Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, ordinanza 4 luglio 2025, n. 24672
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte la questione se, in presenza di una richiesta di applicazione del controllo giudiziario previsto dall’art 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, il giudice, preso atto della sussistenza dell’informazione antimafia interdittiva e della pendenza del giudizio amministrativo avverso la stessa, debba svolgere esclusivamente un giudizio in merito al carattere occasionale dell’agevolazione mafiosa e alle concrete possibilità dell’impresa di riallinearsi al contesto economico sano oppure possa anche valutare la sussistenza dell’infiltrazione mafiosa, presupposto dell’interdittiva disposta dal prefetto, e, nel caso di sindacato negativo, negare il controllo giudiziario richiesto volontariamente dall’impresa.
Nella giurisprudenza di legittimità sono emersi due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ritenendo, un primo indirizzo, che tale verifica abbia la medesima ampiezza di quella spettante al giudice della prevenzione nel caso in cui la misura sia richiesta dal pubblico ministero o disposta d’ufficio, compreso il vaglio relativo alla sussistenza dell’infiltrazione mafiosa; secondo il difforme indirizzo, invece, tale verifica deve necessariamente partire dal presupposto riscontrato dal prefetto e limitarsi alla sola valutazione della occasionalità dell’agevolazione e al giudizio prognostico relativo alle possibilità di recupero dell’impresa ricorrente.
Secondo un primo orientamento dalle affermazioni delle Sezioni Unite “Ricchiuto” può trarsi la specifica perimetrazione del controllo demandato al giudice della prevenzione che, si afferma, costituisce un momento di «giurisdizionalità piena» nell’ambito del quale, pur basandosi sui contenuti della informazione preventiva e su eventuali allegazioni di parte, il giudice deve necessariamente individuare i presupposti fattuali dell’istituto ovvero: a) l’esistenza di una relazione tra l’impresa e i soggetti portatori di pericolosità qualificata; b) l’occasionalità delle forme di agevolazione tra la prima e l’attività dei secondi; c) la prognosi favorevole in termini di efficacia del controllo a scongiurare il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose.
L’accertamento demandato al giudice della prevenzione non investe solo l’occasionalità dell’agevolazione e la prognosi in merito al possibile recupero dell’impresa, ma anche la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa o della società, che costituisce il presupposto dell’interdittiva antimafia e l’oggetto della relativa impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.
I presupposti per l’attivazione dell’istituto del controllo giudiziario, previsto dall’art. 34-bis, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non sono diversi a seconda delia qualifica pubblica o privata dell’istante, richiedendosi, in ogni caso, l’accertamento della natura “occasionale” della infiltrazione mafiosa e la prognosi favorevole in ordine al possibile riallineamento dell’azienda nel circuito imprenditoriale sano, in base alla valutazione, in concreto e non vincolata da alcun automatismo, del giudice della prevenzione.
A sostegno della pienezza del sindacato demandato al giudice della prevenzione e, soprattutto, dell’identità dell’accertamento a questo devoluto a prescindere dalla parte che lo richiede, si aggiungono, inoltre, le seguenti considerazioni: a) la possibilità che il controllo c.d. prescrittivo, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, sia richiesto dal pubblico ministero o disposto dal giudice nei confronti di una impresa attinta da interdittiva antimafia che, tuttavia, non ha impugnato detto provvedimento dinanzi al giudice amministrativo; b) la possibile contemporanea pendenza di separate richieste di controllo avanzate sia dal pubblico ministero che dall’impresa attinta ad interdittiva antimafia. Si afferma, infatti, che, a fronte della unicità della misura di prevenzione in esame, sarebbe irragionevole pretendere dal tribunale l’adozione di un diverso modulo decisorio, più ampio per l’iniziativa pubblica e più ristretto in caso di istanza dell’impresa.
Secondo altro indirizzo ermeneutico, il perimetro cognitivo riservato al giudice della prevenzione ha una diversa ampiezza a seconda della parte che lo richiede o lo dispone. Si sostiene, infatti, che, ferma la necessità di valutare l’occasionalità dell’agevolazione e la possibilità di recupero dell’impresa, qualora la richiesta di controllo giudiziario sia presentata dalla parte pubblica, ex art. 34-bis, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice deve valutare anche la sussistenza del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose; nel caso, invece, di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva. Tale provvedimento rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell’ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l’esercizio dell’impresa.
La diversa opzione ermeneutica, analizzata nel precedente punto, oltre che difforme dalla interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite “Ricchiuto”, potrebbe portare ad indebite sovrapposizioni tra l’ambito cognitivo riservato al giudice amministrativo investito dell’impugnazione dell’interdittiva antimafia e quello spettante, invece, al giudice della prevenzione, nonché ad una irragionevole disparità di trattamento a sfavore delle imprese più sane, comunque colpite dall’interdittiva antimafia, che non potrebbero mai avvalersi di tale istituto, rispetto a quelle che, presentando più evidenti sintomi di infiltrazione mafiosa, potrebbero invece beneficiare della sospensione dei divieti correlati alla misura interdittiva, ove tali elementi di collegamento con la criminalità organizzata fossero ritenuti superabili ed emendabili attraverso il controllo giudiziario.
Tale misura, fondata sui presupposti dell’emissione dell’interdittiva antimafia e della pendenza dell’impugnazione di tale provvedimento dinanzi al giudizio amministrativo, è volta ad assicurare la duplice finalità di assicurare la bonifica aziendale, consentendo la prosecuzione dell’attività economica sia pure con le limitazioni connesse al controllo spettante all’amministratore giudiziario, e di neutralizzare, in attesa della decisione del giudice amministrativo, gli effetti inibitori del provvedimento impugnato.
Benché ai fini dell’applicazione della misura del controllo giudiziario spetti in ogni caso al giudice della prevenzione la verifica del grado e delle caratteristiche di permeabilità mafiosa dell’impresa, tale accertamento, in pendenza del giudizio amministrativo, assume una diversa latitudine in quanto si muove tra due confini rappresentati, da un lato, dal dato patologico ricavato dall’accertamento amministrativo e, dall’altro lato, dalla verifica della cronicità dell’infiltrazione. Nell’ambito di tale più ridotto perimetro cognitivo, il grado di infiltrazione mafiosa finisce, dunque, per rilevare, solo se riscontrato nella sua massima espressione, quale profilo ostativo alla bonifica dell’impresa istante, costituendo, in caso contrario, la base del giudizio prognostico in merito alla emendabilità della situazione patologica accertata.
