particolare vulnerabilità.
Sottolinea al riguardo che i trattamenti di reversibilità assolvono ad una funzione solidaristica, rispetto alla quale assume rilievo la comunione di vita e di affetti che si instaura con il genitore intenzionale e che sarebbe del tutto sacrificata nel caso in cui si attribuisse escluso rilievo alla illiceità delle modalità di procreazione.
- L’Ufficio della Procura Generale, nel concludere per l’accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, quanto alla prima delle questioni sottoposte all’esame delle Sezioni Unite, fa proprio il percorso argomentativo seguito da Cass. n. 8241/2022, cit., e richiama in premessa il principio secondo cui il diritto alla pensione di reversibilità sorge in favore dei superstiti legittimati al momento del decesso dell’assicurato, sicché, in caso di successione di leggi nel tempo, occorre avere riguardo alla normativa vigente alla data dell’evento protetto, non essendo consentita, in difetto di un’espressa previsione in tal senso, l’applicazione retroattiva della disciplina sopravvenuta.
Evidenzia che la legge n. 76 del 2016, che ha riconosciuto alla parte superstite dell’unione civile il diritto alla pensione di reversibilità, non contiene alcuna disposizione dalla quale si possa desumere la volontà del legislatore di estendere gli effetti della nuova normativa anche al periodo pregresso ed aggiunge che i principi affermati dalle Sezioni semplici di questa Corte non subiscono deroghe nel caso in cui, come nella fattispecie, il matrimonio sia stato contratto all’estero, perché prima dell’entrata in vigore della legge citata, quel vincolo non poteva produrre alcun effetto giuridico per il nostro ordinamento.
Richiama, poi, giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte EDU per sostenere che, quanto al diritto che viene in rilievo, gli Stati godono di un certo margine di apprezzamento e, pertanto, non contrasta con l’art. 8 CEDU e non integra discriminazione di genere la mancata previsione dell’efficacia retroattiva della normativa sopravvenuta.
Fa leva, infine, su quanto affermato da Corte Cost. 3 novembre 2000 n. 461 e da Corte Cost. 27 marzo 2009 n. 86, che hanno escluso profili di irragionevolezza della disciplina dettata in tema di trattamenti di reversibilità, nella parte in cui limita i diritti al solo coniuge superstite e non li estende anche ai conviventi more uxorio, valorizzando l’obiettiva diversità fra la convivenza di fatto ed il matrimonio ed escludendo l’eccepita violazione del principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana.
- Le Sezioni Unite ritengono che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, nella parte in cui limita il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge e non lo estende al superstite della coppia omoaffettiva che, al momento del decesso, aveva formalizzato all’estero l’unione e si era trovata nella giuridica impossibilità di ottenere in Italia il riconoscimento del vincolo.
SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE
9.1. Nello storico di lite sono stati evidenziati gli elementi fattuali che caratterizzano la fattispecie oggetto di causa e che la Corte territoriale ha ritenuto di potere valorizzare, richiamando Corte Cost. 15 aprile 2010 n. 138 ed il principio secondo cui la necessità di garantire un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale può essere assicurata anche dal giudice comune, in quanto tenuto ad un’interpretazione delle norme in senso costituzionalmente e convenzionalmente orientato.
Il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata non può essere condiviso perché, lo si anticipa, perviene ad un risultato che eccede i limiti dell’interpretazione adeguatrice la quale, in presenza di un univoco tenore della norma applicabile alla fattispecie, deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (Corte Cost. 26 novembre 2020 n. 253).
L’istituto della pensione di reversibilità è tuttora disciplinato dalla sua legge istitutiva, ossia dal richiamato r.d.l. n. 636/1939, che, all’art. 13, nel prevedere che Nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato, sempreché per quest’ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all’articolo 9, n. 2, lettere a) , e b) , spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, riconosce il diritto in favore del “coniuge”.
Quindi, valorizza il rapporto coniugale che, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale e di queste Sezioni Unite (cfr. per tutte Corte Cost. 22 aprile 2024 n. 66 e Cass. S.U. 27 dicembre 2023 n. 35969), non può essere pienamente assimilato alla situazione di convivenza, seppure stabile, e presenta elementi di diversificazione anche rispetto al vincolo che ha fonte nell’unione civile.
Ciò comporta che, in presenza di una norma che fa univoco riferimento al coniuge, non è consentito all’interprete fornirne un’esegesi che ne estenda l’ambito di applicazione anche al convivente more uxorio o al soggetto che risulti parte di un rapporto diverso da quello di coniugio.
9.2. E’ solo con la legge 20 maggio 2016 n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina della convivenza) che il legislatore ha consentito il riconoscimento della pensione di reversibilità anche a favore del superstite dell’unione civile, dettando la disposizione, di carattere generale, contenuta nell’art. 1, comma 20, secondo cui, ferme le eccezioni previste dalla legge medesima, « Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.».
