Corte Costituzionale, sentenza 28 luglio 2025, n. 138
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione terza.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Il Consiglio di Stato, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 196 del 2024), solleva, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016, ove si prevede che le violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse sono «gravi», e quindi causano l’esclusione dalla partecipazione a una procedura di appalto, se comportano un omesso pagamento superiore all’importo di cui all’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. n. 602 del 1973, attualmente pari a 5.000 euro.
Il rimettente dubita della legittimità costituzionale di tale disposizione in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo del contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Ciò in quanto viene considerata «grave» la violazione tributaria nel caso di «mero superamento della soglia fissa e predeterminata di cinquemila euro, in forza della relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602 del 1973».
Il giudice a quo osserva che la previsione recata dal richiamato art. 48-bis incide, «in omaggio ad una ratio squisitamente esattiva», sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni, prescrivendo la sospensione del pagamento superiore a una certa soglia dovuto a qualsiasi titolo da amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo. La sua applicazione come causa automaticamente escludente dagli appalti per irregolarità fiscali sarebbe irragionevole e sproporzionata, in quanto non sarebbe giustificata né dalla ratio legis intrinseca – il perseguimento dell’integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui l’amministrazione si ritrova a contrattare – né dalla «ratio legis estrinseca, di indole fiscale, tesa a perseguire la compliance impo-esattiva».
Per riportare entro i canoni di proporzionalità e ragionevolezza l’automatismo a effetto escludente previsto dalla disposizione censurata sarebbe sufficiente, secondo il rimettente, un intervento additivo di principio di questa Corte, «secondo cui costituiscono gravi violazioni definitivamente accertate quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e che, in ogni caso, sono correlate al valore dell’appalto».
2.– In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato, in relazione alla richiesta del rimettente di una sentenza additiva di principio avente il dispositivo sopra riportato. Secondo l’Avvocatura, nel caso di tale pronuncia additiva il Consiglio di Stato dovrebbe comunque ritenere grave la violazione compiuta da Dussmann Service srl, in quanto superiore a 5.000 euro, «e – nelle more di un successivo intervento del legislatore – si farebbe dipendere da valutazioni del tutto discrezionali delle Stazioni appaltanti la causa di esclusione automatica, con grave pregiudizio per la certezza del diritto».
La difesa dello Stato, dunque, da un lato dubita dell’utilità del tipo di soluzione prescelta dal rimettente (una sentenza additiva di principio) allo scopo di risolvere la controversia che gli è stata sottoposta, dall’altro sostiene che l’intervento richiesto provocherebbe, fino all’adozione di una nuova disciplina legislativa sul punto, un vuoto di tutela non consentito.
Quanto al primo aspetto, concernente la richiesta di una pronuncia additiva di principio, si rammenta che il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente, ma non vincola questa Corte, che, «ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, più di recente, sentenza n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)» (così, tra le più recenti, la sentenza n. 46 del 2024).
Avuto riguardo al secondo aspetto, relativo al paventato vuoto di tutela che si creerebbe nell’attesa dell’intervento del legislatore, questa Corte, in sintonia con la propria recente giurisprudenza, rileva che ai fini dell’ammissibilità del giudizio è sufficiente «la presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni “costituzionalmente adeguate”, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2022, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 99 e n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018)» (sentenza n. 95 del 2022), mentre «l’assenza di una soluzione a rime obbligate non è preclusiva di per sé sola dell’esame nel merito delle censure» (sentenza n. 48 del 2021).
3.– Passando al merito della questione, essa si incentra sul richiamo operato dall’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 all’importo previsto dall’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, attualmente pari a 5.000 euro. Il legislatore, attraverso questo richiamo, ha individuato per relationem l’importo al di sopra del quale la violazione fiscale è considerata «grave».