Ad avviso del Collegio la soluzione ermeneutica offerta dal secondo orientamento merita di essere condivisa in quanto, dinanzi ad un impianto normativo evidentemente inadeguato a coprire tutte le situazioni che possono prospettarsi nell’ipotesi in cui l’impresa viene attinta da informazione antimafia interdittiva, offre un’interpretazione coerente con la ratio della misura in esame e, soprattutto, idonea a evitare profili di frizione con i principi costituzionali di ragionevolezza, eguaglianza e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con la libertà di impresa.
La tesi della unitarietà del sindacato spettante al giudice della prevenzione in tema di controllo giudiziario, sia esso disposto su richiesta del pubblico ministero, d’ufficio o su istanza dell’impresa, omette, inoltre, di considerare le peculiarità della misura “volontaria”, una misura sui generis che rappresenta un unicum nel sistema delle misure di prevenzione proprio perché viene adottata su istanza dell’impresa che, sia pure in vista del raggiungimento di finalità squisitamente economiche correlate agli effetti sospensivi e alla piena prosecuzione dell’attività imprenditoriale, si “consegna” volontariamente al controllo del giudice della prevenzione e alla gestione “condivisa” con l’amministratore giudiziario.
L’audizione di cui all’articolo 34, comma 6, ad avviso del Collegio, colora il contraddittorio di una peculiare valenza di carattere “collaborativo” e “dialogico” tra le due autorità. Escluso, infatti, che l’audizione del prefetto possa avere ad oggetto gli elementi valutati ai fini dell’interdittiva antimafia o la sua legittimità, oggetto del parallelo giudizio amministrativo, ragioni di ordine logico impongono, dunque, di conformare l’oggetto del contraddittorio alla natura del giudizio devoluto al giudice della prevenzione e, dunque, ai due temi della occasionalità della agevolazione e della prognosi di recupero dell’impresa. Una sorta, dunque, di “conferenza di servizi” avente ad oggetto, non la “fotografia” statica della situazione di condizionamento mafioso dell’attività economica dell’impresa richiedente, quanto il futuro dell’ente e la sua capacità di riallineamento al circuito “sano” dell’economia.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8 del 14/12/2022, dep. 2023, ha individuato un triplice piano di connessione tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario: 1) procedurale, in quanto l’impugnazione dell’interdittiva dinanzi al giudice amministrativo costituisce una condizione di ammissibilità della richiesta di controllo giudiziario; 2) effettuale, dal momento che l’ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo; 3) sostanziale in quanto, benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di “occasionalità” e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa ponderati a tal fine dal giudice – e, soprattutto, la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7 del 14/12/2022, dep. 2023, pur escludendo che la pendenza del controllo giudiziario su istanza dell’impresa determini l’effetto sospensivo del giudizio amministrativo, ha, infatti, chiarito che quand’anche all’esito del giudizio amministrativo si accerti, in chiave retrospettiva, l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, pervenendosi alla conferma dell’interdittiva emessa nei confronti dell’impresa, «non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa. Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.» Ad avviso del Consiglio di Stato, dunque, una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La questione che il ricorso pone è oggetto di contrastanti soluzioni emerse nella giurisprudenza di legittimità in merito all’ampiezza del sindacato riservato al giudice della prevenzione investito della richiesta di controllo giudiziario volontario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011. Poiché la divergenza degli indirizzi ermeneutici che saranno di seguito esaminati comporta delle ricadute drastiche sull’attività dell’impresa attinta dalla interdittiva antimafia, ritiene il Collegio che sia necessario rimettere la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
- L’art. 34-bis, comma 6, infatti, non descrive il tipo di accertamento demandato al giudice della prevenzione, prevedendo, genericamente che il tribunale (…) accoglie la richiesta ove ne ricorrano i presupposti.
Sul tema, come già anticipato, sono emersi due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ritenendo, un primo indirizzo, che tale verifica abbia la medesima ampiezza di quella spettante al giudice della prevenzione nel caso in cui la misura sia richiesta dal pubblico ministero o disposta d’ufficio, compreso il vaglio relativo alla sussistenza dell’infiltrazione mafiosa; secondo il difforme indirizzo, invece, tale verifica deve necessariamente partire dal presupposto riscontrato dal prefetto e limitarsi alla sola valutazione della occasionalità dell’agevolazione e al giudizio prognostico relativo alle possibilità di recupero dell’impresa ricorrente.
Poiché entrambi gli indirizzi ritengono di trovare argomenti a sostegno della soluzione adottata nella sentenza delle Sezioni Unite “Ricchiuto”, si procederà preliminarmente ad analizzare i passaggi motivazionali che risultano maggiormente significativi ai fini dell’esame della questione controversa, per poi procedere all’analisi dei due orientamenti in contrasto.
- Con la sentenza “Ricchiuto”, le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto ermeneutico in merito al regime di impugnazione del provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione del controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, hanno affermato che detto provvedimento è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito (Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156).
Nell’esaminare le caratteristiche dell’istituto in esame, anche in raffronto con la diversa misura dell’amministrazione giudiziaria, il Supremo Consesso ha innanzitutto individuato il perimento cognitivo del giudice della prevenzione, distinguendo tra l’ipotesi in cui il controllo giudiziario sia richiesto dalla parte pubblica o disposto d’ufficio da quella in cui sia richiesto dall’impresa attinta dall’informazione antimafia interdittiva.
Si è, infatti, affermato che, mentre nel primo caso spetta al giudice della prevenzione l’accertamento «delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioè il grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie», nel caso, invece, in cui la misura sia richiesta dalla parte privata raggiunta da interdittiva antimafia, tale accertamento «non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa.»
Ad avviso del Supremo Consesso, tuttavia, la peculiarità dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta nel fatto che il fuoco dell’attenzione, e quindi del risultato di analisi, deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L’accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta.
- Secondo un primo indirizzo ermeneutico, inaugurato da Sez. 1, n. 15156 del 23/11/2022, dep.2023, M&M Servizi s.r.l. e condiviso anche dal decreto impugnato, dalle affermazioni delle Sezioni Unite “Ricchiuto” sopra riportate può trarsi la specifica perimetrazione del controllo demandato al giudice della prevenzione che, si afferma, costituisce un momento di «giurisdizionalità piena» nell’ambito del quale, pur basandosi sui contenuti della informazione preventiva e su eventuali allegazioni di parte, il giudice deve necessariamente individuare i presupposti fattuali dell’istituto ovvero: a) l’esistenza di una relazione tra l’impresa e i soggetti portatori di pericolosità qualificata; b) l’occasionalità delle forme di agevolazione tra la prima e l’attività dei secondi; c) la prognosi favorevole in termini di efficacia del controllo a scongiurare il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose.
Nell’ambito di tale complessivo accertamento, si esclude, pertanto, che il tribunale della prevenzione possa ritenere intangibili le valutazioni espresse dall’organo di prevenzione amministrativa, «fermo restando che la decisione emessa in sede di prevenzione (in tal caso reiettiva) non ‘tocca’ l’esistenza dell’informazione interdittiva prefettizia».
