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*Industria e commercio – Pratiche commerciali sleali e cumulabilità delle sanzioni

by Anteo Massone
28 Luglio 2025
in Diritto Amministrativo
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Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 luglio 2025 n. 5904

PRINCIPIO DI DIRITTO

L’impiego del criterio di calcolo della sanzione basato sul c.d. cumulo materiale, connotato da un certo automatismo, è possibile solo in presenza di una pluralità di condotte dotate di autonomia strutturale e funzionale, essendo invece richiesta l’applicazione di una sanzione unitaria quando le condotte indagate sono tutte finalizzate – sotto il profilo teleologico – al conseguimento di un medesimo obiettivo.

La legge. n. 689 del 1981, art. 8, prevede l’applicabilità del cd. cumulo giuridico tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale, allorché con un’unica azione od omissione sono commesse violazioni plurime, non potendosi esso, diversamente, invocare, con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale, in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.- I fatti di causa possono essere così compendiati.

1.1.- Con il ricorso in epigrafe V.G. s.r.l. impugnava, con richiesta di annullamento, il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“Agcm” o “Autorità”), in data 20 novembre 2019, irrogava nei suoi confronti la sanzione ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, 22, 24 e 25 D.Lgs. n. 206 del 2005 in ragione di due pratiche commerciali scorrette da essa perpetrate e, segnatamente: I) “violazione a)”, relativa alla diffusione, attraverso il sito internet del ‘professionista’, di informazioni ingannevoli in ordine alle modalità di pubblicizzazione ed esaltazione dei presunti vantaggi dell’offerta commerciale “My car no cost” nonché relativa alla sua ambiguità su vari aspetti, con particolare riferimento alla possibilità di acquistare un’autovettura “a costo zero” (o fortemente ridotto) a fronte dell’iniziale corresponsione di elevate quote di ingresso da parte dei consumatori; II) “violazione b)”, inerente alle criticità riscontrate nella fase esecutiva del rapporto circa il mancato mantenimento degli impegni assunti e l’imposizione di ostacoli all’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, collegate a quelle sopra evidenziate, con riguardo allo schema di funzionamento dell’offerta commerciale e alla relativa fase promozionale e precontrattuale, sostanziandosi nei seguenti comportamenti: – improvvisa cessazione della corresponsione di rimborsi dovuti; – mancato riscontro alla richiesta di risoluzione ope legis del contratto e mancata attivazione delle garanzie fideiussorie o obbligazionarie; – contestazione dell’inadempimento o manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa nei confronti di numerosi driver con motivazioni pretestuose.

1.2.- La società appellante aveva avviato nel 2015 l’operazione commerciale contestata da Agcm, denominata “My car – No Cost”, consistente nel reclutare “driver” per lo svolgimento di attività promozionale a vantaggio della stessa V.G. s.r.l. e dei clienti di quest’ultima, che nella maggior parte dei casi erano imprese concessionarie di automobili.

1.3.- L’attività di promozione effettuata dai driver (denominati nei documenti contrattuali anche “incaricati”) consisteva essenzialmente nel circolare con le proprie auto, sulle cui fiancate erano apposti gli adesivi aventi ad oggetto il logo dei concessionari e della stessa ricorrente, e nel diffondere, con scopi promozionali, le foto di tali auto sui social network.

1.4.- Per tale attività i driver non erano remunerati con un corrispettivo in danaro, ma ricevevano sostanzialmente un rimborso mensile per il costo sostenuto per l’acquisto dell’auto, degli adesivi (wrapping), per il carburante e l’assicurazione.

1.5.- Alla scadenza del contratto il driver avrebbe avuto diritto alla restituzione di quanto versato, continuando a mantenere la proprietà dell’autovettura senza limitazioni di uso o scopo.

1.6.- Le aziende che aderivano a tale iniziativa commerciale (le concessionarie automobilistiche dalle quali i driver acquistavano la propria auto) versavano invece alla V.G. s.r.l. un corrispettivo per il servizio prestato.

1.7.- L’operazione commerciale era stata attuata sino al 2018, e la stessa Agcm, assunte informazioni dalla ricorrente, nel 2017 l’avrebbe, all’epoca, esaminata senza contestazioni.

1.8.- A partire dal 2018, tuttavia, alcune Amministrazioni comunali avrebbero sanzionato i driver, ritenendo che l’apposizione delle pubblicità sui veicoli costituisse violazione dell’art. 57 D.P.R. n. 495 del 1992 (“Regolamento di attuazione del Codice della strada”).

1.9.- Ciò avrebbe fatto sì – nella esposizione dell’appellante – che molti dei driver chiedessero la risoluzione del contratto, con conseguente asserita sopravvenuta impossibilità, per V.G. s.r.l., di onorare gli impegni contrattuali assunti.

1.10.- In tale contesto, l’Autorità aveva avviato il procedimento in esame, contestando alla ricorrente: a) in primo luogo, che la pubblicità dell’operazione, denominata “My Car No Cost”, enfatizzava la possibilità di acquistare un’auto a costo zero a fronte di elevati importi da versare al fine di aderire all’offerta e dello svolgimento di attività pubblicitaria per un periodo di cinque anni; b) in secondo luogo: b1) il mancato mantenimento degli impegni assunti e l’imposizione di ostacoli all’esercizio dei diritti nella fase esecutiva del rapporto; b2) l’improvvisa cessazione della corresponsione dei rimborsi pattuiti da parte del professionista nella stessa fase esecutiva; b3) l’assenza di motivazioni convincenti; b4) la mancata prestazione del servizio di wrapping; b5) il mancato riscontro alla richiesta di risoluzione dei contratti da parte di alcuni consumatori; b6) la mancata attivazione delle garanzie fideiussorie; b7) la volontà di procedere alla risoluzione dei contratti in essere con motivazione pretestuose.

1.11.- Agcm irrogava la sanzione pecuniaria di € 600.000,00 per ciascuna delle due condotte sopracitate, per complessivi € 1.200.000,00.

