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*Misure di prevenzione – Regime della confisca allargata, presupposti e limiti per la relativa applicazione

by dott. Jacopo Lucchiari
7 Ottobre 2025
in Diritto Penale
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Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza 24 settembre 2025, n. 31870

PRINCIPIO DI DIRITTO

È bene rimarcare che ogniacquisizione patrimoniale avrebbe dovuto essere correlata alla data di commissione dei reati-spia, al fine di giustificare l’estensione dell’ablazione anche a beni, valori e utilità acquisiti in epoca anteriore o posteriore al periodo coperto dai reati oggetto di condanna (rectius, di sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.). Come ha spiegato la Corte costituzionale (sentenza n. 33 del 2018 cit.) la fascia di «ragionevolezza temporale», entro la quale la presunzione è destinata ad operare, va determinata tenendo conto anche delle diverse caratteristiche della singola vicenda concreta e, dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela agli effetti della misura ablatoria; e compete al giudice verificare se, in relazione alle connotazioni dei fatti e alla personalità del reo, la vicenda criminosa risulti episodica, occasionale e produttiva di modesto arricchimento, così da non corrispondere al modello normativo che fonda la presunzione di illecita accumulazione. E ciò, ovviamente, tenendo sempre presente che i cespiti acquisiti dopo la pronuncia della sentenza di condanna (o di patteggiamento) non sono, di regola, confiscabili, salvo che si tratti di beni acquistati con risorse finanziarie possedute prima della sentenza (così Sez. U, n. 27421 del 25/02/202, Crostella, Rv. 281561 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale

TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA

  1. Il ricorso di Salvatore Abbate è fondato nei limiti di seguito indicati. Il ricorso di Rolando Abbate è infondato. 2. Il giudizio di rinvio. Anzitutto occorre individuare l’ambito del presente giudizio di rinvio e stabilirne i confini.

2.1. Si discute della confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen. disposta su denaro, beni e altre utilità di cui, anche per interposta persona, è titolare o comunque ha la disponibilità Salvatore Abbate.

La confisca è stataadottata dal giudice dell’esecuzione nelle forme dell’incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 666, – 667, cod. proc. pen. e 183 quater disp att. cod. proc. pen. e si raccorda ad una sentenza irrevocabile emessa ex art. 444 cod. proc. pen. a carico di Salvatore Abbate (anche) per reati ricompresi nel novero dei c.d. reati-spia di cui all’elenco del citato art. 240-bis cod. pen.

Tutti i cespiti oggetto di confisca sono stati ritenuti nella disponibilità del suddetto condannato anche se intestati a terzi, salvo quelli di Cristina Abbate che, con l’ordinanza qui impugnata, sono stati restituiti alla medesima.

Tra i beni oggetto di ablazione si trovano anche quelli formalmente intestati a Rolando Abbate (figlio di Salvatore), il quale nel presente procedimento assume, quindi, la veste di terzo interessato.

2.2. Il presente giudizio di rinvio fa seguito al parziale annullamento dell’originario provvedimento di confisca. Con la sentenza rescindente (n. 31901 del 22/03/2023), la prima sezione della Corte di cassazione ha: – dichiarato inammissibile il ricorso di Salvatore Abbate limitatamente alla confisca delle società S. Abba srl e S.AbbaImmobiliare srl; – rigettato il ricorso di Rolando Abbate limitatamente ai motivi processuali; – annullato, nel resto, l’originario provvedimento di confisca.

2.2.1. La declaratoria di parziale inammissibilità del primo ricorso di Salvatore Abbate è stata motivata sul rilievo che le deduzioni difensive concernenti le società S. Abba srl e S.Abba Immobiliare srl erano modellate sulla titolarità effettiva in capo, rispettivamente, a Lucio Abbate e Rolando Abbate; il che — secondo quanto Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 deciso dalla prima sezione, in modo definitivo e insindacabile — ha generato l’inammissibilità dell’impugnazione di Salvatore Abbate per carenza di interesse: «competendo a Rolando Abbate – che in questa sede si è attivato in tale senso – la deduzione delle ragioni inerenti alla tutela della sua posizione in merito alla proprietà della S. Abba Immobiliare s.r.l., nonché a Lucio Abate (in sede separata, ove ne avrà interesse, non avendolo fatto in questa sede) la deduzione di quelle afferenti alla tutela della S. Abba s.r.l.» cfr. § 2 del considerato in diritto, pagina 13 sentenza rescindente). La declaratoria di inammissibilità ha reso definitiva la statuizione di confisca delle ridette società nei confronti di Salvatore Abbate, il quale, non è più ammesso a interloquire su detti punti.