Secondo l’indirizzo in esame, la richiesta di controllo volontario può, dunque, essere rigettata non solo nel caso in cui si constati l’esistenza di una condizione di agevolazione «perdurante» dell’impresa a vantaggio di realtà associative di stampo mafioso, ma anche nell’ipotesi in cui si constati l’assenza della relazione anche pregressa tra azienda ed organizzazione criminale esterna.
In altre parole, si afferma che l’accertamento demandato al giudice della prevenzione non investe solo l’occasionalità dell’agevolazione e la prognosi in merito al possibile recupero dell’impresa, ma anche la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa o della società, che costituisce il presupposto dell’interdittiva antimafia e l’oggetto della relativa impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.
Sempre secondo l’indirizzo in esame, ove si aderisse al diverso indirizzo ermeneutico che sarà di seguito esaminato, oltre a disallinearsi dalla sentenza delle Sezioni Unite “Ricchiuto”, si finirebbe per «imporre» l’applicazione di una misura di prevenzione anche nelle ipotesi in cui l’autorità giurisdizionale – nel suo proprio momento cognitivo – non ravvisi la primaria condizione fattuale del pericolo di condizionamento delle attività di impresa.
4.1. A tale soluzione ermeneutica hanno successivamente aderito, sulla base di analoghi percorsi argomentativi, anche successive pronunce di questa Corte (Sez. 1, n. 5514 dell’11/12/2024, dep. 2025, Edil San Marco s.r.l., massimata per altro; Sez. 5, n. 7090 del 19/11/2024, dep. 2025, Fra.ra.fer., Rv. 287660 – 02; Sez. 1, n. 10578 del 9711/2022, dep. 2023, Edil P&P s.a.s., massimata per altro; Sez. 2, n. 22083 del 20/5/2021, Imprecoge s.r.l., Rv. 281450).
In particolare, Sez. 2, n. 22083 del 2021 ha ribadito che il giudice della prevenzione è titolare di un potere di controllo autonomo rispetto a quello del giudice amministrativo, in quanto lo stesso non è funzionale a confermare o revisionare la misura interdittiva, ma è, invece, diretto a verificare la possibilità di sottoporre l’impresa ad una gestione con controllo pubblico non invasivo, possibile solo nei casi in cui l’infiltrazione mafiosa sia occasionale ed emendabile. Sulla base di tale considerazione, si è, inoltre, affermato che i presupposti per l’attivazione dell’istituto del controllo giudiziario, previsto dall’art. 34-bis, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non sono diversi a seconda delia qualifica pubblica o privata dell’istante, richiedendosi, in ogni caso, l’accertamento della natura “occasionale” della infiltrazione mafiosa e la prognosi favorevole in ordine al possibile riallineamento dell’azienda nel circuito imprenditoriale sano, in base alla valutazione, in concreto e non vincolata da alcun automatismo, del giudice della prevenzione.
In termini ancora più netti, nel senso della pienezza e dell’autonomia dell’accertamento demandato al giudice della prevenzione, Sez. 5, n. 7090 del 2025, ha affermato che la richiesta di controllo giudiziario avanzata, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dalla impresa attinta da interdittiva antimafia, può essere rigettata qualora il giudice ritenga che dal libero esercizio dell’attività economica non possa conseguire, neppure in termini occasionali, l’agevolazione mafiosa di cui al comma 1 dell’art. 34 del citato decreto. Secondo tale pronuncia, la tesi della identità dei presupposti della misura, a prescindere da chi sia richiesta e disposta, ha trovato conforto proprio nelle argomentazioni sopra riportate della sentenza delle Sezioni Unite “Ricchiuto” e, in particolare, nella parte in cui si afferma che l’accertamento della insussistenza del presupposto della occasionalità dell’agevolazione può comportare il rigetto della richiesta, mentre, di contro, l’accertamento di una situazione più compromessa può, invece, determinare l’applicazione della più gravosa misura dell’amministrazione giudiziaria o di altra misura ablativa. Si afferma, pertanto, che proprio da tale «graduazione in peius delle misure patrimoniali» le Sezioni Unite hanno desunto l’irrazionalità della tesi che consente solo nel caso del controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, di valutare il rapporto tra l’impresa e l’ambiente criminale mafioso, escludendo, invece, la sussistenza di un siffatto potere nel caso in cui la misura sia richiesta dall’impresa ai sensi del comma 6.
Si sostiene, dunque, la struttura bifasica dell’apprezzamento demandato al giudice investito della richiesta di controllo giudiziario volontario in quanto ad una fase di matrice statico-retrospettiva sul carattere occasionale dell’agevolazione, ivi compresa la sussistenza stessa dell’agevolazione, si aggiunge una fase di tipo dinamico-prospettica sulla possibilità di recupero dell’impresa all’economia sana.
A sostegno della pienezza del sindacato demandato al giudice della prevenzione e, soprattutto, dell’identità dell’accertamento a questo devoluto a prescindere dalla parte che lo richiede, si aggiungono, inoltre, le seguenti considerazioni: a) la possibilità che il controllo c.d. prescrittivo, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, sia richiesto dal pubblico ministero o disposto dal giudice nei confronti di una impresa attinta da interdittiva antimafia che, tuttavia, non ha impugnato detto provvedimento dinanzi al giudice amministrativo; b) la possibile contemporanea pendenza di separate richieste di controllo avanzate sia dal pubblico ministero che dall’impresa attinta ad interdittiva antimafia. Si afferma, infatti, che, a fronte della unicità della misura di prevenzione in esame, sarebbe irragionevole pretendere dal tribunale l’adozione di un diverso modulo decisorio, più ampio per l’iniziativa pubblica e più ristretto in caso di istanza dell’impresa.