1.12.- Il T.a.r. per il Lazio, sez. I, con sentenza n. 14968 del 2023 rigettava i sei motivi a sostegno della domanda di annullamento dell’impugnato provvedimento di Agcm argomentando che: – quanto alla applicabilità del Codice del consumo, l’offerta era rivolta a un pubblico indistinto, comprendente anche consumatori finali (persone fisiche), interessati all’acquisto dell’auto “a costo zero”, senza svolgimento di attività professionale; – quanto al carattere ingannevole dell’offerta, a fronte della promessa di acquisto di automobili a “costo zero” o fortemente ridotto grazie a rimborsi mensili discendenti dalla attività pubblicitaria con applicazione di pellicole sulle auto, i consumatori erano – diversamente – tenuti a versare ingenti somme iniziali (oltre € 6.600,00 di fee di ingresso e un pacchetto di servizi di wrapping fino a € 12.000,00), senza che i compensi pubblicitari fossero realmente in grado di coprire tali costi; – quanto alla aggressività della pratica e agli ostacoli frapposti al diritto di recesso, la società aveva cessato arbitrariamente il pagamento dei rimborsi e non aveva consentito il servizio pubblicitario promesso, imponendo ostacoli sproporzionati all’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, incluso il diritto di recesso, con motivazioni pretestuose; – quanto alla sostenibilità del sistema, il modello di business risultava fondato su nuove adesioni e non su una reale redditività pubblicitaria, configurandosi come un sistema inidoneo a sostenere nel tempo i rimborsi promessi; – quanto alla quantificazione della sanzione, essa sarebbe stata da ritenersi conforme a legge, congrua e proporzionata rispetto alla gravità della violazione.

2.1.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello V.G. s.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma sulla base di doglianze così articolate: 1) Motivazione insufficiente; omesso esame di tutti i motivi di ricorso e delle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente in primo grado. Sostiene in via preliminare l’appellante che non tutti i motivi di ricorso sarebbero stati effettivamente esaminati con adeguata motivazione ad opera del T.a.r. In particolare: a) quanto alla condotta sub “A)” indicata nel provvedimento impugnato, non sarebbe stato compiutamente trattato il motivo sull’applicabilità del Codice del consumo sul piano soggettivo, in presenza di soggetti che non sarebbero stati qualificabili come consumatori; parimenti non sarebbe stato considerato che l’esistenza di un accordo contrattuale tra la V.G. s.r.l. e i soggetti che spontaneamente avevano aderito all’iniziativa avrebbe precluso una connotazione della condotta come decettiva; l’affermazione circa la carenza ab origine di sostenibilità dell’iniziativa della società non avrebbe tenuto conto della circostanza che l’attività pubblicitaria sarebbe stata sanzionata dalla Polizia locale di varie località. In relazione a siffatti profili il T.a.r. avrebbe dovuto disporre la richiesta misura istruttoria della consulenza tecnica d’ufficio; b) quanto alla condotta sub “B”, l’elemento della aggressività sarebbe fondato su un assioma indimostrato e la sentenza appellata non avrebbe valorizzato in punto di fatto che l’andamento delle relazioni contrattuali tra V.G. s.r.l. e i driver si sarebbe rilevato del tutto soddisfacente sino alla intervenuta irrogazione, nei confronti di questi ultimi, delle sanzioni per violazione del Codice della strada per la pubblicità sulle vetture: circostanza alla cui luce la condotta non avrebbe potuto ritenersi ‘aggressiva’, considerato che l’operazione avviata dalla società non sarebbe stata destinata a fallire, né il messaggio promozionale avrebbe presentato elementi di ingannevolezza stante l’andamento dei contratti stipulati fino alle vicende sanzionatorie legate alla contestata violazione del Codice della strada.

