Corte di cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 27 agosto 2025 n. 23876
PRINCIPIO DI DIRITTO
Sussiste il diritto al percepimento dell’indennità di disoccupazione fino al momento in cui sia stato ricostituito lo status di lavoratore occupato effettivamente e sotto tutti i profili, anche quello economico, non essendo sufficiente la mera sua ricostituzione de iure, sia pure con sentenza esecutiva, ma occorrendo, per garantire l’effettività della tutela, l’effettiva attuazione della reintegrazione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
16 . Con il ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 45, comma 3, 73, comma
2, 76, comma 3 e 77 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936 n. 115 5, nel testo vigente ratione temporis, con riferimento all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010 n. 183, e dell’art. 2033 cod.civ.
- Ad avviso dell’istituto previdenziale erroneamente la Corte di merito ha riconosciuto il diritto del lavoratore a trattenere le somme erogate a titolo d’indennità di disoccupazione involontaria sebbene, con la sentenza del Tribunale di Perugia n. 448 del 2014, passata in giudicato, fosse stata affermata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, tra il lavoratore e la s.p.a. per effetto dell’accertata illegittimità del termine apposto al primo dei contratti a tempo determinato intercorsi sin dal 2006, con condanna della società al pagamento di dodici mensilità di retribuzione, ai sensi dell’art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010.
- L’INPS sostiene che l’indennità di disoccupazione involontaria è prestazione previdenziale volta a garantire la percezione di un sostegno economico, per il periodo ragionevolmente occorrente per la ricerca di un nuovo lavoro, a favore di chi abbia perduto una precedente occupazione; deduce che trattasi d’indennizzo, conseguente alla mancanza di lavoro dipesa dalla involontarìetà dello stato di disoccupazione, e non d’integrazione della retribuzione (all’uopo richiama Cass. nn. 8581 e 9326 del 2007; Cass. n.22576 del 2013); assume che, in assenza dello stato di disoccupazione, neppure sussiste un diritto alla prestazione.
19 In particolare, nella prospettazione difensiva dell’ente previdenziale, non sussiste stato di disoccupazione nel caso in cui, seppure per effetto di un successivo accertamento giurisdizionale, venga meno lo stato di non occupazione e, per effetto dell’applicazione dell’art. 32, comma 5, legge n. 183 cit., con l’erogazione dell’indennità sia ristorato, per intero, il pregiudizio subito dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale sia stata ordinata la ricostituzione del rapporto; si versa, nell’ipotesi anzidetta, nella fattispecie dell’indebito oggettivo (condictio indebiti ob causam finitam).
- L’ente previdenziale evidenzia, ancora, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso, per la sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, il diritto all’indennità di disoccupazione e che, diversamente opinando, si autorizzerebbe un inammissibile indebito arricchimento del lavoratore. […]
- Ribadisce l’Ente previdenziale la previsione dell’indennità di disoccupazione solo a favore del lavoratore non più titolare, involontariamente, di un rapporto di lavoro, cessato definitivamente, al quale non può equipararsi il lavoratore che, malgrado l’interruzione del rapporto, rimanga vincolato al datore di lavoro sia pur per effetto di un successivo accertamento giudiziale, come per il licenziamento dichiarato giudizialmente illegittimo; a riprova dell’argomentare adduce che, per costante giurisprudenza di legittimità, le indennità previdenziali non possono essere detratte dalle somme che il datore di lavoro sia stato condannato a pagare, a titolo di risarcimento del danno a favore del lavoratore, proprio perché tali indennità non sono acquisite, in via definitiva, dal lavoratore ma sono ripetibili dagli Istituti previdenziali.
- Osserva, inoltre, che la decisione impugnata non si conforma alla ricostruzione sistematica dell’efficacia dichiarativa, ex tunc, della sentenza che dispone la conversione del rapporto di lavoro a seguito dell’illegittima apposizione di un termine con conseguente ricostituzione del rapporto di lavoro, né si conforma al carattere onnicomprensivo dell’indennità risarcitoria, di cui all’art. 32, comma 5, legge n. 183 cit., parametrata alla retribuzione e alla relativa contribuzione previdenziale, il che conferma l’incumulabilità di tale risarcimento con l’indennità ordinaria di disoccupazione
- Con la memoria illustrativa Inps invoca decisioni di legittimità più recenti, e ribadisce che il principio previdenziale di divieto di cumulo di contribuzione effettiva e figurativa comporta che, in caso di risarcimento attenuato onnicomprensivo, l’eventuale scopertura assicurativa del lavoratore (all’uopo richiamando Cass.10 gennaio 2025, n. 602) discende dall’illegittima condotta datoriale e dalla discrezionalità del legislatore lavoristico nel determinare le ricadute sanzionatorie del licenziamento illegittimo, con la conseguenza che eventuali vuoti di tutela, sotto detto profilo, devono, in realtà, essere valutati in sede lavoristica e non possono essere colmati con l’uso, improprio, di istituti previdenziali posti a carico della collettività. […]
- Rimarca che, proprio in considerazione del tradizionale principio di autonomia del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro, non può non rilevarsi che il legislatore, nel modificare il sistema risarcitorio/indennitario per il licenziamento illegittimo e la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di apposizione della clausola di durata illegittima ai contratti di lavoro subordinato a termine, non abbia previsto alcun coordinamento della nuova disciplina lavoristica con la disciplina previdenziale a tutela dello stato di bisogno a seguito della perdita del lavoro, confermandone la congruenza ed escludendo modifiche, nella struttura e funzione, dell’indennità di disoccupazione.
