Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 06 agosto 2021 n. 14
PRINCIPI DI DIRITTO
- a) Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;
- b)nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Infine, alla pubblica udienza del 16 dicembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
In esito a tale udienza il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha promosso l’intervento chiarificatore da parte di questa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per completare l’esatta interpretazione dei citati articoli del d.lgs. n. 159/2011, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.
Con l’ordinanza di remissione si evidenzia che l’Amministrazione appellante, nel fondare il proprio gravame sull’enunciazione di principio della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018 secondo cui l’art. 67, co. 1, lett. g) del codice delle leggi antimafia intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della P.A. (ogni “esborso di matrice pubblicistica”) a favore di imprese colpite da interdittiva prefettizia, non ha tuttavia ritenuto di prendere in considerazione le norme che la stessa fonte normativa detta per i rapporti contrattuali in corso al tempo dell’informativa del Prefetto.
Va ricordato, infatti, che gli artt. 92 e 94 d.lgs. n. 159/2011 fanno salvo, per il caso di recesso contrattuale indotto dal sopraggiungere di un’informazione antimafia di segno interdittivo a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite nonché il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
Le norme hanno formato oggetto della sentenza n. 23/2020 dell’Adunanza plenaria.
La sentenza ora citata ribadisce il principio “che il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.”
Le norme di riferimento prevedono specifiche deroghe al principio sopra richiamato.
Nel caso di specie vengono in rilievo, come deroga al principio testé affermato, le disposizioni di cui agli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2, i quali prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
A detta dell’Adunanza plenaria n. 23/2020 le norme richiamate costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione:
“Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione”.
Conclude la citata sentenza affermando il principio che “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”.
L’odierna remissione attiene all’esatta individuazione del “valore delle opere già eseguite”.
In modo ancora più specifico chiede di valutare se ai fini della determinazione del “valore” sopra citato debba tenersi conto solo del prezzo dedotto in contratto o anche del prezzo quale risulta dall’applicazione della revisione dei prezzi.
In subordine, chiede di verificare se la richiesta di ottenere il pagamento delle somme a seguito della revisione prezzi possa essere avanzata dall’operatore economico dopo essere stato attinto dall’informazione interdittiva ma per opere realizzate in epoca antecedente.
L’ordinanza di remissione propone una risposta affermativa ai quesiti come sopra riassunti.
La previsione legislativa della salvezza del valore delle opere eseguite, a detta del giudice remittente, sembra intesa essenzialmente a preservare, per il periodo in cui il contratto d’appalto abbia trovato attuazione, il rispetto del relativo sinallagma.
“La salvezza imposta dalla legge sul punto del “pagamento del valore delle opere già eseguite”, stante la sua ratio di salvaguardia dell’equilibrio del sinallagma per evitare ingiustificati arricchimenti, sembra peraltro possedere una valenza non meramente conservativa, ma attributiva di una tutela piena.
La norma indubbiamente si presta a giustificare la ritenzione del corrispettivo contrattuale che fosse stato già conseguito dal privato per le “opere già eseguite”.
Essa dovrebbe però valere, nello stesso modo, anche a permettere all’impresa, che abbia eseguito delle opere non ancora remunerate, di conseguire il corrispettivo per esse contrattualmente previsto, ove lo stesso non le fosse stato ancora erogato.
Diversamente, si verificherebbe proprio quell’ingiustificato arricchimento che il legislatore ha inteso evitare facendo salvo il “pagamento del valore delle opere già eseguite”.
Il sopravvenire dell’informazione interdittiva, pur cagionando una condizione d’incapacità, non dovrebbe perciò ostare alla possibilità, per il soggetto interdetto, di agire in giudizio per ottenere il corrispettivo contrattuale riflettente le prestazioni in precedenza regolarmente rese.
Precisa il giudice remittente:
“Se è vero che “l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione – o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria” (così la sentenza n. 8672/2019 cit.)- è altrettanto vero, alla stregua di un testuale dato legislativo, che la salvezza contemplata dal d.lgs. 159/2011 è prevista proprio quale eccezione a tale effetto inabilitante.
E non pare dubbio che tale eccezione, ancorché destinata a ricevere, proprio in quanto tale, una “stretta interpretazione” (Ad.Pl., n. 23/2020), debba vedersi comunque riconosciuta un’ampiezza corrispondente a quella richiesta dalla presenza effettiva della ratio che l’ha imposta all’attenzione del legislatore”.
A sostegno di questa interpretazione il Consiglio di giustizia amministrativa valorizza la previsione del co. 3 dell’art. 94, che consente all’Amministrazione, in casi particolari, pur nel sopravvenire dell’interdittiva, di proseguire nel rapporto contrattuale con l’interdetto portandolo al suo naturale epilogo a riprova che la condizione di soggetto interdetto non sia incompatibile con la possibilità (seppur limitatissima) di agire in giudizio per conseguire il corrispettivo per le opere anteriormente eseguite.