2.2.- V.G. s.r.l. ha, quindi, “riproposto” – in ragione della asserita insufficiente motivazione della sentenza – tutti i motivi di ricorso come di seguito articolati: 1) Difetto dei presupposti oggettivi e soggettivi; violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo). Sostiene la parte privata che, nel caso di specie, non avrebbe potuto applicarsi il Codice del consumo poiché i soggetti destinatari della condotta della società sarebbero stati in parte persone giuridiche (in numero di 600 su 3600 driver) che avrebbero agito con finalità di natura professionale e non allo scopo di soddisfare necessità di consumo individuale-privato. In tesi di parte privata verrebbero in evidenza i seguenti elementi: I) l’autovettura sarebbe il mezzo attraverso cui il driver veicola (o circolando ovvero diffondendo le foto del veicolo tramite i social) i messaggi pubblicitari di volta in volta commissionati; II) l’autovettura non sarebbe il “prodotto” fornito dalla V.G. s.r.l. la quale non offrirebbe alcun servizio o prodotto ai driver; III) l’unico materiale fornito da quest’ultima sarebbe rappresentato dal wrapping, che però non sarebbe un bene di consumo, ma, al pari dell’auto, un bene strumentale allo svolgimento delle attività che il driver è chiamato a svolgere; IV) il principale “prodotto” acquistato dai driver è l’autovettura e rispetto a tale prodotto, tuttavia, la veste di ‘professionista’ non sarebbe svolta dalla V.G. s.r.l. ma dai concessionari delle auto, che hanno sfruttato l’iniziativa della medesima V.G. s.r.l. al fine di promuovere e vendere le proprie auto; – l’affermazione di Agcm secondo cui, quantomeno nella fase di “aggancio” (ossia di primo contatto con il professionista), il destinatario dei messaggi promozionali deve essere considerato un consumatore (ai sensi dell’art. 18, lett. a, D.Lgs. n. 206 del 2005) e che l’atto di consumo si sostanzierebbe nel versamento di una somma di denaro iniziale a fronte della promessa di rimborsi delle rate di finanziamento, non si sincronizzerebbe con l’interesse economico perseguito dai driver e con la circostanza che il rimborso delle rate dell’automobile costituirebbe la causa del contratto; – l’attività sarebbe strutturata come attività di impresa: irrilevante sarebbe che la maggior parte dei driver non svolga – in tesi – attività professionale (ben potendosi, secondo tale prospettazione, svolgere attività professionale anche senza partita iva) ed anzi disvelando tale aspetto una carenza di istruttoria, con riflessi sulla valutazione della condotta e della sanzione applicata; – non sarebbe corretto affermare che la natura di consumatore del driver discenderebbe dal tenore dei messaggi promozionali e ciò in considerazione che questi non avrebbero lo scopo di promuovere un prodotto ma di offrire l’opportunità di un’attività di rilievo economico; né può dirsi che l’atto di consumo si sostanzi nel versamento di una somma di denaro iniziale a fronte della promessa di ottenere i rimborsi delle rate di finanziamento: detti rimborsi non dipenderebbero dal versamento della somma iniziale, ugualmente oggetto di rimborso, ma dallo svolgimento delle attività oggetto dell’incarico conferito ai driver; 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), c), d) e 22 D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo); difetto dei presupposti. Sostiene l’appellante che: – non sussisterebbero i presupposti per qualificare la pratica – ove pure ritenuta soggetta al Codice del consumo – come ‘scorretta’ sol per non aver adeguatamente chiarito che i driver/incaricati all’atto della stipula del contratto avrebbero dovuto versare una somma di denaro come fee di ingresso, pari a circa 6.000,00 euro; – la ricostruzione di Agcm non sarebbe corretta poiché basata su valutazioni ex post rese quando si erano già verificati gli accadimenti a base del fallimento dell’iniziativa commerciale; la prova della sostenibilità dell’iniziativa emergerebbe dalla circostanza che i contratti conclusi tra il 2015 e il 2017 sarebbero stati eseguiti regolarmente; in tal senso non sarebbe stato costruito un messaggio ‘ingannevole’: la specificazione che le rate del finanziamento sarebbero state rimborsate dalla Società in ragione del lavoro svolto dai driver sarebbe stata, dunque, corretta e veritiera; – il ‘professionista’ avrebbe correttamente comunicato al ‘consumatore’ tutti gli elementi che compongono la propria offerta commerciale e, in tal senso, le condizioni generali sottoscritte dai driver sarebbero state chiare; 3) Contraddittorietà intrinseca, irragionevolezza, violazione del legittimo affidamento, perplessità. Nel corso di un procedimento attivato nel 2017 Agcom avrebbe chiesto informazioni a V.G. s.r.l. in ordine alle caratteristiche dell’offerta commerciale e nessun rilievo sarebbe intervenuto, circostanza, questa, che renderebbe l’odierna attività sanzionatoria lesiva del principio del legittimo affidamento della parte privata; 4) Contraddittorietà intrinseca, irragionevolezza, violazione del legittimo affidamento, perplessità. I comportamenti di V.G. s.r.l. compendiati nella condotta “B” non sarebbero stati finalizzati ad ostacolare il legittimo esercizio da parte dei driver dei diritti contrattuali ma sarebbero stati determinati dagli eventi fonte del fallimento dell’operazione. V.G. s.r.l. avrebbe, in diverse occasioni, dichiarato che la sospensione dei rimborsi sarebbe dipesa da problematiche tecniche essendo stati reclutati nuovi driver anche dopo il luglio 2018 e dalle questioni relative alla interpretazione del Codice della strada. Erronee sarebbero le affermazioni di Agcm e del T.a.r. secondo i quali l’operazione sarebbe stata non sostenibile – affermazione asseritamente non provata – considerato che essa avrebbe generato utili sin dall’origine e che solo le sanzioni per violazione del Codice della strada, poi intervenute a carico dei driver, avrebbero determinato il fallimento dell’operazione. Ad avviso di parte appellante Agcm non avrebbe considerato che: a) la cessazione dei contratti, in misura percentuale minima rispetto al totale degli aderenti, non sarebbe stata improvvisa, né slegata dalla realtà, ma al contrario frutto della già evidenziata attività sanzionatoria dei Comuni iniziata nel 2018; b) il richiamo alla mancata operatività della risoluzione contrattuale (che ove fosse stata ope legis non avrebbe avuto bisogno di riscontri) o ad altre asserite inadempienze, non avrebbe tenuto conto che sul piano giuridico non di risoluzione si sarebbe trattato ma di nullità dei contratti, in quanto tale non imputabile ad uno solo dei contraenti; c) che i contratti conclusi nel 2015/2017 sarebbero stati tutti eseguiti con successo e che gli insoluti si sarebbero riferiti ai contratti conclusi essenzialmente nel 2018 (sul punto erroneamente la richiesta di CTU sarebbe stata disattesa dal T.a.r.); 5) Difetto dei presupposti sotto altro profilo, difetto di istruttoria, difetto di motivazione. Agcm avrebbe sanzionato V.G. s.r.l. per aver adottato un comportamento aggressivo nell’esecuzione di contratti, che, tuttavia, per tutte le ragioni esposte, rischierebbero di essere dichiarati nulli – ciò che farebbe venir meno i presupposti della contestazione – e, dunque, da considerarsi tamquam non essent; 6) Violazione e falsa applicazione art. 11 della L. n. 689 del 1981 e art. 27 Codice del consumo; irragionevolezza. Premesso che Agcm ha irrogato due sanzioni, una per la contestazione “A” relativa al messaggio promozionale (600.000,00 Euro) e un’altra per la contestazione “B” relativa ai comportamenti tenuti nell’esecuzione dei contratti con i driver (600.000,00 Euro), per un totale di 1.200.000,00 Euro, essa avrebbe erroneamente considerato i comportamenti della V.G. s.r.l. autonomi tra loro e altrettanto erroneamente avrebbe applicato il criterio del cumulo materiale, pur avendo fatto riferimento alle medesime circostanze di fatto aggravanti: la sanzione da applicarsi avrebbe dovuto, in tesi, essere unica; sotto altro profilo, nel determinare il quantum della sanzione, Agcm non avrebbe tenuto conto di talune circostanze che avrebbero dovuto condurre alla quantificazione in misura minima, ossia: a) Agcm solo due anni prima non avrebbe mosso alcun rilievo nei confronti dell’offerta commerciale; b) i driver agivano comunque (anche ove considerati consumatori) per soddisfare un’utilità economica, che, nella maggior parte dei casi, avrebbero ottenuto; c) numerosi driver sarebbero state persone giuridiche e come tali non rilevanti ai fini della normativa in esame; d) tutti i contratti stipulati tra il 2015 e il 2017 sarebbero stati eseguiti e i driver rimborsati (su n. 3600 driver indicati da Agcm, n. 2700 sarebbero stati integralmente rimborsati). Specularmente l’Autorità, nel determinare la sanzione avrebbe tenuto conto di una serie di circostanze (asseritamente) non rilevanti, tra le quali il pagamento, da parte dei driver, di elevati importi per poter accedere all’iniziativa commerciale: poiché tali importi sarebbero stati rimborsati per intero ai driver che hanno stipulato i contratti tra il 2015 e il 2017 e sarebbero stati rimborsati anche ai restanti driver se l’operazione non fosse fallita per causa non imputabile alla V.G. s.r.l., il danno contestato non sussisterebbe.