Infine, Sez. 1, n. 5514 del 2025, confrontandosi con l’opposto orientamento, ha affermato che l’apparente cortocircuito correlato alla conferma da parte del giudice amministrativo dell’interdittiva antimafia e al contemporaneo diniego del controllo giudiziario volontario per insussistenza del requisito dell’agevolazione mafiosa trova una sua composizione nella limitata validità temporale dell’interdittiva antimafia e nella confluenza, nonostante l’autonomia dei percorsi di cognizione, delle acquisizioni del giudizio di prevenzione nel procedimento amministrativo. Si sostiene, infatti, che la decisione del tribunale della prevenzione dovrà essere considerata quale “fatto nuovo” (al pari di quella attestante il completamento, all’esito del controllo giudiziario, del programma di bonifica) che imporrà, nell’ambito del procedimento di revisione dell’interdittiva, la verifica dei presupposti per la sua revoca o, se del caso, anche la rivalutazione delle più fievoli misure amministrative di prevenzione di cui all’art. 94-bis d.lgs. n. 159 del 2011. A sostegno di tale affermazione, si richiamano sia la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 14/12/2022, dep. 2023, che sarà esaminata nel successivo punto, sia Cons. Stato, Sez. 6, n. 2515 del 15/3/2024, che ha ribadito che «il raccordo tra la sorte futura dell’interdittiva (….) ed esito del controllo giudiziario è affidato ai poteri e alle valutazioni della prefettura». Tale rivalutazione, prosegue ancora la Corte, potrebbe, comunque, portare, sia pure sulla base di una specifica motivazione rafforzata (come richieste da Corte cost. n. 57 del 14/1/2020) ad una conferma dell’interdittiva, ai sensi dell’art. 91, comma 5, d. Igs. n. 159 del 2011, che potrà essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo e, al contempo, costituire la premessa per una istanza di controllo giudiziario (Sez. 1, n. 5514 del 11/12/2024, dep. 2025, Edil San Marco s.r.l., Rv. 287620; in senso difforme si veda, però, Sez. 1, n. 19154 del 17/11/2022, dep. 2023, CO.GE.MA. s.r.l., Rv. 284599).
- Secondo altro indirizzo ermeneutico, il perimetro cognitivo riservato al giudice della prevenzione ha una diversa ampiezza a seconda della parte che lo richiede o lo dispone. Si sostiene, infatti, che, ferma la necessità di valutare l’occasionalità dell’agevolazione e la possibilità di recupero dell’impresa, qualora la richiesta di controllo giudiziario sia presentata dalla parte pubblica, ex art. 34-bis, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice deve valutare anche la sussistenza del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose; nel caso, invece, di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva. Tale provvedimento rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell’ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l’esercizio dell’impresa (Sez. 6, n. 42983 del 17/9/2024, Furino Ecologia s.r.l., Rv. 287866-02; Sez. 6, n. 41799 del 17/9/2024, NA.RO.MI. s.r.I.s.; Sez. 6, n. 32482 del 4/7/2024, Società Restivo s.r.l.; Sez. 6, n. 22395 del 6/4/2023, C.L.P. Sviluppo Industriale S.p.A.; Sez. 6, n. 30168 del 07/07/2021, Gruppo Samir Global Service s.r.l., Rv. 281834 – 02; Sez. 6, n. 27704 del 09/06/2021, Società coop. a.r.l. Gli Angeli, Rv. 281822; Sez. 6, n. 9122 del 28/1/2021, Gandolfi, Rv. 280906-02; Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, dep. 2021, Senesi, Rv. 280341).
L’indirizzo in esame esclude chiaramente che l’istanza avanzata dall’impresa possa essere rigettata in ragione della insussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, trattandosi di un presupposto già valutato in sede amministrativa; il giudice della prevenzione può, dunque, rigettare la richiesta dell’impresa solo nel caso in cui ritenga tale pericolo di infiltrazione non occasionale, e, dunque, non emendabile con il semplice controllo giudiziario.
Si afferma, infatti, che sarebbe irragionevole negare all’impresa l’accesso a tale misura quando tale pericolo sia considerato addirittura inesistente, «atteso che se non si può prescindere dalla verifica della contiguità mafiosa e del suo grado di contaminazione quando la misura sia stata richiesta dalla parte pubblica, diversamente, quando la iniziativa è dell’impresa stessa, deve aversi riguardo solo ad una prospettiva di adeguatezza della misura rispetto alla finalità perseguita di emenda dell’azienda che giustifica la sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia finché l’impugnazione in sede amministrativa sia pendente» (cfr. Sez. 6, n. 27704 del 2021).
Si aggiunge, inoltre, che la diversa opzione ermeneutica, analizzata nel precedente punto, oltre che difforme dalla interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite “Ricchiuto”, potrebbe portare ad indebite sovrapposizioni tra l’ambito cognitivo riservato al giudice amministrativo investito dell’impugnazione dell’interdittiva antimafia e quello spettante, invece, al giudice della prevenzione, nonché ad una irragionevole disparità di trattamento a sfavore delle imprese più sane, comunque colpite dall’interdittiva antimafia, che non potrebbero mai avvalersi di tale istituto, rispetto a quelle che, presentando più evidenti sintomi di infiltrazione mafiosa, potrebbero invece beneficiare della sospensione dei divieti correlati alla misura interdittiva, ove tali elementi di collegamento con la criminalità organizzata fossero ritenuti superabili ed emendabili attraverso il controllo giudiziario.
Dinanzi all’evidente cortocircuito normativo correlato alla situazione in cui il giudice della prevenzione giunga ad escludere la sussistenza del presupposto dell’interdittiva antimafia, l’indirizzo in esame propone una armonizzazione del sistema alla luce dell’interpretazione sistematica e teleologica dell’istituto del controllo giudiziario volontario.
Si considera, infatti, che tale misura, fondata sui presupposti dell’emissione dell’interdittiva antimafia e della pendenza dell’impugnazione di tale provvedimento dinanzi al giudizio amministrativo, è volta ad assicurare la duplice finalità di assicurare la bonifica aziendale, consentendo la prosecuzione dell’attività economica sia pure con le limitazioni connesse al controllo spettante all’amministratore giudiziario, e di neutralizzare, in attesa della decisione del giudice amministrativo, gli effetti inibitori del provvedimento impugnato. Si aggiunge, inoltre, che una lettura ancillare del sesto comma dell’art. 34-bis rispetto alla previsione del primo comma mortificherebbe la ratio dell’istituto, restringendone la portata e riconducendolo ad un modello non conforme allo spirito della riforma: in particolare, Sez. 2, n. 9122 del 2021 ha osservato che se il legislatore avesse voluto adottare tale modello unitario, avrebbe inserito nel sesto comma il riferimento al primo comma, mentre, invece, si è limitato a prevedere, sia pure genericamente, che il tribunale accoglie la richiesta «ove ne ricorrano i presupposti».
Sotto il profilo sistematico, si è, inoltre osservato che il controllo giudiziario volontario «si pone alla confluenza di due istituti diversi per natura e caratteri: da un lato il controllo giudiziario regolato dall’art. 34-bis, comma 1, dall’altro la informativa antimafia interdittiva» (Sez. 5, n. 34526 del 2/7/2018 n. 34526, Rv. 273645), in quanto non può prescindere dal provvedimento prefettizio e dalla sua impugnazione, così distinguendosi dalla misura prevista dal primo comma dell’art. 34-bis. Tale confluenza implica, pertanto, la contaminazione dei suddetti (diversi) istituti, riducendo l’ambito di cognizione riservato al giudice della prevenzione (cfr. Sez. 2, n. 9122 del 2021).