L’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 prevede, per i pagamenti dovuti dalle pubbliche amministrazioni, la sospensione del versamento di importo superiore a 5.000 euro, dovuto a qualsiasi titolo da amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica «se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo»; in caso affermativo, le amministrazioni non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.
4.– È opportuna una breve disamina della cornice normativa che regola il requisito della regolarità fiscale richiesto per la partecipazione a gare per l’affidamento di contratti pubblici.
In origine, la direttiva 18/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, rimetteva alla discrezionalità legislativa dei singoli Stati membri la scelta se introdurre una causa di esclusione dalle gare a carico dell’operatore economico «che non [fosse] in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice» (art. 45, paragrafo 2, lettera f).
Il legislatore italiano, con l’art. 38, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), si era avvalso della facoltà prevista dalla direttiva e aveva stabilito l’esclusione dalle gare dell’operatore economico che aveva commesso «violazioni definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse». L’art. 4 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, aveva modificato la previsione, richiedendo che le violazioni fossero «gravi».
A seguito dell’adozione della direttiva 2014/24/UE, tale disciplina è mutata in maniera significativa.
Ai sensi dell’art. 57, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE gli Stati membri sono ora infatti obbligati a prevedere l’esclusione dalle gare degli operatori economici che non hanno «ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte», quando l’inottemperanza agli obblighi è stata definitivamente accertata.
Accanto a questa fattispecie di esclusione obbligatoria è stata inserita una ulteriore ipotesi, relativa alle violazioni di obblighi fiscali (e previdenziali) non definitivamente accertate. In questo caso, è rimessa agli stessi Stati la decisione se introdurre una causa automatica di esclusione dalla gara ovvero lasciare alla stazione appaltante la decisione se procedere all’esclusione.
In entrambe le ipotesi, la causa di esclusione «non è più applicabile quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe» (art. 57, paragrafo 2, ultimo periodo).
La direttiva ha introdotto anche la possibilità per gli Stati membri di prevedere alcune deroghe rispetto all’esclusione obbligatoria dalle gare dell’impresa che non ha ottemperato a obblighi fiscali (o contributivi) accertati in via definitiva. Per quanto qui rileva, la deroga è, tra l’altro, consentita «nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte» (art. 57, paragrafo 3, secondo periodo).
Dunque, mentre nella pregressa disciplina dettata dal legislatore europeo l’esclusione dalle gare, per qualsiasi tipo di violazione degli obblighi fiscali, era rimessa alla scelta degli Stati, la direttiva 2014/24/UE distingue le violazioni degli obblighi fiscali definitivamente accertate da quelle non definitivamente accertate. All’interno di questa dicotomia impone agli Stati membri di prevedere l’esclusione automatica dalle gare solo per le violazioni definitivamente accertate, per le quali la direttiva consente di introdurre una deroga all’obbligo di esclusione, qualora essa sia «chiaramente sproporzionata», in particolare per il mancato pagamento di «piccoli importi di imposte» (ancora art. 57, paragrafo 3, secondo periodo).
Nel recepire la direttiva 2014/24/UE, il d.lgs. n. 50 del 2016 aveva in origine disciplinato, all’art. 80, comma 4, solo la causa di esclusione obbligatoria relativa alle «gravi» violazioni definitivamente accertate di obblighi fiscali, specificando che «[c]ostituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602».
La Commissione europea, nel 2019, avviava una procedura di infrazione, con la quale veniva contestato allo Stato italiano il mancato recepimento delle previsioni del diritto dell’Unione riguardanti le violazioni fiscali non definitivamente accertate. Il legislatore nazionale modificava quindi l’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 prevedendo che le stazioni appaltanti potessero escludere l’operatore economico che aveva commesso una violazione non definitivamente accertata «grave», in quanto superiore all’importo del richiamato art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973.