3.- Si sono costituite in giudizio Agcm e l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, le quali hanno contrastato le pretese di parte appellante ed hanno concluso per l’infondatezza dell’appello. Hanno premesso che: – il provvedimento impugnato in prime cure nascerebbe, in fatto, da due condotte: a) una prima condotta, ‘ingannevole’ (artt. 21, 21 comma 1, lett. b, c, d) e 22D.Lgs. n. 206 del 2005), denominata condotta “A”, consistente nella veicolazione mediante internet di informazioni decettive e ingannevoli nella pubblicizzazione dell’offerta “My Car No Cost”, che veniva prospettata come iniziativa commerciale attraverso la quale gli utenti potevano acquistare automobili “a costo zero” (o fortemente ridotto) tramite la corresponsione agli aderenti di rimborsi mensili a titolo di remunerazione per la prestazione di un servizio pubblicitario mediante le autovetture; b) una seconda condotta, “B”, ‘aggressiva’ (artt. 24 e 25, comma 1 D.Lgs. n. 206 del 2005), consistente nell’ingiustificata violazione degli impegni contrattualmente assunti nei confronti della clientela nonché nella prospettazione di impedimenti all’esercizio di diritti del consumatore (tra cui il diritto di recesso), mediante rappresentazione di ostacoli non contrattuali, onerosi e sproporzionati; – sarebbero irrilevanti i richiami di parte appellante alle sentenze relative all’attività sanzionatoria per violazione delle disposizioni del Codice della strada risultando, qui, sanzionata l’autonoma violazione del codice del consumo caratterizzata da un’enfasi decettiva sulla presunta gratuità circa la possibilità di ottenere un veicolo a “costo zero” a fronte delle prestazioni richieste al contraente (nessun richiamo alle violazioni al Codice della strada si rinverrebbe nel provvedimento impugnato); Hanno, quindi, evidenziato le parti pubbliche che: – nessun vincolo sarebbe derivato in capo all’Autorità da precedenti valutazioni della condotta; – nessuna determinazione espressa sarebbe intervenuta quale idonea ad ingenerare nella ricorrente il legittimo affidamento circa la correttezza del proprio operato, non avendo provveduto a trasmettere comunicazioni successivamente al ricevimento delle informazioni fornite da V.G. s.r.l.; – nel caso di specie sarebbe stato ravvisato un quadro fattuale significativamente mutato rispetto a quello sussistente all’epoca del procedimento, frutto di numerose segnalazioni dei consumatori; – quanto al profilo soggettivo dei destinatari delle condotte e al contenuto di queste ultime: a) i claim pubblicitari oggetto di accertamento sarebbero stati genericamente diffusi dal professionista – attraverso il proprio sito web, senza alcuna restrizione in ordine all’identificabilità dei destinatari nei soli clienti professionali: i messaggi pubblicitari sarebbero stati qualificabili come rivolti a un pubblico indistinto, tra i quali persone fisiche-consumatori (la stessa appellante avrebbe riconosciuto che su n. 3600 driver soltanto n. 600 erano persone giuridiche); b) “l’atto di consumo” si sarebbe concretizzato nella richiesta del professionista di versare a suo favore un’ingente somma di denaro, a fronte della promessa di corrispondere i rimborsi oggetto di promozione e acquistare un’auto “a costo zero”; c) l’offerta reclamizzata avrebbe contenuto riferimenti solo marginali all’attività pubblicitaria che l’aderente avrebbe dovuto impegnarsi a svolgere, i quali sarebbero risultati del tutto ancillari rispetto al messaggio centrale relativo all’acquisto dell’auto a costo zero; d) i contratti proposti erano titolati “contratto d’acquisto” ma l’oggetto del contratto veniva individuato nella “fornitura (NdR: da parte degli aderenti) di servizi statistici per la Società, al fine di sviluppare le attività di impresa”; e) nessun dubbio vi sarebbe sulla qualifica di “professionista” dell’appellante; – l’affermazione di V.G. s.r.l. secondo cui Agcm avrebbe operato una valutazione dell’operazione commerciale ex post, in un momento quindi in cui si erano verificati gli accadimenti asseritamente fonte del fallimento dell’iniziativa commerciale, si rivelerebbe non corretta poiché l’Agcm avrebbe dovuto invece effettuare le proprie valutazioni in ragione delle condizioni esistenti al momento della stipula dei contratti e della diffusione delle comunicazioni promozionali contestate; – quanto al messaggio pubblicitario circa il futuro rimborso di quanto sostenuto dai driver per l’acquisto dell’autovettura e svolgimento di attività promozionale – che la parte privata sostiene essere avvenuto – l’utilizzo di claim tesi ad enfatizzare il carattere gratuito di un’offerta avrebbe imposto al professionista di indicare la presenza delle controprestazioni richieste al consumatore, anche in assenza di richieste di prestazioni di denaro. Circostanza che, nel caso di specie, peraltro, non si riscontrerebbe, posto che al consumatore era comunque richiesto il versamento di somme di denaro al momento dell’adesione dell’offerta, a nulla rilevando, in tesi, la possibilità di ottenere successivo rimborso (l’ingannevolezza e la decettività del messaggio pubblicitario discenderebbero dalla mancata completa informazione sulle reali caratteristiche del servizio offerto); – il carattere decettivo del messaggio non potrebbe essere sanato attraverso una lettura articolata del sito internet e delle condizioni generali di contratto che, peraltro, si porrebbero in una fase di consultazione ben successiva rispetto a quella del primo contatto pubblicitario: il professionista, secondo quanto esposto da Agcm, reclamizzava l’offerta commerciale “My Car No Cost” enfatizzando, attraverso una serie di suggestivi messaggi, la possibilità di acquistare un’auto “a costo zero” (o a costo fortemente ridotto), a fronte, tuttavia, della corresponsione di elevati importi al fine di aderire all’offerta (fee d’ingresso variabili a partire da circa € 6.600,00) e dello svolgimento di attività pubblicitaria per un periodo di cinque anni, promettendo il progressivo abbattimento dell’investimento sostenuto dagli aderenti e impegnandosi a corrispondere a questi ultimi, per sessanta mesi, un compenso mensile a titolo di remunerazione; – sussisterebbe l’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari causa di errore del consumatore indotto ad assumere scelte economiche che altrimenti non avrebbe preso; – la decettività sarebbe vieppiù significativa stante, da un lato, la suggestiva promessa