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*Previdenza e assistenza – Convivenza di fatto tra datore e lavoratore, si all’assegno nucleo familiare

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
30 Luglio 2025
in Diritto Civile
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Corte Costituzionale, sentenza 22 luglio 2025 n. 120

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 D.P.R. n. 797/1955 in relazione all’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede tra le cause ostative al riconoscimento dell’assegno per il nucleo famigliare la situazione di convivenza more uxorio tra il datore di lavoro ed il lavoratore subordinato, in aggiunta alla condizione di coniugio.  Ciò in quanto nella fase concessoria dell’ANF (Assegno per il Nucleo Familiare) la convivenza di fatto rileva solo in presenza di un contratto di convivenza: ciò, peraltro, in coerenza con la scelta fatta dal legislatore del 2016 di rimettere all’autonomia delle parti la disciplina dei rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, attraverso la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Inoltre, va rilevato che, al di là delle specifiche norme della L. n. 76 del 2016 sul rapporto di convivenza, restano affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali coabitazione, collaborazione, contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale, determinazione dell’indirizzo familiare e fedeltà, durata della relazione”.

La disciplina dell’ANF risulta, pertanto, armonica, vista la coerenza tra la mancata considerazione della convivenza ai fini della concessione dell’assegno e la stessa mancata considerazione ai fini della sua esclusione.

Va, poi, ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 2 D.P.R. n. 797/1955 in relazione all’art. 38 Cost., che ha carattere ancillare rispetto a quella dell’art. 3 Cost., invocata in quanto determinerebbe una deviazione dalla finalità dell’ANF di sostenere i nuclei familiari bisognosi.

In realtà, la mancata esclusione dell’ANF in caso di convivenza di fatto fra lavoratore subordinato e datore di lavoro è, in realtà, giustificata dal fatto che, nella disciplina dell’ANF, il nucleo non include il convivente di fatto del lavoratore, salvo il caso di stipulazione del contratto di convivenza.

Va, dunque, ritenuta coerente con la disciplina generale dell’ANF, la norma in questione, che a sua volta tiene conto del diverso assetto dei rapporti economici in caso di coniugio e di convivenza.

Per tale ragione, l’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 non contrasta con la finalità dell’ANF.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.- La Corte d’appello di Venezia, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955, “nella parte in cui non prevede tra le cause ostative al riconoscimento dell’assegno per il nucleo famigliare la situazione di convivenza more uxorio tra il datore di lavoro ed il lavoratore subordinato”, in aggiunta alla condizione di coniugio. Tale norma violerebbe:

  1. a) l’art. 3 Cost., per l'”evidente trattamento differenziato che riceverebbero due situazioni aventi […] la medesima esigenza di tutela”;
  2. b) l’art. 38 Cost. perché “determinerebbe una deviazione dalla finalità istituzionale propria della prestazione in quanto destinata [a] beneficiare condizioni famigliar[i] nelle quali si deve presumere che non vi sia la condizione di bisogno che giustifica l’erogazione della provvidenza”.

Il rimettente mira, dunque, a una parificazione “verso il basso”, che produca il risultato di negare l’assegno per il nucleo familiare (d’ora in avanti: ANF) al lavoratore o alla lavoratrice convivente di fatto del datore di lavoro.

2.- In primo luogo, occorre delineare brevemente il quadro normativo nel quale si inserisce la norma censurata. L’ANF è una prestazione economica introdotta dal D.L. n. 69 del 1988, come convertito, “[p]er i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali”, sostituzione degli assegni familiari e delle “aggiunte di famiglia”, già previsti – rispettivamente – per i dipendenti privati e pubblici (art. 2, comma 1).

L’ANF “compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare” (art. 2, comma 2): la misura della prestazione cresce in corrispondenza alla dimensione del nucleo e diminuisce in relazione al reddito del nucleo stesso.

I commi 6, 8 e 9 del medesimo art. 2 regolano la composizione del nucleo e la determinazione del suo reddito (sentenze n. 67 del 2022, n. 516 del 1995 e n. 458 del 1989). I soggetti protetti, dunque, sono i lavoratori subordinati.