Successivamente, l’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 è stato nuovamente modificato dall’art. 10, comma 1, lettera c), numero 1), della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020) ed è stato affidato a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il compito di stabilire quali fossero le gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale, che «in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro». Il decreto del Mef del 28 settembre 2022, oltre ad avere stabilito all’art. 4 quando una violazione fiscale si considera «non definitivamente accertata», ha altresì individuato all’art. 2 la soglia di gravità, fissandola nella misura del 10 per cento del valore dell’appalto e aggiungendo che «[i]n ogni caso, l’importo della violazione non deve essere inferiore a 35.000 euro».
Da ultimo, è intervenuto il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), che ha sostituito il d.lgs. n. 50 del 2016. Esso ora regola, agli artt. 94 e 95, la causa di esclusione derivante dalla violazione di obblighi fiscali, in maniera sostanzialmente identica alla disposizione in esame. Tuttavia, tale disposizione continua ad applicarsi, ai sensi dell’art. 226, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2023 ratione temporis, in quanto nel giudizio a quo si controverte di una procedura di gara già bandita al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici.
5.– È altresì opportuno richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale avuto riguardo ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.
Questa Corte ha ritenuto sussistente una lesione del principio di ragionevolezza «quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come “contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata” (sentenza n. 416 del 2000)» (sentenza n. 6 del 2019; nello stesso senso, di recente, sentenza n. 125 del 2022). In tal caso, il giudizio di ragionevolezza consiste in un «apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la ‘causa’ normativa che la deve assistere» (sentenze n. 195 del 2022 e n. 6 del 2019).
Si è anche rilevato che, qualora il legislatore abbia inteso contemperare, attraverso la disposizione censurata, due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 20 del 2019; in termini, sentenze n. 5 del 2023, 188 del 2022 e n. 1 del 2014).
Dunque, sono tre le condizioni richieste per il superamento del test di proporzionalità: che l’imposizione di oneri sia idonea rispetto ai fini perseguiti; che venga scelta la misura meno restrittiva dei diritti oggetto di bilanciamento; che tali oneri non siano sproporzionati.
Il test si considera invece non superato, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., quando – a fronte dell’esigenza di porre in essere un bilanciamento tra i diritti antagonisti – si realizza una «manifesta sproporzione del congegno normativo approntato rispetto al perseguimento dei fini legittimamente perseguiti, almeno ove applicato, senza alcuna differenziazione» (così sempre la sentenza n. 20 del 2019).
6.– Così ricostruiti i tratti normativi e giurisprudenziali di riferimento, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016, sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.
Infatti, dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata si evince che il giudizio sulla possibile irragionevolezza e sul difetto di proporzionalità della disposizione censurata dal Consiglio di Stato rimettente presuppone, in primo luogo, l’individuazione della sua ratio.
Come costantemente rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, l’esclusione dell’operatore che ha commesso gravi violazioni definitivamente accertate degli obblighi fiscali ha lo scopo di assicurare l’integrità, la correttezza e l’affidabilità dei concorrenti con cui l’amministrazione è chiamata a contrattare nonché quello di indurre indirettamente gli operatori economici ad assolvere ai propri obblighi fiscali integralmente e nei tempi di legge (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 23 febbraio 2023, n. 1890 e 27 luglio 2021, n. 5563).
La deroga all’esclusione, come detto, opera nel caso in cui il debito fiscale sia inferiore alla menzionata soglia di 5.000 euro. La determinazione di tale importo fisso risponde a un duplice obiettivo: da un lato, garantire la massima partecipazione alle gare di appalto, evitando l’esclusione di operatori economici che hanno commesso violazioni fiscali “bagatellari”; dall’altro, favorire la par condicio tra i partecipanti alle gare, ancorando a un importo predefinito l’esclusione dalla gara, di modo che tutti gli offerenti siano consapevoli delle conseguenze connesse alla commissione di una violazione fiscale definitivamente accertata che superi la soglia legislativa.