relativa alla possibilità di acquistare a costo zero un’automobile (verso la prestazione di un servizio di carvertising, ossia la prestazione di un servizio pubblicitario sulle autovetture attuato tramite l’applicazione di pellicole sulle portiere) e l’enfasi posta sull’asserito conseguente vantaggio economico; dall’altro, alla luce degli ingenti esborsi che erano, poi, richiesti ai consumatori al fine di aderire all’offerta (i.e. l’acquisto dei pacchetti “Easy” e “Wrapping”); – i profili di decettività non sarebbero stati rinvenibili soltanto nella fase di “aggancio” del consumatore ma anche oltre, allorché il consumatore era indotto a sottoscrivere un contratto, denominato sì “contratto di acquisto (avente durata quinquennale) ma avente in realtà ad oggetto “la fornitura di servizi statistici per la Società, al fine di supportare le attività d’impresa”; – pur non riscontrandosi elementi idonei ad affermare la non veridicità della promessa del professionista di rimborsare al consumatore l’importo dell’investimento effettuato per l’acquisto dell’auto, sarebbe emerso un forte squilibrio tra i ricavi derivanti dall’attività pubblicitaria effettivamente svolta dagli aderenti all’offerta “My Car No Cost” e i costi iniziali sostenuti da questi ultimi; – l’adesione all’offerta, infatti, avrebbe comportato per ciascun aderente (c.d. driver) il versamento di un anticipo di € 1.070,00, comprendente la prestazione di una serie di servizi per l’intera durata del contratto, quali rimozione e lucidatura della vettura alla fine dei 60 mesi, prenotazione tagliandi, prenotazione carrozzeria, prenotazione sostituzione gomme con sconti riservati. Inoltre, l’ottenimento dei rimborsi mensili da parte del professionista sarebbe stato condizionato da un onere essenziale a carico dell’aderente, costituito dall’acquisto del pacchetto di servizi “wrapping” (id est: applicazione pellicole pubblicitarie sull’auto e sostituzione a cadenza mensile o in caso di danneggiamento da parte del professionista) per un corrispettivo che sarebbe variato nel tempo da circa € 5.500,00 (normalmente inclusi nell’importo totale delfinanziamento, unitamente al prezzo dell’automobile) a € 12.000,00 scaglionati in 60 rate mensili da € 200,00; alla stipula del contratto, il driver si impegnava a circolare il più possibile con la vettura allestita con la predetta pellicola e a postarne due volte a settimana, sul proprio profilo Facebook, quattro foto scattate in luoghi pubblici diversi; – il rimborso mensile da corrispondere ai driver non sarebbe derivato dai proventi di un’attività economica reale (ossia l’attività pubblicitaria a favore di imprese interessate attraverso le automobili acquistate dagli aderenti) bensì dalla disponibilità in capo al professionista dei versamenti effettuati dai consumatori (ossia le elevate fee d’ingresso corrisposte al momento dell’adesione al sistema) e, quindi, dalla effettiva conclusione di nuovi contratti, di modo che il sistema non sarebbe risultato in grado di autoalimentarsi nel medio-lungo periodo; – a fronte della vendita di oltre 3.400 pacchetti wrapping su auto acquistate o noleggiate dai driver, il professionista avrebbe stipulato complessivamente solo 99 contratti aventi a oggetto i pacchetti di pubblicità e sponsorizzazione su vetture con imprese interessate e operanti in ambito locale: un tale dato sarebbe chiaramente rappresentativo della scarsa redditività dell’intera operazione economica posta in essere dal professionista, che si sarebbe rivelata poco sostenibile; – quanto alle garanzie prospettate nella fase precontrattuale ad asserita tutela degli aderenti, i limiti di operatività della copertura di matrice mutualistica sarebbero stati incompatibili con l’esposizione derivante dalla sottoscrizione di un elevato numero di contratti; – quanto alla dedotta assenza sino al 2017 delle sanzioni del Codice della strada, essa sarebbe inconferente sul rilievo che l’iter valutativo non riguarderebbe il tema della legittimità in sé dell’operazione (alla luce delle disposizioni del Codice della Strada e degli interventi della Procura della Repubblica), ma l’ingannevolezza della pratica; – quanto alla condotta sub “B”, nella fase esecutiva del rapporto il professionista avrebbe posto in essere una serie di comportamenti non conformi, ossia: a) l’improvvisa cessazione della corresponsione dei rimborsi ai driver a partire dal luglio 2018 in assenza di motivazioni convincenti, insieme alla mancata prestazione del servizio di wrapping, pur indicato come necessario; b) l’omesso riscontro delle richieste dei consumatori in ordine alla risoluzione ope legis del contratto (previa diffida ad adempiere); c) la mancata attivazione delle vantate garanzie fideiussorie e obbligazionarie, essenziali ai fini dello svolgimento dell’attività pubblicitaria da parte degli incaricati; d) la contestazione dell’inadempimento degli impegni ai consumatori, manifestandola volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, con motivazioni (che sarebbero state) pretestuose, come – ad esempio – la mancata utilizzazione della app indicata come necessaria per l’attività di statistica o l’asserita commissione da parte dei driver di fatti tali da risultare sconvenienti e dannosi per il logo o il brand delle imprese pubblicizzate; – a fronte della mancata prestazione del servizio di wrapping e dell’improvvisa interruzione della corresponsione degli importi dovuti, il professionista non solo non avrebbe fornito spiegazioni e indicazioni adeguate, ma avrebbe adottato anche comportamenti dilatori con motivazioni pretestuose nei confronti dei numerosi consumatori attivatisi per la tutela dei rispettivi interessi, denotando ciò ostacoli non contrattuali, onerosi e sproporzionati, all’esercizio di diritti contrattuali, compreso il diritto di risolvere il negozio, da parte del consumatore; – in relazione alla quantificazione della sanzione, Agcm godrebbe di ampia discrezionalità e, nel caso di specie poiché sarebbero state presenti due autonome condotte, correttamente sarebbe stata applicata la regola del cumulo materiale, ferma restando la (asserita) intervenuta valutazione della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, delle condizioni economiche dell’impresa stessa, il tutto con un assetto differenziato rispetto alle medesime due condotte; anche la circostanza che alcuni driver siano stati rimborsati non sarebbe idonea a modificare il quantum sanzionatorio.