Richiamando quanto affermato dalle Sezioni Unite “Ricchiuto”, si afferma, dunque, che la logica del sistema e la ratio delle misure dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario conformano il percorso accertativo che esse attivano in capo al giudice. Sicché, se con riferimento all’istituto di cui all’art. 34 d.lgs. n. 159 del 2011 e a quello del controllo giudiziario a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio, deve ritenersi doveroso il preliminare accertamento da parte del giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioè il grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie, nel caso del controllo giudiziario richiesto dalla parte privata quell’accertamento si connota in modo specifico, ed assume una minore intensità, dovendo necessariamente tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa (Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, in motivazione; Sez. 6, n. 1590 del 2021), in funzione della dimensione dinamico-prognostica sottolineata dalle Sezioni Unite “Ricchiuto”.
In altri termini, contrariamente a quanto rileva il primo orientamento, si afferma che benché ai fini dell’applicazione della misura del controllo giudiziario spetti in ogni caso al giudice della prevenzione la verifica del grado e delle caratteristiche di permeabilità mafiosa dell’impresa, tale accertamento, in pendenza del giudizio amministrativo, assume una diversa latitudine in quanto si muove tra due confini rappresentati, da un lato, dal dato patologico ricavato dall’accertamento amministrativo e, dall’altro lato, dalla verifica della cronicità dell’infiltrazione (Sez. 6, n. 22395 del 2023). Nell’ambito di tale più ridotto perimetro cognitivo, il grado di infiltrazione mafiosa finisce, dunque, per rilevare, solo se riscontrato nella sua massima espressione, quale profilo ostativo alla bonifica dell’impresa istante, costituendo, in caso contrario, la base del giudizio prognostico in merito alla emendabilità della situazione patologica accertata.
Si afferma, pertanto, che a prescindere dalle allegazioni difensive (siano esse fondate sulla occasionalità dell’agevolazione ovvero, replicando le difese svolte nel giudizio amministrativo, sulla insussistenza dell’infiltrazione mafiosa), una volta esclusa la stabilità o la sussistenza della infiltrazione, l’impresa richiedente merita di avvalersi della misura e dei suoi effetti neutralizzanti; ciò in quanto, ove si pervenisse alla diversa conclusione, il giudice della prevenzione, a fronte di una comprovata indifferenza del ciclo produttivo imprenditoriale rispetto alle ingerenze della criminalità, dovrebbe negare all’ente richiedente di avvalersi della situazione privilegiata del legislatore, nonostante la riscontrata prospettiva di bonifica aziendale e la pendenza della verifica giudiziale del provvedimento amministrativo (cfr. Sez. 6, n. 22395 del 2023).
- Ad avviso del Collegio la soluzione ermeneutica offerta dal secondo orientamento merita di essere condivisa in quanto, dinanzi ad un impianto normativo evidentemente inadeguato a coprire tutte le situazioni che possono prospettarsi nell’ipotesi in cui l’impresa viene attinta da informazione antimafia interdittiva, offre un’interpretazione coerente con la ratio della misura in esame e, soprattutto, idonea a evitare profili di frizione con i principi costituzionali di ragionevolezza, eguaglianza e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con la libertà di impresa.
Va, in primo luogo, considerato che la misura del controllo giudiziario è stata introdotta come misura autonoma, e non più servente rispetto a quella dell’amministrazione giudiziaria, dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161, allo scopo di «promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche, salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale delle imprese» (cfr. relazione finale della Commissione ministeriale che si occupò della redazione del testo).
Tale finalità risulta vanificata dall’opposto indirizzo che, legittimando il diniego della misura nell’ipotesi in cui il giudice della prevenzione non ravvisi alcuna forma di infiltrazione mafiosa, determina una situazione di disparità di trattamento, agevolando la piena ripresa dell’attività imprenditoriale e l’accesso alle misure di bonifica alle imprese la cui attività presenti profili di inquinamento mafioso e negandola, invece, alle imprese che lo stesso giudice ritiene “sane” con conseguente permanenza, solo per queste ultime, degli effetti interdittivi del provvedimento impugnato.
In tale ultimo caso, il diniego del controllo giudiziario determina un duplice effetto negativo: per l’impresa, paralizzando la sua capacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione, ma anche per la Pubblica Amministrazione che, nonostante l’assenza di forme di condizionamento mafioso dell’attività economica, in pendenza dell’efficacia dell’interdittiva antimafia, deve escludere detta impresa da tutti i rapporti contrattuali in corso oltre che dalle gare pubbliche cui è interessata.
Secondo l’opposto orientamento, tale aporia logica troverebbe una valvola di sfogo nel procedimento di aggiornamento dell’interdittiva di cui all’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, nell’ambito del quale il prefetto potrebbe rivedere le proprie valutazioni sulla sussistenza del rischio di infiltrazione mafiosa.
Tale argomento omette, tuttavia, di considerare che nelle more del procedimento di aggiornamento continuano a permanere gli effetti dell’interdittiva, in quanto la scadenza del termine di cui all’art. 86, comma 2, non comporta la sua automatica caducazione, ma fa sorgere l’obbligo per l’autorità prefettizia di riesaminare la vicenda (cfr. Sez. 1, n. 19154 del 17/11/2022, dep. 2023, CO.GE.MA., s.r.l., che, in motivazione, richiama Cons. Stato, Sez. Terza, 13 dicembre 2021, n. 8309).
La permanenza degli effetti interdittivi, in realtà, non fa che aggravare la condizione dell’impresa “sana”, procrastinando e, in taluni casi, consolidando definitivamente, la sua esclusione dal circuito economico, soprattutto, come si dirà di seguito, nel settore dei contratti pubblici. Proprio rispetto a tali evidenti ricadute negative, non pare, dunque, sostenibile un eventuale effetto “compensativo” correlato ad una definizione favorevole all’impresa del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva i cui tempi non risultano compatibili con le esigenze correlate all’immediata sospensione degli effetti di tale misura, garantita proprio dall’accesso al controllo giudiziario.
6.1. Ad avviso del Collegio, inoltre, le conclusioni qui sostenute non si pongono in contrasto con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite “Ricchiuto” che, si ribadisce, atteneva esclusivamente al regime di impugnazione del provvedimento di diniego della misura del controllo giudiziario volontario. Il passaggio argomentativo su cui insiste l’opposto orientamento va, infatti, letto nell’ambito della più ampia riflessione attraverso la quale il Supremo Consesso ha inteso sottolineare il diverso perimetro cognitivo del giudice della prevenzione a seconda della natura della parte istante, e, soprattutto, il nucleo centrale su cui deve incentrarsi la sua valutazione qualora l’istanza di controllo giudiziario sia presentata dall’impresa. Si tratta, peraltro, di un obiter che nulla aggiunge al percorso argomentativo seguito dal Supremo Consesso, basato sulla centralità del giudizio prognostico, e che, dunque, deve ritenersi privo di carattere vincolante.