Questo non significa ovviamente che la Corte di cassazione ha riconosciuto l’estraneità del bene al compendio patrimoniale riferibile a Salvatore Abbate, poiché la sentenza rescindente si è arrestata al rilievo preliminare di un vizio di impostazione del ricorso che, su detto profilo, ne impediva l’accesso al giudizio di legittimità.

La confisca della società S. Abba Immobiliare s.r.l. è stata annullata, invece, nei confronti del terzo interessato Rolando Abbate, il quale rimane legittimato a far valere i propri diritti sia pure alle condizioni e nei limiti in cui è consentita al terzo di tutelare la propria posizione (cfr. infra paragrafo 4).

2.2.2. La sentenza rescindente contiene una espressa statuizione di rigetto di tutte le questioni processuali sollevate da Rolando Abbate. Pertanto si è formata una preclusione insuperabile sulle denunciate eccezioni di rito compresa quella che invoca il giudicato.

Su tale ultima tematica la prima sezione della corte di cassazione si è così espressa: «È vero che questi Rolando Abbate si è visto confiscare i beni in sequestro direttamente all’esito della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del 29.07.2021, ai sensi dell’art. 322-ter cod. proc. pen., come ha precisato la motivazione della sentenza, indicando in almeno euro 331.568,64 il profitto conseguito dall’imputato in dipendenza dei reati a lui ascritti, fino alla concorrenza con tale valore dovendo intendersi emessa la misura ablativa, come ha poi ribadito la sentenza di legittimità (Sez. 6, n. 5527 del 25/01/2022) che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la decisione patteggiata proposto dall’imputato.

È del pari certo, però, che il titolo azionato in questo procedimento dal Pubblico ministero e accolto dal giudice dell’esecuzione è diverso, siccome esso concerne la confisca disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., nel caso di Rolando Abbate (non dei cespiti rientranti – nella prospettazione del richiedente – nell’effettiva titolarità di quest’ultimo, bensì) dei beni affermati come rientranti, per interposta persona, nel patrimonio di Salvatore Abbate.

Si tratta, quindi, di un titolo che è Corte di Cassazione – copia non ufficiale è stato correttamente ritenuto del tutto distinto e – siccome non risultante aver formato oggetto di diverso e pregresso procedimento, cognitivo o esecutivo, in particolare di quello esitato dalla menzionata sentenza di applicazione della pena concordata – non coperto dal giudicato invocato da Rolando Abbate» (§ 3.3. del considerato in diritto).

Si rivelano, dunque, inammissibili le doglianze che mirano, in qualche modo, a riproporre nuovamente la questione in questa sede, pretendendo di assegnare valore di limite massimo e assoluto alla confisca già disposta nei confronti di Rolando Abate.

2.2.3. L’annullamento del provvedimento di confisca (ferma, però, l’ablazione delle due società nei confronti di Salvatore Abbate) è avvenuto per la rilevata sussistenza di vizi motivazionali su: la puntualizzazione" del novero dei reati-spia ascritti a Salvatore Abbate e la loro periodizzazione (cfr. § 4.1, pagg. 19-21 sentenza rescindente); la verifica del rispetto del criterio di ragionevolezza temporale (§ 4.1, pagg. 21 e 22); la corretta individuazione dei termini di raffronto del giudizio di sproporzione che vanno fissati «nel reddito dichiarato o nelle attività economiche esistenti al momento dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti (potendo, in questa analisi, i saldi negativi di un anno essere riportati tra le passività delle annualità successive, non per effetto di mero trascinamento, ma solo dopo una specifica valutazione del loro concreto impatto su tali successive annualità)» (§ 4.1, pag. 22).

