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Home Diritto Penale

*Processo – Diritto di difesa, esigenze difensive, accesso abusivo e scriminante

by dott. Jacopo Lucchiari
30 Settembre 2024
in Diritto Penale
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Cassazione Penale, sez. V, sentenza 12 settembre 2024, n. 34501

 

PRINCIPIO DI DIRITTO

Integra, invero, il delitto previsto dall’art. 615-ter cod. pen. non solo la condotta di

colui che si introduca abusivamente in un sistema informatico protetto, ma altresì quella di chi, pur autorizzato ad accedervi, vi si trattenga, contro la volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, per finalità diverse da quelle per le quali era stato abilitato (…).

La tesi che l’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto sia scriminato

dall’esercizio di un diritto, allorché l’accesso faccia comodo all’agente per carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, si fonda su una lettura personalistica e distorta della norma penale – nella specie, dell’art. 51 c.p. – e sulla assunzione di un concetto onnivoro dei diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive.

In realtà, per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto

che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive (diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà), attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti.

È necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione

delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato.

Nella specie, il diritto di difesa in giudizio si compendia in una serie di diritti e facoltà

disciplinati dall’ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l’esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici.

Il richiamo dell’art. 51 c.p. è, pertanto, decisamente errato.

Né l’attività posta in essere dall’imputato può essere ricondotta al paradigma delle investigazioni difensive, sia perché tale attività è riservata al difensore (e non all’imputato), sia perché la stessa deve arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell’art. 391-sexies c.p.p.).

 

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

È il caso di ricordare che lo scopo della norma incriminatrice di cui all’art. 615-ter

cod. pen. è, invero, quello di inibire ingressi abusivi nel sistema informatico, sicché non assume rilievo ciò che l’agente carpisce indebitamente (se notizie riservate o altrimenti recuperabili), ma l’ingresso stesso, non sorretto da ragioni collegate al servizio pubblico o privato svolto ovvero all’autorizzazione ricevuta da parte del titolare del diritto di accesso.

Integra, invero, il delitto previsto dall’art. 615-ter cod. pen. non solo la condotta di

colui che si introduca abusivamente in un sistema informatico protetto, ma altresì quella di chi, pur autorizzato ad accedervi, vi si trattenga, contro la volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, per finalità diverse da quelle per le quali era stato abilitato (cfr. tra tante Sez. 5, n, 24583 del 18/01/2011, Rv. 249822 – 01; cfr. altresì Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 07/02/2012, Rv. 251269 – 01).

La norma in questione configura, infatti, un reato di pericolo, che sì concretizza

ogniqualvolta l’ingresso abusivo riguardi un sistema informatico contenente notizie riservate, indipendentemente dal tipo di notizia eventualmente appresa, protetto da misure di sicurezza ovvero il mantenimento all’interno di esso avvenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (…)

1.3. Posto che l’ingresso nel sistema informatico assistito da credenziali vi è stato

secondo la coerente ricostruzione dei giudici di merito (e ciò in realtà non è smentito dalla ricorrente che piuttosto come sopra detto ha inutilmente tentato di discolparsi adducendo l’autorizzazione del marito), occorre ora affrontare la questione relativa all’esercizio del diritto che pure la difesa ha riproposto nella presente sede, sebbene essa fosse stata già esaurientemente affrontata dalla Corte di appello.

Questa ha esplicitato le ragioni sulla cui base ha escluso la ricorrenza nel caso di specie

della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto – di difesa -argomentando, innanzitutto, sulla base della pronuncia di questa Corte, Sez. 5, n. 52075 del 29/10/2014, Lazzarinetti, Rv. 263225 – 01, della quale ha riportato il passo argomentativo di interesse (secondo cui [l]a tesi che l’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto sia scriminato dall’esercizio di un diritto, allorché l’accesso faccia comodo all’agente per carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, si fonda su una lettura personalistica e distorta della norma penale – nella specie, dell’art. 51 c.p. – e sulla assunzione di un concetto onnivoro dei diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive.

In realtà, per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto

che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive (diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà), attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua

soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti.

È necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione

delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato.

Nella specie, il diritto di difesa in giudizio si compendia in una serie di diritti e facoltà disciplinati dall’ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l’esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici.

Il richiamo dell’art. 51 c.p. è, pertanto, decisamente errato.

Né l’attività posta in essere dall’imputato può essere ricondotta al paradigma delle investigazioni difensive, sia perché tale attività è riservata al difensore (e non all’imputato), sia perché la stessa deve arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell’art. 391-sexies c.p.p.) (…)

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