Corte Costituzionale, sentenza, 19 giugno 2025, n. 80
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 13, della legge della Provincia di Bolzano 16 luglio 2024, n. 2 (Modifiche a leggi provinciali in materia di uffici provinciali e personale, cooperazione allo sviluppo, istruzione, cultura, pubblico spettacolo, sicurezza, protezione antincendio e civile, caccia e pesca, tutela dell’ambiente e del paesaggio, energia, tutela delle acque e utilizzazione delle acque pubbliche, igiene dei prodotti alimentari, patrimonio e finanze, attività economiche, lavori pubblici, alpinismo, turismo, espropriazioni per pubblica utilità, commercio, edilizia abitativa agevolata, igiene e sanità, assistenza e beneficenza, trasporti, apprendistato).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 34 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 13, della legge prov. Bolzano n. 2 del 2024, che ha sostituito il comma 4 dell’art. 27 della legge prov. Bolzano n. 16 del 2025 con la seguente previsione: «4. In fase di procedura di gara la stazione appaltante richiede al solo concorrente collocatosi primo in graduatoria di indicare il costo della manodopera e del personale nonché gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il costo della manodopera e del personale nonché gli oneri aziendali non sono richiesti nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale. Prima dell’aggiudicazione la stazione appaltante verifica la congruità del costo e degli oneri indicati. In caso di esito negativo della verifica, si procede con l’esclusione del concorrente e lo scorrimento della graduatoria. I nominativi dei subappaltatori vengono richiesti esclusivamente in fase di esecuzione del contratto».
Tale disposizione provinciale contrasterebbe con gli artt. 108, comma 9, e 110, comma 1, cod. contratti pubblici, i quali prevedono, rispettivamente, che:
– «[n]ell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale»;
– «[l]e stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa».
Ad avviso del ricorrente, queste disposizioni del codice dei contratti pubblici sono riconducibili alla materia «tutela della concorrenza» e costituiscono norme fondamentali delle riforme economico-sociali, attuative anche di obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. Esse, nell’imporre a tutti gli operatori economici partecipanti alla procedura di indicare nell’offerta, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali sostenuti per rispettare le disposizioni sulla sicurezza e sulla salute sul luogo di lavoro, esprimerebbero la necessità che la stazione appaltante determini la base d’asta in modo congruo e corretto e valuti, in piena trasparenza ed ex ante, «a prescindere dal (solo successivo) esito della procedura», la rispondenza di tutte le offerte alla normativa posta a tutela dei lavoratori.
La disposizione provinciale impugnata, nel richiedere questo adempimento al solo concorrente risultato primo in graduatoria, non terrebbe conto del fatto che i costi della manodopera e della sicurezza costituiscono parte integrante dell’offerta economica e dovrebbero pertanto essere considerati, quale «elemento ineludibile», ai fini della valutazione complessiva operata dalla stazione appaltante in sede di determinazione della graduatoria. Lo confermerebbe il testo del citato art. 110, comma 1, cod. contratti pubblici, il quale prevede che tra gli elementi specifici di valutazione delle offerte anormalmente basse siano inclusi «i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9».
Di conseguenza, sarebbero violati l’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., nonché gli artt. 4 e 8, primo comma, numero 17), dello statuto speciale.
2.– Vanno esaminate, in via preliminare, le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano.
In primo luogo, la questione concernente la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. sarebbe inammissibile, in quanto tale parametro potrebbe applicarsi alle regioni a statuto speciale e alle province autonome solo nella parte in cui attribuisce forme di autonomia più ampie di quelle già riconosciute dai relativi statuti, ex art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Il riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), dunque, non sarebbe conferente.
L’eccezione non è fondata.
Il ricorrente lamenta, in realtà, il superamento dei limiti della potestà legislativa provinciale di natura primaria in materia di «lavori pubblici di interesse provinciale», di cui all’art. 8, primo comma, numero 17), dello statuto speciale.