In relazione alla posizione di Rolando Abbate, l’annullamento è avvenuto con esclusivo riferimento al difetto di motivazione sulla interposizione fittizia rispetto alle quote del capitale della società S. Abba Immobiliare srl; quote acquistate per l’importo di euro 100.000,00 nel 2007 sei anni prima della commissione del primo reato (2013) da parte di Salvatore Abbate (§ 4.2, pagg. 23-24 sentenza rescindente).

  1. Il ricorso di Salvatore Abbate. L’unico motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati; ferma, in ogni caso, nei suoi confronti, la definitività della confisca delle società S. Abba srl e S. Abba Immobiliare srl.

Il ricorrente sostiene che il giudice di rinvio non avrebbe assolto al mandato conferitogli né avrebbe colmato le lacune argomentative evidenziate dalla prima sezione della Corte di cassazione.

La censura merita accoglimento solo in parte.

3.1. L’individuazione e la periodizzazione dei reati spia. La sentenza rescindente ha censurato il primo provvedimento di confisca rilevando che il giudice dell’esecuzione: «… avrebbe dovuto enucleare per Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7 esplicito i reati accertati come commessi dal condannato e legittimanti la confisca allargata, per valutare – con precipuo riferimento agli stessi – la sussistenza e lo spessore delle condizioni legittimanti la misura ablativa in questione, in particolare i requisiti della sproporzione e della ragionevolezza temporale». Tale lacuna risulta emendata dal giudice di rinvio.

I reati-spia e l’epoca di commissione degli stessi si trovano elencati nel provvedimento

impugnato (cfr. specchietto a pagina 11) che così li individua sulla scorta della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. pronunciata nei confronti di Salvatore Abbate il 29 luglio 2021, divenuta irrevocabile il 14 aprile 2022 (peraltro dimenticando alcuni capi di imputazione afferenti ai medesimi titoli di reato).

Si tratta dei delitti previsti dagli articoli: 648-bis cod. pen. commesso dal 1 novembre 2017 al

febbraio 2018 (capo D); 648-ter e 648-ter.1 cod. pen. commessi in vari periodi dal 2013 al 2017 (capi M1, N1, O1, Q1); 644 cod. pen. (non art. 648 ter cod. pen. come indicato dal giudice di rinvio) commesso dal luglio 2015 con condotta perdurante (capo U1); 512-bis cod. pen. commessi in vari periodi dal 2014 al 2018 (capi H, L, M, N, Z, A1, B1 e L1). 3.1.1. Secondo il ricorrente il giudice di rinvio non avrebbe potuto inserire alcuno dei delitti indicati nel novero dei reati-spia ex art. 240-bis cod. pen., poiché sarebbero stati tutti inidonei, nel concreto, a produrre un profitto illecito, e avrebbero avuto carattere episodico e occasionale come dimostrerebbe l’esclusione della aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. e la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La censura non ha pregio perché, da un lato, fa leva su elementi estranei alla confisca

allargata, dall’altro "forza" la valenza degli elementi, in tesi favorevoli al condannato, ricavabili dalla sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.

La “confisca in casi particolari”, in origine disciplinata dal dl. n. 306 del 1992, art. 12-sexies,

convertito dalla legge n. 356 del 1992, è ora prevista dall'art. 240bis cod. pen. a seguito dell’introduzione con la legge n. 103 del 2017 del principio di riserva di codice attuato dal d. lgs. n. 21 del 2018.

Il primo comma della norma citata recita: «Nei casi di condanna o di applicazione della pena

su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli […] 512-bis, […] 644, […] 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 [del codice penale] è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica». Corte di Cassazione – copia non ufficiale

8 La disposizione in rilievo riconnette, dunque, a due elementi – la qualità di condannato per

determinati reati e la sproporzione del patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economica – la presunzione che il patrimonio stesso derivi da attività criminose che non è stato possibile accertare; presunzione solo relativa, potendo il condannato vincerla giustificando la provenienza dei beni.

