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Home Diritto Penale

*Minaccia – Estorsione – Truffa -Malefici minacciati contro la cliente per ottenere denaro, è configurabile il reato di estorsione

by Giuseppe Bisceglia - Avvocato
3 Luglio 2025
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 27 giugno 2025, n. 23947

PRINCIPIO DI DIRITTO

Integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.

La lettura delle sentenze di merito consente di apprezzare che, ad onta di quanto sostenuto dal ricorrente, sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello hanno ritenuto credibili le dichiarazioni della parte offesa S. F..

In particolare, il Tribunale ha dato credito alla versione dei fatti fornita dalla parte offesa, ma ha assolto l’odierno ricorrente ritenendo non pienamente provato che costui fosse il soggetto, denominato “Mago (OMISSIS)”. che aveva avuto contatti con la S. e che aveva avanzato nei confronti della stessa pretese economiche, considerato che la parte offesa aveva espressamente dichiarato di aver avuto con il “Mago (OMISSIS)” esclusivamente contatti telefonici.

La Corte d’Appello, apprezzando allo stesso modo le dichiarazioni della S.F.. ha invece ritenuto che fosse stata adeguatamente dimostrata la circostanza che il “Mago (OMISSIS)” e il ricorrente fossero la stessa persona, considerato che quest’ultimo aveva ammesso di avere avuto contatti con la parte offesa e aveva dichiarato di occuparsi di cartomanzia, e che il profitto del reato era confluito su un conto corrente utilizzato in prevalenza proprio da S.F. e intestato alla di lui moglie.

Come si vede, le dichiarazioni della parte offesa non sono state apprezzate diversamente dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, così che viene a mancare il presupposto dell’obbligo di procedere a una nuova audizione della testimone, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.

  1. Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Ed invero, anche la dichiarazione dell’imputato, che aveva affermato di avere avuto dei contatti con la parte offesa e di essere un cartomante che operava con il nome di “Mago (OMISSIS)”, non risulta essere stata oggetto, da parte del giudice di appello, di un apprezzamento diverso da quello risultante dalla motivazione della sentenza di primo grado.

Peraltro, il ricorrente non chiarisce sotto quali profili le dichiarazioni dello S.F. sarebbero state oggetto di apprezzamenti diversi da parte dei due giudici di merito, rimanendo la deduzione connotata da genericità.

Pertanto, anche sotto tale profilo difetta il presupposto dell’obbligo di procedere a una nuova audizione della testimone, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.

  1. È manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, anche il terzo motivo.

Si deve, invero, ritenere la Corte territoriale abbia reso una motivazione immune da vizi in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, avendo dato congruamente atto che le stesse erano state ritenute attendibili anche dal Tribunale ed evidenziando inoltre idonei riscontri che ne avevano confermato l’attendibilità, individuati nelle sopra ricordate dichiarazioni dell’imputato e, soprattutto, nel fatto che il profitto del reato era stato accreditato su un conto corrente intestato alla moglie di S.F. e movimentato da quest’ultimo e dal di lui genitore.

  1. Sono infine, manifestamente infondati anche i motivi aggiunti, considerato che l’inammissibilità dei motivi originari travolge anche quelli aggiunti (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, Filippi, Rv. 278387 -01, secondo cui l’inammissibilità di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest’ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile perché contenente altri motivi immuni da vizi).

E tuttavia mette conto di evidenziare che, secondo la consolidata opinione del Giudice di legittimità, condivisa da questo Collegio, il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n.2, cod. pen. quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato (v., ex multis, Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, Bevilacqua, Rv. 279492 – 01).

In tema la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota (Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, Cianci, Rv. 270072 – 01; nello stesso senso Sez. 6, n. 27996 del 28/05/2014, Stasi e altri, Rv. 261479 – 01).

Dunque, a prescindere dal carattere reale o immaginario del male prospettato, tratto caratterizzante del delitto di estorsione è l’esistenza di una minaccia, che nel caso di specie la Corte di merito ha correttamente ritenuto sussistente, avuto riguardo alla prospettazione da parte dello S.F. di un male in danno della vittima e del di lei figlio che lo stesso imputato avrebbe potuto indirizzare nei loro confronti (la persona offesa ha dichiarato quanto segue: “Minacce del tipo che se non continuavo a fare i versamenti le sorti mie e di mio figlio sarebbero diventate fatali a causa di malefici che il signor (OMISSIS) attraverso i suoi presunti poteri avrebbe scagliato contro di noi”; v. pag. 3 della sentenza impugnata), dovendosi anche considerare, nell’apprezzamento del carattere minaccioso di tale prospettazione, che la stessa era stata offerta alla vittima nel corso di un rapporto esistente da tempo fra quest’ultima e l’imputato, rapporto in seno al quale la prima era in posizione di evidente soggezione rispetto al secondo.

  1. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

 

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