6.2. La tesi della unitarietà del sindacato spettante al giudice della prevenzione in tema di controllo giudiziario, sia esso disposto su richiesta del pubblico ministero, d’ufficio o su istanza dell’impresa, omette, inoltre, di considerare le peculiarità della misura “volontaria”, una misura sui generis che rappresenta un unicum nel sistema delle misure di prevenzione proprio perché viene adottata su istanza dell’impresa che, sia pure in vista del raggiungimento di finalità squisitamente economiche correlate agli effetti sospensivi e alla piena prosecuzione dell’attività imprenditoriale, si “consegna” volontariamente al controllo del giudice della prevenzione e alla gestione “condivisa” con l’amministratore giudiziario. Una misura, dunque, che presenta maggiori affinità con i provvedimenti di volontaria giurisdizione, anch’essi connotati dal perseguimento di una finalità di tutela di interessi privati, ma di rilevanza superindividuale, ad esempio dei soggetti minori o delle persone incapaci, attraverso misure di controllo e/o di autorizzazione, di intensità variabile a seconda della natura della situazione giuridica oggetto di tutela.
A conferma di tale peculiare natura della misura del controllo giudiziario volontario va anche considerato lo schema procedimentale descritto dall’art. 34-bis, comma 6. Pur richiamando le forme dettate dall’art. 127 cod. proc. pen., la norma contempla l’audizione, oltre che dei soggetti interessati e del procuratore distrettuale competente, secondo il modello procedurale tipico dei procedimenti in camera di consiglio, anche del prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva. Tale audizione, ad avviso del Collegio, colora il contraddittorio di una peculiare valenza di carattere “collaborativo” e “dialogico” tra le due autorità. Escluso, infatti, che l’audizione del prefetto possa avere ad oggetto gli elementi valutati ai fini dell’interdittiva antimafia o la sua legittimità, oggetto del parallelo giudizio amministrativo, ragioni di ordine logico impongono, dunque, di conformare l’oggetto del contraddittorio alla natura del giudizio devoluto al giudice della prevenzione e, dunque, ai due temi della occasionalità della agevolazione e della prognosi di recupero dell’impresa. Una sorta, dunque, di “conferenza di servizi” avente ad oggetto, non la “fotografia” statica della situazione di condizionamento mafioso dell’attività economica dell’impresa richiedente, quanto il futuro dell’ente e la sua capacità di riallineamento al circuito “sano” dell’economia.
6.3. Rileva, inoltre, il Collegio che l’opposto indirizzo ermeneutico, nel nome della pienezza del sindacato giurisdizionale del giudice della prevenzione, omette di considerare i rapporti tra detto giudizio e quello amministrativo.
Sebbene, infatti, entrambi gli orientamenti abbiano reiteratamente escluso che il giudice della prevenzione possa sindacare la legittimità dell’informazione antimafia interdittiva, di fatto, il primo indirizzo ammette la duplicabilità del sindacato sulla sussistenza del presupposto del provvedimento amministrativo. Il rapporto tra i due giudizi viene, dunque, costruito da tale indirizzo in termini di completa autonomia, alla stregua di due “monadi” tra loro non comunicanti, in ognuna della quale si valuta la sussistenza del medesimo presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa, sia pure in funzione delle diverse finalità perseguite dalla misura di prevenzione e dall’interdittiva antimafia.
Si trascura, tuttavia, di valutare, le interrelazioni tra i due provvedimenti tra i quali è ravvisabile un rapporto di complementarietà, desumibile da una lettura teleologica e sistematica della relativa disciplina.
Va, infatti, considerato che l’informazione antimafia interdittiva svolge una funzione preventiva in quanto è volta, non a colpire pratiche e comportamenti di “imprenditorialità mafiosa” (compito spettante all’autorità giudiziaria penale), ma a prevenire tale evenienza, mediante il costante monitoraggio del fenomeno dell’infiltrazione mafiosa e della sua capacità di adattarsi alle specifiche situazioni locali (cfr. Corte cost. n. 57 del 2020).
Il provvedimento prefettizio, come chiarito dalla Corte costituzionale, si colloca in una prospettiva anticipatoria della difesa della legalità, in quanto, sulla base di un giudizio prognostico ancorato agli elementi fattuali tipizzati nell’alt. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, sintomatici di un pericolo di ingerenza mafiosa, mira ad impedire la penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 1516 del 29 aprile 2025).
Rispetto a tale accertamento di carattere “statico”, la misura del controllo giudiziario volontario si colloca su un piano integrato, in quanto mira a rafforzare e agevolare il raggiungimento della finalità preventiva attraverso un intervento che, all’esito di un giudizio prognostico di carattere positivo in ordine al futuro “riallineamento” dell’impresa, tende al risanamento dell’impresa alla quale viene consentito, sotto il controllo dell’amministrazione giudiziario, la prosecuzione dell’attività imprenditoriale, con la provvisoria sospensione degli effetti preclusivi dell’interdittiva nei rapporti (contratti, concessione o sovvenzioni) con la Pubblica Amministrazione.
Due finalità, dunque, che, oltre a non essere tra loro confliggenti, nè indipendenti, vengono, invece, ad integrarsi tra di loro in quanto l’anticipazione della soglia di prevenzione attuata con la misura preventiva prefettizia (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 8558 del 6/10/2022), si coniuga con la finalità di risanamento propria del controllo giudiziario.
I due istituti, pur differenti sul piano ontologico e teleologico, appaiono, pertanto, tra loro complementari in vista dell’obiettivo ultimo perseguito, che non è quello del fallimento dell’impresa oggetto di infiltrazione mafiosa, bensì quello del suo recupero e del suo reinserimento nella parte sana dell’economia.
Un obiettivo finale per il cui raggiungimento assume un ruolo cruciale la misura del controllo giudiziario che, attraverso la gestione “mista” dell’impresa, per il tramite dell’amministratore giudiziario, consente, al contempo, la prosecuzione dell’attività economica e, in particolare, dei rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione, evitando a quest’ultima un dispendio, in termini di tempi e di costi, correlato alla ricerca di un nuovo contraente.
6.4. A conferma di tale complementarità tra i due provvedimenti vanno, inoltre, considerati i profili di connessione individuati dalla stessa giurisprudenza amministrativa.