- Ribadisce, conclusivamente, che la prospettata esclusione del trattamento di disoccupazione, in mancanza della cessazione del rapporto lavorativo, consegue all’esigenza, collocata nell’ambito del principio di solidarietà, di assicurare la tutela sociale ai più bisognosi, compatibilmente con le risorse disponibili, compatibili con una individuazione dello stato di bisogno giustificativo della prestazione che coincide non già con la mera inattività, bensi con l’estinzione del rapporto di lavoro (testualmente citando Cass. 5 aprile 2007, n. 8581), in coerenza con il disposto dell’art. 38, secondo comma, Cost., e che la definizione del presente giudizio non possa che prescindere dalla eventuale difficoltà o meno, nei singoli casi, di soddisfazione, da parte del lavoratore, del credito retributivo o risarcitorio conseguente alla decisione sul licenziamento, fatto rilevante sul piano giuslavoristico, e del corretto adempimento degli obblighi, al quale il lavoratore può reagire con gli strumenti giudiziari approntati dall’ordinamento senza che, per sopperire ad eventuali vuoti di tutela lavoristica, possa essere utilizzato l’istituto previdenziale dell’indennità di disoccupazione, comunque denominata.
- L’ordinanza interlocutoria di questa Corte, n. 22985/2024, ha preliminarmente richiamato la disciplina normativa in tema d’indennità ordinaria di disoccupazione involontaria (artt. 45, comma 3, 73, comma 2, 76, comma 3, e 77 r.d.I. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936 n. 1155, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie in discussione), affermando che tale disciplina è volta ad accordare la prestazione a sostegno del reddito in tutti i casi in cui la disoccupazione non sia connessa ad un comportamento comunque volontario dell’assicurato.
- In tale prospettiva, l’ordinanza interlocutoria ha illustrato il presupposto dell’involontarietà della situazione di disoccupazione, alla luce della pregressa giurisprudenza di questa Corte, evidenziando che:
- anche quando è stato necessario applicare ed interpretare disposizioni concernenti il trattamento speciale di disoccupazione previsto dall’art. 8 della I. n. 1115 del 1968, per i casi di disoccupazione derivante da licenziamenti determinati da situazioni di crisi aziendale, si è chiarito che l’espressione licenziamento ivi adoperato debba essere intesa non in senso formale, ma in senso più ampio, comprensivo, perciò, di tutte le ipotesi in cui l’impossibilità della prestazione non sia imputabile al lavoratore, come in caso di licenziamento orale, cessazione definitiva dell’attività, chiusura o disintegrazione dell’azienda;
- si è precisato, altresì, che è l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, proprio dell’atto di recesso, a determinare comunque lo stato di disoccupazione costituente il fatto costitutivo del diritto alla prestazione previdenziale, sul quale non incide la contestazione, in sede giudiziale, della legittimità del licenziamento, sicché le statuizioni ivi adottate non possono incidere sull’accertamento del diritto del lavoratore alla prestazione erogata dall’ente;
– si è affermato, nel vigore dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nel testo antecedente le modifiche apportate dall’art. 1, comma 42, legge n. 92 del 2012, il diritto del lavoratore all’indennità di disoccupazione anche nel caso in cui alla pronuncia d’illegittimità del licenziamento non fosse seguita la reintegrazione, pur giudizialmente disposta, nel posto di lavoro, connotandosi, anche in tal caso, lo stato di disoccupazione, della involontarietà, in quanto frutto dell’atto datoriale di risoluzione e non della mancata esecuzione del provvedimento giudiziale, e conservando, l’erogazione della prestazione previdenziale, la medesima finalità di sostegno al reddito; al ripristino effettivo del rapporto, per effetto dell’esecuzione dell’ordine giudiziale di reintegrazione, si è fatta seguire la ripetibilità della prestazione previdenziale, da parte dell’Inps, per esserne venuti meno i presupposti, con esclusione della detraibilità dalle somme costituenti la condanna risarcitoria del datore di lavoro ai sensi dell’art. 18 della Iegge n. 300 cit.
- Tali arresti della giurisprudenza, continua l’ordinanza interlocutoria, hanno condizionato il diritto all’indennizzo per disoccupazione involontaria alla persistenza, per il tempo della sua erogazione, di uno stato di non occupazione suscettibile di venir meno anche per effetto di un accertamento giudiziale sopravvenuto, purché sia stato ripristinato lo status di lavoratore occupato sotto tutti i profili, anche quello economico, in conseguenza dell’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro cessato, non essendo sufficiente la mera sua ricostituzione de iure, sia pure con sentenza esecutiva, ma occorrendo, per garantire l’effettività della tutela, l’effettiva attuazione della reintegrazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege.