I caratteri della confisca “allargata” si trovano delineati in maniera perspicua nella sentenza

delle Sezioni Unite n. 27421 del 25/02/2021, Crostella.

La previsione normativa della confisca […] trae giustificazione dalla presunzione relativa di

accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente.

L’accertata responsabilità per taluni reati tassativamente elencati di particolare gravità ed

allarme sociale costituisce spia ovvero indice presuntivo della commissione di altre attività illecite, fattori di un arricchimento che l’ordinamento intende espropriare per prevenirne l’utilizzo quale strumento per ulteriori iniziative delittuose.

Nella considerazione del legislatore, quindi, l’attribuzione al soggetto della commissione di

uno dei reati-spia costituisce indicatore dell’acquisizione dei beni, sia pure non per derivazione da quel reato specifico.

La relazione tra reato-spia ed elemento patrimoniale non è espressa dal legislatore in termini

di produzione causale del secondo ad opera del primo, né di proporzione di valore tra i due elementi, ragione per la quale anche la collocazione temporale dell’incremento della ricchezza del condannato di per sé non assume rilievo quale criterio di selezione dei beni confiscabili. In questi termini si era già espressa la Corte costituzionale laddove, con la sentenza n. 33 del 2018, ha chiarito che il giudice non deve «ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato per cui è stata pronunciata condanna, e neppure tra i medesimi beni e una più generica attività criminosa del condannato.

Si rileva, infatti, che, se fosse richiesto il nesso

di “pertinenzialità” al reato per cui si è proceduto, la norma risulterebbe priva di “valore aggiunto” rispetto alla generale previsione dell’art. 240 cod. pen., limitandosi a rendere obbligatoria la confisca di alcune cose che la disposizione del codice configura come facoltativa».

Sono, quindi, prive di fondamento tutte le doglianze afferenti alla mancata corrispondenza e/o

proporzione con il profitto dei reati oggetto di condanna, al rapporto di derivazione causale e alla mancata individuazione/contestazione dello specifico fatto-reato di cui i beni rappresenterebbero prodotto o profitto, dato che si tratta di elementi estranei all’istituto della confisca allargata.

3.1.2. Risulta del pari manifestamente infondata la pretesa del ricorrente, a fronte di plurime e

varie categorie di reati-spia commessi dal 2013 al 2018, di Corte di Cassazione – copia non ufficiale  sostenerne l’episodicità sulla scorta di elementi che vengono interpretati in senso completamente diverso dalla valutazione offerta dalla sentenza definitiva ex art. 444 cod. proc. pen. Le circostanze attenuanti generiche sono state concesse non in ragione della occasionalità delle condotte, ma per la scelta dell’imputato di definire il procedimento con un rito alternativo nonché per l’ammissione degli addebiti.

La circostanza aggravante di cui all’art 416-bis.1 cod. pen. è stata esclusa non per la scarsa

offensività dei fatti ma "in ragione della impossibilità di affermare con certezza che l’imputato fosse consapevole di agevolare i clan della zona orientale di Napoli (così in motivazione sentenza 444 cod. proc. pen. citata).

3.2. Il motivo di ricorso è fondato, invece, nella parte in cui lamenta l’inosservanza dell’art-

627 cod. proc. pen. in relazione al rispetto del criterio di “ragionevolezza temporale” e alla corretta individuazione dei termini di raffronto del giudizio di sproporzione tra valore dei beni e redditi percepiti (cfr. sopra paragrafo 2.2.3).

3.2.1. Il provvedimento di confisca nasce ab origine con una motivazione estremamente

contratta, in quanto sembra dare per scontati, senza mai indicarli né analizzarli, tutti i dati raccolti dal pubblico ministero e posti alla base del provvedimento di sequestro preventivo emesso dall’organo di accusa il 19 febbraio 2021 ed eseguito il 24 febbraio 2021 (di esso si trova cenno nel c.d. “parere” del P.M. del 21 marzo 2022 che, in realtà, costituisce l’atto attraverso cui si è incardinato l’incidente di esecuzione volto alla confisca ex art. 666-667 cod. proc. pen. e 183 quater disp. att. Cod. proc. pen.).