Questi limiti, che derivano dalla necessità di rispettare – in forza del richiamo fatto dall’art. 8 citato al precedente art. 4 – gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali, le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, sarebbero rinvenibili nelle disposizioni del vigente codice dei contratti pubblici emanate dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva nella materia «tutela della concorrenza». È questo, pertanto, il corretto significato da attribuire alla contemporanea evocazione del citato parametro statutario e dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (in senso analogo, sentenze n. 174 del 2024 e n. 23 del 2022).
In secondo luogo, la Provincia autonoma eccepisce l’inammissibilità della medesima questione sull’assunto che il ricorrente non avrebbe indicato «in quali termini» la disposizione impugnata comporti «un livello di tutela della concorrenza inferiore rispetto a quello garantito dalla legislazione statale».
Anche questa eccezione non è fondata, in quanto una simile censura riguarda, semmai, il merito della questione.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri evoca, innanzi tutto, la violazione degli artt. 4 e 8, primo comma, numero 17), dello statuto speciale, per superamento dei limiti posti alla competenza legislativa primaria provinciale nella materia «lavori pubblici di interesse provinciale» dalle disposizioni del vigente codice dei contratti pubblici, emanate dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva nella materia «tutela della concorrenza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
A questo proposito il ricorrente evoca, come si è visto, quali norme statali interposte, gli artt. 108, comma 9, e 110, comma 1, cod. contratti pubblici.
Tra queste norme assume peculiare rilievo l’art. 108, comma 9, secondo il quale l’indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera e degli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro è espressamente imposta a tutte le imprese concorrenti «a pena di esclusione» dalla procedura di gara.
È innanzi tutto opportuno ricostruire sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
3.1.– Con riguardo all’art. 108, comma 9, cod. contratti pubblici, il Consiglio di Stato, nella relazione allo schema definitivo di Codice dei contratti pubblici, del 7 dicembre 2022, ha osservato che «[l]a disposizione è presente anche nel decreto legislativo n. 50 del 2016 ed è ormai oggetto di un consolidato orientamento giurisprudenziale diretto a descrivere l’omissione in questione quale causa di esclusione», precisando che, «[a] tali fini, è stato espressamente inserito l’inciso “a pena di esclusione” per dare maggiore certezza agli operatori giuridici derivanti dalla citata omissione dichiarativa» (pag. 158).
Invero, il previgente codice dei contratti pubblici dettava, al comma 10 dell’art. 95, una norma simile, ma priva dell’espressa comminatoria dell’esclusione, per il caso in cui non fossero stati indicati dall’impresa separatamente i costi della manodopera e quelli della sicurezza.
Sennonché, nell’interpretare tale disposizione, la giurisprudenza amministrativa (tra le tante, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 24 gennaio 2019, n. 1 e sentenze 2 aprile 2020, n. 7 e n. 8; sezione quinta, sentenza 17 febbraio 2022, n. 1191; Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione prima, sentenza 21 giugno 2024, n. 1559) era pervenuta alla conclusione che:
- a) la mancata indicazione separata dei costi della manodopera e della sicurezza comportasse necessariamente l’esclusione dell’impresa dalla gara, senza possibilità di sanatoria mediante il cosiddetto “soccorso istruttorio” (in applicazione del principio della par condicio competitorum);
- b) l’esclusione dalla gara scattasse anche in assenza di espressa previsione della lex specialis, in quanto la normativa era sufficientemente chiara in ordine a tale obbligo, considerando che ai pubblici appalti debbono prendere parte soggetti ragionevolmente informati e normalmente diligenti;
- c) i suddetti costi non fossero neppure ricostruibili ex post, in sede di verifica di congruità delle offerte, attraverso l’eventuale dimostrazione che il dato era comunque compreso nell’offerta economica, anche se non espressamente indicato: ciò, in quanto i costi dovevano essere espressamente «indicati» e non soltanto considerati o comunque contemplati dai concorrenti.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto l’esclusione dalla gara conseguente al mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, come interpretate dalla giurisprudenza, compatibile con il diritto dell’Unione europea (CGUE, nona sezione, sentenza del 2 maggio 2109, in causa C-309/18, Lavorgna srl contro Comune di Montelanico e altri).