- L’ordinanza interlocutoria ha sottolineato che i medesimi principi sono stati ritenuti applicabili anche nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro, e quindi la perdita dell’occupazione lavorativa, sia dipesa dalla scadenza del termine finale apposto al contratto di lavoro, del quale sia stata giudizialmente dichiarata la nullità, con la successiva conversione in rapporto a tempo indeterminato ex tunc e alla quale non abbia, però, fatto seguito l’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro, nei suoi aspetti giuridici ed economici, ancorché tale ricostituzione sia mancata per effetto dell’inerzia del lavoratore, nel dare esecuzione alla sentenza che l’aveva disposta, o per effetto di una transazione conclusa dalle parti successivamente alla stessa (all’uopo viene richiamata Cass. n. 17793 del 2020).
- Rileva il Collegio rimettente che, per i citati arresti, il diritto all’indennità di disoccupazione comunque persiste, poiché anche in tal caso il fatto costitutivo è da ricondursi alla cessazione del rapporto di lavoro per causa non imputabile al lavoratore, qual è l’illegittima apposizione del termine finale da parte del datore di lavoro, e non già alla mancata esecuzione, da parte del lavoratore, del provvedimento giudiziale di ricostituzione del rapporto di lavoro con efficacia ex tunc, il quale rappresenta un post factum, in quanto tale eziologicamente ininfluente.
- L’ordinanza interlocutoria segnala che, nella detta prospettiva, le richiamate decisioni hanno ritenuto ininfluente il sopravvenire dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 — con la previsione della corresponsione, a favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria forfettaria e onnicomprensiva, liquidabile in misura variabile da un minimo di 2,5 mensilità di retribuzione ad un massimo di 12 per il periodo intercorso tra la cessazione del rapporto e la sentenza che dichiara l’illegittimità del termine — per non avere detta disposizione inciso sulla (in)volontarietà dello stato di disoccupazione, né sulla materiale percezione di retribuzioni in tale periodo, per il quale è mancata l’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro in tutti i suoi elementi.
- Per la diversa portata della modifica normativa introdotta dal legislatore del 2010, l’ordinanza richiama Cass. n. 24645 del 2023 che ha valorizzato l’introduzione del nuovo regime risarcitorio per arrivare a diverse conclusioni, nel senso che, per effetto della ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato derivante dalla sentenza dichiarativa dell’illegittimità del termine, viene meno la condizione di disoccupazione per l’erogazione dell’indennità di mobilità corrisposta nel periodo temporale coperto dalla sentenza (e dall’indennità risarcitoria ex art. 32 della L. n. 183 cit.), onde la configurabilità dell’indebito previdenziale ripetibile (ai sensi dell’art.2033 cod.civ.), entro il limite temporale della prescrizione.
- L’ordinanza interlocutoria ha, altresi, rilevato che ad analoghe conclusioni sono pervenute altre decisioni della Corte, pronunciatesi con riferimento all’indennità di mobilità soggetta, ove non diversamente disposto, alla stessa disciplina dell’indennità di disoccupazione: le ordinanze nn. 384 e 854 del 2024, hanno ritenuto ripetibile, ai sensi dell’art. 2033 cod.civ., l’indennità di mobilità erogata a lavoratori il cui licenziamento era stato dichiarato illegittimo, con applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della legge n. 300 cit. nel testo modificato dalla legge n. 92 del 2012, per essere venuto meno, per effetto della disposta reintegrazione, il presupposto per la percezione dell’indennità.
- Le stesse decisioni, prosegue l’ordinanza interlocutoria, hanno inoltre ritenuto irrilevante che lo stato di disoccupazione involontaria (di fatto) sia stato coperto, solo in parte, dall’indennità risarcitoria, sul presupposto della piena debenza della contribuzione previdenziale per effetto della reintegrazione.
- L’orientamento cosi manifestato quanto a indennità di mobilità, non si appalesa del tutto univoco, rimarca l’ordinanza interlocutoria, come dimostrato da Cass. n. 22850 del 2022 che, rifacendosi espressamente ai principi affermati con le già richiamate decisioni n. 24950 del 2021, n. 17793 del 2020 e n. 28295 del 2019, aveva ritenuto applicabili – in considerazione dell’identità di ratio e del generale richiamo contenuto nell’art. 7, comma 12, della legge n. 223 del 1991 alla disciplina dell’assicurazione contro la disoccupazione in volontaria – i principi regolatori di tale indennità, i cui presupposti vengono meno solo allorquando, dichiarato illegittimo il licenziamento, il rapporto di lavoro sia ripristinato per effetto della reintegrazione, sicché in mancanza dell’effettiva reintegrazione, l’erogazione dell’indennità non diviene indebita.
- Nell’analizzare la ridetta pronuncia n. 22850 del 2022, l’ordinanza interlocutoria ha sottolineato la necessità dell’effettivo ripristino del rapporto in fattispecie alla quale, ratione temporis, trovava applicazione la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori nel testo antecedente alle modifiche apportate prima dalla Iegge n. 92 del 20 12 e poi dalla legge n.183 del 20 14, circostanza che ha indotto la stessa ordinanza a domandarsi se il ripristino effettivo – filo conduttore della giurisprudenza formatasi in materia – potesse assumere ancora lo stesso rilievo nel mutato quadro delle tutele avverso il licenziamento illegittimo per effetto dei predetti interventi normativi e, del pari, nel mutato quadro delle tutele apprestato, per i contratti a termine, dalla legge n. 183 del 2010.