La prestazione è erogata dall’INPS direttamente o tramite il datore di lavoro, attraverso il sistema dei “conguagli” con i contributi dovuti dallo stesso datore all’INPS. Dopo il D.Lgs. 29 dicembre 2021, n. 230 (Istituzione dell’assegno unico e universale per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della L. 1 aprile 2021, n. 46), che ha istituito l’assegno unico e universale per i figli a carico, l’ANF è venuto meno per i nuclei con figli e per quelli orfanili (art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 230 del 2021).

La circolare INPS 28 febbraio 2022, n. 34 (Assegno per il nucleo familiare e Assegni familiari.

Nuove disposizioni, con decorrenza 1° marzo 2022, derivanti dall’istituzione dell’Assegno unico e universale di cui alD.Lgs. n. 230 del 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 309 del 30 dicembre 2021), indica i nuclei familiari che possono continuare a beneficiare dell’ANF. 3.-

L’art. 2, comma 3, del D.L. n. 69 del 1988, come convertito, rinvia alle norme contenute nel D.P.R. n. 797 del 1955, per quanto non previsto dallo stesso art. 2. All’ANF risulta dunque applicabile l’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955, in base al quale “[g]li assegni familiari non spettano:

  1. a) al coniuge del datore di lavoro;
  2. b) ai parenti ed agli affini non oltre il terzo grado del datore di lavoro che siano con lui conviventi […]”.

Poiché il rimettente e le parti hanno sostenuto tesi diverse sulla natura e sull’estensione del contenuto precettivo della disposizione, occorre, innanzi tutto, chiarire se essa abbia natura speciale o eccezionale: in quest’ultimo caso, essa non potrebbe essere applicata in via analogica, in virtù dell’art. 14 preleggi (sul punto, ad esempio, sentenze n. 208 del 2024 e n. 231 del 2018; Corte di cassazione, sezione penale feriale, sentenza 4 settembre 2024, n. 33478; seconda sezione, sentenza 29 marzo 2019, n. 13795).

La ratio generale dell’ANF è fornire un sostegno economico ai nuclei familiari bisognosi dei lavoratori subordinati.

Quella specifica dell’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 (che nega l’ANF al lavoratore coniugato con il datore di lavoro) è evitare che il beneficio sia erogato a un nucleo familiare comprendente lo stesso soggetto (il datore di lavoro coniuge del lavoratore richiedente il beneficio) su cui ricade il peso economico della misura: il che si tradurrebbe in un “autofinanziamento” del datore di lavoro.

Poiché la norma censurata intende evitare che l’ANF venga corrisposto in un contesto in cui non soddisferebbe l’interesse cui è preordinato, a essa va attribuito carattere speciale e non eccezionale, in quanto rappresenta un adattamento della norma generale al caso specifico, senza porsi in contrasto con la sua ratio.

Ciò appurato, il presupposto interpretativo del rimettente (secondo il quale il divieto di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 non vale per la situazione di convivenza more uxorio) risulta corretto.

Oltre al riferimento testuale al solo “coniuge” (sentenza n. 182 del 2024), occorre rilevare che fra convivente more uxorio e coniuge non sussiste quella somiglianza rilevante che potrebbe giustificare l’applicazione analogica della norma censurata; né, tantomeno, è possibile ritenere che l’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 minus dixit quam voluit e che, quindi, vada interpretato in senso estensivo, comprendendo anche il convivente more uxorio.

Ciò per le ragioni esposte nel punto seguente, dedicato all’esame nel merito della prima questione sollevata.

La questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata.

Questa Corte ha più volte ribadito la permanente diversità tra il rapporto coniugale e la convivenza di fatto, ritenendo però costituzionalmente illegittima, in casi particolari, la differenziazione tra le due situazioni, alla luce della ratio della norma censurata nella singola ipotesi (sentenze n. 148 del 2024, n. 213 del 2016, n. 140 e n. 86 del 2009, n. 8 del 1996, n. 559 del 1989, n. 404 del 1988; ordinanza n. 7 del 2010).

Come visto, la ratio dell’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 può essere ravvisata nell’esigenza di non erogare il beneficio a un nucleo familiare comprendente lo stesso datore di lavoro, al fine di evitare una forma di “autofinanziamento”.