Dal momento che la causa riguarda gli effetti dell’interdittiva su contratti d’appalto in corso, non appaiono congrui i richiami delle parti e della sentenza del Tar alle enunciazioni svolte dal Consiglio remittente in occasione delle proprie sentenze nn. 3 e 19/2019. Formavano infatti oggetto di queste ultime dei rapporti di tutt’altra tipologia, appartenenti al genus dei finanziamenti pubblici, in cui, oltretutto, la prestazione pecuniaria dell’Amministrazione era stata conseguita dal privato largamente prima del sopraggiungere dell’informativa antimafia (e, come ha notato l’A.S.P. di Catania, la richiesta di revisione avanzata dopo l’interdittiva non può essere assimilata a un’erogazione chiesta e ottenuta, invece, prima della misura prefettizia).
In definitiva, la controversia richiede di stabilire se la revisione dei prezzi costituisca a tutti gli effetti parte integrante del corrispettivo contrattuale, nel qual caso la salvezza legislativa ritenuta dall’adunanza plenaria sopra ricordata imporrebbe di confermare il decisum di prime cure; o se, invece, debba prevalere una concezione diversa dell’istituto revisionale, eventualmente correlata anche a una lettura radicalmente restrittiva della norma legislativa improntata alla salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite”.
La remissione all’Adunanza plenaria viene giustificata sul seguente rilievo:
“E d’altra parte l’Adunanza Plenaria, alla quale si devono i principi giurisprudenziali di fondo della delicata materia, nel mentre è stata già tratta a occuparsi dapprima dell’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia sul soggetto destinatario, e del perimetro da assegnare alla norma preclusiva dell’art. 67, co. 1, lett. g), del d.lgs. n. 159/2011 (sentenza n. 3/2018), e poi, più di recente, della riconduzione ai soli contratti d’appalto (con esclusione quindi dei finanziamenti e contributi pubblici erogati per finalità d’interesse collettivo) delle previsioni di salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente (sentenza n. 23/2020), non ha avuto ancora occasione, fin qui, di mettere specificamente a fuoco l’importante tema degli effetti dell’interdittiva sugli equilibri dei contratti d’appalto in itinere.”
DIRITTO
- Le questioni sottoposte all’esame dell’Adunanza plenaria possono così essere riassunte.
L’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto – persona fisica o giuridica – è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.”
La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g) del codice antimafia va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293).
Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
- Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello per cui qui è processo), come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati.
- Prima della risposta al quesito posto dal Consiglio di giustizia amministrativa, occorre stabilire che cosa debba intendersi per “valore delle opere (o servizi) già eseguiti”, pagabili al contraente privato interdetto “nei limiti delle utilità conseguite” dall’Amministrazione, non potendosi dare per scontata la equivalenza tra prezzo contrattuale e valore delle prestazioni, ove si consideri il tenore letterale delle norme in commento, che, da un lato, non prevedono il pagamento del “prezzo” delle prestazioni già eseguite, ma fanno riferimento al “valore” di dette prestazioni, e dall’altro lato pongono l’ulteriore limite delle utilità conseguite.
16.1. Per rispondere al quesito pregiudiziale, vanno anzitutto ribaditi i principi affermati nella sentenza dell’Adunanza plenaria 6 aprile 2018, n. 3, secondo cui il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.
16.2. La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 23 del 2020 ha precisato che:
“ a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) – costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011 n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni.
Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione.”
16.3. Ha precisato poi questa Adunanza plenaria che la norma ora citata si applica anche agli appalti di servizi.
“Occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai contratti di servizi e forniture in quanto il successivo co. 3 dell’art. 94 – nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi (laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”).”
16.4. Nella sentenza n. 23 del 2020 della Plenaria si è chiarito altresì che “la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite” riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla verifica delle “utilità conseguite” (dall’amministrazione o, più in generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza.”
“Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia.
Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute “sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento.”
La sentenza puntualizza che “Nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione.
16.5. Sulla scorta della sentenza dell’Adunanza sopra richiamata, con l’espressione “utilità conseguite” si intende riconoscere “al soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”.
“Le utilità conseguite” non sono dunque necessariamente equivalenti al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti.
Si tratta di “nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di convenienza, tipica dell’operatore economico-giuridico individuale”; pertanto, essa deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile”.
Può, in conclusione, affermarsi che la determinazione delle utilità conseguite è compito della p.a. che provvede, ricorrendone le condizioni di fatto, alla quantificazione alla stregua delle norme di legge.
Con la quantificazione delle utilità conseguite non si riconoscono diritti soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo l’adozione dell’interdittiva antimafia ma si intende evitare che la pubblica amministrazione “dall’esecuzione dell’opera o dalla prestazione di servizi, possa trarre un ingiustificato arricchimento”, in applicazione dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod.civ.).