4.- F.A., sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

5.- All’udienza pubblica del 29 aprile 2025, presenti i procuratori delle parti i quali hanno ribadito le rispettive tesi difensive, l’appello, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.

6.- L’appello, alla stregua di quanto si dirà, è fondato solo in parte.

7.- Va premesso che la censura con cui si contesta il difetto (e non l’assenza o la mera apparenza) di motivazione della sentenza è resa inammissibile dell’effetto devolutivo dell’appello: in secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare le domande, ” integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima o omissioni di pronuncia” (ex aliis, Cons. Stato, sez. VI, n. 2082 del 2021).

8.- Deve essere in primo luogo esaminata la doglianza di parte appellante, la quale ha revocato in dubbio la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità al caso di specie del Codice del consumo sul rilievo che la platea dei destinatari delle due contestate condotte di V.G. s.r.l. era composta non solo da persone fisiche ma anche da persone giuridiche.

8.1.- La doglianza è – al netto di quanto, anche sotto tale profilo, di seguito si dirà in punto di quantificazione della sanzione – infondata.

8.2.- Come si è detto, la violazione “A” è stata sanzionata ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1 lett. b), c) e d) e 22 Codice del consumo, mentre la violazione “B” è stata sanzionata ai sensi dei successivi artt. 24 e 25, comma 1, lett. d).

8.3.- Per quanto qui rileva va osservato che: a) quanto alla condotta “A”: – l’art. 20, comma 1, qualifica “pratica commerciale scorretta” quella “contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta”; – l’art. 21, comma 1, qualifica “ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: … b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza postvendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo”; b) quanto alla condotta “B”: – l’art. 24 definisce “aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso … limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso;- l’art. 25, comma 1, lett. d) stabilisce che “Nel determinare se una pratica commerciale comporta, ai fini del presente capo, molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi: … d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista”.

8.4.- Ora, la doglianza veicolata con la prima censura in seno al primo (e unico) motivo di appello e con il primo dei motivi “riproposti”, complessivamente inerente alla asserita carenza dei presupposti applicativi del D.Lgs. n. 206 del 2005, il T.a.r. correttamente ha ritenuto motivata in modo congruo l’applicazione della normativa consumeristica rilevando che nessuna restrizione sussisteva in ordine all’identificabilità dei destinatari del messaggio nei soli clienti professionali, ma nei confronti di un pubblico indistinto, comprendente anche consumatori. D’altronde, la presenza tra i destinatari di condotte commerciali scorrette o aggressive, indirizzate ad una platea composita, anche di persone giuridiche, non esclude la tutela consumeristica la quale va, pure, garantita con applicazione delle previsioni del Codice del consumo in presenza, per un verso, di persone fisiche pacificamente qualificabili come consumatori oltre che, per altro verso, della qualità di ‘professionista’ della V.G. s.r.l., autrice della condotte contestate, irrilevante la presenza del rapporto trilaterale con i concessionari auto.

8.5.- Va osservato che il diritto all’autodeterminazione è sancito dal Codice del consumo che, all’art. 2, riconosce come fondamentali i diritti del consumatore ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonché all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà e che la nozione di “pratica commerciale” contenuta nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali ricomprende le attività del professionista conseguenti a un’operazione commerciale relativa a qualsiasi bene o servizio (Corte di giustizia UE, sez. I, C-388/13, N.F.H., punto 36) direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un bene o di un servizio al consumatore (v., in particolare, Corte di giustizia UE, sentenze P.W., C304/08, punto 39, e C.T.S., C435/11, punto 27): non può, pertanto, accedersi alla tesi secondo cui la connotazione di consumatore verrebbe meno in ragione della natura dei messaggi i quali avrebbero veicolato non la promozione di un “prodotto” ma di una “attività” di rilievo economico. Nel caso di specie la finalità (e contenuto) dei messaggi era, a tacer d’altro, quella di dar luogo all’”acquisto” delle autovetture, ciò che radicava l’obbligo di mettere in condizione i soggetti destinatari di autodeterminarsi, e di autodeterminarsi “sin dal primo contatto pubblicitario” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4976 del 2019).

