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*Processo – Concessioni e autorizzazioni – Beni pubblici e privati – Concessione di beni pubblici, decadenza, mero rilascio del bene e giurisdizione del GA

by Alessandro Macioci - dottore di ricerca in diritto civile, Avvocato, Esperto giuridico IVASS
19 Luglio 2024
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 17 maggio 2024 n. 13747 

 

            PRINCIPIO DI DIRITTO

         La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto, rileva il petitum sostanziale. Questo va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.

         Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 826, terzo comma, cod. civ., e la sua concessione in godimento possa essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio

 

         TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. – Il ricorso per regolamento preventivo – sebbene proposto per contestare la giurisdizione del Tar dalla stessa parte che a quel giudice si è rivolta per chiedere la tutela, anche cautelare, della propria posizione soggettiva incisa dal provvedimento della pubblica amministrazione – è ammissibile.

            Il regolamento preventivo può essere proposto da ciascuna parte, e quindi anche dall’attore nel giudizio di merito, ove vi sia un interesse concreto e immediato alla risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite in via definitiva e immodificabile (v. tra le varie Cass. Sez. U n. 20504-06, Cass. Sez. U n. 1876-11, Cass. Sez. U n. 7930-13, Cass. Sez. U n. 32727-18, Cass. Sez. U n. 15152-22).   Naturalmente la natura oggettiva di questo interesse alla corretta soluzione della questione di giurisdizione implica la legittimazione ad accedere alla Corte regolatrice ove la parte, che ha instaurato il giudizio di merito non ancora definito, abbia poi ragionevolmente dubitato della correttezza della originaria scelta effettuata.

            Si tratta cioè di una possibilità che al soggetto che ha promosso il giudizio di merito è attribuita non in senso assoluto, quasi che egli possa disporre del processo a proprio piacimento dinanzi a un plesso giurisdizionale o a un altro, ma solo in presenza di ragionevoli dubbi insorti sulla giurisdizione del giudice adito (v. Cass. Sez. U n. 17776-08, Cass. Sez. U n. 24155-13, Cass. Sez. U n. 3557-17, Cass. Sez. U n. 1083-22, Cass. Sez. U 15152-22), e quindi (appunto) dell’interesse concreto e immediato alla risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite col fine di evitare che la sua risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa (cfr. anche Cass. Sez. U 31029-19, Cass. Sez. U n. 16082-21, Cass. Sez. U n. 40953-21).

            Nel caso concreto l’esistenza di consimile ragionevole dubbio può essere ravvisata in dipendenza dell’ultimo dei sopracitati rilievi mossi dalla ricorrente a fondamento della pretesa di annullamento, che postula l’incidenza di un titolo privatistico (la locazione) quale base per l’occupazione dell’area.

  1. – Il ricorso, per quanto ammissibile, è però infondato e va affermata l’appartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa.

            III. – La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto, rileva il petitum sostanziale. Questo va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (indicativamente Cass. Sez. U n. 9771-20, Cass. Sez. U n. 23600-20 e moltissime altre).

  1. – L’attrice non ha agito per contestare in sé e per sé la pretesa del comune di rientrare in possesso dell’area a una tal scadenza, ma per avversare la specifica sorte del provvedimento di decadenza dall’occupazione di suolo pubblico.

            Questo provvedimento essa ha impugnato – tra l’altro – sulla preliminare affermazione (poi smentita dal Tar in sede cautelare) di non essere l’area parte del demanio comunale e di non essere altresì, la medesima, possibile oggetto di un rapporto concessorio; sicché a suo dire il comune non avrebbe potuto intimare la decadenza in base alle previsioni del su richiamato regolamento comunale relativo alle aree occupate su base concessoria.

  1. – L’assunto non può esser condiviso, perché invece appare chiaro, in base agli stessi documenti richiamati, che la ricorrente ha avuto, quanto all’impianto in questione, la qualità di concessionario di un pubblico servizio.

            La ricorrente si rifà all’indirizzo di questa Corte secondo il quale spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda di licenza per finita locazione di un’area appartenente a un comune, concessa in godimento per lo svolgimento dell’attività di distribuzione di carburanti in forza di un contratto che, per il nomen iuris scelto dalle parti e per il suo contenuto, sia riconducibile allo schema del contratto di locazione ad uso commerciale.