Quanto alla ratio sottesa all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che l’obbligo dichiarativo in esame e il correlato automatismo espulsivo rispondessero «all’evidente esigenza di rafforzare gli strumenti di tutela dei lavoratori, di responsabilizzare gli operatori economici e di rendere più agevoli ed efficaci gli strumenti di vigilanza e controllo da parte delle amministrazioni», osservando in particolare che «negli appalti ad alta intensità di manodopera (in cui gli oneri lavorativi sono la parte prevalente – o pressoché esclusiva – degli oneri di impresa), il concorrente che formuli un’offerta economica omettendo del tutto di specificare quali siano gli oneri connessi alle prestazioni lavorative non commette soltanto una violazione di carattere formale, ma presenta un’offerta economica di fatto indeterminata nella sua parte più rilevante, in tal modo mostrando un contegno certamente incompatibile con l’onere di diligenza particolarmente qualificata che ci si può ragionevolmente attendere da un operatore professionale» (Cons. Stato, n. 1191 del 2022, che richiama l’ordinanza dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2019).
Anche di recente, si è affermato che la previsione di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016 aveva lo scopo «di consentire alla stazione appaltante di verificare in che modo l’operatore economico sia giunto a formulare il prezzo offerto, onde evitare un vulnus alla tutela del lavoro sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost.)» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 14 aprile 2025, n. 3195).
In altri termini, l’indicazione del costo della manodopera rappresenta «un elemento costitutivo ed essenziale dell’offerta economica, che non è suscettivo di essere immutato nell’importo, al pari degli oneri aziendali per la sicurezza, pena l’incisione degli interessi pubblici posti a presidio delle esigenze di tutela delle condizioni di lavoro e di parità di trattamento dei concorrenti» (TAR Veneto, sezione prima, sentenza 9 febbraio 2024, n. 230, che richiama Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 31 maggio 2022, n. 4406).
Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, che ha reso esplicite le conseguenze dell’omessa indicazione dei costi nell’offerta economica, la giurisprudenza amministrativa ha puntualmente osservato che «il d.lgs. n. 36 del 2023 segue la via tracciata dal d.lgs. n. 50 del 2016 nell’assicurare una tutela rafforzata degli interessi dei lavoratori, richiedendo ai partecipanti alla gara di indicare, in via separata, nella propria offerta economica, i costi della manodopera e i costi per gli oneri di sicurezza, e sanzionando con l’esclusione la violazione di detto obbligo (come evincibile dagli artt. 41, comma 13, e 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023). Dalla lettura combinata delle disposizioni citate, emerge, infatti, la volontà di responsabilizzare gli operatori economici, allo scopo di assicurare che questi ultimi, prima di formulare il proprio “ribasso complessivo”, svolgano una seria valutazione preventiva dei predetti costi. L’art. 108, comma 9, innovando rispetto al codice previgente, sanziona espressamente l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera e degli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, con l’esclusione dalla gara, come riconosciuto nella relazione al nuovo codice. Da ciò si desume la piena continuità del codice del 2023 rispetto a quello del 2016 nella tutela degli interessi dei lavoratori» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 19 novembre 2024, n. 9255 e, in senso analogo, n. 9254).
3.2– Ciò premesso, la questione è fondata.
Depone in tal senso l’evidente difformità della disposizione provinciale impugnata rispetto alle norme del codice dei contratti pubblici invocate dal ricorrente, che prevedono sia la specifica indicazione dei costi della manodopera e della sicurezza nell’offerta economica, a pena di esclusione dell’operatore dalla procedura di gara (art. 108, comma 9, cod. contratti pubblici), sia la verifica ad opera della stazione appaltante dell’offerta che appaia anormalmente bassa sulla base di tali indicazioni (art. 110, comma 1, dello stesso codice).
