Corte di Cassazione, Sez. III Civile, ordinanza 3 novembre 2025 n. 29062
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’interpretazione di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, diretta a determinarne l’esatta portata precettiva, rappresenta un compito istituzionalmente devoluto al giudice dell’esecuzione (oppure al giudice adito con opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.).
Se il titolo non è passato in giudicato, l’interpretazione si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità qualora esente da vizi motivazionali; mentre, se il titolo è già passato in giudicato, si risolve in una norma del caso concreto, interpretabile con i criteri ermeneutici propri delle norme ed in linea con gli elementi ritualmente acquisiti e trattati nel giudizio in cui si è formato il titolo, ma comunque senza poter mai superare il tenore letterale del comando.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal professionista, non ravvisando alcuna violazione degli articoli 360 comma 1 n.3) c.p.c., 2909 c.c., 474 e 480 c.p.c. in relazione all’art. 12 delle Preleggi e degli articoli 132 e 329 c.p.c., avendo il giudice di appello applicato correttamente i principi di diritto inerenti all’interpretazione del titolo esecutivo, già enucleati dalla medesima Corte in precedenti pronunce.
- Occorre infatti precisare che, sul punto, vi è un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, al fine di interpretare correttamente il giudicato ed evitare un esito processuale illegittimo, è possibile ricorrere ad elementi extratestuali purché si tratti di elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato il titolo esecutivo giudiziale (Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza n. 11066/2012).
2.1. La successiva giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici ha poi precisato che le questioni su cui si basa l’interpretazione extratestuale, trattate nel corso del processo in cui si è formato il provvedimento, devono intendersi come definite, quindi conosciute alle parti, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo ovvero nel tenore dello stesso titolo.
- È altresì necessario che l’interpretazione contemperi in modo equo una triplice esigenza:
– non avallare la tecnica della ricostruzione ab externo dell’atto giudiziale;
– consentire l’eterointegrazione del titolo ogniqualvolta ciò costituisca estrinsecazione di argomentazioni che hanno formato oggetto del processo cognitivo che ha preceduto la formazione del titolo, ma che sono rimaste estranee ad esso;
– evitare che all’interno di una fase esecutiva si inserisca una fase cognitiva che, al contrario, stride con le dinamiche attuative dell’esecuzione.
- Sul punto rilevano altre due sentenze della medesima Corte (nn. 14234/2023 e 1942/2023) nelle quali viene ribadito che l’integrazione del titolo esecutivo non può essere effettuata se la struttura del comando risulta essere univoca e certa ovvero se gli elementi extratestuali non sono emersi nel corso del giudizio in cui è stato reso il titolo oggetto di interpretazione.
- Orbene, alla luce delle sopraesposte considerazioni, la Corte, nel caso di specie, ha ritenuto correttamente applicato il principio di diritto sull’interpretazione del titolo, poiché non sussistono ambiguità ed incertezze di sorta di talchè è precluso il ricorso agli elementi extratestuali indicati dal ricorrente.
Diversamente opinando, ci si troverebbe di fronte ad una inammissibile e vietata sovrapposizione nella valutazione eseguita dal giudice di merito, consentita soltanto attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione o di correzione dell’errore materiale.
- Pertanto, l’interpretazione di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, diretta a determinarne l’esatta portata precettiva, è un compito devoluto al giudice dell’esecuzione, solo laddove il titolo sia già passato in giudicato e non, invero, allorquando il giudicato non sia intervenuto.
In tale ultima ipotesi, infatti, si tratterebbe di un mero apprezzamento di un fatto e, come tale, incensurabile in sede di legittimità qualora esente da vizi motivazionali.
Al contrario, il passaggio in giudicato del titolo consente al giudice l’interpretazione mediante i criteri ermeneutici propri delle norme, senza tuttavia superare il tenore letterale del comando stesso.


