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*Misure di sicurezza e prevenzione – Misure di sicurezza personale – Presupposti di applicabilità*

by Chiara Cavallotto
31 Marzo 2022
in Diritto Penale
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Cass. pen., II, ud. dep. 08.03.2022, n. 8166

MASSIMA

Il giudice della prevenzione non è vincolato dall’esistenza di un giudizio penale ed è invece abilitato, alla luce del principio, comunemente ricevuto, di autonomia del giudizio di prevenzione, ribadito anche in esito alla introduzione del codice antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 28 e 29), a ricostruire, motu proprio ed anche in assenza di un procedimento penale correlato, gli episodi storici portati alla sua attenzione. 

La riconducibilità del preposto ad una delle categorie di pericolosità di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 1 e 4, può essere affermata non solo sulla base di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di condotte delittuose rilevanti a tal fine, ma anche ove, a carico del destinatario della misura, non sia mai stato proposto un giudizio penale, per le ragioni più varie.

 In questi casi, il giudice della prevenzione, dopo avere verificato – sia pure incidentalmente – la valenza penale di quelle condotte (e, quindi, dopo averle sussunte entro precise fattispecie penali), deve valutare – senza i limiti stringenti della prova penale – se quelle condotte siano sintomatiche della pericolosità sociale del proposto e, quindi, se sussistano congiuntamente tutti i requisiti previsti dalla normativa di riferimento, dandone conto nella motivazione.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE 

  1. Il ricorso è inammissibile.

1.1 il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. c) ritiene persone socialmente pericolose “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo.., la sicurezza e la tranquillità pubblica”; sul punto la Corte di appello, dopo aver elencato le pendenze di R. per resistenza a pubblico ufficiale, estorsione e lesioni, ha osservato come nei confronti dello stesso sia stato disposto anche decreto che dispone il giudizio per il reato di cui agli artt. 56 e 575 c.p., concludendo che le circostanze esaminate indichino “una persistente pericolosità oltre che di irrefrenabile impulso a delinquere”; trattasi di motivazione logica e coerente con i dati esaminati, sulla quale non è ammesso sindacato di legittimità.

1.2 Infatti, le doglianze relative alla consistenza indiziaria ed alla valutazione dell’attualità della pericolosità sono inammissibili, poiché, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3, (e del precedente L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2). Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla predetta L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9 (ora D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 2), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; ved; anche Sez.2, Sentenza n. 20968 del 06/07/2020, PG/Noviello, Rv. 279435-01 Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Catalano, Rv. 261590).

  1. Nel caso di specie il vizio radicale di motivazione in realtà non si rinviene. Il decreto impugnato è corredato di motivazione adeguata e logicamente coerente, nel quadro di un ragionamento unitario, articolato in argomentazioni saldamente connesse sulla base di concetti razionalmente ordinati ed espressi.

  1. Si deve infine ricordare che, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, il giudice della prevenzione non è vincolato dall’esistenza di un giudizio penale ed è invece abilitato, alla luce del principio, comunemente ricevuto, di autonomia del giudizio di prevenzione, ribadito anche in esito alla introduzione del codice antimafia(D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 28e 29), a ricostruire, motu proprio ed anche in assenza di un procedimento penale correlato, gli episodi storici portati alla sua attenzione (da ultimo, tra le tante in tal senso, Sez. 1, n. 36080 dell’11/09/2020, Rv.280207).

  1. Può, dunque, essere affermata la riconducibilità del preposto ad una delle categorie di pericolosità di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 1e 4,non solo sulla base di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di condotte delittuose rilevanti a tal fine, ma anche ove, a carico del destinatario della misura, non sia mai stato proposto un giudizio penale, per le ragioni più varie (perché la notitia criminis, è stata archiviata; perché le prove raccolte non furono ritenute sufficienti a sostenere un’accusa penale; perché l’azione penale era già paralizzata, al momento della conoscenza della notitia criminis, da una causa di estinzione o di improcedibilità). In questi casi, il giudice della prevenzione, dopo avere verificato – sia pure incidentalmente – la valenza penale di quelle condotte (e, quindi, dopo averle sussunte entro precise fattispecie penali), deve valutare – senza i limiti stringenti della prova penale – se quelle condotte siano sintomatiche della pericolosità sociale del proposto e, quindi, se sussistano congiuntamente tutti i requisiti previsti dalla normativa di riferimento, dandone conto nella motivazione.

  1. Alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

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