É stato evidenziato (Corte Cost. n. 66/2024 cit.) che con la legge in parola il legislatore, nel riconoscere l’unione civile fra persone dello stesso sesso, ha raccolto le plurime sollecitazioni provenienti dal Parlamento europeo (risoluzioni 8 febbraio 1994, 16 marzo 2000, 4 settembre 2003) e dalla giurisprudenza della Corte EDU (sentenza 21 luglio 2015, Oliari ed altri contro Italia) che, pur escludendo l’obbligo dello Stato di concedere alla coppia omosessuale l’accesso al matrimonio, avevano rimarcato la necessità di adottare un modello di regolamentazione idoneo a tutelare anche le unioni omoaffettive.
Analoga sollecitazione fondata sul diritto nazionale era stata rivolta al legislatore dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 138 del 15 aprile 2010 e 170 dell’11 giugno 2014, che, dopo avere ritenuto non riconducibile l’unione omosessuale all’ambito di applicazione dell’art. 29 Cost., in ragione della sua ontologica diversità rispetto al matrimonio, avevano evidenziato che la stessa appartiene al più vasto genus delle formazioni sociali, idoneo a ricomprendere ogni forma di comunità, più o meno complessa, nella quale la persona svolge la vita di relazione, e ne avevano tratto la necessità di tutelare il diritto fondamentale delle persone dello stesso sesso di vivere liberamente una condizione di coppia, giuridicamente regolata, con conseguente riconoscimento di diritti e di doveri derivanti dalla stessa.
9.3. A distanza di anni dalle prime pronunce sopra citate, è dunque intervenuta la regolamentazione delle unioni civili e, successivamente, con il d.lgs. n. 7 del 19 gennaio 2017, emanato in forza della delega conferita dall’art. 1, comma 28, della citata legge n. 76/2016, è stato anche inserito nel testo della legge 21 maggio 1995 n. 218 l’art. 32 bis che riconosce, nell’ordinamento interno, al matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso gli effetti dell’unione civile.
Detti effetti, peraltro, in assenza di una disciplina transitoria che si esprima nel senso della retroattività, non possono che operare per il futuro, ossia in relazione a situazioni sorte successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa, e ciò per il principio generale di irretroattività, alla stregua del quale la nuova norma non può essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si voglia attribuire allo stesso una capacità produttiva di diritti non consentita dalla disciplina vigente ratione temporis.
14 In tal senso queste Sezioni Unite si sono già espresse nella motivazione della sentenza n. 35969 del 27 dicembre 2023 che ha attribuito rilevanza ex art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (richiamato dall’art. 1, comma 25, della legge n. 76 del 2016) anche alla convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione.
Invero la pronuncia ha escluso la retroattività della legge n. 76/2016 e all’enunciazione del principio di diritto è pervenuta sulla base dell’orientamento secondo cui la normativa sopravvenuta può essere applicata ex nunc ad un fatto pregresso qualora vengano in discussione gli effetti dello stesso che si protraggono nel tempo.
In tal caso, infatti, l’applicazione della nuova disciplina, solo apparentemente retroattiva, non incide sul fatto produttore del diritto, come accade qualora «risultano introdotti, ovvero siano soppressi o limitati, dalla legge sopravvenuta presupposti, condizioni o facoltà per il riconoscimento del diritto od obblighi inerenti al fatto generatore» (Cass. S.U. 25 maggio 1991 n. 5939), bensì sugli effetti giuridici del fatto, che possono essere diversamente modulati nel tempo e che, in quanto tali, non si sottraggono all’applicazione della normativa sopravvenuta.
Si tratta di un orientamento che non si presta ad essere esteso nella fattispecie, nella quale viene in rilievo il diritto alla pensione di reversibilità che, per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. fra le tante Cass. 3 settembre 2015 n. 17514, Cass. 23 novembre 2015 n. 23841 e Cass. S.U. n. 5939/1991 cit.), sorge al momento del decesso dell’assicurato, che ne costituisce il fatto generatore, con la conseguenza che la spettanza o meno dello stesso va verificata sulla base della normativa vigente alla data di quell’evento.
Non può, quindi, trovare applicazione il citato comma 20 dell’art. 1, che ha esteso alla parte dell’unione civile i diritti in precedenza riservati al coniuge, sicché sotto questo profilo meritano condivisione le conclusioni alle quali questa Corte è già pervenuta con le pronunce richiamate dall’ordinanza interlocutoria che, appunto, hanno individuato unicamente nell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 la disciplina applicabile e, conseguentemente, escluso che la disposizione, per come formulata, possa essere interpretata estendendone l’ambito di operatività anche al superstite della coppia omosessuale.