Se questa è la funzione della norma censurata, essa non può ritenersi in contrasto con l’art. 3 Cost. per il fatto di non assimilare, ai fini dell’esclusione dall’ANF, il convivente di fatto al coniuge, dal momento che, ai fini della concessione dell’ANF e della sua quantificazione, il nucleo familiare comprende solo il coniuge e non comprende il convivente di fatto.

Infatti, l’art. 2, comma 6, del D.L. n. 69 del 1988, come convertito (norma non menzionata dal rimettente), stabilisce che “[i]l nucleo familiare è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 , di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro […]”.

Dalle circolari dell’INPS 12 gennaio 1990, n. 12, e 11 gennaio 2007, n. 9, e dalla circolare ISTAT n. 81 del 1997 risulta che tale disposizione non è stata intesa in senso estensivo: il convivente, cioè, non è considerato come componente del nucleo familiare.

Dopo la L. n. 76 del 2016, la circolare dell’INPS n. 84 del 2017 ha precisato che, “[a]i fini della misura dell’ANF, per la determinazione del reddito complessivo è assimilabile ai nuclei familiari coniugali la sola situazione dei conviventi di fatto, di cui ai commi 36 e 37 dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016, che abbiano stipulato il contratto di convivenza di cui al citato comma 50 dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016, qualora dal suo contenuto emerga con chiarezza l’entità dell’apporto economico di ciascuno alla vita in comune”.

Dunque, nella fase concessoria dell’ANF la convivenza di fatto rileva solo in presenza di un contratto di convivenza: ciò, peraltro, in coerenza con la “scelta fatta dal legislatore del 2016 di rimettere all’autonomia delle parti la disciplina dei rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, attraverso la sottoscrizione di un contratto di convivenza” (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 18 dicembre 2023, n. 35385).

Sulla stessa questione, questa Corte ha rilevato che, al di là delle specifiche norme della L. n. 76 del 2016 sul rapporto di convivenza, “restano affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali coabitazione, collaborazione, contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale, determinazione dell’indirizzo familiare e fedeltà, durata della relazione” (sentenza n. 148 del 2024; si vedano anche, da ultimo, Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 30 aprile 2025, n. 11337, e sezione prima civile, ordinanza 2 gennaio 2025, n. 28).

La disciplina dell’ANF risulta, pertanto, armonica, vista la coerenza tra la mancata considerazione della convivenza ai fini della concessione dell’assegno e la stessa mancata considerazione ai fini della sua esclusione.

La manipolazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955, richiesta dal giudice a quo, implicherebbe, quindi, un’incongruenza nel sistema (sentenze n. 182 del 2024, n. 8 del 1996 e n. 237 del 1986), perché la convivenza rileverebbe solo ai fini della perdita dell’assegno ma non della sua concessione e quantificazione.

Lo stesso INPS ha modificato la propria posizione nel presente giudizio, chiedendo, nella memoria integrativa, la dichiarazione di manifesta infondatezza delle questioni, proprio alla luce della circolare dell’INPS n. 84 del 2017, sopra citata.

La questione promossa in riferimento all’art. 38 Cost. non è fondata.

Essa, in realtà, ha carattere ancillare rispetto a quella relativa all’art. 3 Cost., appena esaminata: la norma censurata violerebbe l’art. 38 Cost. (peraltro invocato genericamente dal giudice a quo, senza distinzione fra primo e secondo comma) in quanto determinerebbe una deviazione dalla finalità dell’ANF di sostenere i nuclei familiari bisognosi.

Come visto, la mancata esclusione dell’ANF in caso di convivenza di fatto fra lavoratore subordinato e datore di lavoro è, in realtà, giustificata dal fatto che, nella disciplina dell’ANF, il nucleo non include il convivente di fatto del lavoratore, salvo il caso di stipulazione del contratto di convivenza.

La norma censurata è, dunque, coerente con la disciplina generale dell’ANF, che a sua volta tiene conto del diverso assetto dei rapporti economici in caso di coniugio e di convivenza.

Per tale ragione, l’art. 2 del D.P.R. n. 797 del 1955 non contrasta con la finalità dell’ANF.

 

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