- In tale contesto, l’ordinanza interlocutoria si è interrogata sulla tutela accordata dalla legge n. 183 del 2010 che, oltre a garantire, ex post, la ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro, prevede la corresponsione di un’indennità risarcitoria considerata dalla legge — soprattutto all’esito dell’interpretazione datane, dapprima, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011 e, successivamente, dallo stesso legislatore, con l’art. 1, comma 13 della legge n. 92 del 2012 – idonea a ristorare per intero, anche sotto il profilo contributivo, il pregiudizio subito dal lavoratore nel tempo che intercorre tra la scadenza del termine del contratto e la sentenza che ne accerta l’illegittimità, ma, si interroga il Collegio rimettente, se possa dirsi che essa faccia sempre ed effettivamente venir meno lo stato d’involontaria disoccupazione e se possa affermarsi che tale stato di disoccupazione venga meno anche quando la tutela anzidetta non sia tale da assicurare la realizzazione della finalità di sostegno al reddito, cui è finalizzata la prestazione per la disoccupazione nel periodo di mancanza di lavoro, ai lavoratori (e alle loro famiglie), in attuazione della previsione dell’art. 38 secondo comma della Costituzione.
- Ebbene, l’ordinanza interlocutoria sollecita, come si è fin qui illustrato, una disamina di queste Sezioni Unite ad ampio spettro delle problematiche investite dai vari profili enucleati. Tuttavia, più semplicemente, occorre focalizzare, nella vicenda all’esame, la tutela che l’ordinamento appresta alla condizione di disoccupazione involontaria del lavoratore — nella specie, illegittimamente assunto a termine – nell’alveo della protezione costituzionalmente rilevante dell’evento protetto, a mente dell’art. 38, secondo comma, Cost.
- Occorre delineare in primo luogo la cornice normativa che disciplina la prestazione previdenziale, premettendo, da subito, che le indennità contro la disoccupazione erano (e sono) previste dall’ordinamento previdenziale solo a favore dei lavoratori che non siano più titolari di un rapporto di lavoro, ossia siano privi di lavoro.
- La protezione nasce per garantire la percezione di un sostegno economico al lavoratore esposto all’alea dell’involontaria disoccupazione, per un periodo ragionevolmente occorrente per la ricerca di un nuovo lavoro; il principio cardine della tutela assicurativa de qua, come introdotto in origine, presuppone necessariamente che la disoccupazione giuridicamente rilevante discenda dalla mancanza di lavoro connessa alla particolare posizione occupata, dall’assicurato, nel mercato e non da una libera determinazione dello stesso.
- Ai sensi del combinato disposto dell’art. 45, terzo comma, del r.d.l. n. 1827 del 1935 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1155 del 1936), applicabile ratione temporis alla vicenda all’esame, «L’assicurazione per la disoccupazione ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione in volontaria per mancanza di lavoro». […]
- Segue l’art. 76, comma 3, come modificato dall’art. 34, comma 5, legge n. 448 del 1998, per il quale la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni con decorrenza successiva al 31 dicembre 1998 non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione (ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni, e con requisiti ridotti di cui al decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni).
- L’art. 77 del r.d.l. n. 1827 cit. dispone che si tratta di prestazione che viene erogata a domanda dell’assicurato, da presentare nei modi e nei termini stabiliti dal regolamento con il quale sono fissate anche le norme per il controllo della disoccupazione, per l’accertamento delle condizioni per il diritto all’indennità, e per la sospensione del diritto medesimo (terzo comma).
- Al regolamento è demandata, inoltre, l’individuazione dei casi in cui le lavorazioni a turno e saltuarie possono essere considerate come disoccupazione continuata ed anche i casi nei quali hanno rilievo i periodi di disoccupazione che siano interrotti da brevi periodi di lavoro.
- L’art. 1, comma 2, let:t. c) del d.lgs. n. 181 del 2000, ha definito lo stato di disoccupazione come «la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediata mente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti»: detta disposizione è stata, poi, abrogata ad opera dell’art. 34, comma 1, lett. g) del d.lgs.n.150 del 2015 e sostituita dall’art. 19 del medesimo d.lgs. n. 150 che recita: «Sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego».
- Solo un cenno al d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, in materia di riordino della disciplina in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, qui inapplicabile ratione temporis, che ha finalmente realizzato un sistema organico di definizione dello stato di disoccupazione e della condizionalità valido sia ai fini delle politiche attive del lavoro sia ai fini delle prestazioni di disoccupazione, e ribadito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 3 del d. lgs. n. 22 del 20 15, con il riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali, la finalità dell’erogazione delle prestazioni di disoccupazione oltre che nel sollievo di natura economica («avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione» art.1 d.lgs. n.22/2015 cit.) anche in funzione di un progetto articolato di integrazione occupazionale del soggetto attraverso politiche attive del lavoro, in ottemperanza all’art. 4 della Carta costituzionale.