Il giudice dell’esecuzione, quindi, sin dall’inizio ha sorvolato su dettagliatissimi

elementi, compendiati nelle centinaia di pagine che formano il decreto di sequestro, senza svolgere una propria autonoma analisi nella prospettiva, diversa per struttura e finalità, della ordinanza di confisca che ha adottato.

Tali lacune sono alla base della pronuncia di annullamento con rinvio della prima sezione

della Corte di cassazione che ha preteso dal giudice di merito di esporre, in maniera adeguata, la sussistenza sia del presupposto della ragionevolezza sia di quello della sproporzione.

3.2.2. Va premesso che la confiscabilità dei singoli beni non è esclusa dal fatto che gli stesi

sono stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna (così Sezioni Unite Crostella cit.).

Tuttavia la coerenza col sistema dei valori costituzionali pretende che la presunzione relativa

di illecita accumulazione dei beni di valore sproporzionato «sia circoscritta […] in un ambito di ragionevolezza temporale» nel senso che il momento di acquisizione del bene da confiscare non dovrebbe risultare così Corte di Cassazione – copia non ufficiale 10 lontano dall’epoca di realizzazione del reato spia da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, seppur differente da quella che ha determinato la condanna e seppur priva di un positivo accertamento «La ricordata tesi della ragionevolezza temporale risponde, in effetti, all’esigenza di evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell’istituto della confisca “allargata”, il quale legittimerebbe altrimenti – anche a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista – un monitoraggio patrimoniale esteso all’intiera vita del condannato.

Risultato che rischierebbe di rendere particolarmente problematico l’assolvimento

dell’onere dell’interessato di giustificare la provenienza dei beni, il quale tanto più si complica quanto più è retrodatato l’acquisto del bene da confiscare» (così Corte Cost. sentenza n. 33 del 2018).

Richiamando detti principi, la sentenza rescindente ha chiesto al giudice di circoscrivere la

presunzione di illegittima accumulazione in un ambito di ragionevolezza temporale (cfr. § 4.1., pag. 21) 3.2.3.

Circa l’esistenza di una sproporzione,occorre che i termini di raffronto dello squilibrio siano

 fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti (cfr. per tutte Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226491).

Rifacendosi a questo insegnamento, la sentenza rescindente ha chiarito che, in questa analisi, i

saldi negativi di un anno possono essere riportati tra le passività delle annualità successive, non per effetto di mero trascinamento, ma solo dopo una specifica valutazione del loro concreto impatto su tali successive annualità e ha rilevato che «la mancata fissazione in modo motivato dell’arco temporale di riferimento della persistenza della presunzione di illecita accumulazione ha finito per ripercuotersi sull’adeguatezza del discorso giustificativo inerente alla corrispondente verifica» (cfr. § 4.1, pagina 22).

E, su tale base, ha censurato il provvedimento del giudice dell’esecuzione risoltosi in un mero

«richiamo generale che – in carenza di analitici riferimenti, non presenti nemmeno nel provvedimento opposto del 27.06.2022, a cui il giudice dell’esecuzione ha istituito il collegamento per relationem – appare essersi esaurito in un assunto semplificatorio, tale da incrinare nello stesso decisivo snodo il percorso argomentativo».

3.2.4. Nel nuovo provvedimento il giudice di rinvio, pur riservando larga parte della

 motivazione alla (superflua) esposizione concettuale del criterio di ragionevolezza temporale, non sembra aver colto l’effettiva estensione del compito assegnatogli. Corte di Cassazione – copia non ufficiale

11 Invero l’ordinanza qui impugnata si concentra solo sul profilo della ragionevolezza

temporale (lasciando immotivato quello della sproporzione) e lo affronta, in maniera specifica, solo in relazione all’acquisto della società S. Abba Immobiliare srl (bene che, peraltro, neppure può più interessare Salvatore Abbate in ragione della declaratoria di inammissibilità del suo primo ricorso per cassazione).