            Ciò in quanto, affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 826, terzo comma, cod. civ., e la sua concessione in godimento possa essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio (v. Cass. Sez. U n. 13664-19 e già Cass. Sez. U n. 14865-06; più di recente Cass. Sez. U n. 21991-20).

            Sennonché, è vero che è stato recentemente affermato – peraltro proprio in relazione a un ricorso presentato della IP – che la controversia avente a oggetto la domanda di rilascio del bene all’esito dell’avvenuta cessazione di un rapporto concessorio rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass. Sez. U n. 16763-22), giacché – si è detto – una tale controversia vede la pubblica amministrazione in una posizione paritetica rispetto a quella del privato concessionario, per cui non comporta la necessità di compiere alcuna verifica circa l’esercizio di poteri autoritativi.

            Non è men vero però che nel caso di specie non si è in presenza di una situazione del genere.      Quel che emerge dagli atti di causa, che la Corte nel regolamento di giurisdizione può esaminare direttamente, è l’esistenza di un titolo autorizzativo alla base del rapporto, costituito dall’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico n. 77 del 2001 rilasciata dal comune dietro il pagamento di un canone annuale.

            E si evince che a fronte di un impianto inattivo e della comunicazione di dichiarazioni di cessazione dell’attività a esso relativa il comune aveva attivato il procedimento di decadenza.

            La circostanza di avere il comune emesso un provvedimento di decadenza per l’avvenuta comunicazione, da parte della società concessionaria, della “chiusura definitiva dell’impianto” a far data dal 21-12-2020 cambia completamente la prospettiva, perché, da un lato, implica l’esercizio dell’afferente potere pubblico e perché, dall’altro, esclude che possa rinvenirsi una questione attinente alla fase esecutiva del rapporto.

            Né ovviamente rileva, ai fini della giurisdizione, che la ricorrente abbia sostenuto che quella comunicazione era stata inviata per errore.

  1. – Nel ricorso si sostiene – poi – che l’impianto sorge su area non demaniale, cosicché l’autorizzazione n. 77/2001 sarebbe da riqualificare essa stessa come contratto di locazione, sottratto all’ambito di applicazione del Regolamento comunale per la disciplina del canone patrimoniale di occupazione del suolo pubblico.

            Ma tale assertiva tesi non incide sul fondamento di quanto osservato fin qui. Il suolo sul quale l’attività di distribuzione di carburanti risulta svolta è una porzione del sedime stradale, e come tale fa parte del demanio necessario.

            La qualità di concessionario spetta al gestore di un impianto di distribuzione di carburante ove l’impianto insista, come nella specie, almeno in parte su sedime stradale (artt. 822 e 824 cod. civ.).           Questa cosa si evince, in fatto, per i fini che qui rilevano, dal combinato esame dei riferimenti fotografici allegati dal comune e della circostanza, ammessa dalla stessa ricorrente dinanzi al Tar, che l’impianto in questione avrebbe dovuto essere adeguato al progetto per la prospiciente nuova viabilità cittadina.

            Le fotografie mostrano che l’impianto di cui si discute è sito all’incrocio tra due strade cittadine, che in quanto tali fanno parte del demanio comunale.

            E la società, in premessa del ricorso al Tar, ha rappresentato di aver convenuto col comune sulla necessità di eseguire dei lavori di ammodernamento dell’impianto, da pianificare nel dettaglio successivamente all’invio della planimetria aggiornata della viabilità cittadina.

            Ciò non avrebbe senso se non in associazione al riconoscimento dell’insistenza dell’impianto su una parte del sedime stradale oggetto di variazione.

            Invero la presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 della l. n. 2248 del 1865, all. F, si riferisce a ogni area comunicante con la strada pubblica che, per l’immediata accessibilità, integra la funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada (v. Cass. Sez. 2 n. 2795-17).

            Per quanto avente carattere relativo, tale presunzione può cadere solo di fronte all’esistenza di elementi probatori diversi, qui non apprezzabili, idonei a dimostrare il carattere privato degli spazi medesimi (v. ex aliis Cass. Sez. U n. 5522-96, Cass. Sez. 2 n. 5262- 06).

            […]

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