- Il fondamento della disciplina ora applicabile ratione temporis è stato enucleato da Corte cost. n. 103 del 1968 nei termini che seguono: «Lo scopo dell’assicurazione per la disoccupazione, com’è dato desumere dall’art. 45, comma terzo, del citato r.d.l. n. 1827 del 1935, è “l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro”. Soggetti del rapporto assicurativo sono: l’Ente gestore (e cioè l’istituto nazionale della previdenza sociale), il datore di lavoro (obbligato al pagamento dei contributi) che impiega alle proprie dipendenze persone retribuite e i lavoratori assicurati, che prestano la loro opera alle dipendenze altrui. L’evento coperto è, infine, la disoccupazione in volontaria per mancanza di lavoro, ossia quella inattività – conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro – non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni nel mercato di lavoro» (cosi Corte cost. n. 103 del 1968 cit.).
- Corte cost. n. 160 del 1974 ha, poi, precisato: «L’art. 38, secondo comma, della Costituzione, si estende ad una vastissima e qualificata categoria di cittadini e lavoratori, nei confronti dei quali il costituente ha voluto, a maggiore garanzia e tutela, costituzionalizzare la previdenza e le assicurazioni sociali, attraverso un esplicito e netto riconoscimento del dovere dello Stato a provvedervi e del diritto del lavoratore ad esigere che si provveda con mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Trattasi, come già precisato da questa Corte (sent. n. 80 del 1971), di norma giuridicamente imperante atta a creare verì e propri dirìtti di prestazione, il cui carattere precettivo non viene meno per il fatto che destinatario della norma sia lo Stato, il quale è vincolato ad operare, con organi ed istituti predisposti o da esso integrati, nel settore della disciplina dei rapporti sociali assicurativi nel senso voluto dalla Costituzione. Ciò necessariamente comporta, anche, la eventuale rielaborazione delle norme relative all’attuale disciplina dell’assistenza sociale – disciplina che, nella sua prevalenza e nei suoi criteri direttivi, ha preceduto nel tempo la Costituzione repubblicana – in modo che l’assistenza sia concretamente garantita a tutte le categorie di lavoratori e sia tale da assicurare a tutti i lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita, senza determinare trattamenti sperequativi tra categoria e categoria, a meno che non sussistano valide e sostanziali ragioni atte a giustificare un diverso tratta mento» (Corte cost. n. 160 del 1974).
- Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 215 ha chiarito che: «… l’art. 38, secondo comma, Cost. rimette alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti, anch’essi costituzionalmente garantiti, e nei limiti delle compatibilità finanziarie (sentenza n. 426 del 2006)» (cosi: Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 215 cit.).
- Trattandosi di prestazione previdenziale destinata esclusivamente ai lavoratori che abbiano implementato il sistema attraverso i contribuì, vengono in rilievo le decisioni del Giudice delle leggi con le quali si è più volte sottolineato il necessario rispetto del principio di proporzionalità e corrispettività tra contributi versati e prestazioni erogate e il tendenziale riconoscimento al legislatore della possibilità di intervenire con scelte discrezionali, anche peggiorative e retroattive, purché nel rispetto del bilanciamento degli interessi e del principio di ragionevolezza delle scelte legislative (cfr., ex plurimis, Corte cost. n. 116 del 2023, n. 241 del 2019; n. 16 del 2017; 203 del 2016).
55 Il sistema di sicurezza sociale appronta, dunque, misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore privato della retribuzione e il principio di adeguatezza delle prestazioni previdenziali alle esigenze di vita dei lavoratori, ex art. 38, secondo comma, Cost. — sia pur nell’indeterminatezza dei parametri di riferimento, nella polarizzazione e nel bilancia mento tra le esigenze/risorse finanziarie dello Stato e valutazione degli strumenti previdenziali per la salvaguardia del tenore di vita del prestatore e della sua famiglia — non consente, giammai, di dubitare che le scelte discrezionali del legislatore soffrono il limite della tutela della dignità umana e della necessaria garanzia di una vita dignitosa (limite valevole anche per le misure previdenziali), oltre che del necessario rispetto dei principi della ragionevolezza e della gradualità.
- La corretta ricostruzione dell’assetto prefigurato dal legislatore con interventi diretti a neutralizzare, per quanto possibile, gli effet:ti pregiudizievoli di eventi che non si è voluto o saputo evitare, si riverbera sull’attuazione stessa dei principi presidiati dall’art. 38, secondo comma, Cost., che prescrive non solo l’astratta previsione ma anche la concreta garanzia dei sussidi contro la disoccupazione.
- Il sistema di sicurezza sociale previsto dalla Costituzione, il cui carattere essenziale è l’universalità, è volto a garantire ai lavoratori una tutela di tipo economico e occupazionale: l’una rivolta a sopperire alla mancanza di reddito del lavoratore rimasto privo di occupazione, attenuando le conseguenze dell’evento lesivo; l’altra, presidio dell’effettività della garanzia costituzionale del diritto al lavoro prevista dagli artt. 4 e 35 Cost., diretta a incentivare l’impiego dei soggetti beneficiari nel mercato, rimuovendo, per tale via, la causa dello stato di bisogno.
- Il sistema prefigurato deve fornire prestazioni idonee, nel complesso, a rendere effettiva la garanzia dell’integrazione sociale, ossia «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» enunciato nell’art. 3, secondo comma, Cost.