9.4. Né si può pervenire, come sostiene il controricorrente, al riconoscimento del diritto qui in discussione esercitando il potere di disapplicazione della normativa interna, al fine di garantire la primazia del diritto dell’Unione ad efficacia diretta, e, in particolare, della direttiva 2000/78/CE concernente la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nella parte in cui fa divieto di trattamenti discriminatori fondati sull’orientamento sessuale.
L’interpretazione del Trattato e delle direttive eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia alla quale spetta « nell’esercizio di tale competenza, precisare la portata del principio del primato del diritto dell’Unione alla luce delle disposizioni pertinenti di tale diritto, cosicché tale portata non può dipendere dall’interpretazione di disposizioni del diritto nazionale né dall’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione seguita da un giudice nazionale che non corrisponda a quella della Corte… » (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 22 febbraio 2022 in causa C- 430/21).
Sulla questione che viene in rilievo la Corte ha già pronunciato ed ha precisato che, come reso evidente dal 22° considerando, la direttiva, pur mirando a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni e, in particolare, a quelle fondate sull’orientamento sessuale, lascia impregiudicata la competenza esclusiva delle legislazioni nazionali in materia di stato civile e di prestazioni che ne derivano, sicché ne ha tratto la conseguenza che «Gli Stati membri sono dunque liberi di prevedere o meno il matrimonio per persone del medesimo sesso o una forma alternativa di riconoscimento legale della loro relazione, nonché, eventualmente, di prevedere la data dalla quale decorreranno gli effetti di un tale matrimonio o di una tale forma alternativa» (Corte di Giustizia 24 novembre 2016, in causa C- 443/15, punto 59).
Ha ulteriormente affermato che «la direttiva 2000/78 non obbligava l’Irlanda né a prevedere anteriormente al 1° gennaio 2011 il matrimonio o una forma di unione civile per le coppie omosessuali, né a riconoscere effetti retroattivi alla legge sulle unioni civili… né, ancora, per quanto riguarda la pensione di reversibilità… a prevedere misure transitorie per le coppie dello stesso sesso…» (punto 60).
Il principio di non discriminazione, secondo questa interpretazione che valorizza i rispettivi ambiti di competenza delle legislazioni nazionali e del diritto dell’Unione, opera solo nel momento in cui la competenza nazionale è esercitata ed osta ad un normativa interna che, nell’esercizio della stessa, ponga in discussione il richiamato principio operando una diversificazione, quanto al diritto di percepire una prestazione ai superstiti, equivalente a quella concessa al coniuge, pur a fronte di una normativa sullo stato civile prevedente per le persone dello stesso sesso un regime giuridico analogo a quello previsto per il matrimonio (Corte di Giustizia 1° aprile 2008, in causa C- 267/06 e Corte di Giustizia 10 maggio 2011, in causa C- 147/08, entrambe relative a fattispecie nelle quali veniva in discussione il trattamento previdenziale riservato alle parti di un’unione civile, deteriore rispetto a quello previsto in favore dei coniugi).
Resta, quindi, escluso che all’applicazione retroattiva della disciplina dettata dalla legge n. 76 del 2016 si possa pervenire facendo leva sul diritto eurounitario, del quale queste Sezioni Unite non possono fornire un’interpretazione difforme da quella già data dalla Corte di Giustizia nella citata pronuncia del 24 novembre 2016.
9.5. Conclusioni analoghe a quelle alle quali la Corte di Giustizia è pervenuta si traggono dalla giurisprudenza della Corte EDU che, più volte intervenuta sul tema delle coppie omosessuali, nella motivazione della sentenza 14 giugno 2016, Tomas contro Spagna, ha ribadito i principi già in precedenza affermati quanto all’interpretazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione, secondo cui gli Stati aderenti sono tenuti ad adottare una normativa che preveda il riconoscimento e la tutela dell’unione omosessuale, ma al tempo stesso non sono obbligati a concedere l’accesso al matrimonio e possono prevedere anche trattamenti differenziati, purché fondati su una giustificazione oggettiva e razionale, essendo inaccettabili differenze che si basino esclusivamente sull’orientamento sessuale.
Ha, però, significativamente aggiunto che gli Stati contraenti sono beneficiari di un margine di apprezzamento con riguardo alle tempistiche di introduzione di modifiche legislative nel campo della legalizzazione delle coppie omosessuali e del loro status e, in ragione di ciò, ha escluso che il riconoscimento della pensione di reversibilità solo a partire da una certa data violi le norme convenzionali e costituisca ammissione, da parte dello Stato contraente, della violazione della Convenzione perpetrata prima dell’introduzione della nuova normativa.