8.6.- Né, ancora, può considerarsi la presenza di un interesse ‘economico’ e l’asserito svolgimento di attività di impresa da parte dei consumatori poiché ciò, oltre che essere indimostrato e, dunque, inidoneo a spostare la posizione delle persone fisiche al di fuori del perimetro della tutela consumeristica, non sposterebbe nel caso di specie l’asse applicativo dei presupposti sanzionatori.

8.7.- Il primo motivo di appello va, in parte qua, rigettato, così come il primo, quarto e quinto motivo ‘riproposti’.

9.- Parimenti infondata si rivela la critica, sempre veicolata con il primo motivo d’appello, rivolta all’operato del T.a.r il quale erroneamente non avrebbe disposto la misura istruttoria (CTU) richiesta da parte appellante relativa alla originaria sostenibilità dell’iniziativa e alla circostanza che il fallimento dell’operazione sarebbe stato legato alle sanzioni subite dai driver per l’attività pubblicitaria.

9.1.- Premesso che la contestazione mossa da Agcm ha riguardato la diffusione di informazioni ingannevoli con particolare riferimento alla possibilità di acquistare un’autovettura “a costo zero” (o fortemente ridotto) – quantunque con garanzia del futuro rimborso – a fronte dell’obbligo di iniziale corresponsione di elevate quote di ingresso da parte dei consumatori (sostanzialmente obliterando la promessa ‘gratuità’), va detto che l’assetto della vicenda non restituisce la prova di un rapporto inferenziale tale da legare il rapporto causa-effetto del fallimento dell’operazione all’attività sanzionatoria dei vari corpi di Polizia locale nei confronti dei driver, risultando, diversamente, la complessiva proposta commerciale di V.G. s.r.l. decettiva, sul piano della ingannevolezza e aggressività, esattamente nei termini fattuali esposti da Agcm. Il tutto al di là dell’andamento originario della stipula dei contratti, a ben vedere frutto di un sistema incapace di autoalimentarsi (e correttamente ritenuto tale) e che si nutriva perlopiù con dei versamenti dei driver.

9.2.- In relazione alle vicende della fase esecutiva del rapporto, dalle quali emerge la effettiva attività di ostacolo all’esercizio dei diritti contrattuali (cfr. fatti evidenziati alle pagg. 19 e 20 del provvedimento impugnato), non si mostra utile il richiamo dell’appellante ai profili di nullità dei contratti in ragione della violazione delle norme a presidio del corretto esercizio dell’attività pubblicitaria rispetto al Codice della strada, trattandosi di aspetti legati a presupposti diversi da quelli che hanno dato luogo all’irrogazione della sanzione in applicazione del Codice del consumo. Quest’ultima è del tutto slegata dalle predette violazioni al Codice della strada (la cui effettiva incidenza, ove pure in ipotesi sussistente, è rimasta indimostrata) e dalla sorte dei contratti (non necessariamente in termini di nullità) a cui parte appellante ha fatto più volte riferimento.

9.3.- In tal senso non solo la discrezionalità tecnica di Agcm nel valutare le condotte di V.G. s.r.l. non mostra profili di abnormità o illogicità, né errori in fatto, ma neppure è stato offerto un principio di prova tale da radicare una misura istruttoria da disporsi da parte del Tribunale, rispetto a fatti che, del resto, non necessitavano di ulteriore valutazione.

10.- Infondati sono il secondo, terzo motivo ‘riproposti’.

10.1.- Correttamente Agcm ha definito scorretta, secondo la definizione offerta dall’ art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 206 del 2005, la scelta di V.G. s.r.l. di non aver chiaramente evidenziato l’obbligo di versare la quota di ingresso di 6.000,00 € a carico dei driver e ciò al di là del futuro rimborso della medesima somma, dovendosi guardare all’impatto della proposta e sulle sue modalità di veicolazione sul comportamento del consumatore. Né, nel caso di specie, le valutazioni di Agcm appaiono condizionate dagli accadimenti che poi hanno dato luogo al fallimento dell’operazione, risultando qui contestate proprio le modalità della proposta al cospetto del consumatore e ciò, come si è già detto, al di là della intervenuta sottoscrizione del contratto.

10.2.- Parimenti infondata è la doglianza inerente alla lesione del legittimo affidamento che si sarebbe formato in capo all’appellante.

10.3.- La circostanza che le precedenti valutazioni operate sulla struttura del rapporto non abbiano condotto ad attività sanzionatorie non può assurgere ad elemento di approvazione dell’operato, né espressa, né implicita: ciò sia in ragione dell’assenza di elementi di comparazione che possano dar conto della identità di fatti (peraltro contestata dalle parti pubbliche in memoria), sia perché nel caso di specie le ragioni di Agcm sono compendiate nella descrizione di fatti e comportamenti che in realtà costituivano, autonomamente, una solida base per l’adozione del provvedimento sanzionatorio.

10.4.- Sul versante della lesione del legittimo affidamento, la giurisprudenza UE ha ripetutamente affermato che il diritto di avvalersi del legittimo affidamento si “estende a tutti i soggetti nei confronti dei quali un’istituzione dell’Unione abbia fatto sorgere fondate aspettative. Tuttavia, nessuno può invocare una violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise che gli abbia fornito tale istituzione. Inoltre, qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, egli non può invocare il beneficio di tale principio nel caso in cui detto provvedimento venga adottato (v., in tal senso, sentenze Belgio e Forum 187/Commissione, cit., punto 147 e giurisprudenza ivi citata, nonché 17 settembre 2009, causa C519/07 P, Commissione/Koninklijke FrieslandCampina, Racc. pag. I8495, punto 84)” (Corte di giustizia UE, sez. I, 14 ottobre 2010, C-67/09, N.A. Srl). D’altronde, se proprio di legittimo affidamento si debba parlare, nel caso di specie la stessa nozione induce a ritenere detto principio inosservato in danno dei consumatori, privati del diritto di autodeterminarsi liberamente nell’adesione alla proposta, veicolata con modalità non conformi.