La disposizione provinciale impugnata, infatti, esonera gli operatori economici dall’indicare i costi in sede di presentazione delle offerte, a pena di esclusione, e differisce l’insorgenza di tale obbligo al momento successivo alla formazione della graduatoria, limitandolo, peraltro, all’operatore classificatosi per primo.
Viene così vanificata la ratio dell’obbligo dichiarativo e del correlato automatismo espulsivo, i quali rispondono, come ha riconosciuto la giurisprudenza amministrativa, all’esigenza perseguita dal nuovo codice dei contratti pubblici di rafforzare gli strumenti di tutela dei lavoratori, di responsabilizzare gli operatori economici e di rendere più agevoli ed efficaci gli strumenti di vigilanza e controllo, consentendo alla stazione appaltante di verificare con trasparenza ed ex ante, sulla base dei costi dichiarati nella stessa offerta, come gli operatori siano giunti a formulare il prezzo, evitando in tal modo un pregiudizio alla tutela del lavoro. Sotto questo profilo, va ricordato che, come ha parimenti riconosciuto la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 18 aprile 2025, n. 3418, nonché n. 9255 e n. 9254 del 2024; Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione quarta, sentenza 29 gennaio 2024, n. 120), la previsione dell’obbligo di dichiarare nell’offerta i costi della manodopera, a pena di esclusione, si spiega in quanto tali costi sono comunque ribassabili rispetto a quelli individuati dalla stazione appaltante nei documenti di gara ai sensi dell’art. 41, comma 13, cod. contratti pubblici e costituiscono elementi specifici in presenza dei quali si avvia il procedimento di verifica dell’anomalia disciplinato dall’art. 110, comma 1, cod. contratti pubblici. Resta ferma, nell’ambito di tale procedimento, «la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale», ex art. 41, comma 14, dello stesso codice.
Il delineato quadro normativo statale, riveniente dal combinato disposto degli artt. 108, comma 9, e 110, comma 1, cod. contratti pubblici, è l’esito di un’operazione di bilanciamento fra la tutela della concorrenza, diretta a salvaguardare valori quali la parità di trattamento dei partecipanti alla gara e la trasparenza, e la tutela della manodopera, che il legislatore statale ha inteso apprestare in modo rafforzato, con la finalità di conseguire obiettivi di interesse sociale.
La disposizione provinciale impugnata, dunque, contrasta con la scelta operata dal nuovo codice dei contratti pubblici, in continuità con il precedente, di individuare nella dichiarazione dei costi della manodopera e della sicurezza un elemento di per sé costitutivo ed essenziale dell’offerta economica, non modificabile nel corso della procedura. L’indicazione richiesta al solo concorrente collocatosi al primo posto della graduatoria e la successiva verifica di congruità, previste dal legislatore provinciale, rischiano di tradursi in una ricostruzione ex post e non trasparente dei costi, attraverso la dimostrazione che il dato era comunque compreso, anche se non espressamente indicato, nell’offerta economica. A escludere questo rischio non è quindi sufficiente la circostanza che, come sottolinea la Provincia autonoma, la disposizione impugnata preveda comunque la verifica di congruità dei costi prima dell’aggiudicazione al primo classificato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, tutte le disposizioni del codice dei contratti pubblici che riguardano la scelta del contraente (le procedure di affidamento) sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, attuative anche di «obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea» (tra le tante, sentenze n. 174 del 2024, n. 23 del 2022, n. 166 del 2019, n. 263 del 2016, n. 187 e n. 36 del 2013, n. 74 del 2012, n. 382, n. 184 e n. 114 del 2011). Ne consegue che le regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme. In particolare, si è affermato che «[l]a concorrenza, che in generale rinviene nell’uniformità di disciplina “un valore in sé perché differenti normative regionali sono suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali” (sentenza n. 283 del 2009), a fortiori, non tollera regole differenziate a livello locale nelle procedure che danno accesso alla stipula dei contratti pubblici» (sentenza n. 174 del 2024, che richiama la sentenza n. 23 del 2022).
