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Lavoro – Palpeggiamento del sedere di una dipendente e configurabilità del reato di violenza sessuale – Fattispecie

by Giacomo Morandini - Avvocato e Dottore di ricerca nell'università di Roma Tre
16 Aprile 2021
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 aprile 2021 n. 13278
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
5. Il reato di cui all’art. 609-bis c.p. è posto a presidio della libertà personale dell’individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno.
La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2 Cost.), e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario (art. 3 Cost., comma 2).
La libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è assoluta e incondizionata e non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l’altra persona possa essersi prefissa. L’assolutezza del diritto tutelato non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis c.p., per qualificare la penale rilevanza della condotta.
6. Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare del diritto, nè il dolo specifico (“al fine di”), nè alcun movente esclusivo (“al solo scopo di”) contribuiscono alla tipizzazione dell’offesa, la quale è soggettivamente ascrivibile all’agente a titolo di dolo generico.
La valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola. L’atto deve essere definito come “sessuale” sul piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell’agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l’atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude (Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007, Rv. 236964; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, Polifrone, Rv. 237294).
7. Ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è perciò necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito (Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449: fattispecie di palpeggiamento dei glutei e del seno delle persone offese; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, P.G. in c. C., Rv. 263738: fattispecie di palpeggiamenti e schiaffi sui glutei della vittima, nella quale la Corte ha escluso che l’eventuale finalità ingiuriosa dell’agente escludesse la natura sessuale della condotta).
In altri termini, l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicché non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente, nè rilevano possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti (Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, dep. 03/02/2015, P., Rv. 262470).
8. Nel caso di specie, non è controversa la natura sessuale dell’atto, e nemmeno che esso sia stato deliberatamente realizzato dall’imputato; del pari, non emerge che la donna avesse prestato il preventivo consenso all’atto, anche considerando che, in ogni caso, la relazione sentimentale tra i due era terminata da parecchi mesi, quantomeno dal novembre 2011.
La circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che l’imputato non fosse mosso da un desiderio sessuale, ma abbia agito per scherzo attiene unicamente al movente dall’azione, che, come detto, non incide sulla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie in esame.
In altri termini, la Corte territoriale ha attribuito rilevanza scusante al movente, ossia al fatto che l’agente avesse agito per “scherzo”, il che si pone in contrasto con la ricostruzione della fattispecie come sopra delineata.
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