La disposizione censurata persegue anche finalità di tutela della concorrenza, in quanto garantisce la “parità delle armi” degli operatori economici, che sanno di poter confidare nella esclusione dalla gara del concorrente che non ha adempiuto correttamente agli obblighi fiscali. Ciò coerentemente con la giurisprudenza europea, secondo la quale «[i] principi di trasparenza e di parità di trattamento che disciplinano tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti» (Corte di giustizia dell’Unione europea, 26 settembre 2024, cause riunite C-403/23 e C-404/23, Luxone srl e Sofein spa).
Dunque, la misura in esame si rivela idonea allo scopo.
7.– La misura è altresì necessaria, tenuto conto: dell’obbligo, imposto dalla direttiva 2014/24/UE, di escludere l’operatore economico che ha commesso una violazione fiscale definitivamente accertata; della circostanza che il legislatore nazionale ha esercitato una deroga, muovendosi all’interno delle strette maglie fissate dalla disciplina comunitaria, la quale mostra un chiaro disfavore per la possibilità di consentire l’accesso alle gare dell’operatore economico che ha debiti fiscali, tranne il caso del mancato pagamento di «piccoli importi di imposte» (art. 57, paragrafo 3, della direttiva).
8.– Quanto alla proporzionalità in senso stretto della misura, si rileva che l’importo di 5.000 euro individuato dal legislatore nazionale è mutuato da una norma che, come correttamente ricostruito dal rimettente, risponde a una finalità non sovrapponibile a quella perseguita dal codice dei contratti pubblici. Infatti, l’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, ha ad oggetto l’attivazione di meccanismi compensativo-esattivi nei confronti di un soggetto che è al contempo beneficiario di somme dovute dallo Stato e inadempiente agli obblighi fiscali. L’art. 48-bis reca una disciplina afferente al campo dell’imposizione fiscale e individua un limite al di sotto del quale lo Stato non ritiene utile attivare la compensazione in danno del debitore fiscale.
Tuttavia, la soglia richiamata può trovare applicazione anche al fine di selezionare operatori economici affidabili per l’aggiudicazione degli appalti. Essa, infatti, esprime un certo grado di significatività del debito fiscale, al di sopra del quale il legislatore nella sua discrezionalità ha ritenuto di non consentire la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
9.– La misura, infine, si rivela non manifestamente irragionevole, in quanto essa contempera l’esigenza di trattare con estrema severità, come richiesto dalle norme europee, i concorrenti che hanno commesso violazioni fiscali definitivamente accertate con la possibilità di consentire loro la partecipazione a fronte di violazioni di importo non significativo.
La diversa disciplina che regola il caso di violazioni non definitivamente accertate, che sono «gravi» solo se superiori al 10 per cento del valore dell’appalto (e comunque non inferiori a 35.000 euro), non può costituire un valido indice comparativo ai fini del giudizio di ragionevolezza della disposizione censurata. Tale disposizione, infatti, introduce una causa di esclusione prevista in via meramente facoltativa dalla direttiva comunitaria e, nell’individuare condizioni più favorevoli per l’operatore economico che ha presuntivamente commesso violazioni fiscali, tiene conto dei rischi sottesi alla decisione di escluderlo da una gara nonostante il debitum in questione possa poi rivelarsi non esistente.
10.– Conclusivamente, la questione di legittimità costituzionale promossa dal Consiglio di Stato non è fondata.
11.– Spetta al legislatore, nell’osservanza delle norme dell’Unione europea, valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate, in modo da perseguire con maggiore efficacia l’obiettivo di garantire la più ampia partecipazione possibile degli operatori economici alle gare per l’affidamento di appalti pubblici.
Spetta altresì al legislatore, nella misura in cui ciò corrisponda alle esigenze del buon andamento dell’amministrazione, considerare la possibilità di non escludere dalla partecipazione alla gara l’operatore economico che abbia commesso una violazione di importo superiore alla soglia di rilevanza, qualora provveda a pagare tempestivamente il debito fiscale rimasto inadempiuto.