In particolare, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8 del 14/12/2022, dep. 2023, ha individuato un triplice piano di connessione tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario: 1) procedurale, in quanto l’impugnazione dell’interdittiva dinanzi al giudice amministrativo costituisce una condizione di ammissibilità della richiesta di controllo giudiziario; 2) effettuale, dal momento che l’ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo; 3) sostanziale in quanto, benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di “occasionalità” e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa ponderati a tal fine dal giudice – e, soprattutto, la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.
Da ciò consegue che, prosegue ancora il Consiglio di Stato, pur escludendosi il carattere vincolante dell’accertamento svolto dal giudice della prevenzione, qualora il prefetto ritenesse di confermare ugualmente l’interdittiva, considerando ancora attuale il rischio di condizionamento mafioso, per non incorrere nel vizio di eccesso di potere e nel conseguente annullamento giudiziario, il provvedimento confermativo dovrebbe essere sottoposto a un onere motivazionale rinforzato, non essendo sufficiente il richiamo alla mera persistenza degli elementi indiziari posti a base dell’originaria informativa, ma dovendo anche evidenziarsi le ragioni che rendono le conclusioni raggiunte dal giudice della prevenzione non idonee ad accogliere una prognosi differente da parte dell’autorità amministrativa prefettizia.
Si afferma, infatti, che, diversamente opinando, verrebbe snaturata la stessa funzione del controllo giudiziario, da cui deriverebbe soltanto l’effetto di sospendere temporaneamente e, dunque, di posticipare le conseguenze del provvedimento interdittivo.
6.5. La connessione tra i due provvedimenti è stata individuata dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione al diverso profilo correlato alla definitiva conferma, all’esito del giudizio amministrativo, della legittimità dell’informazione antimafia interdittiva. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7 del 14/12/2022, dep. 2023, pur escludendo che la pendenza del controllo giudiziario su istanza dell’impresa determini l’effetto sospensivo del giudizio amministrativo, ha, infatti, chiarito che quand’anche all’esito del giudizio amministrativo si accerti, in chiave retrospettiva, l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, pervenendosi alla conferma dell’interdittiva emessa nei confronti dell’impresa, «non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa. Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.» Ad avviso del Consiglio di Stato, dunque, una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale.
Alla luce di tale rapporto di successione tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario e della diversa finalità dei due istituti (preventiva, la prima, e “risanatrice” il secondo), lo stesso Consiglio di Stato ha ravvisato un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra il giudizio amministrativo e quello di prevenzione, non sul piano procedurale (tanto che è stato escluso l’effetto sospensivo del primo), ma sul piano della verifica dei presupposti del controllo giudiziario, in quanto incentrato su un giudizio che, muovendo dal presupposto accertato dal prefetto in sede di informazione antimafia, si sostanzia in un’autonoma valutazione prognostica funzionale al perseguimento dell’obiettivo del suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia ostativo. Tale giudizio prognostico, prosegue il Consiglio di Stato, rimane indifferente al giudizio di legittimità del provvedimento amministrativo, sopravvivendo alla definizione del giudizio amministrativo con la conferma dell’interdittiva.
L’Adunanza Plenaria ha, infatti, rilevato che il comma 6 dell’art. 34-bis non richiede che il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva, pendente il quale può essere chiesto il controllo giudiziario, tale rimanga per tutta la durata di quest’ultimo. Si afferma, pertanto, che «la funzione di risanamento tipica del controllo giudiziario è venuta oggi ad arricchire quella di generale ordine preventivo cui era informato il sistema informativo antimafia, e che dunque è destinata ad operare non solo in presenza di ipotesi di condizionamento mafioso, ma anche e con maggior impellenza quando quest’ultimo non sia più in contestazione.»
6.6. Va, infine, aggiunto che proprio in relazione alla connessione “effettuale” e “sostanziale” tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza del 9/10/2024 ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 34-bis, comma 7, d. lgs. n. 159 del 2011, per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, comma 1, in relazione agli artt. 6, 8 e 13 CEDU e 1 Prot. 1 CEDU, nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario perduri dopo la sua cessazione per il tempo occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, comma 5, d.lgs. cit.
La questione è stata posta proprio in relazione al caso in cui, successivamente al giudicato amministrativo sfavorevole, venga a scadere la misura del controllo giudiziario volontario. In tal caso, infatti, manca una specifica norma che, a fronte del disallineamento temporale tra la cessazione del controllo giudiziario e la procedura di aggiornamento dell’interdittiva, preveda il protrarsi degli effetti sospensivi dell’interdittiva conseguenti all’ammissione al controllo giudiziario per il tempo occorrente alla prefettura per concludere il procedimento di riesame (d’ufficio o su istanza dell’interessato).
Nell’ordinanza di rimessione si è, infatti, rilevato che la riespansione degli effetti dell’interdittiva comporta, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti di gara e l’automatica risoluzione dei rapporti contrattuali in essere, con conseguenti effetti pregiudizievoli: a) sulla parità di trattamento tra imprenditori (agevolandosi coloro che possono impugnare l’interdittiva ed accedere alla misura di prevenzione; b) sul diritto di difesa e ad un rimedio effettivo, entrambi compressi dall’assenza di uno strumento di tutela di interessi legittimi contro gli “effetti ripristinati” dell’interdittiva; c) sul principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, sui canoni di ragionevolezza, logicità e proporzionalità cui deve essere orientata l’azione pubblica, nonché sul principio di efficienza ed economicità, imponendosi, ad esempio, in caso di “riespansione” degli effetti dell’interdittiva alla scadenza del controllo giudiziario l’onere per le stazioni appaltanti, nel caso di contratti in corso di esecuzione, di provvedere solertemente alla sostituzione dell’impresa appaltatrice, con inevitabili ritardi ed aggravi di costi, determinando, peraltro, effetti talvolta irrimediabili sulla capacità economico-produttiva dell’impresa e sulla forza lavoro ivi impiegata.
- Un’ultima considerazione merita di essere spesa con riferimento all’istituto di recente introduzione rappresentato dalle misure amministrative di prevenzione collaborativa previsto dall’art. 94-bis d.lgs. n. 159 del 2011. Tale norma, introdotta dal d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 29 dicembre 2021 n. 233, attribuisce al prefetto, ove accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, il potere di impartire all’impresa, alla società o all’associazione interessata di una o più delle specifiche prescrizioni previste all’art. 94-bis, comma 1, nonché di nominare uno o più esperti <<con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa>>. Il tutto per un periodo da sei a dodici mesi.
Si tratta di una misura preventiva gradata rispetto all’interdittiva antimafia, che consente all’autorità amministrativa di ricorrere a tale ultima misura solo quale extrema ratio, nei casi di maggiore compromissione dell’attività economica, secondo un criterio di proporzionalità e di gradualità dell’intervento preventivo in base all’intensità del pericolo di condizionamento riscontrato (cfr. T.A.R. Sicilia-Catania, n. 1749 del 2024).