59 La Carta fondamentale impone, invero, che non siano soltanto «preveduti» ma che siano anche «assicurati» «mezzi adeguati» e pone, al legislatore, uno stringente vincolo di scopo, che non può non orientare anche l’interpretazione della disciplina vigente al cospetto di quanto è implicito nell’articolato complesso di valori e garanzie compresenti nel testo costituzionale.
- L’ambito ristretto della tutela sociale nel novero degli eventi contenuto nel secondo comma dell’articolo 38 si dipana, tuttavia, in una materia che la Costituzione colloca tra i «rapporti etico-sociali» di cui al titolo primo della parte prima, a rappresentare il necessario completamento dello specifico contesto al quale s’informa lo stesso articolo 38: il diritto alla salute (art. 32), ma anche la tutela della famiglia (artt. 31 e 34, comma 3), l’istruzione (art. 34), la matemità (art. 31, co. 2) e, infine, tra i principi fondamentali, ricordati in apertura del testo costituzionale stesso e, fra altri, e con ancor maggior pregnanza (per i significativi riflessi nella materia in riferimento), il diritto al lavoro. In altre parole, come segnalato da autorevole dottrina, è il programma tracciato dalla Costituzione che inequivocabilmente indica come quella promessa di libertà«dal bisogno», che costituisce l’essenza delle forme di tutela dei diritti sociali, implichi, non soltanto la garanzia di ristoro rispetto agli effetti pregiudizievoli di un evento dannoso, che non sia stato possibile evitare, ma soprattutto, e prima ancora, la «serenità», che di fatto deriva dalla consapevolezza di poter fondatamente confidare su un efficace sistema di prevenzione nei confronti degli stessi eventi generatori di bisogno.
- Anche in tale prospettiva si colloca, in tema d’indebito previdenziale non pensionistico, l’interpretazione più recente del Giudice delle leggi (sentenza n. 8 del 2023) che ha orientato la modulazione dell’obbligazione restitutoria in termini più duttili, annettendo rilievo, da quest’angolo visuale, alle condizioni soggettive dell’accipiens e al legittimo affidamento che questi abbia, a giusta ragione, riposto.
- Invero, le questioni dibattute, in questo come in altro ricorso coevo all’esame delle Sezioni Unite, si pongono al crocevia tra tematiche di capitale importanza che lambiscono le interferenze, da sempre di non agevole soluzione, tra le vicende del rapporto di lavoro, anche in connessione con i relativi esiti contenziosi, e la tutela contro la disoccupazione, garantita dallo Stato sociale, vicende che la prospettazione difensiva deII’INPS racchiude nell’asserto della non auspicabile supplenza della tutela previdenziale ad una incompleta o insoddisfacente tutela lavoristica.
- L’alternativa espressa dal contrasto latente, per mutuare l’espressione adoperato dall’ordinanza interlocutoria, sottende diverse opzioni assiologiche, tra la sufficienza del dato eminentemente formale della ricostituzione, de iure, del rapporto di lavoro, e la necessità di valorizzare, per contro, una ricostituzione effettiva del rapporto lavorativo e di tenere, comunque, nel debito conto anche il carattere satisfattivo della tutela somministrata che il lavoratore abbia medio tempore conseguito, con la ricaduta, nel contesto di questa seconda scelta ermeneutica, dell’eventuale incidenza del contegno e della diligenza del lavoratore e della rilevanza rivestita dalle altre tutele che l’ordinamento appresta in chiave solidaristica.
- Ebbene, ad avviso di queste Sezioni Unite, la soluzione interpretativa dev’essere improntata alla diversità e distinzione tra rapporto previdenziale e rapporto lavorativo – che pur del rapporto previdenziale ne rappresenta il presupposto – e non possono, perciò, predicarsi conseguenze automatiche delle vicende che interessano il rapporto di lavoro sul rapporto previdenziale.
- L’evento protetto dal trattamento di disoccupazione (sotto forma d’indennità di mobilità come d’indennità di disoccupazione) – si legge in Cass. n. 28295 del 2019 – è la disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro ossia quella inattività conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro non riconducibile alla volontà del lavoratore; la sua funzione è quella di fornire, in tale situazione, ai lavoratori e alle loro famiglie, un sostegno al reddito in attuazione della previsione del secondo comma dell’art. 38 Cost.
- Già Cass. n. 5850 del 1998 – resa con riferimento al trattamento speciale di disoccupazione di cui all’art. 8, legge 5 novembre 1968, n. 1115 – aveva affermato che l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dall’atto di recesso, determina lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione, in sede giudiziale, della legittimità del licenziamento.
- Secondo le norme che la disciplinano, la prestazione di disoccupazione è erogata al lavoratore che versa in stato di «disoccupazione involontaria», in presenza di tutti gli altri presupposti, assicurativi e contributivi, previsti dalla legge, e dei quali si è dato atto infra, in ragione di una situazione di fatto – la mancanza di lavoro e di retribuzione, involontaria – cui si connette, per presunzione di legge, una immediata situazione di bisogno che la prestazione vale a tutelare; e questo a prescindere da qualunque considerazione in ordine alla legittimità del contratto e/o dell’atto che ha determinato la collocazione in mobilità o lo stato di disoccupazione in volontaria (v. art. 7, comma 1, legge n. 223 del 1991 e art. 1 e 3, commi 1, alinea, e 2, d.lgs. n. 22 del 2015).