9.6. Dalle considerazioni sopra esposte discende, dunque, che la questione devoluta alle Sezioni Unite va decisa sulla base della disciplina dettata dall’art. 13 del r.d.l. n. 636/1939, nel testo applicabile ratione temporis alla data di decesso dell’assicurato (8 ottobre 2015), che non consentiva di estendere il diritto riservato al coniuge al partner superstite della coppia omoaffettiva che, pur avendo contratto matrimonio all’estero, si trovava all’epoca nella giuridica impossibilità di ottenere nell’ordinamento italiano il riconoscimento degli effetti del vincolo formalmente instaurato, nel rispetto delle regole di altro ordinamento.
SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA
- Escluso che la normativa interna contrasti con il diritto unionale e convenzionale, nondimeno le Sezioni Unite dubitano sulla conformità della stessa ai principi costituzionali, nell’interpretazione che il Giudice delle Leggi ha dato nei più recenti arresti, i quali hanno tenuto conto dell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza, nazionale ed europea, rispetto ai temi della famiglia, della dignità delle convivenze di fatto e, nell’ambito di queste ultime, delle coppie omoaffettive. In particolare ritengono che possa profilarsi un contrasto della disciplina applicabile ratione temporis, con gli artt. 2, 36 e 38 Cost., in ragione dell’impegno assunto dalla Repubblica di tutelare all’interno delle formazioni sociali i diritti inviolabili della persona e di garantire l’attuazione della dimensione solidaristica che caratterizza lo Stato sociale.
Le Sezioni Unite conoscono la pronuncia di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma che qui viene in rilievo resa da Corte Cost. 3 novembre 2000 n. 461 che ritenne giustificata la mancata inclusione del convivente more uxorio fra i destinatari della pensione di reversibilità, ma evidenziano che le ragioni sulle quali la decisione si incentra non si prestano ad essere tutte estese alla fattispecie, nella quale non viene in rilievo una convivenza di fatto eteroaffettiva, frutto di una libera scelta della coppia eterosessuale.
Né manca la formalizzazione del vincolo, intesa come fatto storico certo documentabile ai fini dell’accesso alla prestazione previdenziale, perché si discute di un’unione omosessuale legalizzata all’estero, il cui riconoscimento il legislatore non ha consentito, nonostante le sollecitazioni di cui si è dato conto nel punto 9.2., fino all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
Parimenti è noto il percorso argomentativo seguito da Corte Cost. 15 aprile 2010 n. 138 per giungere alla dichiarazione di inammissibilità delle questioni poste dalle ordinanze di rimessione che, in quel caso, sollecitavano in sostanza una pronuncia additiva che estendesse all’unione fra persone dello stesso sesso l’intera disciplina del matrimonio civile.
E’ proprio dalla motivazione di questa pronuncia che le Sezioni Unite ritengono di dover prendere le mosse nella prospettazione della questione di legittimità nei termini sopra indicati.
Nell’occasione, infatti, la Corte, pur evidenziando la diversità fra matrimonio ed unione omosessuale, ha ribadito che quest’ultima, nel contesto di valorizzazione del modello pluralistico, deve essere tutelata quale formazione sociale idonea a consentire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, il che ne implica il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri derivanti dalla condizione di coppia.
Ha, poi, aggiunto che, pur spettando al Parlamento individuare le forme di garanzia e le tutele da riconoscere all’unione omosessuale, nondimeno resta «riservata alla Corte costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni » perché «può accadere che in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza».
E’ questo controllo che le Sezioni Unite intendono sollecitare nella fattispecie, caratterizzata dalla specificità di cui si è già dato conto, e nella quale viene in rilievo il diritto alla pensione di reversibilità, ossia un diritto che, come evidenziato da Corte Cost. 14 luglio 2016 n. 174, poi ripresa da Corte Cost. 30 giugno 2022 n. 162, si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. in quanto partecipa della funzione previdenziale propria del trattamento pensionistico e, come questo, è finalizzato a garantire al cittadino la liberazione dal bisogno e condizioni minime economiche idonee ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, condizioni che, a loro volta, costituiscono il mezzo per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.
A questa finalità propria del trattamento previdenziale, la pensione di reversibilità aggiunge l’ultrattività della solidarietà familiare, garantendo la continuità del sostentamento e prevenendo lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del congiunto.
Si tratta, quindi, di un diritto che, alla luce di quanto precisato in motivazione da Corte Cost. 25 luglio 2024 n. 148, punto 11, può essere ricondotto nell’alveo di quelli fondamentali, in presenza dei quali diviene recessiva la diversità con la famiglia fondata sul matrimonio, e risulta giustificato, proprio in ragione della natura del diritto del quale si discute, l’intervento additivo al quale si fa riferimento nella motivazione di Corte Cost. n. 138/2010 cit., finalizzato a rendere omogenea la condizione della coppia omosessuale con quella coniugata, nel caso in cui alla prima sia stato impedito, in ragione della normativa vigente ratione temporis, il riconoscimento del vincolo contratto all’estero.
- In via conclusiva il Collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 nei termini sopra prospettati e, pertanto, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.