In buona sostanza, la norma consente al prefetto che rilevi l’occasionalità dei tentativi di infiltrazione mafiosa di anticipare nella fase amministrativa le misure di self cleaning previste per il controllo giudiziario. La ratio di tali misure va individuata nel contemperamento tra l’interesse pubblico alla sicurezza e la libertà di iniziativa economica, contemperamento che, stante la minore compromissione dell’infiltrazione, viene attuato attraverso misure meno incisive dell’interdittiva antimafia, che, non avendo i medesimi effetti inibitori, consentono di realizzare un duplice obiettivo, privatistico, permettendo all’impresa di proseguire la propria attività imprenditoriale, e pubblicistico, consentendo la prosecuzione dei rapporti contrattuali in corso con la Pubblica Amministrazione.
All’esito del periodo di durata delle misure, il prefetto procederà ad una rivalutazione della situazione e, qualora riscontri il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascerà un’informazione antimafia liberatoria; nel caso contrario, invece, potrà adottare l’informazione antimafia interdittiva.
Da questa breve descrizione dell’istituto emerge immediatamente la sua simmetria con il controllo giudiziario sia da un punto di vista contenutistico che teleologico, trattandosi in entrambi i casi di misure finalizzate al risanamento dell’impresa.
Tuttavia, proprio la logica di progressività delle misure amministrative lascia scoperto il tema delle possibili interferenze tra i due istituti.
L’art. 94-bis, comma 5, contempla esclusivamente l’ipotesi in cui, pendendo le misure di prevenzione collaborativa, il giudice della prevenzione adotti la misura del controllo giudiziario con la nomina dell’amministratore giudiziario. Si tratta, evidentemente, dell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 34-bis, in quanto tale disposizione ha come presupposto implicito che non sia stata adottata l’informazione antimafia interdittiva. In tal caso la norma prevede la immediata cessazione delle misure in esame, della cui esecuzione potrà, comunque, tenere conto il giudice della prevenzione ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario.
Nulla si dice, invece, con riferimento al caso in cui, una volta scaduto il termine di durata delle misure collaborative, il prefetto adotti l’interdittiva antimafia e l’impresa richieda, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, di accedere al controllo giudiziario.
In tale ipotesi, ove si condividesse il primo orientamento, ribadendosi la pienezza del sindacato giurisdizionale anche sulle valutazioni concernenti l’an e il quantum di infiltrazione mafiosa, non potrebbe, comunque, scongiurarsi il rischio del cortocircuito rappresentato dal diniego della misura all’imprenditore ritenuto “sano”.
Seguendo, invece, il secondo orientamento, il tema che si pone è se la valutazione prefettizia, di non occasionalità dell’agevolazione, possa incidere sulla discrezionalità del giudice della prevenzione, vincolandolo alla medesima valutazione e, in ultima analisi al rigetto della istanza.
Va, innanzitutto, premesso che su tale tema non si registrato pronunce della giurisprudenza, di legittimità o amministrativa.
Può però ritenersi che ove si accedesse ad una soluzione che estende il valore della valutazione prefettizia anche alla non occasionalità della agevolazione, si determinerebbe, di fatto, una interpretazione abrogatrice dell’art. 34-bis, comma 6, la cui applicazione sarebbe inibita sia nel caso di immediata emissione dell’interdittiva, ove questa contenga una specifica esclusione della occasionalità dell’agevolazione, sia nell’ipotesi di una progressività delle misure preventive amministrative con il passaggio dalle misure collaborative all’interdittiva antimafia.
Ad avviso del Collegio, è, tuttavia, prospettabile una diversa interpretazione che consenta di ricondurre ad armonia il rapporto tra i due istituti, conservandone la valenza e le possibilità applicative.
Muovendo, infatti, dalle considerazioni già svolte sulla finalità risanatrice, che può attribuirsi tanto al controllo giudiziario volontario che alle misure collaborative, e sul rapporto di complementarietà tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario volontario, potrebbe sostenersi che il giudice della prevenzione, pur dovendo partire dal rischio di infiltrazione mafiosa accertato dal prefetto, non sia vincolato alla valutazione da questi svolta sulla intensità dell’agevolazione, requisito, quest’ultimo, che a differenza della valutazione del rischio di infiltrazione, non si basa sulla sola constatazione, di tipo statico-ricostruttivo, degli elementi sintomatici tipizzati dal legislatore, ma ha una forte componente valutativa che, nel rispetto dell’autonomia del sindacato giurisdizionale, non può avere un valore vincolante nel giudizio di prevenzione.
Il giudice della prevenzione, tuttavia, non potrà non tenere conto del provvedimento prefettizio, ma, alla luce anche del contraddittorio con il prefetto previsto dall’art. 34-bis, comma 6, ove ritenga di pervenire ad una diversa conclusione, sarà tenuto a confrontarsi con le argomentazioni del provvedimento amministrativo e a fornire una motivazione, rafforzata, sulla diversa conclusione in merito all’intensità dell’agevolazione.
Come chiarito dal Consiglio di Stato con la sentenza del 6/2/2025 n. 2654, le misure amministrative di prevenzione collaborativa, lungi dal poter essere considerate una riproduzione sul versante amministrativo dell’istituto del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, condividono la natura di informazione antimafia tipica del procedimento all’esito del quale sono adottate, con la conseguenza che anche la valutazione prefettizia ora in esame, come l’interdittiva, è sempre adottata all’esito di un vaglio di tipo storico statico.
E’, dunque, proprio il diverso focus della valutazione demandata al giudice della prevenzione, incentrato su un giudizio di tipo prognostico-dinamico, più che su una ricostruzione statica dell’attività imprenditoriale e delle sue contaminazioni mafiose, che consente di dare una lettura del sistema di prevenzione “mite” coerente con le finalità e gli interessi costituzionalmente rilevanti ad esso sottesi e a ricomporre logicamente i rapporti tra istituti.
- Alla luce del contrasto ermeneutico sopra analizzato, va, dunque, disposta la rimessione della seguente questione alle Sezioni Unite: se, in presenza di una richiesta di applicazione del controllo giudiziario previsto dall’art 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, il giudice, preso atto della sussistenza dell’informazione antimafia interdittiva e della pendenza del giudizio amministrativo avverso la stessa, debba svolgere esclusivamente un giudizio in merito al carattere occasionale dell’agevolazione mafiosa e alle concrete possibilità dell’impresa di riallinearsi al contesto economico sano oppure possa anche valutare la sussistenza dell’infiltrazione mafiosa, presupposto dell’interdittiva disposta dal prefetto, e, nel caso di sindacato negativo, negare il controllo giudiziario richiesto volontariamente dall’impresa.