16.6. Negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.
16.7. Quanto al secondo limite, delle “utilità conseguite”, ancora una volta, la peculiarità dell’appalto di servizi per cui è processo, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.
16.8. Con riferimento quanto meno al caso di cui si controverte – appalto di servizi aggiudicato con gara e connotato da prestazioni standardizzate, omogenee, ripetitive e continuative- può quindi senz’altro ritenersi che il valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il prezzo contrattuale dei servizi già resi.
- Si può così affrontare il quesito specificamente posto dall’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria, già sintetizzato nel par. 15: se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 d.lgs. n. 159/2011 debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).
17.1. Per rispondere al quesito occorre ricostruire brevemente la natura e la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi.
17.2. Occorre premettere che nel caso che ci occupa le norme applicabili, ratione temporis, sono quelle di cui al d.lgs. n. 163/2006.
L’art 115 del citato decreto legislativo prevedeva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, co. 4, lettera c) e co. 5 (costi standardizzati)”.
La clausola di revisione dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti: la revisione era sempre dovuta anche in mancanza di clausole nella lex specialis di gara. Era compito dell’operatore economico chiederla in quanto l’obbligatorietà non comportava però il diritto all’aggiornamento automatico del corrispettivo contrattuale. Si era soliti dire al riguardo che il richiedente fosse titolare di un interesse legittimo con riferimento all’an e di un diritto soggettivo al successivo quantum.
17.3. Questo Consiglio di Stato ha ripetutamente accertato la natura e gli obiettivi delle norme che prevedono la revisione dei prezzi.
Con la sentenza n. 2295 del 2015, interpretando la norma del 2006 sopra citata, è stato precisato che “ a) che la normativa in questione ha natura imperativa, per cui si inserisce automaticamente e prevale addirittura sulla regolamentazione pattizia, cosicché “nessuna preclusione è configurabile in ordine al diritto che trova titolo e disciplina nella legge.”
L’assunto è stato confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12 agosto 2019, n. 5686: “La revisione prezzi, secondo la disciplina pro tempore applicabile, si applica ai contratti di durata pluriennale a partire dall’anno successivo al primo, e l’art. 115 d.lgs. 163/2006 prevede l’inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ”.
Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3874/2020 è stata ribadita la natura dell’interesse che sottende l’istituto in questione: “L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Id., Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079). Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni”.
La posizione dell’appaltatore in ordine all’an della revisione ha –come si è accennato- natura di interesse legittimo: “La giurisprudenza ha inoltre affermato che l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo”.
La caratteristica di attività meramente tecnica dell’attività della p.a. nel valutare le condizioni che legittimano la revisione prezzi si evince anche dalla giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 12 ottobre 2020 n. 21990).
17.4. Il richiamo alle interpretazioni della giurisprudenza sia amministrativa che civile consente di escludere che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione –che nella specie risulta accertato già in forza di giudicato-, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.
- Proprio in considerazione della delineata ratiodella revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 qui applicabile ratione temporis, corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge (Cons. St., sez. III, 2 maggio 2018, n. 2841). Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.
Ragionando a contrario, se si seguisse la soluzione negativa e si ritenesse non computabile nel prezzo da corrispondere la revisione dei prezzi in caso di interdittiva antimafia dell’impresa esecutrice, si violerebbro la ratio e la lettera dei citati artt. 92 e 94 del codice antimafia, che, prevedendo il pagamento del valore delle prestazioni già eseguite, ancorché nei limiti delle utilità conseguite dall’amministrazione, intende evitare l’ingiustificato arricchimento dell’amministrazione. E’ questa la medesima ratio sottesa alla revisione dei prezzi: evitare che oscillazioni dei prezzi, tali da portare il prezzo pattuito sotto il valore di mercato delle prestazioni, comportino un ingiustificato arricchimento della parte contrattuale pubblica in danno della parte privata.
Pertanto, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis.
La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 di questa Adunanza e cioè il fatto che la pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
18.1. Nello specifico caso per cui è processo, negare il pagamento della revisione dei prezzi significherebbe che la stazione appaltante sarebbe autorizzata a quantificare le utilità conseguite calcolando il costo del lavoro dei dipendenti (che forma la voce di spesa più rilevante con il prestatore di servizi) alla stregua del prezzo previsto dal contratto iniziale non tenendo conto degli aumenti subiti dallo stesso nel corso di un arco temporale di oltre tredici anni.
La pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n.23 del 2020 tendono a evitare.
- Si devono in conclusione affermare i seguenti principi di diritto:
- a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;
- b)nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.
19.1. Per l’applicazione dei detti principi di diritto alla controversia e l’ulteriore corso del giudizio, gli atti sono restituiti alla Sezione rimettente ai sensi dell’art. 99, co. 4, c.p.a.