- I diversi piani entro i quali operano la tutela previdenziale e la tutela lavoristica sono già stati evidenziati da Cass. n. 28295 del 2019 cit. che, in riferimento alla impugnazione giudiziale del licenziamento, ha ritenuto la relativa azione costituire un diritto, e non un obbligo del lavoratore, sicché l’intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi al momento dell’atto risolutivo perché, diversamente opinando, si finirebbe per negare la protezione previdenziale al lavoratore che, per qualsivoglia motivo, omettesse d’impugnare un licenziamento pur manifestamente illegittimo.
- Dall’autonomo rapporto previdenziale tra lavoratore assicurato e INPS, nel cui alveo si colloca l’erogazione della prestazione previdenziale, esula ogni eventuale valutazione circa la fondatezza dell’azione coltivata d’impugnazione del licenzia mento o di nullità del termine di durata del contratto di lavoro – che, ab origine, non esercita alcuna incidenza sul diritto alla prestazione.
- Ciò che fonda e giustifica l’erogazione della prestazione previdenziale è esclusivamente la condizione di bisogno determinata dalla perdita della retribuzione e finché questa perdura; l’ordinamento prevede decadenza e/o sospensione e/o riduzione del trattamento quando tale situazione cessi o si attenui perché il lavoratore si è rioccupato (cfr. artt. 9, 10 e 11 d.lgs. n. 22 cit.).
- Se l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è la disoccupazione in volontaria (Cass. n. 28295 del 20 19) che ne costituisce, al contempo, il fatto costitutivo (Cass. n. 98 50 del 1998), l’evento protetto della tutela previdenziale e il relativo fatto costitutivo – la condizione di bisogno – non possono venir meno solo perché per effetto della decisione giudiziale, che accerta, come nella specie, la nullità del termine, deve ritenersi mai estinto il rapporto di lavoro (da ultimo, Cass. n. 602 del 2025), rapporto diverso e distinto dal rapporto previdenziale tra lavoratore ed Ente previdenziale.
- In altri termini, se a seguito della declaratoria di nullità del termine finale apposto al contratto e conseguente ripresa del sinallagma contrattuale, prestazione lavorativa e retribuzione, di li in avanti, lo stato di disoccupazione involontaria viene meno – e viene meno, perciò, la condizione di fatto per l’erogazione dell’indennità – lo stesso non può affermarsi in relazione allo stato di disoccupazione e di bisogno dell’assicurato precedenti all’effettiva ripresa, situazione di fatto che la mera conversione giudiziale del rapporto costituito, ad origine, a tempo determinato, pur fondata sull’assunto del rapporto di lavoro mai estinto per effetto della nullità del termine finale, non può travolgere nella sua realtà fenomenica ed effettività.
- Non si verifica, in tal caso, né l’ipotesi della prestazione erroneamente concessa in misura superiore al dovuto, né l’ipotesi in cui l’ente abbia riconosciuto il diritto alle prestazioni nell’erronea convinzione della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione o abbia continuato ad erogarla ritenendo erroneamente sussistenti le condizioni di legge.
- D’altro canto, non si può non rilevare che la declaratoria di nullità del termine finale non ripristina, per il periodo antecedente, in mancanza della prestazione lavorativa l’obbligo retributivo — che viene sostituito dalla prestazione di disoccupazione, ad esso commisurata (art. 4, comma 1, d.lgs. n. 22) – ma condanna il datore ad indennizzare il danno cagionato al lavoratore in misura non specie, le dodici mensilità.
- Il provvedimento giudiziale che dispone la conversione del rapporto di lavoro costituito ab origine a tempo determinato mediante l’apposizione di un termine finale poi dichiarato giudizialmente nullo, si pone nel solco della disciplina comune delle obbligazioni, tranne che per il profilo risarcitorio, regolato, come dianzi detto, dall’art. 32 L. n. 183 del 2010, non idoneo, nemmeno sulla carta, a porre rimedio alla situazione di bisogno conseguente alla perdita della retribuzione che l’indennità di disoccupazione è servita a proteggere e fronteggiare.
- Ne‘ l’indennità onnicomprensiva che viene qui in rilievo, ratione temporis, reca in nuce un’impronta finalistica di protezione del reddito, si da porre in conflitto la tutela previdenziale e la tutela lavoristica: solo la prima realizza la protezione dal bisogno del lavoratore rimasto privo di reddito, mentre la seconda, nelle forme volute dal Legislatore del 2010 e, in via d’interpretazione autentica, dal Legislatore del 20 12 (ambito temporale ristretto in cui va collocato il ricorso all’esame), con disposizioni cogenti nel bilanciamento delle opposte pretese tra lavoratore e datore di lavoro, esprime esclusivamente, per mutuare l’espressione di Corte cost. n. 226 del 2014, un criterio uniforme e certo per la quantificazione del danno allo scopo di semplificare il contenzioso.
- In quel contesto temporale, poi mutato radicalmente, la finalità perseguita con l’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, norma d’interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 13, della Iegge n. 92 del 2012, come affermato da Corte cost. n.226 cit., non era quella di recepire ed attuare l’accordo quadro in materia di contratto a tempo determinato, sibbene quella di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, imponendo un meccanismo semplificato e di più rapida definizione di liquidazione del danno (evitando accertamenti probatori in ordine alla mora accipiendi, all’aliunde perceptum, al percipiendum, ecc.), a fronte della illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro.