Mentre doveva, anzitutto, indicare le date di acquisto di ciascuno dei beni oggetto di confisca.

Muovendo da tale dato, avrebbe dovuto procedere, poi, alla delimitazione dell’arco temporale di riferimento della presunzione di illecita accumulazione.

Questo perché, come detto, il momento dell’acquisto dei beni di sottoporre a confisca deve

risultare a distanza ragionevole, antecedente o successiva, dalla data di commissione del reato.

Infine, avrebbe dovuto raffrontare ciascuno dei singoli beni, acquistati nel periodo così

delimitato, con i redditi percepiti e le attività economiche svolte, al fine di valutarne la eventuale sproporzione per ognuno di essi (e non in modo cumulativo), secondo il parametro disegnato dalle Sezioni Unite Montella, tenendo conto anche delle osservazioni dei consulenti tecnici di parte.

È bene rimarcare che ogni acquisizione patrimoniale avrebbe dovuto essere correlata alla data

di commissione dei reati-spia, al fine di giustificare l’estensione dell’ablazione anche a beni, valori e utilità acquisiti in epoca anteriore o posteriore al periodo coperto dai reati oggetto di condanna (rectius, di sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.).

Come ha spiegato la Corte costituzionale (sentenza n. 33 del 2018 cit.) la fascia di

«ragionevolezza temporale», entro la quale la presunzione è destinata ad operare, va determinata tenendo conto anche delle diverse caratteristiche della singola vicenda concreta e, dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela agli effetti della misura ablatoria; e compete al giudice verificare se, in relazione alle connotazioni dei fatti e alla personalità del reo, la vicenda criminosa risulti episodica, occasionale e produttiva di modesto arricchimento, così da non corrispondere al modello normativo che fonda la presunzione di illecita accumulazione.

E ciò, ovviamente, tenendo sempre presente che i cespiti acquisiti dopo la pronuncia della

sentenza di condanna (o di patteggiamento) non sono, di regola, confiscabili, salvo che si tratti di beni acquistati con risorse finanziarie possedute prima della sentenza (così Sez. U, n. 27421 del 25/02/202, Crostella, Rv. 281561 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale 12 3.3. In difetto di emenda su tali profili, la lacuna motivazionale persiste e sarà compito del nuovo giudice di rinvio colmarla, sulla scorta delle linee guida sopra tracciate.

  1. Il ricorso di Rolando Abbate. Il ricorso è nel complesso infondato, pur presentando

alcuni profili di inammissibilità.

4.1. Rolando Abbate partecipa al presente procedimento come terzo interessato.

Il tema devoluto al giudice di rinvio ha riguardato soltanto l’apprensione della S. Abba Immobiliare srl.

Il precipuo vizio argomentativo è stato ravvisato nella circostanza che il giudice di merito non

aveva spiegato le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, fornendo elementi fattuali che si connotassero per gravità, precisione e concordanza, tali da costituire la prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (cfr. § 4.2. pagg. 23-24 sentenza rescindente).

L’affermazione della prima sezione della Corte di cassazione investe il profilo dell’onere

probatorio del terzo, che, a differenza del condannato, non sopporta alcuna presunzione relativa.

Invero, secondo ius receptum, grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di

 indicative della divergenza tra intestazione formale del terzo e disponibilità effettiva del bene in capo al condannato, intesa quale riconducibilità a quest’ultimo dell’iniziativa economica sottesa all’acquisizione.

Spetta al giudice che disponga la misura ablativa illustrare efficacemente le ragioni della

ritenuta interposizione valorizzando allo scopo circostanze sintomatiche ed elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio secondo lo schema tipico del ragionamento indiziario.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità: «A tale fine, non soccorre la presunzione

relativa, fondata sulla sproporzione dei valori, operante nei confronti del solo condannato, ma è richiesta un’attivazione probatoria da parte della pubblica accusa istante, analoga a quella necessaria per l’accertamento giudiziale di qualsiasi fatto avente giuridica rilevanza.