Questa Corte ha sottolineato, inoltre, che spetta esclusivamente allo Stato, nell’esercizio della sua competenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., definire sul piano legislativo il punto di equilibrio tra la tutela della concorrenza e la tutela di altri interessi pubblici con essa interferenti (tra le tante, sentenze n. 56 del 2020 e n. 30 del 2016), «come quelli sottesi al raggiungimento di “obiettivi di politica sociale […], di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese”» (sentenza n. 4 del 2022).
Pertanto, il contrasto con gli artt. 108, comma 9, e 110, comma 1, cod. contratti pubblici – disposizioni che senza alcun dubbio riguardano le procedure di affidamento – determina il superamento dei limiti posti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano in materia di «lavori pubblici di interesse provinciale», ex art. 8, primo comma, numero 17), dello statuto speciale.
3.3.– Nessuna delle difese svolte dalla Provincia autonoma è idonea a scalfire la fondatezza della questione.
Non può essere evocata, in senso contrario, la norma di attuazione dello statuto speciale di cui all’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 162 del 2017, a tenore del quale «[l]e Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con legge provinciale, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle norme legislative fondamentali di riforma economico-sociale, ivi comprese quelle che stabiliscono i livelli minimi di regolazione richiesti dal diritto dell’Unione europea in materia di appalti e concessioni, le procedure di aggiudicazione e i contratti pubblici, compresa la fase della loro esecuzione, relativi a lavori, servizi e forniture […]».
Questa Corte, nell’esaminare la legittimità di una disciplina concernente le procedure di affidamento introdotta dalla Provincia autonoma di Trento, titolare di analoghe competenze legislative, ha infatti già osservato che il quadro attinente al riparto di competenze tra lo Stato e le autonomie speciali «non può ritenersi […] in alcun modo inciso» dall’adozione della citata norma di attuazione dello statuto, in quanto il d.lgs. n. 162 del 2017 «preserva […] il riferimento al rispetto della normativa dell’Unione europea e delle norme legislative fondamentali di riforma economico-sociale» (sentenza n. 23 del 2022; in senso analogo, con riferimento a normativa della Provincia autonoma di Bolzano, sentenza n. 79 del 2023).
Quanto al prospettato perseguimento di legittime finalità di semplificazione, si osserva che la spettanza allo Stato del potere di definire legislativamente il punto di equilibrio tra la tutela della concorrenza e la tutela di altri interessi pubblici con essa interferenti, al fine di garantire uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale, non vale solo per gli interessi sottesi alla tutela dei lavoratori, ma anche con riguardo a eventuali finalità di semplificazione procedimentale, poiché le scelte operate in tale ambito implicano (come questa Corte ha affermato esaminando norme regionali o provinciali introduttive di forme di cosiddetta “inversione procedimentale”) «un delicato bilanciamento fra le esigenze di semplificazione e snellimento delle procedure di gara e quelle, fondamentali, di tutela della concorrenza, della trasparenza e della legalità delle medesime procedure, […] quale garanzia di uniformità della disciplina su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 39 del 2020, richiamata dalla sentenza n. 23 del 2022).
Né è utile indagare se la disposizione impugnata possa produrre effetti pro-concorrenziali, peraltro non meglio precisati dalla Provincia autonoma. Nella regolamentazione delle procedure di aggiudicazione, infatti, non sussistono le condizioni che consentono a norme regionali o provinciali, riconducibili a competenze primarie, di produrre simili effetti, in quanto le conseguenze di una diversificazione a livello territoriale, in questo ambito, sono tali da evidenziare un contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (ancora, sentenza n. 23 del 2022).
4.– In conclusione, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 13, della legge prov. Bolzano n. 2 del 2024.
La questione avente per oggetto la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. resta assorbita.