- Che, poi, detto impianto normativo sia stato oggetto di ampia rivisitazione non vale ad incrinarne la portata e sarebbe un fuor d’opera metteme, in questa sede, in discussione la forza cogente, trattandosi di un profilo affatto estraneo al thema decidendum delibare la tenuta della tutela indennitaria, in termini di quanto sia assicurata la protezione del lavoratore rimasto sprovvisto di reddito, rispetto alla tutela assicurata dall’ammortizzatore sociale, qual è Ilindennità di disoccupazione.
- L’indennità forfettaria proporzionata non si limita a forfettizzare il danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma va ad integrare la garanzia della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato che costituisce la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario e la relativa previsione risponde all’esigenza di introduzione di un criterio uniforme e certo nella tutela economica dei lavoratori a tempo determinato, più adeguata al bisogno di certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi, anche al fine di superare le inevitabili divergenze applicative cui aveva dato luogo il sistema previgente (Corte cost. n. 303 del 2011, richiamata da Corte Cost. n. 226 del 2014 cit).
- Questi elementi consentono di ravvisare l’obiettivo perseguito dal legislatore, ancora una volta, nell’esigenza di assicurare certezza nella quantificazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di illegittima apposizione del termine al contratto, rendendo cogente la soluzione, già prevista, che bilanciava le opposte pretese del lavoratore e del datore di lavoro, nonché nello scoraggiare ulteriore contenzioso.
- La protezione economica assicurata ad integrazione della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato si muove sul piano della tutela del lavoratore precario nei confronti del datore di lavoro e attiene, dunque, al piano del rapporto di lavoro.
- La tutela della situazione di bisogno volta a neutralizzare, per quanto possibile, gli effetti pregiudizievoli di eventi incidenti sul rapporto lavorati che non si è voluto o saputo evitare, attiene al rapporto previdenziale, rapporto autonomo rispetto al rapporto di lavoro e le vicende concernenti quest’ultimo ed il suo svolgimento – in particolare, con riferimento alla tutele apprestate per il ripristino del rapporto – non possono riverberarsi automaticamente sul rapporto previdenziale, a pena di infirmare la protezione costituzionale della situazione di bisogno effettivamente prodottasi fino al ripristino del rapporto lavorativo e del sinallagma contrattuale.
- L’articolo 38, che istituisce la garanzia della somministrazione di «mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore», si rapporto necessitatamente alla norma di legislazione ordinaria, che, di fatto, quell’articolo rende destinataria del compito di determinare, in concreto, contenuto e sostanza della garanzia che esso enuncia.
- In altre parole, come pure rimarcato da autorevole dottrina, è il programma tracciato dalla Costituzione che inequivocabilmente indica come quella promessa di «libertà dal bisogno», costituente l’essenza delle forme di tutela dei diritti sociali, implichi non soltanto la garanzia di ristoro rispetto agli eventi pregiudizievoli dell’evento dannoso che non sia stato possibile evitare, ma, soprattutto, e ancor prima, la «serenità» derivante, di fatto, dalla consapevolezza di poter fondatamente confidare su un efficace sistema di prevenzione nei confronti degli stessi eventi generatori di bisogno.
- Quanto al rischio, paventato dall’ente previdenziale, di ledere il principio della incumulabilità della contribuzione effettiva, dovuta per i periodi di ricostituzione del rapporto di lavoro, con la contribuzione figurativa accreditata per il periodo di godimento dell’indennità di disoccupazione, vale affermare che la contribuzione figurativa cessa nel momento in cui viene erogata quella effettiva e non vi è sovrapposizione tra contribuzione figurativa derivante dalla prestazione previdenziale e contribuzione obbligatoria per effetto del ripristino del rapporto assicurativo sicché la contribuzione figurativa verrebbe cancellata automaticamente ex art. 10 d.P.R. n. 818 del 26.4. 1958.
- Cosi tratteggiata la disciplina della prestazione previdenziale dedotta in causa, va in conclusione affermato che la condizione oggetto di protezione viene meno solo con il ripristino del sinallagma del rapporto lavorativo e della retribuzione, proprio perché, durante il periodo intercorrente fra la scadenza del termine nullo e la sentenza dichiarativa di tale nullità in mancanza della prestazione lavorativa si giustifica la mancata prestazione retributiva, in omaggio al vincolo sinallagmatico proprio del contratto di lavoro subordinato (v. Corte. cost. n. 29/2019; Cass., Sez. Un., n. 2990/20 18; Corte Cost. n. 303/20 11; Cass. n. 602 del 2025 cit.); la tutela contro la disoccupazione involontaria non potrò che essere diretta a compensare l’assenza della retribuzione e a garantire misure di adeguato sostegno al lavoratore.
- In conclusione, la sentenza impugnata che si è conformata ai principi fin qui illustrati è immune da censure e il ricorso va rigettato.
- Non si provvede alla regolazione delle spese per non avere la parte intimata svolto attività difensiva.
- Dispone il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, in quanto ricorrono i presupposti processuali.
La Corte a Sezioni Unite rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.