L’intestazione al terzo del bene in realtà appartenente al condannato va, dunque, dimostrata e

la relativa prova può essere desunta anche per facta concludentia mediante la considerazione, ad esempio, dei rapporti e dei vincoli personali tra terzo e condannato, della condizione personale del terzo per età, salute ed attività svolta, della natura giuridica e delle modalità esecutive della vicenda negoziale acquisiva, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 13 della sproporzione di valore tra il bene formalmente intestato e il reddito percepito dal terzo, del potere di disposizione esercitato dal condannato, nonostante l’altruità del bene.

Circostanze queste da confrontarsi con gli altri aspetti concreti del caso, in modo che risulti

sicuramente dimostrata la discrasia tra titolarità ufficiale ed appartenenza del bene» (così in motivazione Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, cit.; cfr. anche Sez. 2, n. 37880 del 15/06/2023, D’Angelo, Rv. 285028 – 01; Sez. 5, n. 13084 del 06/03/2017, Carlucci, Rv. 269711; Sez. 2, n. 15829 del 25/02/2014, Podestà, Rv. 259538; Sez. 1, n. 6137 del 11/12/2013, dep. 2014, Soriano, Rv. 259308; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254699).

4.2. Il ricorrente ritiene che il giudice di rinvio non abbia posto rimedio al vizio motivazionale

rilevato dalla sentenza rescindente.

La doglianza è destituita di fondamento.

4.2.1. L’ordinanza qui impugnata arricchisce e rafforza la prova della interposizione fittizia con elementi significativi i quali — aggiungendosi ai dati pacifici del rapporto di strettissima parentela tra terzo e condannato e alla giovane età del primo all’epoca dell’acquisto (appena ventenne) — rispondono certamente alla regola valutativa richiesta per la prova indiziaria dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., quando addirittura non costituiscono ex se prove dirette.

Il giudice di rinvio valorizza anzitutto le dichiarazioni rese da Salvatore Abbate in sede di

interrogatorio reso il 22 luglio 2021, allorché egli stesso ammise che i suoi beni erano intestati al figlio.

A queste, poi, raccorda i risultati delle intercettazioni e in particolare: il colloquio in cui

Salvatore Abbate ammonisce il figlio, ricordando che le società gli appartengono e gli nega il consenso ad intestare una vettura alla S. Abba Immobiliare, mentre il figlio, indispettito, rimprovera al padre di averlo usato fare le società; la conversazione nella quale Salvatore Abbate discute con il commercialista delle operazioni da svolgere con la S. Abba Immobiliare, dimostrandosi dominus esclusivo.

Il giudice di merito valorizza, inoltre, una segnalazione dell’UIF per operazioni sospette legate

alla S. Abba Immobiliare, motivata dal fatto che gli esponenti aziendali Cristina Abbate e Rolando Abbate – entrambi non ancora trentenni – sono costantemente accompagnati in filiale da Toscano Matilde (delegata ad operare in conto) ed appaiono non pienamente consapevoli delle attività aziendali e delle operazioni bancarie.

La forza dimostrativa degli elementi sinteticamente indicati, valutati nel loro complesso, rende

irrilevanti quelli ulteriori ai quali l’ordinanza impugnata fa cenno.

Tra questi il prestito di 300mila euro effettuato in favore di Salvatore Abbate proviene dalla S.

Abba srl che, per errore, il giudice di merito riconduce alla S. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Abba Immobiliare; errore che, però, non produce effetti proprio perché ricade su un dato privo del carattere di decisività.

4.2.2. Il ricorrente si difende contestando, inoltre, la idoneità probatoria di dialoghi e

accadimenti avvenuti a notevole distanza di tempo dall’acquisto della società, ma l’obiezione non ha pregio, poiché si incentra su un elemento non significativo come la datazione del mezzo di prova, mentre occorre guardare all’oggetto della prova che, nella specie, fornisce la fotografia di una situazione rimasta inalterata sin dalla costituzione della società.