11.- Fin qui la complessiva pretesa di parte appellante è infondata e deve essere rigettata.

12.- A diverse conclusioni deve giungere il Collegio in riferimento alla quantificazione della sanzione la quale, in accoglimento in parte qua dell’appello, deve essere corretta.

12.1.- I criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie sono rinvenibili nell’ambito dell’art. 11 L. n. 689 del 1981, per il quale, “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

12.2.- Parte appellante ha contestato l’erroneità del quantum sia in ragione della mancata considerazione che i destinatari delle condotte erano in parte soggetti non qualificabili come consumatori, sia sul versante della mancata applicazione del cumulo giuridico.

12.3.- Sotto il primo profilo Agcm non ha considerato il carattere composito della platea dei destinatari della condotta non potendosi qualificare come “consumatori” le persone giuridiche, considerato che, peraltro, nessun riferimento si rinviene circa la presenza, tra queste, di c.d. “microimprese” nella accezione e con gli specifici requisiti delineati dall’art. 18, comma 1, lett. d-bis D.Lgs. n. 206 del 2005, cui pure sarebbe stata applicabile – ove pure presenti, ciò che non è dimostrato – la disciplina consumeristica (Cons. Stato, sez. VI, n. 3851 del 2021, 3.2.). La quantificazione della sanzione avrebbe dovuto tener conto di tale aspetto, ciò che non è avvenuto.

12.4.- Parimenti non conforme alle regole di quantificazione è l’applicazione del cumulo materiale operata dall’Amministrazione la quale, nel caso di specie, non si sincronizza con il principio di proporzionalità.

12.4.1.- In tal senso deve ribadirsi che il principio di proporzionalità, che investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino (in specie quelle di ordine fondamentale) e non solo la graduazione della sanzione, assume nell’ordinamento interno lo stesso significato che ha nell’ordinamento comunitario.

12.4.2.- Come è oggi confermato dalla clausola di formale recezione ex art. 1, comma 1 L. n. 241 del 1990 come novellato dalla L. n. 15 del 2005. Equivalenza particolarmente pregnante nel sistema antitrust e di tutela del consumatore, articolato su un livello a due piani, nazionale e comunitario, il cui rapporto è retto dal principio di sussidiarietà.

12.4.3.- Esso, dunque, si articola in tre distinti profili: – idoneità, quale rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l’obiettivo; – necessarietà, quale assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor sacrificio; – adeguatezza, quale tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione.

12.5.- Ora, l’impiego del criterio di calcolo della sanzione basato sul c.d. cumulo materiale, connotato da un certo automatismo, è nel caso di specie sproporzionato.

12.6.- Esso sarebbe possibile solo “in presenza di una pluralità di condotte dotate di autonomia strutturale e funzionale” (Cons. Stato, sez. VI, n. 6233 del 2020), essendo invece richiesta l’applicazione di una sanzione unitaria quando le condotte indagate sono tutte “finalizzate – sotto il profilo teleologico – al conseguimento di un medesimo obiettivo” (Cons. Stato, sez. VI, n. 38 del 2016).

12.7.- Va ricordato che la L. n. 689 del 1981, art. 8, prevede l’applicabilità del cd. “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di “concorso formale”, allorché con un’unica azione od omissione sono commesse violazioni plurime, non potendosi esso, diversamente, invocare, con riferimento alla diversa ipotesi di “concorso materiale”, in cui una pluralità di violazioni è commessa con più azioni od omissioni. Nel caso di specie, come bene evidenziato dall’appellante, Agcm ha di fatto essa stessa, al di là della formale qualificazione che ne ha dato, considerato unitarie – come effettivamente sono, suscettibili di reductio ad unitatem – le due pratiche applicando le stesse circostanze aggravanti, così confermando che le (due, formalmente tali) pratiche commerciali contestate non sono caratterizzate da un’autonomia strutturale e funzionale. Dette pratiche presentano un assetto globalmente unitario declinato in un unico profilo teleologico-funzionale, nella presenza di un unico disegno violativo, nel collocarsi in un contesto strettamente unitario e temporalmente continuativo (sebbene ripartito in una fase di acquisizione del consenso e in un’altra di esecuzione del rapporto) e, soprattutto, nell’essere espressione di una unica complessiva condotta.

12.8.- Di qui, l’illegittima applicazione, nei sensi appena esposti, del cumulo materiale delle sanzioni, le quali vanno, per ciò stesso, rideterminate.

13.- Le altre censure dedotte in tema di quantificazione della sanzione sono infondate stante la correlata infondatezza degli elementi addotti, già scrutinati sul piano dei complessivi presupposti (id est: dell’an) dell’attività sanzionatoria.

14.- Sotto tale specifico profilo della quantificazione della sanzione, l’appello è quindi, in parte qua, fondato e deve essere accolta la domanda formulata in subordine di rideterminazione dell’importo della medesima sanzione che, nell’esercizio della giurisdizione di merito prevista dal c.p.a., avuto riguardo alle complessive circostanze della fattispecie concreta – compresa la dedotta assenza di un danno economico – dovrà essere quantificata, alla luce dei plurimi elementi sopra evidenziati, nella misura complessiva di € 780.000,00, pari al 65% dell’importo determinato con il provvedimento impugnato.

15.- Il complessivo esito del giudizio consente la compensazione, tra le parti, delle spese del doppio grado di giudizio.

 

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