Il medesimo ricorrente cerca di contrastare il provvedimento di confisca affermando che è

stato sottoposto a processo per altri delitti, ma non per quello di cui all’art. 512-bis cod. pen., sicché nella fase di cognizione (conclusasi con una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.) non sarebbe mai stata messa in discussione la sua titolarità effettiva della S. Abba Immobiliare s.r.l.

L’assunto è manifestamente infondato; in primo luogo, perché, in violazione non solo degli

artt. 649 e ss. cod. proc. pen. ma delle stesse regole generali del processo, pretende di assegnare a una sentenza di condanna (anzi addirittura a una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.), la capacità di accertare, per esclusione e in mancanza di pronuncia assolutoria, l'assenza di responsabilità di un soggetto per qualunque reato diverso da quelli oggetto della pronuncia, con la conseguenza che un soggetto, una volta condannato per un determinato fatto-reato, non potrebbe più essere processato per fatti commessi in precedenza se estranei al giudicato di condanna; in secondo luogo, perché, la sentenza rescindente aveva già messo in luce la diversità della posizione di Rolando Abbate: imputato, nel processo di cognizione a suo carico definito con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. e, invece, terzo interessato nel presente procedimento esecutivo di confisca a carico di Salvatore Abbate; in terzo luogo, perché la fattispecie punita dall’art. 512-bis cod. pen. non si esaurisce nella mera intestazione fittizia, ma richiede il dolo specifico del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter cod. pen.

4.3. Una volta caduto, per infondatezza, il motivo volto a negare l’interposizione fittizia, viene

meno per il ricorrente, quale terzo intestatario fittizio, di far valere violazioni di legge o vizi motivazionali attinenti ai presupposti della confisca.

4.3.1. Rispetto a tale figura possono richiamarsi, data l’analogia degli istituti, le considerazioni

svolte dalle Sezioni Unite Putignano nella recente sentenza pronunciata in tema di confisca di prevenzione (n. 30355 del 27/03/2025).

Il terzo è parte eventuale del procedimento, che è incentrato sulla posizione del condannato

verso cui viene diretto il provvedimento di confisca. Corte di Cassazione – copia non ufficiale.

Il terzo, che si assume intestatario fittizio del bene oggetto di confisca, interviene nel

procedimento di confisca in fase esecutiva allorché si affermi proprietario effettivo del bene oggetto di ablazione e, quindi, titolare di una situazione astrattamente meritevole di tutela secondo l’ordinamento.

Sotto l’angolo prospettico dell’interesse all’impugnazione ex art. 568, comma 4, cod. proc.

pen., è necessario che l’impugnazione del terzo miri ad ottenere l’annullamento della confisca con riferimento al carattere fittizio dell'intestazione; sicché l’azione del terzo non può risolversi in un mero intervento ad adiuvandum dovendo perseguire un vantaggio concreto e diretto sulla propria sfera giuridica.

L’interesse all’impugnazione viene a mancare nel caso di contestazione da parte del terzo

della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale nei confronti del condannato, poiché sarebbe sorretta da un interesse di mero fatto, derivante indirettamente dall'esito della procedura principale, cui l’ordinamento non attribuisce rilievo giuridico.

Pertanto, sul tema specifico della confisca ex art. 240-bis cod. pen., va affermato che il terzo

può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, tra cui la ragionevolezza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato che legittima l’ablazione e la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato dal condannato (cfr. in termini analoghi Sez. 2, n. 1251 del 07/11/2024, dep. 2025, Scozzari, Rv. 287474 – 01 in un caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata).

Mentre, dopo la sentenza delle Sezioni Unite Putignano, può dirsi superato il contrario

orientamento giurisprudenziale (Sez. 1, n. 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, Flauto, Rv. 281362 – 01). 4.3.2.

Ne consegue che tutte le ulteriori censure svolte nel ricorso di Rolando Abbate sono

inammissibili perché non sostenute da interesse.

  1. Consegue che l’ordinanza impugnata deve essere nuovamente annullata con rinvio nei

confronti di Salvatore Abbate, ferma la definitività della confisca delle società S. Abba srl e S. Abba Immobiliare srl. Il ricorso di Rolando Abbate va respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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